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Autore: ilovebooks3    18/09/2014    1 recensioni
Una raccolta di one shots per immaginare le nuove vite di Jane e Lisbon immediatamente dopo il finale della sesta stagione.
Perché la tempesta è finita, ed entrambi si meritano un po’ di arcobaleno.
Genere: Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Patrick Jane, Teresa Lisbon, Un po' tutti | Coppie: Jane/Lisbon
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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GREEN IS THE COLOUR OF HOPE

 
Ormai Teresa ha perso la nozione del tempo. E’ seduta su questa dannatissima sedia in questa dannatissima sala d’attesa da minuti, ore o giorni, non saprebbe dirlo.
Ma, d’altronde, è sempre stata un tipo paziente.
Un vocione la risveglia bruscamente dalle sue riflessioni. Riflessioni che hanno come oggetto un paio di occhi blu e un sorriso mozzafiato quanto irritante.
E’ un vocione familiare.
Abbot.
«Lisbon. Non dovresti essere a Washington?» L’agente speciale dell’FBI, non che suo supervisore, è piuttosto sorpreso di vederla lì. Ma, sotto sotto, ci sperava.
«Sì. No. Dennis, dovremmo parlare», azzarda Teresa, mordendosi il labbro inferiore, decisamente imbarazzata.
«Non ce n’è bisogno», dichiara Abbot, con tono deciso.
Finalmente quei due idioti hanno capito quello che lui aveva intuito la prima volta che li aveva incontrati, due anni prima, in situazioni piuttosto critiche. Era ora.
«Penso di sì, invece», chiarisce Lisbon, con un sorriso incerto.
«Lo so. Vuoi riavere il tuo lavoro ad Austin», la anticipa lui, ghignando.
«Come fai a saperlo?», domanda la poliziotta, piuttosto confusa. Possibile che Abbot avesse già indovinato quello che lei stessa aveva finto per anni di non capire?
Evidentemente sì. Che vergogna.
«Intuito», risponde lui, alzando gli occhi al cielo.
Quindi c’è un altro mentalista in circolazione? Magnifico. Già uno bastava e avanzava.
«E la risposta è?»
«Certo, agente Lisbon. Annullerò il tuo trasferimento. Potrai ricominciare a lavorare col tuo fidanzato e impedirgli di fare troppi danni».
«Non è…», tenta di dire lei, per non perdere la sua credibilità da agente federale. Credibilità che sta già vacillando pericolosamente, tingendo il suo viso di una tonalità molto vicina al rosso fuoco.
«Smettila, non ci casca più nessuno stavolta», la interrompe l’uomo, stufo di inutili bugie e giustificazioni da bambini dell’asilo.
Teresa abbassa gli occhi. La sua credibilità è definitivamente distrutta. «Ok».
«D’altronde nessuna regola vieta relazioni tra un’agente dell’FBI e un consulente. Forse perché nessuna regola prevede la presenza di un consulente, tanto meno quella di Jane», spiega Abbot. «A proposito, andrò a cercare di tirarlo fuori dai guai», sospira, rassegnato.
«Grazie». Teresa, all’inizio, non sopportava quell’omaccione dai modi burberi che si atteggiava da super poliziotto. Non pensava che sarebbe mai riuscita a perdonargli il fatto di aver smantellato in quattro e quattr’otto il CBI, il “suo” adorato CBI.
Eppure, ormai l’ha capito da un po’, Dennis Abbot è un bravo agente, uno di quelli con cui è un piacere lavorare; in quel marasma di gente corrotta tra cui spiccava addirittura  il direttore Bertram, aveva fatto semplicemente il suo lavoro.
E poi, bisogna riconoscere, è lui che le ha riportato Jane dopo due anni di lontananza, o che ha riportato lei da lui, o forse entrambe le cose. Ha offerto a entrambi una seconda possibilità, come soltanto un amico, o qualcosa di simile, avrebbe fatto.
«Vedi di non farti rovinare la carriera da quel bugiardo piantagrane».
«Ci proverò», promette l’agente speciale Teresa Lisbon.
E’ vero, la sua carriera è sempre stata piuttosto a rischio da quando Jane ha fatto capolino nella sua vita, rendendola, anche se è dura ammetterlo, improvvisamente più piacevole; Lisbon ama incondizionatamente il suo lavoro, ma, in questi anni, ha imparato a non darlo mai per scontato, soprattutto se ci sono di mezzo le querele che si guadagna Jane con i suoi giochetti, e che, per la proprietà transitiva, colpiscono inevitabilmente anche lei.
Perché l’agente Lisbon è sempre disposta a coprire le malefatte del consulente più combina guai degli Stati Uniti d’America; e Abbot ne è fin troppo consapevole. E’ il suo punto debole, o, forse, il suo punto di forza, dipende dai punti di vista.
Lisbon sa che Jane non smetterebbe di essere la sua spina nel fianco neanche cascasse il mondo (in quel caso, probabilmente, sarebbe ancora più fastidioso), e la cosa non le dispiace neanche troppo. Nei due anni di lontananza i suoi metodi strampalati le sono mancati non poco, ma sarebbe più corretto dire che le è mancato tutto di lui.
E comunque sono quasi divertenti i suoi giochetti, a volte, e ammesso che la situazione non gli sfugga di mano. Cosa che accade piuttosto spesso, in effetti.
Ma questo evita di dirlo al suo supervisore.
Mentre sta per bussare alla porta dell’ufficio del capo della TSA, Abbot si gira ancora una volta verso di lei, abbandonando, per un secondo, la sua maschera di severità e sostituendola, sempre per un secondo, con un sorriso di approvazione. «Ah, Teresa? Hai fatto la scelta giusta». 


