Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
Segui la storia  |       
Autore: Meg Explosion    23/09/2014    4 recensioni
Armin Arlert si trova in un ospedale, posto che lui odia a prescindere, ma che dopo un po' comincerà a piacergli poiché una persona gli insegnerà cosa vuol dire amare veramente senza paura di perdersi, perché uno volta che ci si è trovati non si torna più indietro.
Mai come nel momento nel quale ha visto quei occhi si è sentito a casa.
Eremim.
Genere: Commedia, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Armin Arlart, Un po' tutti
Note: AU, Otherverse | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

In Equilibrio.

It's all about jeanmarco, baby.























All my frieds ask me why I stay strong
Tell 'em when you find true love it lives on
Ahhhhh, that's why I stay here-

Tutti i miei amici mi chiedono perché rimango forte
Gli dico che quando trovi il vero amore, vive in eterno
Ahhhhh, ecco perché resto qui

-Dark Paradise
-Lana del Rey



































-Jean! Jean! Siamo qui!-
Armin cammina verso Jean, tenendo Eren stretto per il polso.
-Jeager?- chiede Jean, storcendo il naso quando vede il ragazzo davanti a sé.
-E’ uno scherzo, vero?- risponde Eren che aveva gli occhi rossi a guardare quella figura che sembra quasi un fantasma ai suoi occhi. Armin era confuso e stava in piedi davanti ai suoi due amici.
-Vi conoscete?- chiede il biondo, interrompendo lo scambio di sguardi tra Jean ed Eren.
-Ci conosciamo? Lo stronzo mi ha insultato a morte per tutte le medie-
Jean aveva il viso pallido e sembrava sul punto di svenire.
-Non pensavo che potesse finire così! Un ospedale? Voglio dire, scherzi?-
-Scherzo? Ti sembra che scherzo, cazzo? Pensi che tutto ciò che mi dicevi, tutto ciò che hai fatto con i tuoi amici fosse così divertente? Chiamarmi frocio solo perché ho detto che Leonardo Di Caprio è figo? Darmi del pazzo perché devo prendere delle medicine? Urlarmi addosso ricordandomi che non ero come voi?! Grazie, Jean! Grazie!-
-Mi scuso umilmente. Ho fatto degli errori, Eren! Ero uno stupido, pensavo di avere amici, pensavo di essere normale! Volevo essere solo normale, ma so che ho sbagliato, lo so; non credere che il mio stomaco non si sia mangiato solo per il rimorso che provavo! Ho capito cosa si prova, ma non pensavo che tu potessi arrivare a tanto-
-Mi avete tolto molti sogni, Jean, tu e i tuoi amici. E Mikasa? Ricordi quante volte ha dovuto quasi ucciderti? Fanculo Jean, fanculo-
Armin mette una mano sulla spalla di Eren tentando di calmarlo, ma niente funziona. Però non riesce a capire la sua reazione, a prima vista sembra arrabbiato, ma i suoi occhi sono quasi pieni di amore, come se volesse così tanto bene a Jean da essere felice di vederlo.
-Eren, ho dimenticato qualcosa in stanza, vieni a prenderla con me?- dice Armin, cercando di portarlo via da quella situazione.
Eren annuisce, dando un ultimo “sguardo del terrore” a Jean.
 
