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Autore: sof_chan    18/09/2014    3 recensioni
SPOILER PROSSIMI CAPITOLI: "Cominciai a cambiare. Anzi, di sicuro cominciai a tingermi dei colori di Zoro. Il cielo, che sembrava non cambiare mai, mi appariva completamente diverso. Per il semplice fatto che lo stavamo ammirando insieme, era infinitamente più bello. Sai Zoro... anche se non sei più accanto a me, continuo lo stesso ad amare il cielo."
Nami sembra una normalissima studentessa delle superiori, ma la sua esistenza è calpestata e devastata da un passato fatto di violenze e abbandoni. Zoro è, all'apparenza, il classico compagno di classe solitario e evanescente, ma si rivela anche un ragazzo forte e generoso, con una colpa da scontare con se stesso. Nami, che pensava non sarebbe mai cambiata, tanto meno per amore, comincia a "tingersi dei colori di Zoro" e, senza neanche rendersene conto, finirà per innamorarsi completamente di lui. Questo amore impetuoso, che scorre sempre in avanti con la forza e la decisione dell'oceano, riempirà le loro vite, unendoli in un legame profondissimo
Genere: Drammatico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nami, Roronoa Zoro, Un po' tutti, Z | Coppie: Nami/Zoro
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Segui la corrente


Balla, balla signorina nella notte.

Nella carovana che è passata c'eran tante collanine rotte

dalle botte della vita.

Scappa via da questa gente consumata,

dalla gabbia, dalla madre e la puttana.

C'è una porta per tornare ancora indietro.”



Prendo il rapido per Coconout Village che parte da Tokyo. Il tempo è bello e relativamente sereno. Non c'è vento e il mare è quasi completamente calmo. L'estate è ormai un lontano ricordo ma si sta bene con la mia leggera giacca di cotone.

Il paese sul mare, senza più bagnanti, è più vuoto di quanto potessi immaginare.

Osservo con perizia le mille immagini in movimento che colpiscono i miei occhi.

Sono come scatti, statici e fugaci.

Brevi diapositive della stabilità del tempo e dello spazio.

Così eternamente ferme nella loro direzione.

Ed io, dov'è che sto andando?

Cammino nell'ombra del passato, alla ricerca di una porta che mi riporta indietro o mi abbandono al flusso di questa corrente sconosciuta, calda e inaspettata, così maledettamente presente e viva, tangibile?


Il sorriso puro di Rufy, la gentilezza di Sanji, lo sguardo materno di Robin, il divertente Usop,

Zoro...

Quel rozzo buzzurro antipatico capace di leggerti dentro.

Oh! Diamine, perché penso a loro?

Perché questo tepore, così lieve ma totalmente rassicurante, mi fa vibrare il cuore?

Possibile che in me ci sia qualcosa? Oppure è qualcosa che mi manca?

Non lo so... Ma tanto, il risultato è lo stesso.

Nami è Nami, tutto il resto non conta!

Fin'ora ho perso così tante cose, cose importantissime...

Vivo solo ed esclusivamente per me stessa, nulla può entrare nel mio circolo.

La differenza tra la ragazza di allora e quella di adesso è la consapevolezza.

Io e solo io, nient'altro. Non riuscirei a sopportare il dolore e lo strazio di un'ulteriore perdita.

Ecco dove sto andando, eccola la mia strada!

Mi proteggo con la mia solitudine perché quando si è da soli non si corre il pericolo di vedersi strappare le cose più care al mondo.

Ora, nella quiete di questo timido sole, comprendo la nuova me stessa...


Una volta giunta a destinazione e scesa dal treno sono completamente invasa dall'odore del mare, carico di ricordi. Le persone per strada sono tutte abbronzatissime.

Davanti alla stazione prendo un taxi per l'istituto psichiatrico. Una volta arrivata comunico all'ingresso il mio nome e quello di mia madre.

-Aveva avvisato che oggi sarebbe venuta in visita?- Mi chiede con voce dura l'infermiera di mezza età seduta alla scrivania dell'accettazione. La donna, dal fisico minuto, porta gli occhiali dalla montatura di metallo e i suoi capelli tagliati corti cominciano a tingersi di grigio. All'anulare un po' tozzo porta un anello che sembra comprato in coppia con gli occhiali. Sul petto ha una targhetta con scritto il proprio nome: Sachira.

-No, perché l'idea mi è venuta ieri, diciamo... Un po' all'improvviso, e così, detto fatto, sono salita sul primo treno- dico con onestà.

L'infermiera mi guarda con aria piuttosto sconcertata. Poi dice:

-Quando si fa una visita, è necessario informarci in anticipo. Abbiamo una programmazione, e anche i pazienti hanno le loro esigenze.

-Mi dispiace. Non lo sapevo.

-Quando è venuta qui l'ultima volta?

-Due, tre mesi fa, più o meno.

-Più o meno.- ripete l'infermiera Sachira controllando la lista dei visitatori con in mano una penna biro. -Cioè vuol dire che è da così tanto tempo che non vede sua madre?

