Capitolo
4
Ha
la bocca riarsa, Hema.
È
cominciato con uno strano
formicolio sulle labbra.
Come
se a un tratto avesse sete.
E
non ha sete.
Di
questo è sicuro.
Non
è di acqua che sente il
bisogno.
Proprio
no.
Ma
non osa rivelare a se stesso il
segreto.
Non
può.
Ci
vuole un coraggio che ancora non
ha.
Che
lo sfugge e lo deride al tempo
stesso per le bugie che continua a raccontarsi.
Deglutisce.
Respira
un paio di volte.
Profondamente.
Mentre
il formicolio si propaga
sulle guance, su tra i capelli e giù per il collo, lungo le braccia,
sulla
punta delle dita, concentrandosi in una bolla irrequieta al centro del
cuore.
Se
ne rende conto solo ora, seduto
qui difronte la porta chiusa della camera da letto di Daniel, mentre
l'inquietudine moltiplica di pari passo con l'accelerare convulso dei
battiti
che lo assordano.
E
del sangue che gli pulsa rombando
nelle orecchie.
Da
quanto tempo sono seduti qui
nella penombra, lui e i suoi pensieri frenetici?
Non
lo sa.
Quello
che invece sa è che si è
girato e rigirato nel letto della propria camera per minuti eterni,
incapace di
capire perché d'un tratto una smania urticante si è impossessata di
ogni
cellula, fibra, lembo di pelle del proprio corpo.
Perché
all'improvviso le lenzuola
sono diventate lingue roventi che gli si sono appiccicate addosso come
fameliche braccia pronte a ghermirlo e a soffocarlo.
E
ha dovuto alzarsi.
Buttarsi
giù da quella trappola che
rischiava di ingoiarlo da un momento all'altro.
Allontanarsi.
E
cominciare a fare avanti e
indietro.
Senza
senso.
Avanti
e indietro.
Avanti
e indietro.
La
testa piena di pensieri che
hanno iniziato a litigare tra loro, urtandosi, strattonandosi,
confondendosi e
confondendolo.
E
la pelle che ha preso a
formicolare, a tendersi come una corda, all'inseguimento di strane,
improvvise
sensazioni.
Sensazioni
che non gli sono
sconosciute.
Oh
no, per niente!
Fino
a che è dovuto uscire.
Una
mano invisibile però gli
artiglia i capelli con le sue dita adunche e lo tira indietro,
inchiodandolo
alla parete difronte.
Facendolo
sudare freddo.
Costringendolo
a serrare i denti e
a imprecare contro se stesso.
Non
sa proprio dove trovare il
coraggio, Hema.
La
spinta che gli fa superare
l'ostacolo della propria, inutile, precaria razionalità e bussare a
quella
maledetta porta.
Varcare
quella soglia proibita, che
sogna e desidera e teme.
Non
sa come raccogliere le forze
per valicare il confine tra il corridoio e la camera al di là
della
parete.
L'invalicabile
muro eretto tra la
sua vita fatta di fragili e inutili sicurezze e il denso e oscuro
desiderio che
ha dell'uomo a pochi metri da lui.
Brucia.
Brucia
da dentro, Hema.
Lingue
di fuoco taglienti e
sferzanti che gli avvolgono lo stomaco, mandandogli brividi e
sfarfallii lungo
la spina dorsale.
Che
si proiettano giù per le gambe
e si concentrano subdole e incontrollate proprio al centro dell'inguine.
Irrigidendogli
i muscoli, che si
tendono e si dilatano in una morsa dolorosa, lancinante.
Divorano
spazio e rubano aria ai
suoi polmoni già contratti.
Inaridendogli
la gola.
Scivola
lungo la parete contro la
quale ha dovuto trovare sostegno perché le gambe gli tremano e non lo
reggono.
Il
gelo del muro gli ghiaccia la
schiena nuda e lo fa trasalire di dolore per il contrasto con la
propria pelle
bollente.
Posa
a terra il flaconcino di cristallo
e si rifiuta di guardarlo.
Non
vuole pensare perché lo ha
preso dal fondo dello zaino e se lo è portato con sé.
Piega
le ginocchia e vi puntella i
gomiti.
