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Autore: Black_Raven    16/09/2014    1 recensioni
[Dal primo capitolo]
Girolamo scrutò il paesaggio oramai cupo e desolato dell’Urbe pur di non posare gli occhi sulla sua figura. Non era innamorato della donna che aveva dinanzi a sé. Quella fanciulla che era stata la sua Laura era morta anni prima così come quel ragazzo ingenuo e diligente che l’aveva bramata più di ogni ricchezza e possedimento. Bianca era abbastanza certa che non avrebbe esitato ad annientarla se gliene avesse offerto l’occasione. Erano sin troppo disillusi per poter agire altrimenti.
« Sei tanto smanioso d’esser preso a cannonate da un Artista, cugino?» perdurò in quel gioco che sapeva l’avrebbe irretito. L’Artista era importante, vitale, indispensabile come l’ossigeno in quella trama architettata anni prima. Doveva incontrarlo, spiegargli il suo ruolo, ammonirlo e indirizzarlo verso le giuste strade da percorrere.
« Le notizie corrono,» sibilò irritato, un lampo d’indignazione negli occhi scuri. Nessuno mai aveva osato rifiutare qualcosa a lui, al paladino della Chiesa, alla spada della Cristianità. Bianca si costrinse a non sorridere dinanzi a quell’espressione. Il Conte le avrebbe negato il suo desiderio se avesse scorto anche il minimo cenno di derisione.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Girolamo Riario, Leonardo da Vinci, Lucrezia Donati, Nuovo personaggio, Papa Sisto IV, Papa Sisto IV
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Ricordi

– Chissà se l'amo? – È un dubbio che m'accompagnò per tutta la vita e oggidì posso pensare che l'amore accompagnato da tanto dubbio sia il vero amore. 
Italo Svevo
 


Le stelle rilucevano splendide e gloriose nel cielo di Roma. Infinite e intoccabili coronavano la Luna che, superba e immobile, sembrava giudicare l’agire degli uomini. La Città Eterna era pacifica, addormentata e perfettamente ignara dell’efferatezza che s’era consumata quella mattina mentre le campane intonavo a festa la fumata bianca.
Girolamo Riario, nipote del novello Papa, avanzava per la sterpaglie e l’erba incolta, selvaggia e crudele, relegando nell’angolo più recondito della sua mente il peso insopportabile del rimorso. Una vita innocente era stata spezzata a dimostrazione dell’inizio di un regime corrotto che si sarebbe protratto per molti anni.
Udiva i singulti trattenuti di una fanciulla, di Bianca, di quell’angelo dai capelli d’oro che soleva essere il suo unico conforto. Ella gli dava le spalle, avvolta in abiti neri e luttuosi, le spalle ricurve, i crini sciolti di una matrona spezzata.
La morsa si fece ferina, mortale, e Girolamo annaspò, permettendosi quella che sarebbe stata la sola debolezza. Bianca si volse si scatto, gli occhi d’ambra arrossati e gonfi, gli zigomi umidi e le labbra screpolate in più punti, lo strenuo tentativo di celare il pianto incontrollabile.
« L’avete seppellita come se fosse stata una belva. Né un nome né un affetto,» sussurrò la fanciulla, la voce spezzata dai singulti che partivano dal petto ansante che tante volte aveva accudito il suo capo stanco. Rammentava il tocco delle dita sottili che si intrecciavano ai suoi capelli neri, la gentilezza della sua pelle morbida e calda al contatto con la propria. Quelle stesse dita che, spasmodiche, si attorcigliavano ad un fazzoletto candido con lo stemma della loro famiglia.
La lapide di Amelia Della Rovere non esisteva. Solo un tumulo di terra ricopriva il corpo della bambina e una semplice croce di legno grezzo era stata posta ad altezza del capo. Nessuno mai avrebbe posto fiori o ricordi su quella fanciulla. La sua esistenza sarebbe stata dimenticata, la sua venuta al mondo cancellata dalle menti e dai cuori di tutti tranne che del loro.
