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Autore: Dark Tranquillity    03/10/2008    1 recensioni
"...Il Dio del Tuono è morto, e nulla sembra potersi opporre al potere di Shao Kahn. Chi si ergerà fra la Terra e la distruzione totale, nell'ora più buia?"
POV fic - Sub-Zero / Kitana / Kung Lao / Kintaro / Frost. Accenni di romance, alcuni personaggi OOC.
Genere: Azione, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kitana, Sub-Zero, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Perfection Or Vanity.mp3 - Dimmu Borgir

 

 

Kitana
Outworld
Foresta Vivente
18 Dicembre 2011

La donna era china sui talloni e osservava il putrido stagno formatosi all'ombra delle oscure fronde della Foresta Vivente, uno dei luoghi più suggestivi e grotteschi di Outworld dove le querce che componevano quella sterminata foresta avevano un volto demoniaco inciso alla base del tronco e parevano vive, senzienti, con quelle bocche composte da schegge di legno aguzzo che si muovevano in continuazione, gli occhi crudeli scavati sulle cortecce antiche, disegnati da una mente maligna che si posavano bramosi su tutto ciò che aveva vita. Avevano fame e lei lo sapeva, anche se ormai era abituata al loro sguardo maligno e ai loro borbottii crudeli.
Kitana vide la sua immagine riflessa dalle acque torbide dello stagno, nella penombra che la Foresta Vivente offriva dal sole malato di Outworld, e vi scorse solo l'ombra della Principessa di Edenia: spettinata e sporca, le vesti edeniane color blu strappate in più punti e sgualcite, la faccia segnata dai combattimenti, le armoniose forme del suo corpo segnate da ferite ed ematomi... Sembrava una nativa di Outworld, una selvaggia cresciuta in un mondo violento dove vige la legge del più forte, una valchiria sanguinaria e crudele.
Sorrise compiaciuta: era esattamente quello che desiderava, perché era lì che voleva arrivare quando due anni fa decise di intraprendere la sua personale missione ad Outworld, cominciando a vivere fra i suoi abitanti, confondendosi fra essi, divenendone parte ed assimilandone totalmente la cultura e le consuetudini, compresa la spietatezza necessaria per sopravvivere in una crudele realtà come quella. Si sentiva una di loro ormai, non solo nel corpo ma anche nella mente: pensava, amava e odiava come un abitante di Outworld, gli schemi mentali che provenivano dal suo essere Edeniana erano stati del tutto rimpiazzati.

«Perché solo così potrò stare al cospetto di Shao Kahn.» disse ad alta voce, verso l'immagine di sé stessa riflessa sulle acque dello stagno.

La scelta di abbandonare Edenia in favore di "una follia" come diceva sua madre - la Regina Sindel - aveva destato clamore nel circolo interno della corte di Edenia (sua madre e i suoi Consiglieri) e sebbene più di qualcuno avesse cercato di fermarla da quella follia - tra cui la sua amica d'infazia Jade - lei non aveva voluto sentire ragioni: sarebbe andata ad Outworld, e avrebbe ucciso Shao Kahn.

«Madre... Sei una sciocca.» mormorò con rabbia, osservando la sua immagine sull'acqua che si increspava e si distorceva, stringendo la mano a pugno.

Non aveva mai accettato la passività con cui sua madre affrontava gli eventi nel suo regno, né tantomeno provava la stessa incrollabile fede in Fujin - il Dio del Vento - secondo cui ogni accadimento era l'espressione della sua volontà. Sapeva che Sindel desiderava solo il bene per la sua gente, ma non aveva mai fatto nulla di concreto per eliminare definitivamente le vere minacce che incombevano su Edenia, accontentandosi del fatto che se qualcosa di catastrofico fosse successo, era la Volontà di Fujin.

«Il tuo fatalismo mi inorridisce, madre. Raiden ha dato prova a tutti noi della fallibilità degli Dei.» sussurrò al suo distorto riflesso.

Quand'era più giovane e suo padre il Re era ancora vivo, le cose erano diverse: oltre che a difendere Edenia, suo padre si curava anche di attaccare il cuore di Outworld con i suoi agenti edeniani che spiavano, assassinavano, fomentavano rivolte e ribellioni e contribuivano a formare numerose crepe nella rigida struttura di potere di Shao Kahn. Solo gli Dei sapevano quante pressioni aveva dovuto fare, alla morte del Re, perché la rete di spie fosse mantenuta e gestita personalmente da lei, anche se divennero meri informatori e la loro utilità venne meno, negli anni.

