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Autore: tatuaggidiricordi    17/09/2014    1 recensioni
il prezzo da pagare era un interminabile annebbiamento.. tra il dolore e il nulla io avevo scelto il nulla.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Mi chiamo Juliet Rose Harmon. Sono sempre stata una ragazza strana, l’altra ragazza che sapeva di non essere uguale a tutte le altre perché era speciale. Speciale non vuol dire sempre essere felici, interessanti, pieni di amici.. e l’ho sempre saputo. Sapevo che andando al liceo le cose non sarebbero cambiate, sapevo che sarei rimasta chiusa in me stessa non permettendo alle persone di avermi anche solo amica grazie alle barriere del mio carattere.
Lo sapevo di essere diversa.
Sapevo di essere diversa quando all’asilo le mie compagne giocavano alle barbie e io invece ero seduta a disegnare.
Lo sapevo quando preferivo restare in casa a leggere, quando mi era passata la voglia di alzarmi dal letto la mattina, quando mi inventavo di avere mal di pancia per poter rimanere a casa.
Sapevo di essere diversa quando alle medie non avevo gli stessi interessi delle mie compagne di classe.
Lo sapevo, l’ho capito poi dopo col tempo che ero diversa. Perché giuro che prima non riuscivo a capire cosa ci fosse di così sbagliato in me, perché non avevo amici, perché ero sola e perché la mattina dovevo forzare un sorriso alla professoressa che altrimenti avrebbe fatto troppe domande, non c’era niente di sbagliato in me questo era quello che mi ero supposta di essere.
Ma ora non voglio annoiarvi con le presentazioni, voglio solo raccontarvi la mia storia: perché come dicevano dei grandi scrittori una vita si può dire viva solo se viene scritta altrimenti è solo un’altra nascita, un’altra morte e nessuno ti ricorderà mai, nessuno saprà delle tue battaglie anche se quotidiane, le piccole vittorie, le sconfitte.. Deve pur restare impresso da qualche parte, diamine!
Ora inizierò a raccontarvi la mia storia, perché voglio far sapere a tutti che comunque sia la luce in fondo al tunnel c’è sempre a volte basta solo andare avanti nel buio, o no?
 Ricordate, c'è sempre una via d'uscita. Quando avete toccato il fondo non fate l'errore di scavare, potete solo risalire.
 
 