« Non dovresti rimanere in questa parte del cimitero, Bianca,» l’ammonì celere. Quella zona di Roma era fatiscente e non godeva d’alcuna protezione. Persino le guardie svizzere evitavano quei luoghi ed era la cagione per la quale avevano posto le spoglie di quell’infante che nulla di malvagio aveva mai compiuto. Lupi feroci si celavano nella boscaglia e nelle campagne vicine.
« Se non t’obbedisco, ucciderai anche Lucrezia?» domandò con occhi di brace, indignata soltanto come un’innocente poteva essere dinanzi ad un’ingiustizia. Girolamo avanzò d’un passo, posando la mano grande e priva d’ornamenti sul capo della fanciulla, carezzandolo lievemente. Bianca non rifuggì il suo tocco e qualcosa mutò nel suo sguardo. Non era ardente, non più. Era ferito, piegato, spezzato.
« Non ho assassinato io Amelia. Era soltanto un’infante. Inutile nei progetti del Santo Padre,» soggiunse asciutto, senza calore, distaccato come quell’uomo che non desiderava essere appellato padre. Era ignaro anch’egli per quel repentino cambiamento. Bianca s’irrigidì sotto le sue carezze per la prima volta e l’uomo faticò a riconoscere l’amata fanciulla che pochi giorni prima aveva reso la sua promessa sposa con un bacio e con la speranza di un amore sincero.
« Non credevo l’avrei mai affermato, Girolamo, ma mi disgusti quanto il tuo caro padre,» replicò fremente d’ira malcelata, scansandosi e volgendo il capo verso la croce, portandosi il fazzoletto al petto, le labbra strette in un’espressione d’odio, « Quando non gli sarai più d’alcuna utilità, ti getterà nel Tevere,» sibilò velenosa come una vipera. Bianca aveva amato le sue sorelle in un modo che Girolamo non avrebbe mai potuto comprendere. Erano complici, alleate e insieme erano invincibili. La perdita di Amelia aveva spezzato l’equilibrio.
« Non complicare ulteriormente la tua situazione.»
Era un avvertimento che era insieme d’apprensione e di minaccia, d’amore e di biasimo. Bianca era una combattente come lui. Era stato quel suo caratteristico coraggio a legarlo alla fanciulla dagli occhi sognanti e dalla risata sempre allegra. La sua Bianca, la donna che amava più di se stesso, non si sarebbe arresa e quello era un ostacolo insormontabile anche per lui.
« Perché Lucrezia e non io? Perché sarà ella la vostra spia? Perché sarà costretta a giacere con un uomo sposato e che non le conferirà mai un titolo dignitoso?»
Tutti quegli interrogativi, pronunciati in un solo fiato, ebbero il potere di scuoterlo dal suo stato di crudele indifferenza. Lucrezia, la figlia maggiore, la sorella che educava e proteggeva, che amava, si sarebbe recata a Firenze, acerrima nemica della culla della Cristianità, e sarebbe divenuta l’amante del Magnifico, di quel pagano e orgoglioso uomo che era vanto dell’Italia intera.
« È sembrata più adatta al ruolo,» sollevò le spalle l’uomo, non desideroso di spiegarle che aveva pregato per ore Sisto di non fare di lei una spia, un’amante. Girolamo non avrebbe mai accettato che il cuore della sua amata divenisse arido come la pietra, « Il Santo Padre ha convenuto con me che tu potresti sposarmi,» aggiunse, prendendole il mento tra il pollice e l’indice e osservandola negli occhi scuri. L’espressione di Bianca non mutò. Rimase distante e glaciale.
« Mai, Girolamo. Qualsiasi sentimento nutrissi nei tuoi riguardi è morto quando hai accettato di deporre mio padre e renderti partecipe dell’omicidio di mia sorella,» affermò crudele e risoluta, issandosi in piedi e stringendosi nel mantello per ripararsi dal gelo della notte.
« I miei non sono mutati,» si lasciò sfuggire senza rimuginare oltre, ponendo l’altra mano sul fianco magro della fanciulla e attirandola a sé.