-Lo hai fatto apposta, vero? Portarmi via- chiede Eren che è ora seduto nel letto.
-Sì-
-E non hai nulla da prendere, vero?-
-No-
Eren si alza, andando verso Armin e portando la sua mano verso la guancia di Eren.
-I tuoi nonni stanno bene?-
-L’ernia di mia nonna è peggiorata e mio nonno è sempre più stanco-
Armin va ogni giorno nella casa di riposo a vedere come stanno i suoi nonni, quasi si dimentica di finire i compiti di matematica.
La sua giornata è composta di: aiutare lo zio nel bar di famiglia, fare compiti, andare dai nonni, andare da Eren e tornare a fare i compiti per poi rilassarsi dieci minuti con un libro tra le mani o con qualche film al computer. Vorrebbe dire che per lui è semplice, che vivere così lo fa stare bene, ma non è così. Vorrebbe togliersi qualche peso dalle spalle, poter stare un minuto senza pensare a nulla; quello è uno dei momenti tanto ambiti da Armin.
Eren ha tolto la distanza tra le loro fronti e gli massaggiava la nuca con la sua mano morbida.
-Devi andare da Jean, Armin-
-Lo so-
Un silenzio segue le loro parole e nessuno dei due vuole spezzarlo.
-Vado, Eren-
-Ciao, piccolo fiume-
-Spirit il cavallo selvaggio? Seriamente?-
-Sì, piccolo fiume-
Tutti ridono e non si muovono di un centimetro usando come scusa le risate. Alla fine Armin si arrende e va verso l’ingresso.
 
-Ok, cosa hai fatto ad Eren, stronzetto?- dice Armin, comminando aggressivamente verso Jean.
-Alle medie lo prendevo in giro-
-Eri un bullo? Potevi dirmelo prima, Jean!- ora che Armin pensavo a Jean mentre rideva di qualcuna, mentre faceva uscire dalla sua bocca insulti senza senso gli veniva in mente tutte le volte in cui lui ha dovuto fare da vittima a questo violenze.
-Se ti dico che mi sono sentito di merda anch’io, cosa mi rispondi?-
-Karma, bastardo-
Jean si stava scompigliando i cappelli; Armin non si arrabbia spesso, ma quando lo fa, lo sa fare bene, Dio se è bravo a mettere in riga tutti quando vuole.
-Puoi chiederlo a Marco, Armin! Ho sofferto molto per le mie azioni e me lo sono sentito sulla pelle, quindi è meglio che sta zitto, ok? Perché non posso continuare con questo discorso!-
Jean sta per piangere e Armin non riesce proprio a vederlo in quelle condizioni.
-Jean, lui soffre di bipolarità, ha una malattia-
-Cazzo-
-Non è tutta colpa tua- la voce di Armin era nettamente più calma e pacata e i suoi occhi avevano un velo di pena e compassione che li coprivano.
-Quindi significa che potrebbe tornare a deprimersi senza una causa scatenate, vero?-
-Sì-
-Te ne sta innamorando, vero?-
-Più o meno-
-Non puoi farlo Armin, lo sai che ti ferirà! Per favore, esci con qualche bella ragazza della scuola, non farti del male!-
-Farmi del male? Cosa dovrebbe farmi del male? L’unica cosa che mi ferisce di più sono le tue parole Jean, come puoi dirle? Qualunque cosa succeda Eren rimarrà nella mia vita, depressione o no e tu di certo non mi farai cambiare idea!-
-Non dico questo, Armin, dico che se finisci per innamorarti veramente, se mai lo vedrai in stati penosi, con altre cicatrici, perché sì, esistono anche loro; le ho viste e non puoi negare che non siano spaventose, tu sarai tanto morto quanto lui, Armin. Si può sopravvivere a un cuore spezzato, ma non a vedere il proprio amore distruggersi-
-Come sai queste cose, mister io-so-tutto?-
-Perché sono innamorato, Armin! Innamorato da più di due anni e non riesco nemmeno a immaginare cosa potrebbe succedere se Marco non fosse con me! Cosa potrei fare? Che scelta avrei? Mi ucciderei o mi arruolerei nell’esercito, perché sono innamorato!-
-Vedi!? Tu ritenevi il tuo amore impossibile ed io ti sono sempre stato vicino e non ti ho mai voltato le spalle!-
-E’ diverso, Armin! Il mio amore non è in uno fottuto ospedale!-
Armin stava piangendo, mettendo una mano sullo suo stomaco e piegandosi.
-Pensi non lo sappia? Vaffanculo Jean! Sei uno stronzo!-
Oh no, quella strana sensazione allo stomaco che viene prima di crollare.
Armin mette il casco, la giacca e sale su Alfredo.
Jean rimane in silenzio con i pugni serrati e comincia a pesare alle parole di Armin.
 