************


«Vedo che hai smesso di ignorare le cose che ti infastidiscono», constata Abbot.
Si trova nella stanza interrogatori, seduto a una scrivania davanti a Jane, che sta sfoggiando una gamba sollevata e un sorriso ironico.
«Ci ho rimesso una caviglia, però», risponde il mentalista, ammiccando verso il suo arto inferiore dolorante.
«Ci hai rimesso una caviglia, hai fermato un aereo di linea, e hai creato un falso allarme terrorismo in un aeroporto americano. Niente male».
«Direi che ne è valsa la pena», dichiara Patrick con una voce sincera che Abbot ha avuto l’onore di sentire poche volte.
«Forse. Ho parlato col capo della TSA. Gli ho detto che sei un valido collaboratore dell’FBI, omettendo tutti i guai in cui ci metti sempre. Faranno cadere tutte le accuse. Sei libero, dovrai solo pagare una multa». Non era stato semplice. Come aveva previsto, la sicurezza aeroportuale è severa con chi combina casini con i propri aerei.
«E’ una fortuna», ribatte Patrick. E’ il suo modo di ringraziare quel surrogato di amico che, volente o nolente, è sempre pronto ad aiutarlo. Non avrebbe ritrovato Teresa se non fosse stato per quell’omaccione che era andato a stanarlo in capo al mondo per riportarlo negli Stati Uniti a calci nel sedere.
«Oggi direi che è proprio la tua giornata fortunata».
«In effetti sì».
«Cerca di non rovinarle la vita o la carriera. E’ una brava persona, onesta e in gamba; e un buon agente», lo avvisa Abbot. Sì, Lisbon è un buon agente, almeno quando non fa tutto quello che vuole Jane. Ma, a modo loro, funzionano e chiudono i casi. E’ per quello che lavorano all’FBI. E a lui va bene così.
«Lo so», acconsente Jane, abbassando lo sguardo.
«E’ migliore di te».
«Lo so».                                                                                                                    
«Sono felice per voi», si arrende Abbot, cambiando tono e sorridendo suo malgrado.
«Lo so. Ti fingi burbero, ma, sotto sotto sei un tenerone», ammicca il consulente, strabuzzando gli occhi e disegnando in aria un cuore con le dita.
Eccolo l’irritante Jane. «Sta’ zitto, altrimenti ti faccio rimanere qua dentro a vita», minaccia il nero, prima di alzarsi e uscire dalla stanza.
Poco prima di vederlo scomparire dietro la porta, Patrick lo richiama, sfoderando uno dei suoi migliori sorrisi manipolatori. «Ah Abbot, la multa la paghi tu, vero?»
 