« Preferisco entrare in convento piuttosto che maritarti di mia volontà,» perdurò in quella strenua lotta che un tempo li avrebbe scorti alleati e mai rivali. Bianca non era più la dolce fanciulla a cui leggeva versi tratti dalla Bibbia, la bella sposa che aveva accarezzato e baciato, posseduto e amato, in una notte come quella soltanto pochi giorni prima. Era una donna spogliata degli affetti, delle speranze, dei sogni di bambina.  Non la riconosceva più, Girolamo. Anch’egli era cambiato dall’assassinio della giudea, di sua madre, di colei che l’aveva abbandonato in un monastero, non voluto, ma l’amore per Bianca, l’unico sentimento autentico nella sua vita, non s’era affievolito.
« Osi insinuare che ti forzerei, Bianca? Dopo tutto ciò che abbiamo condiviso?»
« Non riconosco l’uomo dinanzi ai miei occhi,» commentò chinando il capo. Girolamo sciolse la presa sul volto e sul fianco ed indietreggiò volgendo per un attimo lo sguardo alla croce di Amelia. Avrebbe desiderato salvarla, ma questo a Bianca non l’avrebbe mai riferito.
« Sono l’umile servo di Nostro Signore. Lo sono stato ieri e lo sarò domani.»
« Tu ritieni d’essere nel giusto?» domandò sorpresa, tornando a guardarlo, « Oh Girolamo, amor mio,» esclamò in un riso lieve, liberatorio, che non arrivò agli occhi, sfiorandogli il volto glabro con i polpastrelli. Una parte di lui avrebbe desiderato baciarla, l’altra, la più forte, scansarla e colpirla per l’insolenza che dimostrava.
« Mi deridi adesso?» tuonò e la sua voce greve risuonò nella notte quieta e silenziosa avvolgendo l’aria. Bianca sbatté le palpebre e il sorriso si spense. Il suo sguardo cadde verso l’anello che portava alla mancina, con la pietra d’ambra e la montatura d’oro zecchino. L’anello che le aveva donato quando l’aveva domandata in sposa.
« Questo monile v’appartiene, mio Signore,» esclamò mentre lo sfilava con dita tremanti, come se una parte di lei non desiderasse davvero compiere quel gesto. Girolamo serrò i pugni e scosse il capo, adirato, nella muta speranza che lo tenesse sempre con lei.


****

Girolamo Riario, conte di Imola e Capitano della Santa Madre Chiesa, avanzava a passo sostenuto e cadenzato verso gli studi privati del Papa. Le guardie si chinavano rispettose dinanzi al nobile, ma l’uomo non le guardava, la mente concentrata all’incontro della notte precedente. Non s’aspettava il ritorno di Bianca né di quella richiesta inopportuna quanto indesiderata. Sua cugina, la sua donna, era un eterno mistero che egli strenuamente e senza successo cercava di decifrare. Era una lotta contro il Destino e Girolamo era un ottimo giocatore, instancabile e pronto a tutto pur di ottenere la vittoria tanto agognata.
La guardia svizzera alla spessa porta di noce si inchinò quando lo riconobbe e prontamente si scostò per permettergli di entrare, senza emettere fiato. Girolamo era sempre il benaccetto nelle sale del Papa, più dei suoi altri nipoti.
Sisto era accomodato sulla poltrona d’oro dall’imbottitura di seta cremisi, dietro la scrivania di ciliegio, immerso nella lettura di missive urgenti. Girolamo si schiarì la gola per annunciare la sua presenza e il Pontefice, suo padre, l’uomo per cui non avrebbe esitato ad uccidere e compiere le peggiori nefandezze pur di ottenere della sincera riconoscenza, alzò lo sguardo per puntarlo nel suo.
« Vostra Eccellenza,» mormorò con riguardo prima di chinarsi e baciare l’anello che l’uomo gli presentava ogni volta. Mai aveva il permesso di appellarlo padre, neanche quand’erano soli. Le poche volte in cui era stato colto da una debolezza momentanea, Sisto l’aveva raggelato con la più tagliente delle espressioni, lo sguardo colmo di scherno e di biasimo, quello di un Dio crudele che si ergeva e imperava su tutto.