 
“Ero un quindicenne ferito, stanco e con un futuro da disoccupato; avevo pochi amici e molti rimpianti. Dicono che gli amici te li scegli, ma non è mai stato così per me: il primo essere umano che prova a parlarmi diventa istantaneamente il mio migliore amico, perché cerco in continuazione qualcuno che mi faccia sentire come un personaggio principale di qualche libro, che malgrado sia uno sfigato cronico, con una gamba, mezzo braccio, tre occhi e non parli mai con nessuna ragazza dopo una rivisitatina al suo look  diventa un playboy con mille amici e una ragazza che lo fa sentire amato. Cercavo quello da anni, pensavo di averlo trovato una volta, ma era solo una grandissima stronzata. A quindici anni avevo già rinunciato a cercare una persona che mi amasse e non che solo mi sopportasse. Tutti hanno degli amici però, e per quanto odi dirlo, io avevo solo Connie, una testa rasata che la stessa sera che avevamo pianificato di festeggiare il nostro bellissimo quattro in matematica, ha travato una ragazza con la quale passare la notte.
Non sapevo proprio cosa fare quando ho ricevuto un messaggio che diceva “ho trvt na pupa e n pss prp! Scs!” mi sono letteralmente cadute le palle. Mi stavo per preparare per bene, lavandomi sotto le ascelle e tutto, ma poi ho rinunciato. Ricordo di essermi avvicinato a uno specchio e il mio riflesso ha detto “Sono di Dolce&Gabbana quelle borse che hai sotto gli occhi?”. Gli specchi ironici sono sempre stati il mio peggior nemico.
Sono comunque uscito da casa, la mia felpa azzurra mi faceva sentire protetto dall’eventualità che qualcuno volesse parlarmi.
Sono entrato in questo bar, erano le sette e mezza di sera e avevo intenzione di bere tanta Coca Cola quanta un americano medio ne beve ogni settimana. Insomma, mi sono guardato in giro e la prima cosa che noto è che non sono il più miserabile all’interno del locale. Mi ero portato appresso il mio quaderno, dove faccio degli schizzi, quello che non uso per scuola, perché sì, frequento il Liceo Artistico, giudicatemi pure.
Mi siedo su un minuscolo tavolino, uno di quelli altissimi che ai baristi piace abbinare con quelle sedie sulle quali ci sta stento un sedere di un bambino di dieci anni, anch’esse naturalmente più alte dell’Everest. In una posizione che definire scomoda è decisamente contraddittorio rispetto alla realtà, noto un ragazzo, vestito come un damerino, che beve un caffè ed ha le movenze di un cervo. Volevo veramente ricordarmelo, sentivo l’assoluto bisogno di restare sempre fermo a fissarlo, senza spostare mai lo sguardo. Di solito non disegno le persone che vedo per strada, ma quel ragazzo era qualcosa di più. Non sembrava umano, era come vedere un Dio e le lentiggini che aveva erano costellazioni, gli occhi erano due grandi pianeti che splendevano. Tutto di lui era rassicurante e mi sentivo sicuro mentre tracciavo la linea delle sue mani, come se non avessi mai disegnato altro. Il suo naso mi veniva naturale, senza nemmeno una piccola imprecisione; avrei fatto di lui la musa per tutti i miei disegni. Avrei superato Monet, Dalì, Van Gogh, e sarebbe stato tutto merito di quella figura, di quel ragazzo che era talmente affascinante e incantevole che Dorian Gray in confronto è un cesso. Lo dico con sicurezza, perché non ci sono occhi azzurri o capelli biondi che superino in bellezza i suoi occhi color caramello e i suoi capelli fatti d’ebano.
