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Autore: Lely_1324    23/09/2014    6 recensioni
Sarà il loro più grande segreto, che li porterà a vivere una straziante storia d'amore. Dovranno confrontarsi con la clandestinità e la passione ...Ma nella città dell'amore tutto è possibile!
JENNIFER MORRISON- COLIN O'DONOGHUE
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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L.A. 21  7:00 a.m.

Emerse a fatica dalla coltre di sonno che lo avvolgeva, infastidito dalla debole luce che gli filtrava attraverso le palpebre. Tenne gli occhi chiusi, mentre il suo cervello cominciava a ricordare gli avvenimenti della sera prima e a decifrare le sensazioni del presente. Era sdraiato a pancia in giù su un morbido divano, il viso affondato nel cuscino: qualcuno aveva provveduto ad adagiargli una calda coperta sulla schiena. Intuendo una presenza al suo fianco, sollevò il mento sul cuscino e si decise ad aprire gli occhi: era seduta sulla sua poltrona, l’abito della sera precedente era stato rimpiazzato da un semplice pigiama, che si intravedeva appena sotto la vestaglia di cotone grezzo. Lo guardò tranquilla, sorridendogli: lui intuì che era da un po’ che lo stava guardando, aspettando il suo risveglio. Stranamente, non si sentiva a disagio: forse dipendeva dal pianto liberatorio di poche ore prima, che gli aveva placato i nervi e rilassato le membra, o forse dipendeva da quello sguardo stanco e delicato che si era posato su di lui. Era come una carezza.
“Buongiorno” disse Jen “sono le 7 passate”.
“È tardi” rispose lui . Ma non sembrava avere fretta.
“Non hai chiuso occhio, vero?” continuò, osservando i cerchi blu sotto i suoi occhi verdi.
Jen non si preoccupò di replicare, limitandosi ad alzare le sopracciglia: “Non importa. Tanto dovrò raggiungere gli studios solo nel pomeriggio...vuoi fare una doccia?”
"...non disturbarti, preferisco farla direttamente là. Ho un trailer superaccessoriato!”
Jen si stropicciò le mani, vergognandosi di quella offerta inopportuna: “Come vuoi. Ma lascia almeno che ti prepari un po’ di caffè.”
Colin annuì in silenzio, e lei scomparve in cucina. Sul tavolino della sala stavano ancora sparsi i regali che le aveva portato; sorrise impercettibilmente, dandosi un’occhiata furtiva nel vetro e passò una mano sugli occhi gonfi, sconsolato dal proprio aspetto. Lei era sempre bellissima, in qualunque condizione fosse. Sentì i suoi  passi che lo raggiungevano di nuovo, accompagnati dal forte aroma di caffè. Gli porse la tazza e si riaccomodò sulla poltrona con la sua in mano, esattamente come aveva fatto la sera prima. Ancora loro due in quel salotto semibuio, intenti a sorseggiare in silenzio il proprio caffè: la stessa scena, così uguale eppure così profondamente diversa. C’era sempre quella distanza di sicurezza fra i loro corpi, ma entrambi percepivano una connessione nuova,  una connessione che non dipendeva più dal desiderio, ma da qualcosa di più calmo e confortante.
Il suo caffè gli sembrò più dolce e più buono. Lo riscaldò fin nelle ossa.
Si alzò in piedi, raccogliendo lo zaino e prendendo il proprio giubbotto dallo schienale di una sedia: “Mi apri il garage e il cancello per favore? Vado a prendere la moto.”
Jen si alzò a sua volta, tornando bruscamente alla realtà: “Sì, certo. Colin...non ti ho ringraziato per i tuoi regali.”
 “Lascia stare. Non si tratta di diamanti costosi.” Entrambi pensarono subito all’anello di fidanzamento che Sebastian le aveva comprato giusto un anno fa. Non sapeva neanche lui come diavolo gli fosse uscita quella frase infelice.
“Meglio così. Non tutti i diamanti sono per sempre” sussurrò Jen.
Lui la penetrò con quell’azzurro ghiaccio e la vide rabbrividire sotto il suo sguardo. Ma era tardi, doveva andare.
“Grazie a te per il caffè." Jen sorrise, poi alzò gli occhi per incontrare quelli di lui, come a volerlo salutare: “Ci vediamo nel pomeriggio allora.”
“Va bene”.
Le si avvicinò piano, e appoggiò le labbra sulla sua fronte scoperta, indugiando innocentemente in quel tocco.