-Esatto- rispondo visibilmente irritata per questo suo modo invasivo.

-Secondo le informazioni lei è l'unica figlia signorina Cocoyashi.

-È così.

L'infermiera posa la lista sulla scrivania e lancia una rapida occhiata al mio viso, ma non aggiunge altro. I suoi occhi non esprimono biasimo, stanno solo verificando qualcosa.

-Sua madre adesso sta facendo terapia di gruppo. Finirà tra 15 minuti circa. Dopo potrà incontrarla.

-Come sono le sue condizioni?

-Dal punto di vista fisico sta bene, non ha grossi problemi. È nell'altro aspetto che ci sono alti e bassi. A breve potrà accettarsene anche lei. Le modalità di interlocuzione sono lente e fredde, inoltre continua a parlare della presenza di suo padre. Capita in queste forme di depressione, il non accettare un evento traumatico... Soprattutto quando si tratta di una morte improvvisa.


Ringrazio e vado a sedermi nella sala d'attesa vicino all'ingresso, tiro fuori dalla tasca il mio libro e incomincio a leggere, per ammazzare il tempo.

Ogni tanto un soffio di vento porta il profumo del mare, e produce tra i pini un fruscio carico di freschezza.

Alzo lo sguardo e noto che subito fuori dalla finestra ci sono cespugli di fiori rossi che assomigliano ad azalee, al di là un vasto prato tenuto con molta cura, con irrigatori a girandola che vengono azionati mattina e sera e fanno un monotono rumore a scatti.

All'improvviso sono rapita da un odore forte e dolce, nostalgico...

Mi muovo di scatto verso la porta scorrevole che porta all'esterno e li vedo: una decina di bellissimi alberi di mandarino dominano, sovrani, i mille colori di quel magnifico giardino.

Mi avvicino, stregata da quella visione così famigliare e triste, in un certo senso.

Papà...

I ricordi irrompono impavidi e senza controllo nella mia mente.


Mio padre coltivava numerose piante di mandarino, si trattava di una piccola ditta tramandata da generazioni.

Lavoravano tutti incessantemente e con una profonda dedizione.

Amavano incondizionatamente quelle piante.

No, non si trattava di semplice lavoro, era vero e proprio sentimento.

E fu proprio grazie ai mandarini che i miei si incontrarono.

Mia mamma, furba e avara fanciulla, aveva l'abitudine di rubacchiare qualche piccolo spicchio di sole dalla bancarella del mercato della famiglia Cocoyashi.

I suoi movimenti erano così delicati e seducenti da distrarre il mio povero padre che, puntualmente, si arrendeva a quella bellissima fanciulla sgarbata.

Un bel giorno però fu proprio l'uomo a sorprendere la tenace ragazza; una bancarella completamente vuota ed un unico mandarino impacchettato con un delicatissimo nastro rosso, questa è stata la dichiarazione di mio padre.

Gli anni passarono e i raccolti andavano sempre meglio, l'amore che i miei genitori mettevano nella coltivazione era quasi paragonabile all'amore che provavano per me.

Ma nonostante questo ero estremamente felice perché anche io ero totalmente innamorata dei mandarini.

Mio padre era un brav'uomo, solitario e di poche parole, ma con uno sguardo capace di donarti tutta la tranquillità e la forza del mondo. Mia mamma era una ragazzina formato adulto, dedita comunque al suo ruolo di madre e comicamente buffa nei suoi modi di donare affetto.

Ma a me stava bene, avevo tutto ciò che potessi desiderare.

Poi accade...

Una grossa multinazionale, la Trafalgar Law, aveva puntato gli occhi sui nostri terreni. Lo scopo era comprare quel pezzo di terra per costruire una nuova azienda commerciale.

A nulla valsero le resistenze di mio padre, dovettimo cedere tutto.

Mio padre, un uomo così forte e robusto, si ammalò subito dopo.

I soldi non ripagano i sogni, non portano il nome di sacrifici, pianti e risate.

Ci avevano privato di tutto.

Ci hanno estirpato i sentimenti, annientato le speranze.

All'epoca io non riuscivo a capire perché mio padre continuava a non ridere, non ero capace di fermare le continue lacrime di mia madre.

L'unica cosa che potevo fare era prendermi cura dell'unica piccola piantina rimasta, cercando di riassaporare, tramite il suo mite e acerbo profumo, il lontano ricordo dell'amore della mia famiglia.

Ogni tanto ci riuscivo, coglievo lieve lo sguardo di mio padre sommessamente più dolce, diverso...

Ed ero felice, mi bastava sapere che lui c'era, esisteva ancora in qualche piccola e remota parte del suo cuore.

E quello microscopica particella a me sembrava risplendere come la più bella stella, facendo battere anche il mio di cuore.

Mi sentivo forte, imbattibile!