Devo averlo fissato per troppo tempo, perché mentre cercavo la gomma pane nel mio zaino ho alzato lo sguardo e me lo sono trovato davanti.
-Scusa, volevo sapere come stava andando, il mio ritratto- mi disse, con un sorriso compiaciuto in faccia. Oh no, non posso farti vincere la guerra delle battutine simpatiche.
-Signor Gray, credo proprio che questo disegno sia venuto così bene che invecchierà con lei-
-Mi stai comparando a Dorian Gray? Chi sei tu, il figlio di Oscar Wilde?- la sua voce era preghiera.
-Scusa, se ti ho disegnato, ma di solito non disegno bene e tu eri lì e mi dicevi “Guarda prova a disegnarmi!” o così l’ho fatto-
Parlo sempre troppo, è un vizio che non mi son mai tolto. Mi sentivo in imbarazzo, stavo diventando rosso come un pomodoro, ma anche il ragazzo vicino a me non era da meno. Era anche più bello, mentre faceva quella faccia da “Smettila di farmi complimenti”. Anche quel piccolo accenno di doppio mento mentre cambiava espressione o rideva troppo era magnifico. Sono rimasto così infatuato dal suo modo di apparire che quasi avevo dimenticato che per quanto ne sapevo poteva essere un rapitore o un assassino, ma da lui mi sarei fatto anche uccidere e non vorrei offendere nessuno quando dico che non avrebbe nemmeno dovuto offrirmi caramelle per portarmi a casa sua. Insomma, lo stavo guardando, mentre lui sbriciava i miei disegni, arrossendo sempre di più. E’ certo che arrossisce, penso, non tutti giorni s’incontra un disastroso studente del liceo artistico che non ha niente da fare se non stalkerare chiunque.
-Sei veramente bravo, sembro quasi figo nei tuoi disegni-
Lo avrei schiaffeggiato, con amore, ma poiché lui non si riteneva decisamente più figo di quanto viene rappresentato in questi segni senza senso lo avrei ucciso.
Più lo guardavo più mi veniva voglia di piangergli addosso e volevo ringraziare Connie perché se ci fosse stato lui non avrei mai agito da stalker e Marco non sarebbe mai venuto a parlarmi. Connie rimane comunque un miserabile pezzo d’immondizia ai miei occhi, ma sorvoliamo.
Lui mi ha offerto una Coca Cola, blaterando di quanto fosse stato difficile prendere la patente perché lui dall’occhio destro ci vede poco, poi mi ha parlato di come il suo sogno fosse sempre stato quello di fare la guardia, ma a sedici anni il suo problema all’occhio è peggiorato e allora mi sono venuti i brividi. Il me quindicenne non si era reso conto di parlare con una persona più grande di lui.
-Scusa, quanti anni hai?-
-Diciannove, perché?- Marco mi ha risposto seccamente, fissandomi negli occhi. Mi sono fatto schifo da solo. Me l’hanno sempre detto che io attraevo i guai verso me e infatuarsi così profondamente di un ragazzo più grande di me mi sembrava un guaio troppo grosso.
Io però ero Jean il freddo, Jean il misterioso, non capivo perché mi ero sentito così a terra dopo quella rivelazione e perché tutti i filmini mentali che mi ero fatto cominciavano a sembrarmi dolorosi. Io che vado dalla mia mamma con la mano intrecciata a quella di Marco e, con le lacrime agli occhi e il vento che mi scompiglia i capelli, le dico che io amo un uomo e che lui ama me? Tutta una stronzata.