« Girolamo, non t’ho fatto chiamare.»
La voce del Santo Padre era quanto mai tediata mentre permetteva ad una lettera che recava il sigillo degli Aragona di Napoli di ricadere nel folto cumulo di carte presenti sullo scrittoio.
« Bianca è a Roma,» comunicò pragmatico, la voce inflessibile e priva d’emozioni apparenti.
« Quella sgualdrina.,» sibilò arcigno, un’ombra negli occhi azzurri e freddi. Bianca era stata accudita dai della Rovere, da Raffaello, nipote di Sisto, ed il Papa mai s’era interessato dei suoi affari certo che la fanciulla fosse osservata dalla sua famiglia. Bianca, però, non aveva mai gradito il controllo ferreo della nobiltà romana ed era fuggita un anno prima dopo aver domandato un esiguo prestito a suo fratello Giuliano. Da allora nessuno aveva avuto sue notizie prima di quel momento, «Ti irrita ancora che la si appelli con il nome che le confà?» continuò quando notò l’ombra scura che aveva attraversato gli occhi del Conte.
« No, Santo Padre. Ella desidera seguirmi a Firenze,» soggiunse più calmo, imponendosi di non tradirsi per quell’inutile e patetico ricordo d’amore. Quella fanciulla non esisteva e avrebbe dovuto rimembrarlo. La Bianca dei suoi ricordi era morta quando Alessandro della Rovere aveva spezzato il collo della sua sorella più giovane e nulla avrebbe potuto cancellare gli orrori a cui aveva assistito, le menzogne che costellavano la sua vita.
« Perché dovrebbe?» replicò Sisto ridendo tra sé e scuotendo il capo, come dinanzi ad un bambino indisponente. Girolamo si lasciò sfuggire il sorriso che superiore e caustico che rivolgeva al mondo intero, a quel globo corrotto abitato da individui che avevano perduto la fede irradiata dalla grazia divina.
« Afferma che ha informazioni sul Libro delle Lamine,» esplicò il Conte conscio che il Santo Padre ritenesse quel tomo una mera distrazione, la sua ricerca un’attività oziosa e Bianca stessa una sciocca per essersi lasciata trasportare dall’illusione della conoscenza assoluta. Girolamo era di tutt’altro parere, ma non si sarebbe opposto al volere del vicario di Cristo.
« Rechiamoci nelle prigioni. Riferisci alla tua schiava di convocare anche la tua promessa,» comunicò greve per poi fargli cenno di congedarsi. Nelle prigioni di Castel Sant’Angelo v’era suo zio, il vero Papa, Francesco della Rovere. Il Conte si recava spesso da lui per giocare una partita a dama, per discorrere con un uomo ben differente da suo padre. Girolamo si inchinò e uscì dagli studi papali, un’espressione incuriosita sul volto giovane. Alessandro non si recava quasi mai da suo fratello e di certo non permetteva alle sue figlie di incontrarlo.
La serva abissina, quella giovane donna che aveva educato personalmente, istruendola ai dogmi cristiani e alla lingua italica, stava sistemando le sue camere celere e discreta come sempre, con l’espressione serena e le labbra schiuse che intonavo un motivo allegro, sicuramente delle sue terre d’origine.
Appena si accorse della presenza del Conte, s’affrettò a riporre la stoffa con la quale stava pulendo i vetri della finestra e gli rivolse un cenno ossequioso col capo.
« Zita, cerca Madonna Della Rovere. Ritengo la troverai dal Cardinale.»
Giuliano della Rovere, suo fratello adottivo e personale confessore, era l’unica ragione per la quale Bianca tornava a visitare Roma da quando aveva ricevuto l’anello cardinalizio. Con il giovane uomo dagli occhi scuri e il sorriso sempre pronto, le iridi della donna abbandonavo ogni patita di grigia afflizione sino a divenire quelli di una bambina affettuosa e amabile.