“Dormi un po’, angelo.”
La sentì annuire timidamente sotto il suo bacio. Si staccò con lentezza da lei, e andò a recuperare la sua moto. Jen lo seguì, manovrando il telecomando del suo cancello per permettergli di uscire, e lo guardò andare via. Quindi rientrò in salotto, prese il 33 giri di Davis dal tavolino e lo posizionò sul giradischi che suo padre le aveva regalato quando si era trasferita a Los Angeles. Lasciò che la musica colmasse tutta la solitudine di quella casa, si tolse la vestaglia e si distese sul divano, appoggiando la guancia sul cuscino e avvolgendosi nella coperta, ancora impregnata del suo calore e del suo profumo. 

Parigi 5 Ottobre 2:00 Pm
Si sforzò di tenere gli occhi aperti, per non perdere nulla del panorama che scorreva veloce al di là del vetro appannato. Mentre a Los Angeles batteva ancora un sole estivo, qui il clima era quasi autunnale e le provocava dei piccoli brividi lungo la schiena: doveva ammettere però che Parigi era più affascinante attraversata dal freddo, con la sua pioggia leggera e i cappuccini fumanti.
Cristina: “Va un po’ meglio, Jen?”
“Sì grazie! Ho sempre una leggera nausea dopo questi viaggi transoceanici, ma adesso sta passando” rispose, sorridendo alla sua stilista, seduta sul sedile anteriore di fianco all’autista.
Cristina: “Bene. Come sai, stasera abbiamo la cena alla Maison Boucheron, e ti voglio assolutamente raggiante, tesoro!”
“Cercherò di fare del mio meglio” replicò , alzando gli occhi al cielo.  Cristina  era costantemente iperattiva e attenta ai minimi dettagli: ma doveva esserle grata per averle procurato l’invito alla prestigiosa settimana della moda, nientemeno che nella capitale francese. Era un’ottima occasione di visibilità, e un piacere, dopotutto.
Voleva assolutamente dedicare quei giorni a se stessa, mostrarsi più bella e sorridente che mai e godersi la magia che questa città sapeva offrirle, senza per questo ritornare sui ricordi della scorsa estate. Ma sapeva di mentire a se stessa, e questa consapevolezza divenne ancora più evidente quando l'auto accostò dinanzi all’ingresso di un hotel che le era ben familiare.
Cristina: “Non capisco perché hai insistito nel voler prenotare al tuo vecchio hotel! Avresti dovuto soggiornare insieme a me al Bradfort, ha una collocazione migliore e un servizio ineccepibile..”
Jen uscì dalla vettura, sbuffando leggermente: “Lo sai che mi affeziono a certi posti, alle persone.." e qui si interruppe bruscamente.
Cristina: “D’accordo, oggi abbiamo il pomeriggio libero e puoi riposare quanto vuoi: ma stasera ti passo a prendere alle 7, ed esigo di trovarti in tutto il tuo splendore!”
Jen le mandò un bacio con la mano, mentre due ragazzi si avvicinarono per prenderle i bagagli e accompagnarla nella hall.


La camera era la stessa, uguale a come l’aveva lasciata la scorsa estate: lo stesso arredamento, gli stessi colori. Solo il copriletto era cambiato, pensò Jen, accarezzando la trapunta e cercando di rilassarsi.
Non aveva ancora visto Philippe, il simpatico garcon che l’aveva servita con discrezione durante il suo ultimo soggiorno..ma aveva chiesto di lui, e le avevano detto che avrebbe ripreso servizio il giorno dopo. Jen rise sommessamente col viso premuto sul cuscino, e si raggomitolò come un gatto, cercando di scacciare quel freddo pungente che le era penetrato fin nelle ossa. Forse stavolta il jet lag l’aveva sballata più del previsto; o forse aveva fatto male a rimettere piede in quella camera d’albergo.
D’un tratto il suo cellulare squillò per l’arrivo di un sms: 
- Hey! Ti avevo detto che mi sarei fatto vivo:  tu sei viva? Le news di prima mattina non parlano di disastri aerei, ma se mi rispondi sto più tranquillo.-
 Jen schioccò le labbra, cominciando a digitare sulla tastiera:
- Purtroppo non mi sono schiantata su qualche isola tropicale in compagnia di aitanti giovanotti..sono a Parigi come da programma, presa in ostaggio dalla mia stilista personale. -Dall’altra parte del globo, un uomo si grattò nervosamente la barba
-Mi permetto di ricordarti che non lavori per Hoorwitz e che la prossima settimana ti aspettano alcune scene con un aitante giovanotto irlandese- Jen sorrise trionfante al pensiero di averlo indispettito:
- Allora ci vediamo tra qualche giorno- 
-Cerca di divertirti. Mi manchi da impazzire.