************


Dopo qualche ora Jane, Lisbon e Abbot si ritrovano, tutti insieme appassionatamente, a bordo di un aereo che li riporterà ad Austin.
I due uomini continuano a discutere riguardo quella famosa multa che pare nessuno dei due abbia intenzione di pagare.
Chissà perché Jane è convinto di spuntarla anche questa volta.
La stanchezza comincia a farsi sentire e Lisbon cede all’impulso di dormire. Solo un attimo, avrebbe chiuso gli occhi solo per un attimo.
Un attimo che, a quanto pare, dura tutto il volo.
A rimetterci, per così dire, è la spalla di Jane, sulla quale la testa della sua cara Lisbon poggia ben poco delicatamente.
In realtà Patrick, incurante dell’intorpidimento, è felice come una Pasqua: a quanto pare anche nel sonno Teresa lo cerca e ha bisogno di lui. Tra l’altro mentre dorme è terribilmente dolce, qualità che, da sveglia, non ama mostrare molto spesso. Avrebbe sostenuto il peso della sua testolina per tutta la vita, se necessario.
Abbot, seduto sulla stessa fila dall’altra parte del corridoio, ogni tanto si gira per osservare la scena. Finge un’aria rassegnata, ma è soddisfatto. Ha tifato per quella coppia fin dall’inizio, anche se non lo ammetterebbe mai.
La voce della hostess che annuncia l’atterraggio sveglia Lisbon. Quando si accorge del suo comodo cuscino, arrossisce. Il suo superiore li ha certamente visti. Motivo per arrossire ancora di più.
«Buongiorno Lisbon? Dormito bene?» chiede Jane con una voce squillante e la vitalità di un elfo. Dove trova tutto questo brio è un mistero.
«Sì, credo…», borbotta Teresa. Quel brillante sorriso che ha davanti forse appartiene al mondo dei sogni. Forse non si è ancora svegliata.
«In effetti, avevi un cuscino niente male…», ammicca l’irritante biondo, strizzandole l’occhio.
Ecco la dura realtà. Altro che mondo dei sogni. «Idiota», lo apostrofa lei.
«Bel ringraziamento», mormora Patrick fingendosi offeso. «So cosa ti stai domandando. E la risposta è sì: Abbot ha visto la romantica scenetta di te addormentata sulla mia spalla».
Wow. Fantastico, pensa ironicamente Lisbon, alzando gli occhi al cielo.
«Sì, è fantastico davvero», commenta il suo mentalista da strapazzo, analizzando le sue reazioni e prevedendo perfettamente i suoi pensieri.
Teresa odia quando le legge la mente. Non le piace affatto essere “traslucente”, come l’aveva definita una volta. Ma è meglio soprassedere. E’ un territorio pericoloso questo, se si ha a che fare con Jane. «Come va la caviglia?», gli chiede per cambiare discorso.
«Caviglia? Quale caviglia? Sto bene. Mai stato meglio».
«Quando dici “mai stato meglio” non è un buon segno», gli ricorda Teresa, rabbrividendo.
Ad esempio l’aveva detto poco prima di inscenare un piano che avrebbe portato alla morte del capo del CBI, all’esaurimento nervoso di un’ottima agente dell’FBI e alla sospensione della sua sezione.
Lo diceva tutte le volte in cui rischiava le penne, o, come minimo, un dito.
Lo diceva quando capiva da solo che i suoi folli piani non avrebbero funzionato.
Lo diceva quando John il rosso uccideva l’ennesima vittima, sfuggendogli l’ennesima volta.
Lo diceva il giorno dell’anniversario della morte della sua famiglia.
«Ora è vero. Non sono mai stato meglio, Teresa. Sul serio», assicura lui, fissandola intensamente negli occhi.
«Ok. Allora te la rompo io la caviglia se non smetti di guardarmi così».
«Così come?», chiede lui, spalancando gli occhi nell’espressione più innocente che gli riesce.
«Così», taglia corto lei, un po’ imbarazzata. Come se la volesse mangiare. O difendere contro un nemico immaginario. O entrambe le cose. Come se fosse la cosa più preziosa e bella che abbia mai visto.
«Rassegnati, perché è così che ho intenzione di guardarti d’ora in poi. E avrei dovuto farlo prima».
«Effettivamente sì». Teresa sorride. A pensarci bene, non le dispiace poi molto essere guardata in questo modo. Se ne farà una ragione, tutto sommato.
Subito dopo l’arrivo all’aeroporto di Austin, l’allegra combriccola si reca alla sede dell’FBI, per annullare il trasferimento di Lisbon con effetto immediato.
Abbot telefona personalmente all’amico federale che le aveva offerto un lavoro nella sede di Washington dell’FBI, e lei si scusa del suo cambiamento di rotta. “Cause di forza maggiore”, spiega laconicamente.
Tutto risolto. E’ tutto a posto. Tralasciando il fatto che ha fatto una figura molto poco professionale. Ma non le importa.