Marco che mi porge un anello con sopra incise le parole “Mi vuoi sposare?” ed io che lo abbraccio urlando un sì? Stronzata pure quella.
Pensavo che Marco avesse una vita propria, pensavo che io sarei stato per lui solo un episodio divertente da raccontare ai suoi figli o nipoti. Provavo l’amaro di aver perso il mio unico sogno. Il dolore era quasi fisico; perché quando finalmente si trova l’anima gemella ci deve essere sempre qualcosa che te la fa allontanare?
Per un momento avevo sperato di aver trovato la fine a tutte le mie crisi esistenziali da quindicenne un po’ viziato, speravo nel miracolo che mi portasse verso una vita non perfetta, ma bella. Per qualche secondo mi ero innamorato, forse gran parte era amore verso l’immagine che mi ero fatto di Marco, ma sentivo molto di più.
Così ho buttato nella spazzatura i miei sentimenti. Avrei potuto sposare una bella ragazza, avere dei bei figli e una bella casa con una bella macchina, ma la mia vita non sarebbe stata bella; ora che avevo visto Marco niente sarebbe stato come lui.
Non volevo una moglie, figli, case o macchine, volevo il suo numero per poterlo chiamare sempre e sentire la sua voce, ma non siamo in un romanzo rosa.
-Dovremmo parlare di nuovo, Jean.  Sei così interessante, mi sembra di conoscerti da una vita- mi disse Marco, svelando quel piccolo sorriso imbarazzato che solo io volevo aver il privilegio di vedere. Cristo, ma come si può essere angelici persino mentre si sorride con baffi di cappuccino, la barba un po’ trascurata e i capelli scompigliati?
-Devi sembrarti monotono- ma sentite questo quindicenne che usa paroloni come “monotono”! Patetico Kirschtein, hai davanti la reincarnazione di Apollo e  cosa fai? Ti rendi ridicolo facendo affermazioni da stupido.
-Il contrario, Jean! Sei veramente simpatico e intelligente e divertente! Vorrei esistessi solo tu in questo mondo?-
Volevo si tappasse la bocca. Pensando razionalmente un futuro con lui non sarebbe stato possibile, ma infondo a me c’era sempre la speranza che un giorno ci saremmo chiamati “Amore”.
-Sarebbe un mondo alquanto noioso- ecco un’altra delle mie perle su “come farsi fighi davanti all’uomo della tua vita”.
-Oh Jean, non dire questo di te stesso. Domani ci sarai vero? Voglio vedere altri dei tuoi disegni, li adoro! Vorrei aver più tempo per parlare con te, ma sono le undici e domani dovrò dare un test di scuola guida, scusami-
-No, scusami tu, grazie per la Coca Cola, pago io domani, voglio dire, se vuoi vedermi anche domani, io sarò qui perché ehm, il mio amico si è trovato una ragazza e io sono solo-
-Non vorrai cominciare a bere? Quanti anni hai? Sedici? Diciassette?-
-Ne ho quindici e comunque io non bevo, non ho mai bevuto- sei un attore nato, Kirschtein, mi fai quasi schifo.
-Quindici? Wow, disegni come un professionista-
-E’ solo perché tu non sei un esperto, probabilmente, ed evidentemente non ne sai niente di anatomia perché senno avresti notato che ti ho fatto il braccio un po’ troppo lungo e le orecchie sono un po’ troppo piccole; mi faccio schifo-
-Vorrei avere più tempo per dirti quanto stupida è la tua affermazione, ma ora non ne ho. Scusami, ci vedremo domani allora, Jean-
Il modo in cui si stava alzando, appoggiando le mani su tavolo, come se non avesse paura che esso cedesse e si spaccasse, ed io lo ammiravo per quello.


