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Autore: Tresor    16/09/2014    1 recensioni
[Coppia Daniel Feuerriegel/Pana Hema Taylor]
Com’è cominciata quella strana telefonata?
Un nome sul display dello smartphone.
Quattro lettere.
Un nome semplice eppure insolito.
Un saluto altrettanto semplice…
Genere: Erotico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 4

 

 

 

Ha la bocca riarsa, Hema.

È cominciato con uno strano formicolio sulle labbra.

Come se a un tratto avesse sete.

E non ha sete.

Di questo è sicuro.

Non è di acqua che sente il bisogno.

Proprio no.

Ma non osa rivelare a se stesso il segreto.

Non può.

Ci vuole un coraggio che ancora non ha.

Che lo sfugge e lo deride al tempo stesso per le bugie che continua a raccontarsi.

Deglutisce.

Respira un paio di volte.

Profondamente.

Mentre il formicolio si propaga sulle guance, su tra i capelli e giù per il collo, lungo le braccia, sulla punta delle dita, concentrandosi in una bolla irrequieta al centro del cuore.

Se ne rende conto solo ora, seduto qui difronte la porta chiusa della camera da letto di Daniel, mentre l'inquietudine moltiplica di pari passo con l'accelerare convulso dei battiti che lo assordano.

E del sangue che gli pulsa rombando nelle orecchie.

Da quanto tempo sono seduti qui nella penombra, lui e i suoi pensieri frenetici?

Non lo sa.

Quello che invece sa è che si è girato e rigirato nel letto della propria camera per minuti eterni, incapace di capire perché d'un tratto una smania urticante si è impossessata di ogni cellula, fibra, lembo di pelle del proprio corpo.

Perché all'improvviso le lenzuola sono diventate lingue roventi che gli si sono appiccicate addosso come fameliche braccia pronte a ghermirlo e a soffocarlo.

E ha dovuto alzarsi.

Buttarsi giù da quella trappola che rischiava di ingoiarlo da un momento all'altro.

Allontanarsi.

E cominciare a fare avanti e indietro.

Senza senso.

Avanti e indietro.

Avanti e indietro.

La testa piena di pensieri che hanno iniziato a litigare tra loro, urtandosi, strattonandosi, confondendosi e confondendolo.

E la pelle che ha preso a formicolare, a tendersi come una corda, all'inseguimento di strane, improvvise sensazioni.

Sensazioni che non gli sono sconosciute.

Oh no, per niente!

 

Fino a che è dovuto uscire.

 

 

Una mano invisibile però gli artiglia i capelli con le sue dita adunche e lo tira indietro, inchiodandolo alla parete difronte.

Facendolo sudare freddo.

Costringendolo a serrare i denti e a imprecare contro se stesso.

Non sa proprio dove trovare il coraggio, Hema.

La spinta che gli fa superare l'ostacolo della propria, inutile, precaria razionalità e bussare a quella maledetta porta.

Varcare quella soglia proibita, che sogna e desidera e teme.

Non sa come raccogliere le forze per valicare il confine tra il corridoio e la camera al di là della parete.

L'invalicabile muro eretto tra la sua vita fatta di fragili e inutili sicurezze e il denso e oscuro desiderio che ha dell'uomo a pochi metri da lui.

 

Brucia.

 

Brucia da dentro, Hema.

Lingue di fuoco taglienti e sferzanti che gli avvolgono lo stomaco, mandandogli brividi e sfarfallii lungo la spina dorsale.

Che si proiettano giù per le gambe e si concentrano subdole e incontrollate proprio al centro dell'inguine.

Irrigidendogli i muscoli, che si tendono e si dilatano in una morsa dolorosa, lancinante.

Divorano spazio e rubano aria ai suoi polmoni già contratti.

Inaridendogli la gola.

Scivola lungo la parete contro la quale ha dovuto trovare sostegno perché le gambe gli tremano e non lo reggono.

Il gelo del muro gli ghiaccia la schiena nuda e lo fa trasalire di dolore per il contrasto con la propria pelle bollente.