*Non provocare la bestia nella sua stessa tana, figlia mia.*

E allora cosa avrebbero dovuto fare, mettersi in ginocchio e pregare, finché l'Imperatore non fosse giunto ad ucciderli tutti? Ci fu un tempo in cui Kitana le chiese se veramente stava aspettando che si compiesse il loro destino.

*Non attendo che la morte bussi alla nostra porta, Kitana. Attendo, e basta. Ciò che accade durante l'attesa... E' inevitabile.*
«Io non attendo.» artigliò con rabbia la sua immagine sulle torbide acque, cancellando quel simulacro di sé stessa.

Kitana non temeva Shao Kahn, nonostante sapesse che fosse alla stregua di un Dio Antico, creato dal leggendario Shinnok e pressoché immortale, onnipotente... Lei non lo temeva laddove tutti ne erano atterriti.
Arroganza? No, razionalità.
Lei era presente quando Shao Kahn distrusse il Dio del Tuono, e questo significava soltanto una cosa: che anche Shao Kahn poteva essere distrutto a sua volta, lei doveva capire solamente come. La morte di Raiden aveva dimostrato che anche gli Dei avevano dei punti deboli, e non credeva che Shao Kahn differisse di molto. Avrebbe scoperto il suo punto debole e l'avrebbe colpito a morte.
Si alzò, osservando distrattamente un punto indefinito della Foresta, accompagnata dai sinistri borbottii delle crudeli querce che la osservavano con quei demoniaci volti incisi sul legno, famelici, mentre un alito di vento le increspava i lunghi capelli neri come la notte, un tempo così belli e motivo di orgoglio.
Certo, forse per colpire il punto debole dell'Imperatore serviva il potere di un Dio, e in quel caso lei era morta.

"Niente gloria senza rischi." pensò, incamminandosi.

Outworld
Wastelands
19 Dicembre 2011


Il viola era il colore dominante del crepuscolo che avvolgeva la regione di Akarab - meglio conosciuta come le Wastelands - una delle zone più pericolose di Outworld, un'infinita pianura su cui sorgevano sterminati laghi dalle acque nere che spuntavano sulla terra pietrosa come degli orridi parassiti in una desolazione devastata dal sole, carbonizzata al punto che il terreno aveva assunto un colorito più scuro e brunito, che dava quell'idea di nauseante viola tutto attorno.
Kitana era grata che il sole morisse in favore dell'oscurità, perché aveva camminato per tutto il giorno dopo che - all'alba - era spuntata dal limitare della Foresta Vivente per immergersi in quella malata regione, e nonostante lo sgualcito mantello con cappuccio che indossava era stremata per i brucianti raggi solari che l'avevano sferzata per tutto il giorno. Stava seguendo la strada più pericolosa ma più breve per la Capitale Imperiale e si augurava di essere spuntata dalla parte delle Wastelands controllata da Outworld, dato che era riuscita a ricavare solo una mappa approssimativa dalle informazioni delle spie. I rapporti dicevano che l'orribile regione era tormentata da una guerra fra le truppe imperiali e i Tarkata, i selvaggi mutanti dalle zanne aguzze - un popolo antichissimo, noto per la crudeltà, la scarsa intelligenza e la propensione al massacro, più simili a bestie che a uomini, e mai piegati al dominio dell'Imperatore. Quest'ultimo li catturava e li utilizzava come carne da macello nel suo esercito, inserendoli nel sistema militare tramite una pratica di ammaestramento di cui lei non era mai riuscita a scoprire nulla.
Da ulteriori rapporti delle spie edeniane sapeva che l'esercito fungeva da cuscinetto fra i Tarkata nativi della regione e il resto di Outworld, circondandoli grazie ad una colossale barriera disposta in una gigantesca mezzaluna che bloccava i mutanti in un angolo della regione, fra loro e la sinistra Foresta Vivente. Da lì gli imperiali inviavano piccole squadre specializzate nel rapimento di quanti più esemplari Tarkata riuscissero a prelevare, il resto erano sanguinose schermaglie lungo le barricate - dove nessun Tarkata si faceva mai catturare vivo.
Percorse il sentiero finchè il sole non morì del tutto quando ad un tratto di strada avvertì del movimento dietro ad un pinnacolo alto qualche metro, figlio di quello colossale che terminava arcquato sul sentiero, ammonitore. La mano andò a serrarsi sulla rassicurante seta che componeva l'impugnatura di uno dei suoi due fidati Tessen, i ventagli metallici dal bordo affilato che sapeva utilizzare con mortale maestria. Non era nelle condizioni fisiche migliori e la sua gola era riarsa per la sete, tuttavia si fermò ed attese, con il vento notturno che le increspava le falde dello sgualcito mantello. La voce non tardò ad arrivare.