Si
porta le mani alla bocca, le fa
scivolare su per le guance.
Infila
le dita tra i capelli in quel
gesto disperato che fa di solito quando è in qualche situazione di
merda e non
sa come uscirne.
Prova
a inalare ossigeno dal naso.
Un
profondo respiro.
Più
profondo che può.
Più
a fondo che riesce fino a che
sente una fitta tra le costole.
E
schiude le labbra per gettarlo
fuori lentamente, assecondando inconsapevole le fitte di adrenalina
della
propria frustrazione.
Ma
l'ossigeno peggiora
ulteriormente la situazione.
La
cute morbida si tende sotto
l'alito bollente che ne secca l'umidità e tira, provocando un urticante
fastidio.
Il
formicolio aumenta.
Così
le contrae, le lambisce con la
punta della lingua, ne segue piano il contorno e prova a bagnarle di
saliva per
liberarsi di quella sensazione.
Inutilmente.
Rassegnati,
Hema.
È
inutile perder tempo a cercare soluzioni ed
escamotage.
Non
serve a niente.
Lo
senti, no, il cuore che continua a batterti come un
tamburo impazzito nella cassa toracica?
Il
sangue che ti scorre nelle vene, fluendo come lava
incandescente.
Il
tuo inguine che pulsa sempre più imperioso anche se
serri le gambe.
Quando
mai è servito chiudere le cosce per tenere a bada
gli ormoni che impazziscono?
E
la tua bocca è sempre più riarsa.
Dai
tuoi sensi che ti si rivoltano contro.
Ti
azzannano con le loro fauci affilate e insinuanti.
Da
questo desiderio ormai furioso di cui stai perdendo
il controllo.
Perché
lo stai perdendo il controllo, ragazzino.
Ammettilo.
Ammettilo
e piantala di combatterlo, che è una lotta
inutile e impari.
Dovresti
averlo capito ormai.
Nemmeno
tu sei così ottuso.
Altrimenti
non saresti davanti a questa dannata porta a
tormentarti.
Si
odia, Hema.
Per
la propria debolezza.
E
non sa se perché sente il bisogno
di cedervi o perché la sua determinazione è fragile come carta velina
bagnata
dalla pioggia.
Non
ha spina dorsale, lui.
Lo
sa.
Il
più delle volte preferisce
scappare che affrontare i propri demoni.
Sarebbe
così facile anche adesso.
Alzarsi
e ritornare al sicuro della
propria stanza.
Rigettarsi
su quel letto vuoto e
soffocare ogni voglia.
Anche
se non saprebbe come visto
quanto sta diventando prepotente.
Quale
potrebbe essere il rimedio
migliore?
La
solita, classica doccia fredda.
Perché
no?
Gli
rimarrebbe la frustrante
sensazione di insoddisfazione, però!
E
l'alternativa sarebbe altrettanto
snervante.
Se
ne rende conto mentre soffoca un
ringhio furioso e capisce che le uniche seghe capace di farsi al
momento sono
quelle mentali.
Che
lo stanno trafiggendo come
milioni di spilli tutti infilati sotto pelle dal suo atavico,
insopportabile,
maledetto autolesionismo.
E
gira la testa, cercando con lo
sguardo il flaconcino che ha lasciato al suo fianco.
Lo
recupera e lo nasconde nella
mano, serrandovi forte le dita intorno.
Proprio
non c'è la fa a guardarlo.
Perché
farlo sarebbe come fissare
in faccia quel suo desiderio ingestibile e inconfessabile.
Rendere
concreta e tangibile quella
parte sconosciuta di sé con cui non è ancora sceso a patti.
Che
tanto lo attrae e lo
terrorizza.
Che
non aveva mai pensato di
possedere.
Che
si è rivelata sempre più
potente e prevaricante.
Lei
si, saprebbe bene cosa farci
con il prezioso contenuto di quella boccetta di vetro.
Sospira,
tremando da capo a piedi
avviluppato da un unico brivido violento.
E
la porta d'un tratto si apre.
Nel
cono di debole luce che si
proietta su di lui e sulla parete alle sue spalle, i contorni del corpo
di
Daniel appaiono quasi come la visione di una creatura appena delineata.