Posa a terra il flaconcino di cristallo e si rifiuta di guardarlo.

Non vuole pensare perché lo ha preso dal fondo dello zaino e se lo è portato con sé.

Piega le ginocchia e vi puntella i gomiti.

Si porta le mani alla bocca, le fa scivolare su per le guance.

Infila le dita tra i capelli in quel gesto disperato che fa di solito quando è in qualche situazione di merda e non sa come uscirne.

Prova a inalare ossigeno dal naso.

Un profondo respiro.

Più profondo che può.

Più a fondo che riesce fino a che sente una fitta tra le costole.

E schiude le labbra per gettarlo fuori lentamente, assecondando inconsapevole le fitte di adrenalina della propria frustrazione.

Ma l'ossigeno peggiora ulteriormente la situazione.

La cute morbida si tende sotto l'alito bollente che ne secca l'umidità e tira, provocando un urticante fastidio.

Il formicolio aumenta.

Così le contrae, le lambisce con la punta della lingua, ne segue piano il contorno e prova a bagnarle di saliva per liberarsi di quella sensazione.

Inutilmente.

 

Rassegnati, Hema.

È inutile perder tempo a cercare soluzioni ed escamotage.

Non serve a niente.

Lo senti, no, il cuore che continua a batterti come un tamburo impazzito nella cassa toracica?

Il sangue che ti scorre nelle vene, fluendo come lava incandescente.

Il tuo inguine che pulsa sempre più imperioso anche se serri le gambe.

Quando mai è servito chiudere le cosce per tenere a bada gli ormoni che impazziscono?

E la tua bocca è sempre più riarsa.

Dai tuoi sensi che ti si rivoltano contro.

Ti azzannano con le loro fauci affilate e insinuanti.

Da questo desiderio ormai furioso di cui stai perdendo il controllo.

Perché lo stai perdendo il controllo, ragazzino.

Ammettilo.

Ammettilo e piantala di combatterlo, che è una lotta inutile e impari.

Dovresti averlo capito ormai.

Nemmeno tu sei così ottuso.

Altrimenti non saresti davanti a questa dannata porta a tormentarti.

 

Si odia, Hema.

Per la propria debolezza.

E non sa se perché sente il bisogno di cedervi o perché la sua determinazione è fragile come carta velina bagnata dalla pioggia.

Non ha spina dorsale, lui.

Lo sa.

Il più delle volte preferisce scappare che affrontare i propri demoni.

 

Sarebbe così facile anche adesso.

Alzarsi e ritornare al sicuro della propria stanza.

Rigettarsi su quel letto vuoto e soffocare ogni voglia.

Anche se non saprebbe come visto quanto sta diventando prepotente.

Quale potrebbe essere il rimedio migliore?

La solita, classica doccia fredda.

Perché no?

Gli rimarrebbe la frustrante sensazione di insoddisfazione, però!

E l'alternativa sarebbe altrettanto snervante.

Se ne rende conto mentre soffoca un ringhio furioso e capisce che le uniche seghe capace di farsi al momento sono quelle mentali.

Che lo stanno trafiggendo come milioni di spilli tutti infilati sotto pelle dal suo atavico, insopportabile, maledetto autolesionismo.

 

E gira la testa, cercando con lo sguardo il flaconcino che ha lasciato al suo fianco.

Lo recupera e lo nasconde nella mano, serrandovi forte le dita intorno.

Proprio non c'è la fa a guardarlo.

Perché farlo sarebbe come fissare in faccia quel suo desiderio ingestibile e inconfessabile.

Rendere concreta e tangibile quella parte sconosciuta di sé con cui non è ancora sceso a patti.

Che tanto lo attrae e lo terrorizza.

Che non aveva mai pensato di possedere.

Che si è rivelata sempre più potente e prevaricante.

Lei si, saprebbe bene cosa farci con il prezioso contenuto di quella boccetta di vetro.

 

Sospira, tremando da capo a piedi avviluppato da un unico brivido violento.