«Identificati, donna. Sei in una zona ad accesso limitato e sei circondata.»

Kitana inspirò a fondo, osservando la zona a sé circostante in cui vide delle sagome nella notte ad alcuni passi da lei, e non gli servì voltarsi perché sapeva che quella voce diceva la verità. Valutò rapidamente la situazione, con la fredda razionalità di chi ha vissuto simili situazioni altre volte: circondata, in cattive condizioni fisiche e in territorio ostile e sconosciuto.

«Mi chiamo Ofelia... Chi... Chi siete?» rispose, interpretando la tipica viandante smarrita.
«Faccio io le domande. Hai dieci secondi per dirmi cosa ci fai in questo settore, poi ti uccideremo. Dieci, nove...»

La voce della sagoma nera - che stava alla destra di Kitana - era tranquilla e decisamente professionale, il che la indusse a pensare che non fossero la brutale soldataglia che componeva gran parte dell'esercito di Kahn, bensì gente addestrata, disciplinata ed estremamente pericolosa. Mise l'altra mano sull'impugnatura del secondo Tessen. Che fosse stata trovata da una di quelle famigerate squadre addette al prelievo dei Tarkata? Un compito del genere doveva richiedere un duro addestramento, o una sana dose di follia...

«...Cinque, quattro...»

Fece vagare nuovamente lo sguardo attorno a sé, e sembrava che le ombre le si avvicinassero lentamente, lo spazio fra loro e lei che si riduceva scandito al ritmo della conta.

«...Tre, due...»

Poteva quasi sentire il respiro regolare e tranquillo degli aggressori, segno della spietata sicurezza tipica di un soldato d'elite.

«...Uno...»
«Sono Kitana, Principessa di Edenia.»

Le sue mani rimasero sulle impugnature dei Tessen, pronte. Il cerchio di aggressori pareva essersi fermato, la Voce era rimasta in silenzio e la situazione era caduta improvvisamente in stasi, come se il tempo si fosse fermato.
"Guadagnare tempo è fondamentale." lo ripeteva sempre alle sue reclute, quei pochi che possedevano le capacità necessarie per diventare una spia di Edenia sotto il suo comando. Lei ricevette un addestramento simile, e grazie a quello notò immediatamente l'anello debole della catena, uno degli aggressori dinnanzi a lei che aveva avuto un attimo di cedimento, il bastone corto che aveva in mano si era leggermente abbassato, a differenza dei suoi compagni. Questo le fu sufficiente.
Saettò in avanti estraendo uno dei Tessen, aggirando l'aggressore ed uncinandogli il collo con l'avambraccio, mentre l'altra mano portava il ventaglio metallico alla gola. Le era costato molto perché la sete e la fatica erano diventate insopportabili, ma rimase stoica, sotto lo sguardo stupito degli aggressori rimasti mentre il suo ostaggio s'irrigidiva sotto la sua presa.

«Fate un solo passo e lo uccido.» disse con calma, senza far trasparire le sue pietose condizioni fisiche.

L'uomo che teneva sotto la minaccia del Tessen era vestito interamente di nero, niente corazza, solo tessuto. Poteva sentire il suo respiro farsi più concitato, forse perché sapeva quanto concreta era la minaccia. I suoi compagni l'accerchiarono nuovamente, alzando le punte dei corti bastoni che portavano: poteva vederli piuttosto chiaramente ora, con le loro uniformi totalmente nere e le bende sul volto, parevano tutti uguali salvo un paio di elementi che erano addetti al trasporto di utensili tipici per la caccia quali corde, reti metalliche nonché altri strumenti come piccole vanghe e seghetti acuminati, ideali per fabbricare trappole. Il tutto era avvolto da dei particolari rivestimenti neri di gommapiuma, ideali come isolante acustico.

"...Con la differenza che vanno a caccia di Tarkata, non di selvaggina..." pensò, ormai sicura di chi fossero.