il liceo.
Fissavo la tv nel salotto, il mio spazio privato, immersa nei miei pensieri come al solito mentre mamma e Brad erano via.
Mia madre è una persona buonissima che si è sposata con un rimbambito mentale. Dico sul serio quello si è bevuto completamente il cervello oltre alle sue dosi quotidiane di birra da sei.
Un completo idiota, ma lei lo ama e lui ama lei quindi mio malgrado il mio odio nei confronti di Brad era inutile e visto che non potevo buttarlo fuori di casa a calci mi limitavo a pensare tutti i giorni il modo in cui l’avrei fatto fuori.
Egocentrico, stupido, religioso, puzzava e inoltre ogni discorso era buono per mettere in mezzo Dio venerandolo in tutti i modi possibili.
Il giorno dopo sarebbe stato il primo giorno di terza liceo e non ero psicologicamente, moralmente, fisicamente pronta a iniziare un altro anno interminabile anno di torture, prese in giro, sorprusi. Ero stanca, così stanca che mi veniva da piangere. Così stanca della mia vita che sentivo un interminabile, agonizzante e doloroso tormento.
Sentivo il dolore crescere d'intensità, attorcigliarmi le budella, sgretolarmi le ossa in una lunga agonia.
Immagina il dolore. Quel dolore che non si ferma, quel dolore che ti impedisce di dormire, di pensare, di vivere. Quel dolore che sai benissimo che non si fermerà mai. Pensi che saresti in grado di sopportarlo? E come? Con l'alcol? Con le droghe? Ma se l'alcol e le droghe non bastassero? Cosa faresti? Pensaci. Non lo sai, ammettilo! Non lo sai. Non puoi mai sapere, mai, se c'è qualcosa, là fuori, che un giorno sarà troppo grande per te... e non riuscirai più a sopportarlo
Aprii la bocca come in cerca di aria ma non riuscivo a respirare.
''Qualcuno mi faccia uscire da qua!''
Mi alzai lentamente dal divano, barcollai fino al bagno e aprii il mio piccolo cassetto afferrando una spazzola, mi guardai a lungo allo specchio e sospirai.
Ogni giorno era una lotta continua con lo specchio, non sopportavo la persona che rifletteva. 
Perchè ero io? Non avrei mai voluto essere io, non Juliet Harmon.
Andava bene qualsiasi altra persona ma non me stessa.
Continuai a guardarmi allo specchio e scossi la testa velocemente rimuginando su tutta la mia vita e i miei continui errori.
Urlavo dentro, ma nessuno era davvero in grado di sentirmi.
Ero solo un paio d'occhi fra la folla.
Un corpo in movimento.
Solo un'altra ragazza, nulla di così speciale neanche da poter essere minimamente considerato.
Dio solo sa come mi sentivo in quei giorni, quante volte mi svegliavo e non volevo alzarmi perché avevo perso l'interesse per tutto.
Forse a quei tempi avrei dato la colpa a me stessa, ma no la colpa non era mia.. La colpa era del mondo, un mondo che distrugge, un mondo che disprezza il diverso, lo strano.. e se non piangevo era perché non avevo neanche più lacrime.
Il mondo si era portato via tutto quello che avevo, anche i miei piccoli attimi di felicità sembravano essere volati via come un palloncino per poi sgonfiarsi. Pssft! Andati. 
Non mi concedevo quasi mai di pensare a come stavo, e ovviamente ero molto rigida su queste cose.
Ogni tanto cedevo ma comunque ero un essere umano.. Ma tuttavia dopo gli anni passati a subire maltrattamenti, ci avevo fatto il callo tanto da riuscire a evitare il dolore anche per giorni interi. Il prezzo da pagare era un interminabile annebbiamento. Tra il dolore e il nulla, avevo scelto il nulla. 
Mi truccai in modo veloce, presi lo zaino e le chiavi, infilai velocemente le converse nere e uscii di casa.
Iniziai a camminare lentamente, intanto guardavo intorno a me le piccole vie della mia città con aria quasi malinconica e poi curvai le labbra in un piccolo sorriso stringendo le dita intorno alle cinghie dello zaino.
Sentii dei piccoli risolini felici provenire da una via, avevo la testa tra le nuvole mi sentivo come ubriaca così accellerai il passo fino a trovarmi in una piccola via, mi sporsi e vidi qualcosa che non avrei dovuto vedere: il sangue mi si gelò nelle vene, mi sentivo come spiazzata.
In fondo alla via c'era Effy.
Effy, la puttanella omofoba e razzista che si divertiva a sfottermi continuamente dandomi della lesbica di merda.
Ma non era sola, con lei c'era una ragazza che non avevo mai visto, inizialmente pensai che fosse una delle sue fedeli cagnoline insomma sì quelle che le stavano sempre dietro.
Mi accorsi che non era così quando vidi Effy muoversi verso di lei, allungare le braccia intorno al collo della ragazza, Effy si girò dandomi le spalle e premette lentamente le proprie labbra su quelle della ragazza. Volevo correre via ma non riuscivo a muovermi volevo assicurarmi che fosse solo un sogno ma poi la ragazza con cui stava Effy aprì gli occhi e mi guardò.
Pensai: ora mi uccide, me lo sento.
Invece si limitò a guardarmi con la paura negli occhi, senza ricambiare il bacio di Effy che si voltò nella direzione della ragazza che guardava verso di me e mi vide iniziando a camminare a grandi passi verso di me con aria minacciosa.
E' la fine, sono morta. 
Stava camminando a grandi passi verso di me, si trovò davanti alla mia figura e io istintivamente abbassai lo sguardo per poi rialzarlo verso di lei che mi guardava.
Per la prima volta non mi sembravano occhi cattivi, di quando mi guardava prima di provare a picchiarmi, divertita dai suoi gesti e dai miei ridicoli tentativi di difesa che non sembravano mai avere effetto su di lei. Le mie suppliche, le mie grida.. niente, a lei non facevano effetto, semplicemente non provava nessuna pietà per una come me.
-Harmon non fare parola di quello che hai visto, o ti uccido. Lo faccio sai che sono in grado di farlo- e mi guardò sgranando appena gli occhi con aria rabbiosa e dannatamente preoccupata.
Chinai istintivamente il capo da un lato alzando le braccia come per proteggermi mentre mormoravo in modo falso: -Sai che non lo farei mai.-
  
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