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Autore: Lady Ligeia    04/10/2008    5 recensioni

E' una ragazza bellissima.
Nessuno sa chi sia.
Viene trovata in ospedale, ma non ricorda come ci sia arrivata.
Cerca disperatamente sua sorella Giulia...
Chi è questa ragazza?
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sembra una bambola, di Lady Ligeia Ciao a tutte, sono tornata! Ho trascorso alcuni mesi molto faticosi, e di tempo per me stessa e i miei racconti ne ho avuto davvero ben poco. Spero di poter riprendere a scrivere, e a leggere i commenti di voi tutte, e i vostri lavori...
Questo raccontino mi è venuto in mente una sera di tanti anni fa in cui facevo visita a mia madre, ricoverata in ospedale, e nel letto accanto al suo avevano sistemato una bambina che giocava tranquilla (non so perché non fosse in pediatria... forse non avevano il reparto, non me lo sono chiesta al momento). Mi sono immaginata i desideri di una bambina in un posto così triste, tutta sola senz'altra compagnia oltre a quella delle sue bambole.
A presto (questa volta lo giuro: sarà
davvero presto!),
Lady Ligeia
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Era senza dubbio la donna più incantevole che avessi mai visto, anche se giaceva svenuta su uno degli asettici lettini del reparto ed il suo viso - o, meglio, quel poco che si riusciva a distinguerne, sotto la massa scomposta dei capelli d'oro chiaro - era soffusa di un pallore venato d'azzurro.
Toccava proprio a me occuparmene, perché non c'erano di turno altri medici ed io ero appena entrato in servizio.
Mi accinsi, dunque, a visitarla, chiedendo alla caposala che mi assisteva se sapesse chi fosse o che cosa le fosse successo.
- L'hanno appena portata qui - mi spiegò lei. - Mi hanno detto di averla trovata in stato di incoscienza nel corridoio di pediatria, senza documenti addosso. Sembra che abbia battuto la testa, e la spalla sinistra, proprio qui, vede, dottore? - Mi fece notare un punto arrossato, proprio sopra la clavicola, che presto si sarebbe trasformato in una brutta ecchimosi. - Pensavo che fosse una paziente di un altro piano, oppure una parente... comunque, una in visita a quel reparto, ma nessuna delle colleghe di pediatria l'ha mai vista prima di adesso. E nemmeno in accettazione sanno chi sia. -
Le credetti immediatamente, benché quello fosse un ospedale serio, non uno di quelli che si vedono nei film, dove i pazienti possono scappare rubando i vestiti del loro compagno di stanza o gli assassini possono infiltrarsi nel cuore della notte per scollegare i respiratori delle loro vittime. O cose così.