 

E la porta d'un tratto si apre.

Nel cono di debole luce che si proietta su di lui e sulla parete alle sue spalle, i contorni del corpo di Daniel appaiono quasi come la visione di una creatura appena delineata.

Non può impedirsi di sobbalzare per lo spavento, Hema.

E si dimentica completamente di respirare.

Ora che il suo sogno proibito si è materializzato e non è più imbrigliato nei lacci della propria immaginazione isterica.

- Hema! - Daniel si piega sulle ginocchia, sorpreso e preoccupato di trovarlo sul pavimento, lì in corridoio. - Che c'è, stai male? -

Hema solleva gli occhi su di lui, le labbra schiuse e immote, e si accorge di quanto sia vicino.

Lo percepisce dal calore che lo invade.

Dal profumo lieve e singolare che gli viene dalla sua pelle e che gli è già così familiare.

E non dovrebbe esserlo.

L'uomo gli sfiora una guancia con la mano per capire che succede, l'espressione tesa e apprensiva.

Sussulta a quel contatto gentile, che lo manda inevitabilmente in paranoia.

Non gli è mai sembrato così bello e irreale, abbracciato dalla penombra.

 - Perché sei qui, hai bisogno di qualcosa? -

 Hema si concede di far scorrere lo sguardo su di lui anche se ha una fottuta paura di non reggere quello che vedrà.

Daniel indossa solo i pantaloni leggeri del pigiama.

La stoffa gli si tende sui muscoli delle lunghe gambe piegate sotto il suo peso.

Disegna sentieri perfetti e infiniti.

Il bagliore tenue che viene da un lume acceso nella camera gli si proietta alle spalle, soffondendolo di un alone appena dorato, e scivola sinuoso sul suo collo, lungo le braccia e il dorso, morendo tra gli addominali piatti e giù lungo il ventre.

Vorrebbe posare le dita su quella pelle che sa essere chiara e liscia.

Farle scorrere lente, seguendo le pieghe dei muscoli.

Vorrebbe...

... Inghiotte a vuoto lo spasmo atroce che lo stomaco gli invia al cervello al solo pensiero.

La gola lo graffia impedendogli di riprovarci.

- Hema! - Lo chiama ancora Daniel.

Che non capisce la sua espressione sconvolta e i suoi occhi scuri lucidi di lacrime.

- Toccami! - 

È un sussurro.

Il fantasma lieve di una supplica disperata.

Che sfugge alle sue labbra e vola verso di lui.

Daniel trema a sua volta, sorpreso e incredulo.

Ha capito bene?

Se lo domanda.

Inevitabilmente.

 

DEVE chiederselo.

 

 

Perché non può permettersi il lusso di fraintendere.

Di capire una cosa per un'altra e commettere qualche errore irreparabile.

Che sarebbe troppo facile sbagliare.

Troppo semplice nello stato d'animo in cui è da quando Hema ha messo piede in casa sua.

Dar retta alla voce che gli grida dentro, sempre quella, sempre la stessa, e che ha cercato di zittire con tutte le proprie forze fino a quel momento.

La voce che gli soffia sotto pelle, irradiandogli ogni cellula di brividi caldi e gelidi.

Che gli sussurra di rincorrere quegli occhi scuri così sfuggenti e spaventati.

Che gli mormora di toccare ancora il suo volto.

Quella sua bocca che sa di morbido e di dolce.

Che lo ha spinto fuori dal proprio letto e dalla propria camera a quell’ora della notte.

 

Davvero sarebbe facile.

Equivocare.

Ascoltare solo se stesso e i segnali d'allarme del proprio corpo, che ha tenuto a bada fino a quel momento non sa nemmeno lui con quale forza.

Smettere di controllare la mano che si è appena sollevata a sfiorarlo e che ha urlato di disappunto per esserne stata allontanata.

E lasciarla andare.

Da sola.

Attratta da lui come la falena dalla luce mortale che può rivelarsi una strada senza uscita o la via per il proprio paradiso personale.