Non
può impedirsi di sobbalzare per
lo spavento, Hema.
E
si dimentica completamente di
respirare.
Ora
che il suo sogno proibito si è
materializzato e non è più imbrigliato nei lacci della propria
immaginazione
isterica.
-
Hema! - Daniel si piega sulle
ginocchia, sorpreso e preoccupato di trovarlo sul pavimento, lì in
corridoio. -
Che c'è, stai male? -
Hema
solleva gli occhi su di lui, le
labbra schiuse e immote, e si accorge di quanto sia vicino.
Lo
percepisce dal calore che lo
invade.
Dal
profumo lieve e singolare che
gli viene dalla sua pelle e che gli è già così familiare.
E
non dovrebbe esserlo.
L'uomo
gli sfiora una guancia con
la mano per capire che succede, l'espressione tesa e apprensiva.
Sussulta
a quel contatto gentile,
che lo manda inevitabilmente in paranoia.
Non
gli è mai sembrato così bello e
irreale, abbracciato dalla penombra.
-
Perché sei qui, hai bisogno
di qualcosa? -
Hema
si concede di far
scorrere lo sguardo su di lui anche se ha una fottuta paura di non
reggere
quello che vedrà.
Daniel
indossa solo i pantaloni
leggeri del pigiama.
La
stoffa gli si tende sui muscoli
delle lunghe gambe piegate sotto il suo peso.
Disegna
sentieri perfetti e
infiniti.
Il
bagliore tenue che viene da un
lume acceso nella camera gli si proietta alle spalle, soffondendolo di
un alone
appena dorato, e scivola sinuoso sul suo collo, lungo le braccia e il
dorso,
morendo tra gli addominali piatti e giù lungo il ventre.
Vorrebbe
posare le dita su quella
pelle che sa essere chiara e liscia.
Farle
scorrere lente, seguendo le
pieghe dei muscoli.
Vorrebbe...
...
Inghiotte a vuoto lo spasmo
atroce che lo stomaco gli invia al cervello al solo pensiero.
La
gola lo graffia impedendogli di
riprovarci.
-
Hema! - Lo chiama ancora Daniel.
Che
non capisce la sua espressione
sconvolta e i suoi occhi scuri lucidi di lacrime.
-
Toccami! -
È
un sussurro.
Il
fantasma lieve di una supplica
disperata.
Che
sfugge alle sue labbra e vola
verso di lui.
Daniel
trema a sua volta, sorpreso
e incredulo.
Ha
capito bene?
Se
lo domanda.
Inevitabilmente.
DEVE
chiederselo.
Perché
non può permettersi il lusso
di fraintendere.
Di
capire una cosa per un'altra e
commettere qualche errore irreparabile.
Che
sarebbe troppo facile
sbagliare.
Troppo
semplice nello stato d'animo
in cui è da quando Hema ha messo piede in casa sua.
Dar
retta alla voce che gli grida
dentro, sempre quella, sempre la stessa, e che ha cercato di zittire
con tutte
le proprie forze fino a quel momento.
La
voce che gli soffia sotto pelle,
irradiandogli ogni cellula di brividi caldi e gelidi.
Che
gli sussurra di rincorrere
quegli occhi scuri così sfuggenti e spaventati.
Che
gli mormora di toccare ancora
il suo volto.
Quella
sua bocca che sa di morbido
e di dolce.
Che
lo ha spinto fuori dal proprio
letto e dalla propria camera a quell’ora della notte.
Davvero
sarebbe facile.
Equivocare.
Ascoltare
solo se stesso e i
segnali d'allarme del proprio corpo, che ha tenuto a bada fino a quel
momento
non sa nemmeno lui con quale forza.
Smettere
di controllare la mano che
si è appena sollevata a sfiorarlo e che ha urlato di disappunto per
esserne
stata allontanata.
E
lasciarla andare.
Da
sola.
Attratta
da lui come la falena
dalla luce mortale che può rivelarsi una strada senza uscita o la via
per il
proprio paradiso personale.
-
Toccami, ti prego, sto
bruciando!! -
E
tuttavia glielo ripete, Hema.