 
Ero tornato a casa a piedi e non m’importava per nulla del buio che mi circondava, tantomeno m’importava di ladri o dell’uomo nero, volevo dimenticare Marco. Volevo far finta che fosse tutto sogno, per mantenere la sua bellezza e purezza; tutti sanno che i sogni son meglio della realtà. Avevo voglia di qualcosa da bere e non era dicerto una Coca Cola ciò di cui aveva bisogno.
Era un sabato sera, mia madre faceva la notte in ospedale e mio padre era a dormire con mia nonna, cosa che capita spesso poiché mia nonna non sa nemmeno quando è il suo compleanno ormai; povera donna, mi avrebbe fatto anche pena se quella vecchiaccia non mi avesse fatto allungare le orecchie di dieci centimetri a forza di tirarmele.
Sapevo dove c’era la riserva, nell’armadietto vicino alla collezione di tazze di mio padre.
-Due, tre e una bottiglia di vino-
Dovevo chiamare Armin, lui è il mio migliore amico, lui mi avrebbe richiamato dopo qualche ora e mi avrebbe fermato nel mio intento di distruggere tutti i pochi neuroni funzionanti.


-Armin, chiamami quando hai finito di studiare le tue stupide scienze umanistiche che ho molta birra e poca voglia di rimanere sobrio- avevo dovuto lasciare un messaggio in segreteria e quel bastardo.
Non mi piaceva molto la birra, ma ho scoperto che quando pensi tato quella scenda come se fosse olio. Ripensavo a Marco e cercavo di imprimermi in testa che non avrei dovuto farlo ancora. Così ho cominciato a pensare ai miei voti in matematica che erano troppo sotto alla media, ai miei genitori che non si sbattano dei miei risultati in arte e continuano ogni giorno a ricordarmi del fallimento che sono in scienze. Pensavo a quanto amassi la chitarra, ma non avevo mai avuto le palle di dirlo ai miei e mi ero allenato con dei video su YouTube. Pensavo al mio futuro, a come nessuno al mondo avrebbe mai potuto apprezzare chi io ero e di colpo mi è tornato in mente Marco; Marco che mi ha detto più cose gentili lui in due ore che tutta la mia famiglia in quindici anni.
No. Non posso.
Mi stavo ricordando di tutte quelle brutte esperienze con i miei “amici”. Di come mi sia comportato da stupido con Eren o con Mikasa e la prima bottiglia era andata.
Poi la seconda.
Infine la terza.
Ogni tanto ripensavo a quelle dolci lentiggini e quei capelli colo dell’ebano che Marco mi ha mostrato.
Inizio il vino, fa schifo, di solito il vecchio ha vini migliori. Mi squilla il telefono, il mio cervello non ragiona più.
-Jean, come stai? Cosa succede?-
-Malco mi ha destrutto Almin, te lo dico io-
-Chi cazzo è Malco?-
-No Malco! Idiota! Io sto parlando di quel, ehm, angelo? Shi, di quell’angelo che prima mi ha rovinato la vita-
-Ora capisco tutto, quel Malco! Il famoso Malco!-
-Ho detto Marco! Lui ha diciannove anni e sarebbe tipo troppo illegale-
-Hai fatto qualcosa d’illegale? Jean, dimmi tutto, ok?-
-No, stupida merda, farmelo sarebbe illegale! Voglio dire, per ora quattro anni sono troppi! Io ne ho quindici, lui diciannove, cosa può venire fuori? Niente, te lo dico io-
-Quindi c’è questo Marco che ha diciannove anni e che tu ti vuoi fare, ma è tipo illegale? Ma cosa cazzo dici, Jean?!-
-Ascoltami, Armin, il mio fegato sta per farsi strada attraverso le mie interiora, il mio neurone è in lutto e ho ancora mezza bottiglia di vino scadente, può solo dire che Marco è diventato la mia vita. Marco è il mio principe azzurro ed io non posso averlo! Ricordi quado ti ho detto che pensavo di essere aromantic? Sarei tipo super romantic con lui, Armin. Voglio disegnarlo per sempre, voglio solo che tutto cambi e che i miei non mi vedano solo come un nome vicino ai voti scolastici e che qualcuno s'interessi a me e che per una volta, una sola, tutto vada bene. Per quanto io voglia credere che tutto andrà bene, non riesco a farlo! Come farà tutto ad andar bene?-
-Jean, smettila di bere, dormi, vomita l’anima e comincia a capire che tutto andrà per il meglio! Fanculo la legge, Jean! Vai là fuori e portati Malco a letto quanto vuoi!-
Dopo ho chiuso il telefono, penso, o forse mi sono solo addormentato, non ricordo.
Ricordo che la mattina avevo ancora le lacrime agli occhi e mio padre aveva buttato via tutte le bottiglie, lasciando solo quell’aria di delusione intorno a me.
 