. - Jen chiuse il telefono, portandoselo al petto. Aveva detto che l’avrebbe chiamata. Ad essere onesti, non l’aveva proprio chiamata: ma un sms era un sereno compromesso per entrambi. 
Perché, da quella casta notte in cui avevano festeggiato in ritardo il suo compleanno, le loro vite si erano accomodate in un sereno compromesso. Avevano ripreso a mangiare allo stesso tavolo in mensa, ma solo in compagnia degli altri; avevano ricominciato a ridere e scherzare,anche se non con la stessa complicità di prima; e avevano ricominciato a parlare, a raccontarsi le giornate, ma senza scendere nel particolare. Certo lei non gli aveva raccontato di aver ballato da sola, ad occhi chiusi, sulle note di It never entered my mind; e ovviamente lui non le aveva confidato di aver continuato a farsi la doccia con quel bagnoschiuma alla vaniglia. Questi erano ormai gesti imbarazzanti e solitari, che non appartenevano più alla vita reale. La vita reale contemplava l’affettuosa amicizia di due persone adulte, che avevano condiviso un’esperienza folle e non volevano più farsi del male, perché tenevano l’uno all’altra. Ma nessun compromesso poteva essere perfetto: qualche volta lei si lasciava andare al piacere di stuzzicarlo nella sua natura possessiva, e lui si lasciava cadere nella sua trappola, per il piacere di risponderle a tono e vederla allontanarsi in una camminata un po’ rigida, ipnotizzato dal movimento ondulatorio dei suoi fianchi. Qualche volta lei si sentiva addosso un freddo insistente, e aveva quasi voglia di piangere, pur non sentendo alcun tipo di dolore: come in quel preciso istante. E qualche volta lui faticava più del solito a tirarsi fuori dal letto, e spegneva il cellulare per evitare che Helen lo chiamasse: come in quel preciso istante.



Parigi, 5 Ottobre, 9:30 p.m.

Vagò con gli occhi per la sala, un po’ frastornata da tutta quella gente famosa e al contempo sconosciuta, e dai flash che i fotografi le sparavano all’improvviso in pieno volto. Cristina l’aveva lasciata da sola per raggiungere la cerchia dei protetti di Karl Lagerfeld, promettendole che più tardi glielo avrebbe presentato. “Nel frattempo, vai verso l’uscita della boutique tesoro, e mettiti in mostra per i paparazzi!” le aveva detto prima di piantarla sui due piedi. E Jen l’aveva accontentata, anche perché non aveva nient’altro di meglio da fare. Aveva assistito con grande interesse alle sfilate di quei giorni, ma le cene e i cocktail di benvenuto l’avevano messa un po’ a disagio, circondata com’era da stilisti strampalati ed ossequiosi e da modelle petulanti o, al contrario, esageratamente silenziose. Anche i party di Los Angeles erano spesso noiosi e superficiali, ma quello era ormai il suo territorio dove aveva imparato bene come muoversi.
“Odio queste stupide feste” la raggiunse una voce alle sue spalle.
Jen si voltò, scrutando meravigliata l’espressione acuta e intelligente di una giovane donna.
“Jennifer Morrison, vero? Sono felice di fare la tua conoscenza” disse, rivolgendole la mano.
“Il piacere è tutto mio, signora Coppola..” rispose, stringendole la mano con emozione.
“Signora Coppola?! Mio Dio Jen, non rivolgerti a me come se fossi davvero una donna di Cosa Nostra..”
La regista le sorrise, rassicurandola: “Ti prego, chiamami semplicemente Sofia. Ho solo qualche anno più di te!”
Jen: “Lo so lo so..e che mi avevano informata che avresti partecipato alla serata, e ci tenevo davvero a conoscerti..”
Sofia: “E io ci tenevo a conoscere te! Sono una tua fan, sai?”
Jen rise dolcemente, scrollando le spalle: “Sei troppo buona, Sofia..”