« Subito, Signor Conte.»
La serva si congedò con un inchino e un sorriso appena accennato. Girolamo quasi non udì la risposta, colto com’era nel rimuginare sulla ragione per la quale suo padre avrebbe dovuto richiedere la presenza nelle prigioni della donna che avrebbe volentieri assassinato anni prima se il Conte non si fosse opposto con tutta le sue forze, e si incamminò celere verso di esse.
« Non starai dormendo, voglio sperare,» udì la voce di Alessandro divertita. Era in piedi dinanzi alla cella sbarrata con un’unica apertura e una scacchiera, la veste bianca che toccava il pavimento sporco e scuro, quella d’oro che lo fasciava interamente coprendo anche la croce tempestata di perle candide e perfette. Girolamo non poteva osservare il prigioniero da quella angolazione, ma lo immaginò seduto a giocare con le pietre candide e levigate.
« In realtà pregavo, fratello. Un gesto che tu dovresti compiere sovente,» mormorò il maggiore, il tono più arrochito, come se fosse stato colto da una contemplazione estatica. Francesco lo riconobbe, gli occhi azzurri dell’uomo lo attraversarono come una lama di coltello, ma l’espressione del Conte non mutò. Era oramai abituato al gelo di entrambi.
« Vi è un dono per te quest’oggi. Rivedrai una delle tue sgualdrine. La più giovane e la più sfuggente,» gli comunicò il Papa. Francesco parve stupito quanto Girolamo nell’apprendere quella novità inattesa.
« Bianca,» esplicò quel nome soltanto come un padre amorevole avrebbe potuto, dimostrando che quegli anni trascorsi in prigione non avevano sminuito né l’affetto né la fiducia che l’uomo riponeva nelle sue figlie, « Quella dolce bambina è indomabile, Alessandro,» rise lieve e Girolamo non poté che annuire, concorde. Bianca era il fuoco ardente che non poteva essere arginato.
« Le riunioni di famiglia si svolgono sempre nelle prigioni,» esclamò Bianca, annunciandosi con la sua voce eterea e dolce. Girolamo si volse ad osservarla e ciò che scorse gli fece perdere un battito. La sera prima gli occhi della donna erano stanchi, spenti, come il colore della sua veste. Invece quella mattina sembrava brillare di una luce che neanche Alessandro aveva potuto annientare.
« Dove sei stata? Sappi che non ho gradito questa tua ennesima fuga,» sbottò il Papa con biasimo mentre Bianca rivolgeva un sorriso sereno a suo padre. Francesco sporse la mano oltre le sbarre e la donna la strinse tra le proprie per poi chinarsi e baciare le rughe del tempo, i lunghi capelli biondi a celarle il viso e le lacrime che il Conte immaginò inumidissero gli zigomi. Il padre le carezzò il capo e un sorriso sereno illuminò gli occhi azzurri.
« Non credevo di dover spiegare ogni mio spostamento,» sollevò le spalle strette mentre lo sguardo d’ambra si posava sull’altro uomo, sul mostro che l’aveva privata di tutto. Girolamo quasi scosse il capo per l’arroganza e l’eccessiva impudenza che la donna dimostrava. Bianca e Lucrezia erano identiche nelle loro sfide alla morte.
« Tuo padre ha sofferto per questo. La ferita dovrebbe bruciargli ancora. E Lucrezia adesso se la intende con due traditori,» commentò malevolo e torvo, quasi disgustato da quella manifestazione d’affetto, dalle dita di Bianca che stringevano quasi disperate quelle del padre, dallo sguardo orgoglioso di Francesco che sembrava avvolgerla in una stretta calorosa e protettiva.
« Girolamo ti avrà già comunicato la mia intenzione di recarmi a Firenze,» mormorò cupa, un lampo di consapevolezza e di odio negli occhi, prima di volgersi ad osservare il Conte. La sera prima s’erano congedati con un riso lieve della donna, le labbra che quasi sfioravano le proprie prima che si scansasse e chiudesse la porta alle sue spalle. Girolamo le aveva permesso di giocare le sue carte migliori certo com’era di poterla sconfiggere nei suoi trucchi. Il Conte aveva le armi adatte a colpire la donna nelle sue debolezze. Aveva in pugno Lucrezia e suo padre, Bianca non l’aveva dimenticato.
