13.
Dedication
Non c'era nulla che il
detective Gumshoe non fosse pronto a fare per la giustizia.
Era chiaro a chiunque, specialmente a tarda notte. La selva di tazze
vuote parlava di una dedizione senza pari –
avevano fondi neri come le
ombre sotto ai suoi occhi, e le bustine di zucchero, accartocciate in
un angolo, erano molte meno del solito.
Non era mai come il signor Armando, certo. A volte, però,
gli passava vicino. Tutti si preoccupavano.
Era ancora più evidente quando sorrideva; sorrideva a
trentadue denti e non gli importava di nulla, nemmeno del vuoto che di
norma gli rispondeva. Il sorriso era lo stesso, sotto il vento, il sole
o la pioggia battente; tra le file di colleghi stanchi, nella scia di
procuratori delusi, era un segno di fiducia incrollabile. Tutti, in
segreto, gli volevano un po' più bene per questo.
Era scritto nella sua faccia, e nei rammendi ormai aggrappati
ovunque al verde sporco del suo impermeabile. Ogni cicatrice, strappo,
cerotto lasciava dietro di sé una prova. E i suoi colleghi
avevano imparato a leggerle –
le guardavano, con malcelata tristezza, nel vapore del misero ramen di
ogni giorno.
Niente più della giustizia muoveva Gumshoe alle lacrime.
Nulla, nelle investigazioni dei lunghi anni che seguirono, lo rese
più coinvolto e più disperato della lunga
ricerca; nulla, o almeno così si credeva.
Fu un pomeriggio piovoso a convincere Phoenix del contrario. Nel
momento in cui lo colse a piangere su una grande busta marrone,
l'avvocato strinse i denti, in un misto di stizza e compassione.
Si convinse che era tempo di metterci una buona parola.
Il mese dopo, un urlo di gioia fece tremare il dipartimento. Non fu
l'unico a riconoscere che giustizia era stata fatta.
___
Per
la seconda volta nelle mie fanfiction, decido che è ora di
smetterla e ritocco la busta paga di Gumshoe. Glielo dobbiamo tutti,
secondo me.
Smettila, Miles.
Sono contenta di passare di nuovo per di qua. Fare la fanwriter in
versione anglofona è il mio mestiere, ormai. Ma
perché no?