 

- Toccami, ti prego, sto bruciando!! -

 

E tuttavia glielo ripete, Hema.

La voce tormentata, appena udibile pur nel silenzio intorno, incrinata dalla violenta emozione che lo sta stritolando.

Sgretolando la sua prudenza.

Il buonsenso che Daniel si è imposto come un dogma dal momento in cui lo ha baciato all'aeroporto.

Infrangendo una volta e per tutte ogni scrupolo.

Ogni precauzione.

Mandando al diavolo razionalità e buoni propositi.

 

Trema, Daniel.

Inevitabilmente consapevole.

Sicuro del significato della sua supplica.

Delle implicazioni.

Delle conseguenze che essa avrà sulle loro vite.

Ognuna delle parole che hanno composto la sua preghiera gli si insinua sotto la cute, scivolando e sollevando il tessuto come fogli sottili di ghiaccio.

Aprendogli una voragine di dolore violento in ogni parte del corpo.

Esplodendogli nel petto.

Mandandogli il cuore a sbattere prepotentemente contro le ossa.

Scivolando giù nello stomaco, che si contorce di aspettativa e di ansia, e propagandosi rapido giù per le gambe.

Un respiro spezzato e tremante gli sfugge dalle labbra schiuse per la sorpresa, e le ginocchia gli cedono, costringendolo a poggiarle entrambe sul pavimento, una tra le gambe di Hema e l'altra all'esterno.

Così non c'è più alcuna distanza di sicurezza a dividerlo dal suo desiderio.

Dagli occhi scuri e umidi di lacrime del ragazzo, che non ha interrotto il contatto coi i suoi nemmeno per un istante.

Dalla sua bocca socchiusa che ancora non ricorda che prima o poi dovrà riprendere a respirare.

Piega la testa verso quella di lui, che è un tutt'uno con la parete.

La inclina da un lato, appena un poco, a un soffio dal proprio traguardo.

Che è lì.

Riesce finalmente a percepirne il calore.

Non deve più rincorrerne solo il ricordo.

Gli basta fare un altro piccolo, impercettibile movimento, cancellare l'insignificante spazio che li divide.

Perché Hema non lo aiuterà.

Lo sa.

Lui se ne sta fermo, paralizzato dalla paura, e non gli va incontro.

Non gli facilita le cose.

Gli lascia campo libero.

Il potere di decidere.

Perché dopo averlo supplicato, non è più in grado di muovere un solo muscolo.

La consapevolezza di aver varcato la soglia proibita e agognata lo sta uccidendo.

Percepisce solo il suo respiro che si infrange sulle sue labbra e lo riscalda.

Il suo corpo talmente vicino che si sente soffocare dalla violenza del bisogno che ha di esso.

Eppure lo sa che non lo sta toccando.

 

Non ancora.

 

Daniel posa finalmente la propria bocca sulla sua in un tocco lieve.

E si ritrae come se si fosse scottato.

Ci riprova.

Lascia il fantasma di un bacio sulla parte superiore.

La assaggia e gli piace: è soffice e dolce come nel suo ricordo.

Come ha potuto farne a meno proprio non sa spiegarselo.

Gli chiude il viso con entrambe le mani e riprende a baciare le sue labbra, addossandolo alla parete con il proprio corpo.

Lento, ipnotico, con limpida innocenza.

Senza pretendere niente.

Solo labbra contro labbra, attimo dopo attimo, centimetro per centimetro.

Assaggiando il tessuto morbido e umido, ingolosito dal suo sapore.

Rompendo finalmente l'apnea inconsapevole di Hema.

Facendolo vibrare. 

Riscuotendolo dal torpore paralizzante che lo ha tenuto inchiodato a terra.

Il suo respiro si scontra con il proprio.

Lo beve avido.

Lo rincorre, lasciando scivolare piano la lingua alla sua ricerca.

È una scarica assoluta di adrenalina quando incontra la compagna al suo passaggio.

Che le va incontro ansiosa, offrendosi senza remora.

La lambisce, lento, la imprigiona e la sugge.