La
voce tormentata, appena udibile
pur nel silenzio intorno, incrinata dalla violenta emozione che lo sta
stritolando.
Sgretolando
la sua prudenza.
Il
buonsenso che Daniel si è
imposto come un dogma dal momento in cui lo ha baciato all'aeroporto.
Infrangendo
una volta e per tutte
ogni scrupolo.
Ogni
precauzione.
Mandando
al diavolo razionalità e
buoni propositi.
Trema,
Daniel.
Inevitabilmente
consapevole.
Sicuro
del significato della sua
supplica.
Delle
implicazioni.
Delle
conseguenze che essa avrà
sulle loro vite.
Ognuna
delle parole che hanno
composto la sua preghiera gli si insinua sotto la cute, scivolando e
sollevando
il tessuto come fogli sottili di ghiaccio.
Aprendogli
una voragine di dolore
violento in ogni parte del corpo.
Esplodendogli
nel petto.
Mandandogli
il cuore a sbattere
prepotentemente contro le ossa.
Scivolando
giù nello stomaco, che
si contorce di aspettativa e di ansia, e propagandosi rapido giù per le
gambe.
Un
respiro spezzato e tremante gli
sfugge dalle labbra schiuse per la sorpresa, e le ginocchia gli cedono,
costringendolo a poggiarle entrambe sul pavimento, una tra le gambe di
Hema e
l'altra all'esterno.
Così
non c'è più alcuna distanza di
sicurezza a dividerlo dal suo desiderio.
Dagli
occhi scuri e umidi di
lacrime del ragazzo, che non ha interrotto il contatto coi i suoi
nemmeno per
un istante.
Dalla
sua bocca socchiusa che
ancora non ricorda che prima o poi dovrà riprendere a respirare.
Piega
la testa verso quella di lui,
che è un tutt'uno con la parete.
La
inclina da un lato, appena un
poco, a un soffio dal proprio traguardo.
Che
è lì.
Riesce
finalmente a percepirne il
calore.
Non
deve più rincorrerne solo il
ricordo.
Gli
basta fare un altro piccolo,
impercettibile movimento, cancellare l'insignificante spazio che li
divide.
Perché
Hema non lo aiuterà.
Lo
sa.
Lui
se ne sta fermo, paralizzato
dalla paura, e non gli va incontro.
Non
gli facilita le cose.
Gli
lascia campo libero.
Il
potere di decidere.
Perché
dopo averlo supplicato, non
è più in grado di muovere un solo muscolo.
La
consapevolezza di aver varcato
la soglia proibita e agognata lo sta uccidendo.
Percepisce
solo il suo respiro che
si infrange sulle sue labbra e lo riscalda.
Il
suo corpo talmente vicino che si
sente soffocare dalla violenza del bisogno che ha di esso.
Eppure
lo sa che non lo sta
toccando.
Non
ancora.
Daniel
posa finalmente la propria
bocca sulla sua in un tocco lieve.
E
si ritrae come se si fosse
scottato.
Ci
riprova.
Lascia
il fantasma di un bacio
sulla parte superiore.
La
assaggia e gli piace: è soffice
e dolce come nel suo ricordo.
Come
ha potuto farne a meno proprio
non sa spiegarselo.
Gli
chiude il viso con entrambe le
mani e riprende a baciare le sue labbra, addossandolo alla parete con
il
proprio corpo.
Lento,
ipnotico, con limpida
innocenza.
Senza
pretendere niente.
Solo
labbra contro labbra, attimo
dopo attimo, centimetro per centimetro.
Assaggiando
il tessuto morbido e
umido, ingolosito dal suo sapore.
Rompendo
finalmente l'apnea
inconsapevole di Hema.
Facendolo
vibrare.
Riscuotendolo
dal torpore
paralizzante che lo ha tenuto inchiodato a terra.
Il
suo respiro si scontra con il
proprio.
Lo
beve avido.
Lo
rincorre, lasciando scivolare
piano la lingua alla sua ricerca.
È
una scarica assoluta di
adrenalina quando incontra la compagna al suo passaggio.
Che
le va incontro ansiosa,
offrendosi senza remora.
La
lambisce, lento, la imprigiona e
la sugge.