«Trattiamo.» chiese la Voce, l'uomo che aveva esattamente di fronte nel cerchio di aggressori, evidentemente il capo della squadra «Sappiamo chi sei, ma ignoriamo il motivo per cui sei qui. Se lo uccidi, sei comunque morta. Che intenzioni hai?»
«Shao Kahn mi attende.» mentì, giocandosi tutto.

L'uomo che teneva ostaggio del Tessen s'irrigidì ulteriormente quando pronunciò il nome dell'Imperatore. La Voce si fece silenziosa, e Kitana sperò di aver giocato la carta giusta perché era al tavolo con dei giocatori tutt'altro che sprovveduti.

«Seguici, ti scorteremo fino al Quartier Generale. Ti do la mia parola che non cercheremo di attaccarti.» rispose la Voce «Sappi che se ti avessimo voluta morta, avremmo sacrificato volentieri la vita di quell'uomo.»

Kitana doveva rischiare: non era nella condizione per poterli combattere, né di fuggire.

«Dieci passi davanti a me, farete strada. L'ostaggio lo tengo io. Lasciate una fiaschetta d'acqua qui per terra.»
La Voce annuì «D'accordo. Uomini, in marcia.»

Kitana venne oltrepassata dagli aggressori, che si disposero al comando della Voce senza aprire bocca, silenziosi ed efficienti. Uno di questi si fermò a due passi da lei, prendendo la fiaschetta avvolta nella gommapiuma che pendeva al suo fianco e portandola alla bocca, bevendo un sorso. Poi la lasciò a terra, accodandosi ai suoi compagni che si stavano allontanando.

Kitana avvicinò le labbra all'orecchio dell'uomo che minacciava con il Tessen, sussurrando: «Sappi che tutte le voci sul mio conto sono vere. Nel caso ne avessi sentite anche solo la metà, dovresti comunque sapere quanto sono pericolosa. Ti permetto di camminare davanti a me, non fare scherzi, non voltarti mai.» ordinò, lasciando la presa.

L'uomo mosse un paio di passi in avanti e attese in silenzio, mentre lei si chinava a raccogliere la fiaschetta d'acqua, stappandola e bevendo voracemente fino a sentire le forze progressivamente tornare.
Kitana diede una lieve spinta alla spalla dell'uomo, il quale cominciò ad avanzare ad alcuni metri dietro i suoi compagni che si stagliavano come sagome nere - più nere dell'arida notte delle Wastelands - sul sentiero violaceo. Notò come fossero assolutamente silenziosi, dei gatti dal passo felpato, non scambiavano parola fra loro ed erano disposti in un ordinato ventaglio lungo il sentiero, una disposizione tattica adottata per evitare agguati. Si muovevano quasi in sincronia, tenendo quei bizzarri bastoni corti lungo il fianco, pronti a un'estrazione rapida.

"Mi piacerebbe sapere chi ha addestrato questi uomini." pensò, rimuginando nuovamente sulle scelte di sua madre che portarono all'effettiva disfatta dell'efficiente sistema di spionaggio edeniano. Degli uomini così le avrebbero fatto molto comodo, anche se non aveva più importanza ormai.

Kitana seguì il gruppo per un'ora abbondante, durante la quale cercò di isolare la mente per prepararsi ad affrontare la prova successiva, perché non sapeva dove la sua ardita affermazione (quella di essere attesa da Kahn) l'avrebbe portata: probabilmente gli alti ufficiali al quartier generale non le avrebbero creduto, e l'avrebbero uccisa seduta stante. O peggio. Ormai era in ballo e doveva ballare, anche se si trattava di una danza sul filo del rasoio...
Seppe di essere arrivata a destinazione quando vide profilarsi dinnanzi a sè l'immensa sagoma della barriera che pareva non finire mai, descrivendo una sorta di orizzonte nero nella notte delle Wastelands. Gli uomini davanti a lei proseguirono fino ai cancelli, una spessa inferriata di nero acciaio, impenetrabile e minacciosa.
Kitana studiò il luogo: la barriera dava l'idea di una sorta di diga per arginare gli orrori di quella regione dal mondo esterno. Lungo le pareti in pietra levigata, nera anch'essa, sorgevano degli spuntoni metallici su cui giacevano qua e là i resti di Tarkata e soldati, rimasti infilzati durante la foga delle sanguinose schermaglie sotto alle mura, mentre sulla sommità poteva notare le sagome di sentinelle con le loro lance. Ciò che disturbò maggiormente Kitana fu l'odore che si respirava ai piedi delle mura, l'inconfondibile puzzo dolciastro della morte: i cadaveri freschi si ammucchiavano a quelli già spolpati dai vermi e i corpi brutalmente impalati su delle larghe aste appuntite che spuntavano ordinatamente a destra e a sinistra del sentiero, alcuni abbattuti con i segni evidenti della battaglia sul legno. Ai comandanti oltre la barriera non interessava seppellire i morti, evidentemente.