Ed ecco che arriva Cho, con dei fascicoli in mano e il suo consueto atteggiamento indifferente. Saluta tutti con un cenno del capo, come se nulla fosse e come se fosse scontato rivedere una Lisbon che, a quest’ora, sarebbe dovuta essere in un altro stato; si limita a esporre con professionalità e poche parole un problema burocratico riguardo le due killer che avevano arrestato il giorno prima.
In realtà il coreano, pur non mostrando il minimo segno di stupore, è ancora sotto choc per la recente rivelazione. Abbot gli aveva aperto gli occhi riguardo il rapporto tra Jane e Lisbon, e lui era caduto dalle nuvole. Incredibile. Altro che fratello e sorella.
Ma ovviamente non accenna a nulla di tutto ciò. Non sono affari suoi, del resto.
Lisbon, però, pensa che sia giusto spiegargli la situazione. Cho è stato per anni il suo miglior agente, ora è un suo collega e, soprattutto, un amico; glielo deve. Ma non ha assolutamente idea di come affrontare il discorso. Kimball non è una persona che mette molto a proprio agio gli altri. Nonostante lei lo conosca da quasi quattordici anni.
«Cho, volevo dirti che…ecco, non parto più». Inizia con la cosa più innocua e facile da dire. Decide, per il momento, di tralasciare la motivazione, anche se vorrebbe urlarla, saltare e abbracciare Cho. Ma lui non la prenderebbe bene, probabilmente.
Per fortuna interviene Jane ad aiutarla. Con le sue doti da brillante showman saprà sicuramente cosa dire.
Invece no.
«Non parte più perché, ecco, noi…» anche lui si ferma. Si limita a sorridere. Un sorriso malandrino, colmo di sottintesi. Non è da lui non sapere cosa dire. Eppure non lo sa.
Lisbon, dentro di se’, ride a crepapelle: vedere Patrick Jane in difficoltà e senza parole non ha prezzo.
Ma Cho non si smentisce mai, e, col suo proverbiale aplomb, guarda entrambi negli occhi e dichiara con aria annoiata: «Buon per voi».
Poi si allontana nascondendo un sorriso. Non può permettersi di perdere la nomea di uomo di ghiaccio. Ma, anche se non lo ammetterebbe mai, è davvero felice per quei due. Un po’ di sano sesso, sicuramente, farà loro bene. Entrambi si meritano un po’ di felicità e, se l’hanno trovata uno nell’altro, ben venga.
Abbot segue a ruota Cho, annunciando agli altri che, per quel giorno, sono liberi e salutandoli con un frettoloso e laconico “A domani”. Avranno un bel po’ di cose da dirsi quei due pasticcioni.
Jane e Lisbon escono lentamente dalla sede dell’FBI. Si sorridono, un po’ frastornati di essere tornati, dopo il vortice di avvenimenti delle ultime 48 ore, in un posto così familiare, e più uniti di come sono mai stati.
Passeggiano per qualche minuto in silenzio, fianco a fianco. Stanno bene anche così, anche senza dire nulla. A volte le parole sono sopravvalutate.
Lisbon a un certo punto si ferma. Semplicemente perché non sa dove andare.
«E ora?», chiede al suo mentalista preferito.
«Ora cosa?»
«Cosa facciamo?»
«Quello che abbiamo sempre fatto. E un milione di altre cose».
Lisbon sorride. «Buona idea. Ma nello specifico, ora dove vuoi andare?»
«A casa».
«Quale casa?»
«La tua. Avevi annullato l’affitto, ma, tecnicamente, per questo mese è ancora tua».
«Oh». In effetti lei è piuttosto stanca, e Jane se ne dev’essere accorto, ovviamente. Ma lui? Come si comporteranno tra loro d’ora in poi? Potranno davvero essere una coppia? Una coppia vera? Partner nel lavoro e nella vita, o qualcosa del genere?
«E tu?», gli chiede, abbassando lo sguardo per un attimo, tentando di nascondere la paura che le sta attanagliando lo stomaco.
Questa è la realtà. Non è un aeroporto fuori dal mondo. E’ il loro mondo. Un mondo in cui loro sono amici, e nient’altro. Jane sarà davvero pronto al cambiamento? Non gli sono mai piaciuti i cambiamenti.
«Verrò con te», dichiara lui con voce ferma.
«Non torni nel tuo appartamento? O nel camper? O ovunque tu viva?», gli chiede Teresa, un po’ bruscamente, per tentare di scacciare l’ottimismo che quelle tre parole stanno facendo crescere in lei. Non vuole illudersi, da troppo tempo è abituata a essere ferita.
Eppure, forse, stare insieme sarà più facile del previsto.
Jane le prende timidamente la mano e guarda quei meravigliosi occhi che gli stanno sorridendo. Verdi, come la speranza di quel futuro che lei gli ha regalato.
«No. Casa mia è dove sei tu».





************


Angolo dell'autrice: Ciao a tutti, scusate per il ritardo! Spero che questa one-shot vi piaccia, se vi va fatemi sapere cosa ne pensate. La prossima arriverà tra una decina di giorni. A presto :)











 
  
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