« Perché?» domandò Girolamo sereno ed incuriosito, piegando le labbra nel suo solito sorriso. Il Libro delle Lamine l’aveva irretito, nonostante le riserve di suo padre, ma era Bianca quella che aveva aderito a quella congregazione antica e dagli oscuri segreti.
« Vi è un uomo che debbo incontrare per la ricerca. Il Turco rivela raramente le sue mosse,» soggiunse caustica intuendo una possibile domanda sull’identità del misterioso individuo. Si strinse nelle spalle strette e fasciate dalla lunga veste verde scuro che armonizzava le forme gentili del suo corpo ancora avvenente come per sminuire le sue parole. Il Turco era l’unico membro della confraternita di cui Girolamo aveva mai udito parlare anche da Lupo Mercuri. Sembrava essere a governo dei Figli di Mitra sebbene Bianca gli avesse comunicato che tutti godevano degli stessi diritti e dello stesso sapere.
« Se tenti di raggirami, sgualdrina, farò frustare te la prossima volta. Sarò io stesso a lasciarti agonizzante sul pavimento. Sono stato chiaro?» la minacciò Sisto sbattendola con le sbarre, entrambe le mani a serrarle il collo sottile premendo contro la carotide. Bianca annaspò e Girolamo si costrinse a non intervenire, certo che il Papa non l’avrebbe assassinata. Non v’era terrore nelle iridi d’ambra della donna, soltanto odio e disgusto.
« Cristallino come sempre,» sibilò irata e Sisto le permise di liberarsi facendole sbattere il capo contro il ferro. Bianca chiuse gli occhi, delle lacrime di dolore agli angoli e si portò le dita della mancina alla gola mentre la destra ancora stringeva la mano del padre. La pelle era più chiara nei punti in cui il Pontefice aveva premuto maggiormente e il Conte era certo che sarebbero rimasti i segni di quell’aggressione.
« Girolamo ti controllerà. Se dovesse discorrere con qualcuno, sbarazzati di lei,» gli ordinò guardandolo come se fosse stato un inutile servitore.
« Mi assicurerò che non una parola di troppo fuoriesca dalle sue labbra, Santo Padre,» gli assicurò il nipote mentre Sisto già si affrettava a salire le scale e tornare ai piani superiori, certo com’era del suo assenso. Girolamo osservò la giovane donna dinanzi a lui, lo sguardo ferito di lei era tornato al padre. le mani stringevano la stoffa della tunica scura che Francesco indossava e poteva udire il dispiacere e i singulti di lei mescolarsi alle rassicurazioni del padre, alle sue carezze. Avanzò cauto e le posò la mancina sul fianco nel muto comando di sciogliere la presa e seguirlo. Bianca si volse e lo osservò per un attimo che al Conte parve eterno. Per quell’unico, effimero istante il cuore dell’uomo si nutrì di rimpianti e di speranze tradite, del sogno che quella dolce fanciulla potesse tornare ad essere sua.
 
 NdA
Buon giorno a tutti voi e benvenuti in questo secondo capitolo tutto incentrato sul Conte Riario, il mio personaggio preferito all’interno della serie. Spero di aver ben tratteggiato il suo carattere sfaccettato e complicato e la sua relazione travagliata con Bianca. Storicamente Bianca della Rovere è davvero esistita ed  è stata la madre di Girolamo. Questa storia è ambientata nella prima stagione e non seguirà molto la serie originale. Infatti qui il Conte farà ritorno a Firenze dopo essere stato gentilmente cacciato dall’artista. La festa in suo onore, quella con il serpente, non è ancora avvenuta. Ringrazio coloro che hanno letto il primo capitolo e VerdeIrlanda per averlo recensito. Alla prossima, Black_Raven. 
   
 
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