"Non ci si abitua mai a questo odore." pensò, mentre il gruppo di uomini si fermava sotto ai cancelli che si stavano lentamente alzando. Loro parevano perfettamente a proprio agio. Quello al centro del gruppo, che riconobbe come la Voce, si voltò e le disse: «Ti porterò dal Generale. Lascia andare quell'uomo, tenerlo in ostaggio è perfettamente inutile una volta dentro.»

"Ha ragione. Non ho comunque scelta, devo andare avanti." pensò, mentre lasciava trascorrere attimi di silenzio per far sembrare che fosse combattuta sul da farsi.

«Come si chiama il tuo Generale?»
«Reiko.»
"Lui qui? Oh, no..." pensò Kitana trattenendo a stento un'imprecazione.

C'era un solo Generale fra gli uomini di Kahn che rispondeva al nome di Reiko. Lei li conosceva più o meno tutti grazie alla sua sottile rete di spie, e Reiko era quello più temibile. Di origini ignote, aveva fatto una rapida carriera militare ad Outworld grazie alla maestria in combattimento, l'astuzia tattica e la fine intelligenza, doti con le quali aveva condotto con successo svariate operazioni militari mirate reprimere tutti i focolai di ribellione sorti negli ultimi anni (molti dei quali fomentati proprio da lei) tanto che dove le sue spie costruivano lui metodicamente distruggeva. Tempo addietro era riuscita ad infiltrargli un informatore proprio nella sua ristretta cerchia di capitani ma il flusso di informazioni si interruppe misteriosamente dopo neanche un mese. Prima che decidesse di imbarcarsi nella sua missione personale ad Outworld, il Generale Reiko rappresentava il maggior pericolo per lei e le sue spie, secondo solamente a colui che sedeva sul trono nero nella Fortezza Imperiale.

Kitana diede un'altra occhiata ai corpi impalati, poi annuì verso la Voce «Va bene.».
«Uomini, rientrate alla base e attendete nuovi ordini.» ordinò l'uomo in nero.

Kitana attese che tutti gli uomini se ne andassero, per poi avvicinarsi alla Voce e seguirlo oltre i cancelli che si richiusero dietro di lei con un cigolìo di catene e metallo. Il paesaggio dopo la barriera cambiava radicalmente: era finita in una sorta di gigantesco fortino, che sorgeva delimitato da delle spesse mura in cui erano stati costruiti edifici, caserme e strutture militari su cui quella notte si riflettevano le tremule luci di torce e braceri ordinatamente sparsi per il piazzale. Il luogo emanava rigore e marzialità, e nulla sembrava essere lasciato al caso. Kitana ipotizzava che lungo tutta la barriera sorgessero fortini del genere, costruiti nei punti nevralgici di essa. Il suo silenzioso accompagnatore la stava conducendo verso il cuore del fortino, diretto verso un edificio che non aveva nulla in particolare rispetto ad altri, con l'unica differenza che era piantonato da molti soldati. Forse il Generale si spostava di fortino in fortino, periodicamente.
"Una fortuna sfacciata." pensò acidamente, mentre seguiva la Voce verso l'ingresso dell'edificio. I soldati di guardia al portone, armati fino ai denti e protetti da pesanti corazze, non batterono ciglio quando lei e la Voce li oltrepassarono, entrando all'interno. Probabilmente non avevano alcuna autorità su quelli come la Voce... E lei, con il vecchio mantello stracciato e il cappuccio calato sul volto, non era degna di nota. L'interno era un salone spartano, poco arredamento, pochi fronzoli, dei comodi accessi ad altre stanze o corridoi che Kitana non potè visitare perchè la Voce la condusse verso la rampa di scale che sorgeva sul fondo di esso, sorvegliata da due soldati che non li fermarono neanche questa volta. Kitana lo seguì sulle scale, salendo al secondo piano ed entrando in una spaziosa anticamera che dava accesso ad un'ulteriore stanza, chiusa da un pesante portone in legno nero.