La lascia un istante e la cattura di nuovo più affamato che mai.

E non c'è più traccia d'innocenza.

Nessuna prudenza.

È passione pura, senza lacci a frenarne la voglia di divorarla.

È desiderio di fondersi sempre più.

Di incastrare ogni parte di sé con ogni parte di lui.

Perché non può esserci separazione, vuoto, spazio.

A dividerli.

Hema lascia che le braccia si muovano da sole verso di lui.

Incontrano la pelle dei fianchi, artigliano il lembo del pigiama.

Le dita si intrappolano nella stoffa e scivolano attraverso di essa, incontrando i solchi che i muscoli disegnano sul ventre.

Si sente stordito, confuso, eccitato all'inverosimile.

È una sofferenza sottile, insinuante e costante.

Che cresce e si propaga in ogni sua terminazione nervosa.

Ma la avverte lo stesso.

 

La paura.

 

Di quel contatto.

 

E scappa.

 

Costringendo il braccio a tirar via la mano verso l'alto, su per il fianco, in un punto più sicuro.

 

Non c'è l'ha il coraggio di Nasir, lui.

Sul set era diverso.

Programmato. 

Era la parte che doveva interpretare: la puttana romana redenta che incontra l'amore.

Conosceva ogni gesto, sospiro o sguardo che avrebbe dovuto recitare.

Nero su bianco di un copione che aveva imparato a memoria.

Adesso c'è soltanto l'ignoto.

E il corpo di Daniel contro il suo.

Non è una bambola virtuale di una scena fittizia.

È reale.

Tangibile.

È carne e muscoli.

E respiri spezzati di desiderio, che gli incendia la pelle.

C'è un vortice di sensazioni sconosciute e aggressive.

Di paure e brividi.

Di calore che lo avviluppa come un'unica lingua di fuoco.

E non sa niente.

Di quello che deve fare.

Che sta per succedere.

Non vuole saperlo e non sa osare.

Non ancora.

Forse non ci riuscirà mai, nemmeno dopo, anche se non sa cos'è quel "dopo" che lo attende.

Anche se sa che quel "dopo" lo vuole con tutto se stesso.

Quel se stesso che non sapeva di possedere fino a un anno prima.

Che a tratti si stacca da lui e si muove per conto proprio.

Che se ne frega di lui e delle sue fottute paure.

Che si dibatte furioso e vorrebbe lasciarlo indietro.

Correre e bruciare tra le braccia dell'uomo che lo sta baciando.

E che urla e si ribella ai suoi tentativi di tirare i lacci con cui lo imbriglia per riportarlo indietro.

 

Attimi infiniti e Daniel lo afferra per i fianchi riportandolo lentamente in piedi con lui.

Appena se ne accorge tanto è perso.

I suoi sensi sono tutti allertati come sensori sensibilissimi che vibrano a ogni nuova sensazione.

Sente le sue braccia scivolargli intorno alla vita, le mani scorrere sulla pelle della schiena e allontanarlo dal freddo della parete a cui era addossato.

Lo attira contro di sé, avvolgendolo, senza staccare la bocca dalla sua.

Quasi non lo fa respirare coi suoi continui assalti.

Ma si guarda dal lamentarsene.

Gli lascia il controllo di qualunque cosa voglia fargli pur di non dover decidere da solo le proprie azioni.

 

Lo segue cieco e fiducioso quando Daniel lo sospinge piano verso l'interno della camera.

Percepisce prepotente la pressione pur delicata delle sue lunghe gambe che lo premono per guidarlo, e rifugge ogni altra percezione.

Si concentra sui suoi muscoli che gli si modellano addosso e su quel bacio interminabile, sfaccettato, multiforme, dolcissimo nella sua irruenza.

Il suo cervello sfugge ogni altra consapevolezza.

E poi gli piace.

Gli piace troppo.

Sta baciando un uomo ed è la cosa più bella, eccitante e sconvolgente che gli sia mai capitata nella sua breve vita.

 

 

 

 

 

 

   
 
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