La
lascia un istante e la cattura
di nuovo più affamato che mai.
E
non c'è più traccia d'innocenza.
Nessuna
prudenza.
È
passione pura, senza lacci a
frenarne la voglia di divorarla.
È
desiderio di fondersi sempre più.
Di
incastrare ogni parte di sé con
ogni parte di lui.
Perché
non può esserci separazione,
vuoto, spazio.
A
dividerli.
Hema
lascia che le braccia si
muovano da sole verso di lui.
Incontrano
la pelle dei fianchi,
artigliano il lembo del pigiama.
Le
dita si intrappolano nella
stoffa e scivolano attraverso di essa, incontrando i solchi che i
muscoli
disegnano sul ventre.
Si
sente stordito, confuso,
eccitato all'inverosimile.
È
una sofferenza sottile,
insinuante e costante.
Che
cresce e si propaga in ogni sua
terminazione nervosa.
Ma
la avverte lo stesso.
La
paura.
Di
quel contatto.
E
scappa.
Costringendo
il braccio a tirar via
la mano verso l'alto, su per il fianco, in un punto più sicuro.
Non
c'è l'ha il coraggio di Nasir,
lui.
Sul
set era diverso.
Programmato.
Era
la parte che doveva
interpretare: la puttana romana redenta che incontra l'amore.
Conosceva
ogni gesto, sospiro o
sguardo che avrebbe dovuto recitare.
Nero
su bianco di un copione che
aveva imparato a memoria.
Adesso
c'è soltanto l'ignoto.
E
il corpo di Daniel contro il suo.
Non
è una bambola virtuale di una
scena fittizia.
È
reale.
Tangibile.
È
carne e muscoli.
E
respiri spezzati di
desiderio, che gli incendia la pelle.
C'è
un vortice di sensazioni
sconosciute e aggressive.
Di
paure e brividi.
Di
calore che lo avviluppa come
un'unica lingua di fuoco.
E
non sa niente.
Di
quello che deve fare.
Che
sta per succedere.
Non
vuole saperlo e non sa osare.
Non
ancora.
Forse
non ci riuscirà mai, nemmeno
dopo, anche se non sa cos'è quel "dopo" che lo attende.
Anche
se sa che quel
"dopo" lo vuole con tutto se stesso.
Quel
se stesso che non sapeva di
possedere fino a un anno prima.
Che
a tratti si stacca da lui e si
muove per conto proprio.
Che
se ne frega di lui e delle sue
fottute paure.
Che
si dibatte furioso e vorrebbe
lasciarlo indietro.
Correre
e bruciare tra le braccia
dell'uomo che lo sta baciando.
E
che urla e si ribella ai suoi
tentativi di tirare i lacci con cui lo imbriglia per riportarlo
indietro.
Attimi
infiniti e Daniel lo afferra
per i fianchi riportandolo lentamente in piedi con lui.
Appena
se ne accorge tanto è perso.
I
suoi sensi sono tutti allertati
come sensori sensibilissimi che vibrano a ogni nuova sensazione.
Sente
le sue braccia scivolargli
intorno alla vita, le mani scorrere sulla pelle della schiena e
allontanarlo
dal freddo della parete a cui era addossato.
Lo
attira contro di sé,
avvolgendolo, senza staccare la bocca dalla sua.
Quasi
non lo fa respirare coi suoi
continui assalti.
Ma
si guarda dal lamentarsene.
Gli
lascia il controllo di
qualunque cosa voglia fargli pur di non dover decidere da solo le
proprie
azioni.
Lo
segue cieco e fiducioso quando
Daniel lo sospinge piano verso l'interno della camera.
Percepisce
prepotente la pressione
pur delicata delle sue lunghe gambe che lo premono per guidarlo, e
rifugge ogni
altra percezione.
Si
concentra sui suoi muscoli che
gli si modellano addosso e su quel bacio interminabile, sfaccettato,
multiforme, dolcissimo nella sua irruenza.
Il
suo cervello sfugge ogni altra
consapevolezza.
E
poi gli piace.
Gli
piace troppo.
Sta
baciando un uomo ed è la cosa
più bella, eccitante e sconvolgente che gli sia mai capitata nella sua
breve
vita.