«Aspetta qui.» disse la Voce, bussando con discrezione sul portone e aprendo un'anta del portone quel tanto che bastava per farlo passare di lato, per oltrepassarlo e richiudere la porta dietro di sé.

Kitana attese, posando le spalle al muro e tirando indietro il cappuccio della vecchia cappa. Aveva solo pochi minuti - forse solo pochi secondi - per fare mente locale e riflettere sulle prossime mosse. Incontrare Reiko avrebbe potuto portarle dei vantaggi, perché riponeva fiducia sul fatto che il Generale non avrebbe certamente sentenziato la sua morte così sommariamente, in quanto lei era la Principessa di Edenia e una decisione simile doveva essere portata all'attenzione dell'Imperatore stesso. Reiko era un soldato di razza, e non si sarebbe sottratto al suo dovere. Forse l'avrebbe trasferita alla Capitale, un passaggio sicuro e senza problemi, del tempo ulteriore per pensare alle mosse successive. Niente l'avrebbe fermata...

"E se Reiko decidesse di uccidermi semplicemente? Potrebbe decidere che la Principessa Kitana non è mai stata vista qui. Nessuno saprebbe niente..."

Si voltò di scatto, quando udì il lieve scricchiolìo del portone aprirsi, ed una morsa la colse allo stomaco. La Voce stava uscendo, era il tempo della verità.

"Niente gloria senza rischi." si ripeté, incrociando le braccia al petto e osservando con fierezza l'uomo dalle vesti nere, attendendo.
«Puoi entrare.» le disse tranquillamente la Voce, socchiudendo l'anta del portone dietro di sé, per poi avviarsi verso le scale senza aggiungere altro.

Kitana lo seguì con lo sguardo, finché la sagoma nera non uscì dal suo campo visivo. Poi andò davanti al portone, lo aprì ed entrò.
La stanza era spaziosa e dall'arredo minimalista, pochi ordinati scaffali, un armadio sul muro opposto a quello dove sorgeva una porta-finestra che dava accesso ad un terrazzino esterno. Al centro di essa una solida scrivania in ebano, dietro la quale sedeva un uomo.
Kitana lo studiò a fondo; sedeva con i gomiti posati sulla scrivania, i polpastrelli congiunti e posti dinnanzi alle labbra, lo sguardo fisso su di lei. Anche se portava delle comode vesti militari, di un rosso mattone, poteva intravedere il fisico atletico delinearsi sotto di esse, un fisico allenato da molte battaglie, agile e scattante. Il volto era senza età, portava i neri capelli in un taglio ordinato, occhi e guance erano solcati da delle striscie nere, come se fossero tatuate sulla pelle pallida. La cosa che la colpì maggiormente furono i suoi occhi: erano totalmente bianchi, niente iride e pupilla, solo la bianca sclera, degli occhi che impedivano di capire dove stesse guardando, occhi di chi era senz'anima. Sentiva il suo sguardo su di sé, e la sensazione era inquietante.

«Finalmente ci incontriamo.»

La sua voce era tranquilla e priva di particolare enfasi, quasi apatica, rispecchiava l'aura di innaturale calma che lo avvolgeva.

«Le tue guardie non mi hanno disarmata» rispose, schiudendo la cappa per rivelare le impugnature dei Tessen che spuntavano dalla zona lombare, dietro alla schiena «potrei ucciderti, Generale.»
«Sciocchezze.»

Kitana fece ricadere la cappa sulla parte anteriore del suo corpo, nascondendo i ventagli alla vista. Reiko non era caduto nella provocazione, gli era bastata una singola parola per bollare il suo intervento, senza esitazioni di sorta, perchè aveva pienamente ragione. Questo le diede una misura di quanto fosse scaltro.
Le indicò la sedia sul lato opposto alla scrivania dove sedeva lui.


 «Accomodati, abbiamo alcune cose di cui parlare.» l'invitò.
«Questi fortini sembrano molto ordinati» gli rispose Kitana, andando a prendere posto sulla sedia «un altro mondo rispetto all'orrore fuori dalla barriera. Questa contrapposizione mi ha... Stupito.»
«I miei uomini sarebbero bersagli troppo facili, se li facessi uscire a raccogliere i cadaveri. Se cerchi informazioni, Principessa, perché non me le chiedi direttamente?»
«I Tarkata non sono abbastanza intelligenti per impalare la gente in quel modo.»
«Gli impalati impauriscono i Tarkata. La loro mente semplice non concepisce certe brutalità, ed è un buon deterrente per farli desistere dall'attaccare la barriera.»