Da: Connie il super macho
Ehi amico tt ok?? Ieri e andata bn? Dimmi!


Per: Connie il super macho
No e smettila di cambiare il tuo nome nella mia rubrica


Da: Connie il super macho
Mai amico. Cmq, come mai così stronzetto gg?


Per: Conie il super macho
Post-sbornia

Da: Connie il super macho
Sei una stupida merda, Jean.

 
La testa non mi faceva poi così tanto male, ma lo stomaco mi faceva morire. Volevo morire, avevo bisogno di farlo.
Erano le due di pomeriggio ed io dovevo fare i compiti di matematica, ma a quel punto on m’importava un bel niente.
Marco.
Di lui m’importava ancora, anche dopo tutto ciò che ho fatto per dimenticarlo.

Da: Armin
Tutto bene? E Marco? Ancora illegale?


Per: Armin
Mi odio. Odio tutti, tutti tranne te che sei la luce dei mie giorni. Ti prego Armin, sposami.


Da: Armin
Nah, Anna si arrabbierebbe :)


Quello stronzo ha sempre avuto un ragazzo, ragazza o trans che sia. Lo giuro, ha avuto (e continua ad avere) in mano tutte le mutande di chiunque lo conosca.


Per: Armin
Fanculo tu e la tua vita amorosa del cazzo. Regalami un fidanzato, cazzo.


Da: Armin
Da quando sei gay?


Per: Armin
Facciamo che mi dai un gatto così non sono né gay né eterosessuale.


Da: Armin
Gattosessuale


Per: Armin
sposo un gatto


Da: Armin
Sposa tanti gatti


Credo che la mattinata sia andata avanti così, io e Armin che parlavamo di gatti. Lui sa sempre come distrarti, come risolvere momentaneamente un problema. Fatto sta che io non sono mai riuscito a superare il trauma di vedere davanti a me tutti i problemi che mi hanno accompagnato per la vita, lasciando segni indelebili.
Proprio nel momento in cui ho pensato che la cura che mi serviva era racchiusa in un uomo, ho compreso che questa suddetta cura fosse troppo lontana da me.
Ero solo, ma avevo Armin. Ora capisco cosa vuole dire. Lui c’era per me e non se n’è mai andato, ma io continuo a pensare che Eren sia la cura che Armin cerca ma non riesce a raggiungere.”
 
 
 
-Armin! Cosa c’è?-
-Lasciami zia, lasciami!-
Armin è entrato a casa e sua zia stava sistemando un po’ la casa.
-Perché piangi?-
-Cavolate zia, cavolate-
La zia insiste, ma da Armin non esce una parola, si chiude però in camera sua e comincia a stringere un cuscino tra le sua braccia.


Da: Eren
Scusa per prima, baby, voglio solo che tu sappia che non sono arrabbiato con Jean, anche se non si può mai dire, sai che amo essere arrabbiato <3 Però se è tuo amico è mio amico, almeno credo  <3

 
Da: Jean
Non cambio idea, ma tu prova a farmela cambiare



 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note:
Scusatemi! Scusatemi! La scuola mi ha sopraffatto e la relazione tra me e il latino è complicata.
Ora pubblicherò ogni domenica, dopo che ho fatto un duo conti.
Sì, so che è lunedì (o meglio martedì), ma comunque o lunedì o domenica fa lo stesso (si brava Meg, continua così)
Spero vi sia piaciuto e recensite! Grazie mille <3
Ora torno al mio litigio con la geografia, scusate!

A domenica, Meg <3
  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti / Vai alla pagina dell'autore: Meg Explosion