Le credetti soltanto perché, se avessi visto quella donna prima di quel momento, l'avrei senza dubbio notata.
Si trattava di una splendida bionda, tra i venti e i venticinque anni, alta e snella, delicatamente modellata. Indossava soltanto una vestaglietta di seta blu, cortissima sulle lunghe gambe perfette, che rivelava le sue forme da capogiro, appena coperte dalla biancheria intima. Capi di pizzo di squisita fattura, adeguati al proprio prezioso contenuto. Aveva la pelle dorata dal sole e le mani affusolate e sottili. I lineamenti del suo viso erano più che graziosi, con il nasino all'insù e le labbra morbide e piene.
Riprese conoscenza mentre la osservavo: trasse un debole respiro e spalancò due occhioni azzurri e stupiti. - Dove sono? - chiese subito. La domanda più ovvia che potesse porsi. La sua voce era morbida come un panno di seta.
- Si trova in ospedale, signorina - le risposi, quasi balbettando come un adolescente di fronte a tanta perfezione. Il colore le tornava sulle guance e la vivacità negli occhi rotondi come monete, rendendo la sua bellezza di momento in momento più abbagliante.
- E che cosa ci faccio, in ospedale? - insistette, educata, supplichevole.
- Deve essersi sentita male in corridoio, signorina - interloquì la caposala, sbirciandomi divertita. Il mio imbarazzo doveva essere evidente.
- Ma io non ero affatto in corridoio - replicò candidamente la bella sconosciuta, sbattendo le palpebre.
- Beh, signorina, forse non se lo ricorda, deve avere battuto la testa, ma è stata ritrovata a terra nel nostro corridoio di pediatria. -
- Ma io non so come ho fatto a finirci, ve lo giuro! Io... io vivo in America! Io stavo dormendo nel mio letto, nella mia villa! E Giulia...-
- Non si preoccupi, signorina, non è successo nulla di grave - tentai di tranquillizzarla. La caposala, sempre divertita, passò a domande più pratiche.
- Chi è Giulia? -
- Giulia è la mia sorella grande - rispose la paziente, con il tono di una bimba imbronciata.
- Capisco. E lei come si chiama? -
- Oh... dipende. A volte Sophie, a volte Elenja. Ultimamente, Giulia mi chiama Shaya, ma non mi piace molto. -
La caposala ed io ci guardammo, perplessi. Evidente stato confusionale.
- E il suo cognome? Il cognome, signorina, lo ricorda? -
- No, naturalmente, non credo di averne mai avuto uno - replicò lei, sorpresa del fatto che noi fossimo sorpresi. - Oh, la mia spalla...-
- Non si sente bene? - intervenni, preoccupato, sostenendola. Sembrava, infatti, che stesse per svenire di nuovo. Per un istante, indugiai con il palmo della mano sulla seta della sua vestaglia, mentre si appoggiava a me. Tentò di gettare giù dal lettino le lunghe gambe mozzafiato.
- No, signorina - protestai. - Lei deve aver subito un trauma cranico, non credo proprio che possiamo lasciarla andare così...-
- Potrebbe essere grave - aggiunse la caposala.
- Ma mia sorella.... il mio fidanzato... era con me... che cosa è successo a lui? -
- Il suo fidanzato? - ripeté la caposala. - Come si chiama? -
- Ultimamente, Greg. -
- Da quando lei si chiama Shaya? - non potei trattenermi dal chiederle. La caposala mi lanciò un'occhiataccia.
- Sì, più o meno. Giulia...-
- Ma sua sorella Giulia, si è sempre chiamata Giulia? -
- Naturalmente. -
- Dottore, via, che senso hanno tutte queste domande? E' evidente che la signorina non è in sé... Piuttosto, il fidanzato della signorina... come potrebbe essere entrato anche lui in questo ospedale senza che ne sappiamo niente? -
- Un "codice rosso", magari... d'urgenza... sa com'è giù al pronto soccorso...-
- Santo cielo, ma da quando li mandano qui senza avvisarci?! - La caposala mi sbarrò in faccia i suoi occhi scuri, accigliati. Era già nel panico, povera donna, sconvolta all'idea che un paziente, magari in gravi condizioni, venisse ricoverato a sua insaputa. Era caposala da molti anni.
Ci scervellavamo sulle possibili ragioni di quei ricoveri ignoti, mentre la nostra paziente sorrideva.
Non era un sorriso di compiacimento o di cortesia... sorrideva tra sé, senza motivo, forse solo per il gusto di sorridere. Trasognata, come se la nostra ansia per identificare lei, rintracciare il perduto fidanzato, risolvere quel mistero, non la riguardassero minimamente.
- La cosa migliore da fare, signorina - ripresi le redini della situazione io - è che lei si distenda tranquilla. Penseremo a tutto noi. Signora - proseguii rivolgendomi direttamente all'anziana infermiera - qui occorre una lastra alla spalla, e tutte le procedure di routine per sospetto trauma cranico. Per il momento, nessun tranquillante, naturalmente.  -
- Come desidera, dottore. -

La ragazza si era ridistesa, obbediente, senza smettere quello snervante sorriso assente. Iniziai a pensare che potesse trovarsi sotto l'effetto di qualche stupefacente. Era calmissima, adesso, come se fosse abituata a ricevere ordini e la rilassasse avere accanto qualcuno che sapesse che cosa fare. O che, almeno, sapesse fingere molto bene, come me in quella circostanza. Rabbrividii. Una donna docile. Forse era proprio quello che ci sarebbe voluto, per me, che uscivo proprio in quei giorni dal naufragio dell'ennesima relazione di sesso inconcludente.

Lasciammo la stanzetta insieme. Prima di andare ad adempiere le mie prescrizioni - cosa che, sapevo, avrebbe fatto con competenza e decisione esemplari - la caposala si soffermò ad osservare la nostra bionda paziente, distesa sul lettino nella stessa posizione piena di grazia e, insieme, di rigidezza in cui l'avevamo lasciata. - Sembra proprio una bambola - mormoró tra sé.
- Ha ragione! - non potei fare a meno di convenire io.
Lei mi sorrise, come avrebbe sorriso mia madre: la mia vulnerabilitá al fascino femminile era la favola dell'intero ospedale. E, cosa ben piú lusinghiera, era altrettanto leggendaria anche la fama della vulnerabilitá delle donne al mio, di fascino.
I miei pensieri erano trasparenti: ovviamente, speravo che quella meravigliosa creatura diventasse la mia prossima "vittima", fidanzato o non fidanzato... se nemmeno rammentava il proprio nome, come avrebbe potuto rammentare quell'uomo?
Mi rimproverai, all'istante, per il mio cinismo: stavo già pensando a come infilarmi nella vita, oltre che nel letto, di una perfetta sconosciuta, probabilmente molto grave, che soffriva sicuramente di una forte amnesia. Provai vergogna, oltre a un desiderio talmente imperativo da indurmi a stringere i denti con violenza. Era bella, dolorosamente bella.