Kitana notò la metodica precisione con cui le rivelava alcune delle brutali tattiche adottate contro i mutanti, descriveva l'orrore ponendolo in termini puramente professionali e non sembrava avere remore di alcun tipo. Parlando, Reiko gesticolava lentamente per dare una minima enfasi alle parole.

«...Il paradosso di questa pratica è che funge da deterrente per soggetti che hanno il massacro nel sangue. Per un Tarkata selvaggio, non c'è nulla di meglio che uccidere. Però lo sa fare solo alla sua maniera, utilizzando le sue lame o occasionalmente le zanne. Tutto ciò che va fuori da questo semplice schema - 'lame, zanne, uccidere' - viene percepito con orrore. Se gli mostro un morto impalato hanno paura. Se gli mostro un morto impiccato, hanno paura. Un nemico impaurito è un nemico più facile da combattere.»
«Come li ammaestrate?»
«Perché sei venuta su Outworld?»

Kitana osservò Reiko dritto negli occhi, in quelle sfere bianche, assumendo la medesima espressione apatica che lui aveva perennemente stampata sul volto, perché non voleva far trasparire più emozioni del dovuto.

«Non sono affari tuoi, Generale. Avere fra le mani l'erede al trono del nemico ti impone di passare la questione di mano, vero?»

Le sue parole suonavano velenose e vide che avevano fatto centro: Reiko non rispose subito bensì rimase ad osservarla con le mani allacciate e posate sulla scrivania mentre l'apatia lasciava spazio a un'espressione meditabonda sul volto.

"Ti ho dato da pensare, non è vero Generale?" pensò trionfante Kitana.

«Sì.» rispose «Sai cos'è quello, Principessa?» aggiunse indicando una specie di grande coppa di pietra, contenente del liquido viscoso incolore, in un angolo della stanza.
«Un Divinatore.»
«Esattamente. Ho già parlato con l'Imperatore, prima che tu entrassi.»

Kitana lo osservò in tralice, sapendo che era arrivata ad un punto molto delicato della questione. Non lo diede a vedere, ma il senso di vittoria che l'animava qualche attimo prima l'abbandonò in favore di un vago senso di disagio.

«Ti ha ordinato di farmi portare alla Città Imperiale.» affermò facendo trasparire falsa sicurezza.
«Naturalmente.» Reiko annuì, tornando con i polpastrelli davanti alle labbra «Anche se lui non ti stava aspettando, contrariamente a quanto hai raccontato al mio capitano.» lasciò trascorrere qualche attimo di silenzio, per poi aggiungere «La verità non è chiara, e le menzogne sono generalmente il preludio della guerra. Non so cosa speri di ottenere presentandosi al cospetto dell'Imperatore... Ma sappi che nascondergli la verità è impossibile.»
«Sei prolisso di buoni consigli per un nemico. Perché mi dici tutto questo?»
«L'Imperatore mi ha ordinato di trattarti con tutti gli onori dovuti al tuo rango. Eseguo semplicemente gli ordini.»
«Stai mentendo.»
«Non ho il minimo interesse a farlo.»
«L'Imperatore conosce la mia piccola menzogna? Quanto gli hai riferito?»
«Ho omesso il dettaglio del mio capitano. Quando sarai al suo cospetto, verità o menzogna diventeranno irrilevanti. Puoi andare, Principessa, ho fatto preparare un alloggio.»

Kitana si alzò, rimanendo in piedi a fissare per lunghi attimi il Generale, che aveva già abbassato lo sguardo su dei documenti che necessitavano della sua attenzione, come se lei non esistesse più. Uscì dalla stanza, immergendosi nei suoi pensieri. Era riuscita a ribaltare gli eventi a suo favore, guadagnandosi un passaggio sicuro per la Città Imperiale, ma a che prezzo? Reiko le aveva instillato mille dubbi, che insinuavano la ferrea convinzione che riponeva nel successo della sua missione... Più si avvicinava a Shao Kahn, e più sentiva la concretezza del suo maligno potere prendere spessore, la disperazione divorare la speranza, i tentacoli del fallimento avvinghiarsi nel suo cuore. Eppure doveva andare avanti, fino alla fine.

"Niente gloria senza rischi, Kitana."

 

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