Quella piccola pianta sembrava l'unico contatto che ci era rimasto e capitava, anche se raramente, di annaffiarla o potarla insieme.


Fu un infarto a portarlo via da me.

Il suo cuore non ha retto a tutta quella sofferenza.

Accadde all'improvviso, di notte. Il dolore lancinante al petto lo svegliò, ma non chiese aiuto a nessuno, tanto meno a mia madre che, addormentata, non si accorse di nulla.

Strascico lentamente fino alla mia stanzetta, in preda agli spasmi silenziosi.

Mi svegliò con un bacio e sorridendo sofferente mi disse:

-Prenditi cura del nostro piccolo sogno...

Poi si addormentò per sempre, cullato dalle mie piccole braccia.


Non perdonerò mai chi mi ha portato via la persona più importante al mondo.

Ma c'è un'altra persona col cuore colmo di rancore: mia madre non mi ha mai perdonato il fatto di essere stata l'ultima ed unica persona ad aver visto l'esule e raro sorriso di mio padre.


L'infermiera Sachira, con i suoi occhiali, mi riporta via dal mio passato annunciando che la riabilitazione di gruppo è terminata.

Posso incontrare mia madre.

-La porto da lei- dice la donna.

Rientro nella sala comune e, passando davanti ad un grande specchio, mi rendo conto per la prima volta di avere un aspetto molto trascurato. Occhi spenti e abbracciati da profonde occhiaie, capelli raccolti malamente ed uno sguardo spaventato e spaventoso di rimando.

Mi sento disorientata.

Qual'è il comportamento giusto da tenere? Non lo so.

Mi guardo intorno smarrita. Ma non vedo nulla che mi possa dare dei parametri. Nulla che mi guidi.

Scivolo nelle profonde sabbie mobili della perdita della coscienza...

Mi strofino la faccia con le mani. Ma non è la mia faccia, non sono le mie mani.

Il cuore mi batte all'impazzata. Pompa il sangue nelle arterie a una velocità folle. Il mio corpo è una figurina di gesso in cui qualcuno sta soffiando una vita provvisoria, proprio come uno stregone in procinto di un qualche rito. Ma quel simulacro non ha il fuoco della vita. Imita soltanto movimenti muscolari. Perché sono una figurina di gesso rafforzata, plasmata in fretta e furia per venire usata in qualche sacrificio.


Sono paralizzata dalla paura. Non riesco a capire perché ma sembra che stia per finire definitivamente qualcosa. Come se una parte di me si stesse per chiudere alle mie spalle.


Un certo Eraclito parecchio tempo fa disse: nasciamo una sola volta, due non è concesso. Tu che non sei padrone del tuo domani, rinvii l' occasione di oggi, così la vita se ne va nell'attesa, e ciascuno di noi giunge alla morte senza pace”


Quella voce nella mente mi riporta alla realtà.

-Tsè, miserabile buzzurro, nemmeno ad un ora e mezzo di distanza mi lasci in pace!

-Come ha detto, mi scusi?- Rispose fervente l'infermiera, decisamente stufa di aspettare una mia mossa.

-Ah, eh...Ahahah! Mi scusi, parlavo da sola. Eccomi! Andiamo pure, la seguo.

Iniziai a muovermi, divertita da quell'immagine bizzarra di una testa d'alga dispensatrice inaspettata di ottimi consigli.



Sai Zoro, ho l'impressione di passare la vita ad aspettare il momento opportuno per andarmene, scappare via e magari, chissà, riuscire perfino a raggiungerti.

Ma quella volta, in quel freddo e triste ospedale, persi l'occasione,

fortunatamente.

Sei stato tu a guidarmi, e lo fai ancora oggi.

Mi tendi costantemente la mano ed io vado avanti, un passo dopo l'altro.

Riesci sempre a indirizzarmi, nonostante il tuo pessimo senso dell'orientamento.


Ed io, dimmi Zoro, riuscirò mai a ritrovare te?



...Ed è uscito un sole folle stamattina,

e noi scappiamo via dalla rovina.

Forse basta questa lacrima d'amore

per riempire il gran deserto e farci il mare.


Balla, balla amore mio per questa notte...

Vedra che passerà, vedrai.”

Note dell'autrice: Si riparte!

Ebbene si, sono ritornata. Profondamente in ritardo, lo so, ma l'importante è esserci!

Un doveroso ringraziamento a tutte le nuove lettrici e alle gentilissime ragazze che hanno lasciato delle stupende recensioni in questa calda e noiosa e

lunghissima estate lavorativa!

Un super mega ringraziamento alle vecchie lettrici che continueranno a perder del tempo leggendo questo mio lavoro!

Spero di non aver perso la mano in questo tempo di fugace presenza nel sito.

E ora precisazioni: testo iniziale e finale e del bravissimo Mannarino, che mi ha accompagnato in questi due mesi di caldo afoso. Il titolo della canzone è

"Signorina".

Al prossimo, imminente, aggiornamento!

Baci da Sof_chan

   
 
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