Pensai a lei per tutto il pomeriggio.
Verso sera esaminai i referti degli esami che avevo ordinato per lei: non sembrava esservi nulla di rotto, né nulla che giustificasse quell'amnesia.
Passai a trovarla e la trovai attorniata da un autentico sciame di maschi, intenta a chiacchierare e a ridere in loro compagnia. Riusciva a far apparire incredibilmente sexy anche l'asettica camiciola bianca che le avevamo fatto indossare, si stava passando tra i lunghi capelli una spazzola prestatale da chissà chi e raccontava sorridendo della sua vita. Una bella vita: doveva essere ricchissima, dato che diceva di possedere una quantitá di ville, di yacht, di auto d'epoca. E aveva cavalli, piscine, gioielli, vestiti, domestici, un pianoforte, un campo da tennis... e passava le giornate facendo sport, sfilate, shopping... era pazzesco starla ad ascoltare! La presenza più forte nella sua vita, tuttavia, sembrava essere quella della sorella Giulia. Ogni affermazione, ogni giudizio, ogni ricordo, sembrava filtrato attraverso gli occhi di questa Giulia. L'accento di sincerità, nella sua voce dolce ed ingenua, era talmente spiccato che non si poteva non credere ad ogni parola... o, perlomeno, alla sua convinzione che ogni singola parola fosse vera.
La realtà, poi, è un altro paio di maniche, mi dissi visitandola. Già sfiorare quel suo corpo stupendo nei semplici contatti della mia professione - polso, battito cardiaco, pressione...- mi annebbiava a sufficienza la mente. Le donne non mi erano mai mancate, ma avrei voluto giocare al dottore, con lei, in tutt'altra maniera.

- Bah - cominciò la caposala, davanti alla macchinetta del caffè. Era ormai decisamente acida: si era verso la fine del turno. - Se fosse vero che ha un fidanzato, e soprattutto questa sorella con cui vive, non crede che si sarebbero già messi in contatto con lei, dottore? -
- Bisogna vedere se sanno dove si trova - replicai io, vagamente. Ero distratto da altri pensieri. Gettai uno sguardo nel corridoio, alle luci abbassate per la notte, gustandomi quel momento di calma così rara. Nessun campanello squillava, nessun monitor emetteva toni di allarme, nessun gemito di dolore lacerava la penombra... Proprio in quell'istante, arrivò a passo spedito un'infermiera, che teneva per mano una bambina in lacrime.
Una bambina?
Uscii immediatamente dalla sala medica.
- Infermiera, che cosa significa questo? Chi è questa bambina? -
La ragazza trasalì: le ero apparso proprio alle spalle. - Oh, dottore, non ci si metta anche lei a farmi spaventare! Già ho trovato questa creatura sulle scale che piangeva, e non ho idea di chi sia...-
Osservai la creatura in questione, che, in pigiama e pantofole, continuava silenziosamente a piangere. Poteva essere sui sei, otto anni al massimo. Era bruna e ricciuta. Portava al polso una fascetta di plastica: quella con cui identificavamo i nostri piccoli ospiti di pediatria.
Le sorrisi. - Vede, infermiera... questa è la signorina "Fumagalli G.", letto 12, del piano di sotto. Posso sapere, principessa, che cosa ci fai qui? Ti sei forse perduta? -
Dentro di me, stavo già maledicendo l'incompetenza dei miei colleghi dell'altro reparto.
Non bastava che dal pronto soccorso mi mandassero in giro pazienti non identificati.
Non bastava non riuscire a rintracciarne degli altri.
Anche i ragazzini in giro da soli, adesso.
Che cosa diavolo stava succedendo?

- Ho perso la mia Barbie - frignò la piccola, senza alzare la voce. C'era sfinimento nelle sue parole, come se fosse impegnata da ore in quella ricerca.
- Barbie? E' una bambola, vero? -
La giovane infermiera mi guardò inorridita. La sua espressione era trasparente.Come potevo non sapere che cosa fosse una Barbie?! Dovevo essere stato bambino ai tempi dei dinosauri, suppergiù! O, forse, era lei che aveva abbandonato la sua da troppo poco tempo...
- Sei proprio sicura di averla persa qui? - mormoró dolcemente la caposala. Adorava i bambini e, purtroppo, non aveva potuto averne.
- Sí! Credevo di averla messa nel suo lettino, e invece lí non c'é. Voi non l'avete vista?
- Qui nessuno ha delle Barbie, carissima, siamo tutti un po' troppo cresciuti per queste cose, non trovi? -
La bambina ricominciò a piangere. L'infermiera giovane assunse un'espressione molto meno burbera di prima, mentre le parlava. - Hai visto, tesorino? Te l'avevo detto! Adesso torniamo giù e la cerchiamo insieme tra i tuoi giocattoli, va bene? -
- Ma lei è qui, lo so! - protestó la bambina, tra le lacrime. - Non è con gli altri giocattoli, sono anzi tutti molto preoccupati per lei! Il mio Ken si sta disperando! Io credo che sia uscita in corridoio a fare una passeggiatina, a volte le piace farlo, e che le sia capitato qualcosa! Spero che non prenda freddo, senza vestitini...-
Noi adulti ci guardammo con indulgenza, senza risponderle. Visto che non riusciva a convincerci, lei scalpitó con impazienza e corse fuori dalla stanza.
- State tranquille che tornerà nella sua camera - dissi alle due donne. - Ci sono abbastanza medici, in giro per il piano, da impedirle di cacciarsi nei guai. In ogni caso, chiamo il dottor Cenci del piano di sotto, per avvertirlo della piccola... ehm... evasione. -

Erano trascorsi pochi minuti, quando la bambina bussò alla porta della sala medica.
La caposala corse ad aprirle, indignata. - Ancora qui, sei? Non ti avevamo detto di tornare di sotto? Adesso arriva il dottor Cenci e se non torni nel tuo letto ti farà una puntura, capito? - sbottò, più per la preoccupazione che perché fosse davvero adirata.
La bambina sorrideva, adesso, visibilmente rasserenato. Aveva in mano una bambolina bionda, avvolta in un qualche straccetto blu che non distinguevo bene, a causa della distanza.
- L'ho trovata, grazie. Barbie vi saluta tutti e vi ringrazia di cuore per la vostra gentilezza... soprattutto il dottore - annunciò compiaciuta.
- Ok, tesoro, ma adesso torna a letto, ok? - borbottai distratto. Stavo studiando l'esito di un esame e non volevo essere disturbato. Mi sorprese invece il sorriso indecifrabile della caposala, che rimase a lungo a fissare la porta a vetri della sala medica, dopo che la piccola se ne fu andata.

Un quarto d'ora più tardi, altri passi concitati e un'altra mano a picchiare sul vetro.
- Ma che serata movimentata - commentai. Era nuovamente la giovane infermiera di prima, molto spaventata.
- Che cosa sta succedendo, questa volta? - le domandai aprendole la porta.
- La paziente... la paziente sconosciuta... la bionda.... -
Ebbi un tuffo al cuore. - Sì? -
- E'... scomparsa! - balbettò la ragazza.
- Si calmi, infermiera... non è nel bagno, o sul pianerottolo, o da qualche altra parte? - replicai io, non meno agitato di lei nonostante le parole che stavo pronunciando. Tutti quei fatti inspiegabili cominciavano a darmi seriamente fastidio.
- Andrò a cercarla, dottore. Mi scusi se l'ho disturbata. -
L'orologio indicava mezzanotte. La caposala si alzò dalla propria scrivania per andarsene, dal momento che il turno era finito. - Non la troverà, lo sa, vero? -
- Perché non dovrebbe trovarla, signora? Dove pensa che sia andata? -

La caposala non mi rispose. Aveva sempre lo stesso sorriso enigmatico di prima. Sembrava che mi compatisse.
- Immagino che non la trovi, quantomeno - si degnò di aggiungere, avviandosi verso lo spogliatoio del personale femminile. - Sembrava troppo una bambola. -

Non siamo mai riusciti a capire che cosa sia successo alla nostra paziente misteriosa... eppure, a volte, quando ripenso alla sua bellezza... mi chiedo se incontrerò mai un'altra donna come lei.

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Ecco la fine dell'opera d'arte... che non è affatto un capolavoro, ne sono assolutamente cosciente, ma mi divertiva l'idea di scriverla e di condividerla con voi. Aspetto commenti!!!
  
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