Sofia: Sai, tu e Colin sareste stati perfetti per un film che ho girato anni fa..”
“Lost in translation?” azzardò Jen timidamente.
“Già, proprio quello!” rispose Sofia, evidentemente compiaciuta.
“Devo ammettere che è il mio preferito, fra i film che hai diretto” continuò Jen “è poetico e delicato..”
Sofia: “Ti ringrazio. Forse è davvero il fim che mi è riuscito meglio...Ad ogni modo, senza togliere nulla a Bill e Scarlett, Colin sarebbe stato davvero perfetto nel ruolo dell’artista in decadenza, e tu saresti stata una Charlotte fresca e convincente..più che altro, è la vostra intesa ad essere incredibilmente convincente!”
Jen arrossì di nuovo: “Mi lusinghi Sofia, ma esageri..la Johansson è stata bravissima in quella parte, e c’era affinità con il suo collega..”
Sofia: “Sono attori straordinari, ma non ho mai avuto la fortuna di dirigere due partner con una chimica così spontanea e potente come la vostra”
Jen finì il drink che teneva in mano da circa mezz’ora, per evitare di parlare ulteriormente di Colin, nel timore che la sua interlocutrice potesse scorgere nelle sue parole il turbamento che l’aveva assalita al ricordo di lui, e di ciò che avevano saputo creare con i loro personaggi. Cercò dunque di portare la conversazione su altri binari: “Sai, non è la prima volta che vengo a Parigi, e la adoro, ma mi sento sempre un po’ smarrita quando sono lontana da casa..”
Sofia: “Penso sia normale, a me piace passare lunghi periodi in Europa e in Giappone, ma solo quando sono a New York mi sento a casa. Però, come ho cercato di far capire con il mio film...smarrirsi in un paese straniero può voler dire ritrovare se stessi”

*************************************
Era passata da poco la mezzanotte, e non si decideva ad alzarsi da quella panchina, raggomitolata nel suo cappotto Chanel e cullata dal gorgoglìo della Senna e da una melodia proveniente dalle strade del centro. A Parigi la musica non mancava mai. Di fronte a lei, i camerieri della Brasserie Lipp si affrettavano a capovolgere le sedie sui tavoli all’aperto, non degnandola di uno sguardo: dovevano chiudere il locale, e non avevano il tempo di intrattenersi con quella misteriosa sconosciuta nascosta nell’ombra. Jen avrebbe voluto entrare, comprarsi qualche prelibatezza e salutare il gestore, che era stato così gentile con lei la scorsa estate, ma già la conversazione con Sofia l’aveva immersa in un mare di acuta malinconia, e temeva di scoppiare a piangere se qualcuno le avesse rivolto di nuovo la parola. Perciò si limitava a starsene seduta da sola, sulla soglia dei ricordi.
Il cellulare squillò, facendola sobbalzare: Jen lo aprì di scatto, senza controllare la provenienza della chiamata: “Si..?”
“Sono io, Colin.”
Proprio adesso..Jen si morse il labbro, inspirando a pieni polmoni: “Hey..tutto bene lì in America?”
“Sì..ti sento strana, stai bene?”
Jen: “Certo, sono solo un po’ stanca di tutte queste feste..sei al lavoro?”
“No..” rispose con un certo fremito nella voce “ oggi ho avuto la grazia del venerdì libero. Ma ho un appuntamento..”
Un appuntamento..Jen lo interruppe subito, sentendo le lacrime pizzicarle gli occhi: “Sei stato gentile a chiamare, ma non voglio disturbarti se vai di fretta..” e in sottofondo sentiva distintamente il traffico di Los Angeles.
 “Non vado di fretta..sicura di star bene? Forse stavi dormendo e ti ho svegliata..”
“Sto benissimo!”  rispose Jen stizzita , al colmo dell’irritazione “sc-scusami..è che ho già un padre che me lo chiede in continuazione, non ho bisogno di altre premure di questo tipo...se proprio vuoi saperlo, sono sulla Rive Gauche, a godermi la notte parigina”
Colin esitò un momento prima di parlare: “Da sola?”
Ma in quel momento lei era troppo agitata per compiacersi della sua gelosia: “Sì, da sola” rispose seccamente.
Colin: “Non dovresti andare in giro da sola, di notte, per le strade di una città straniera... potresti perderti..”
Jen: “Sai cosa ho capito stanotte? Ho capito che smarrirsi in un paese straniero può voler dire ritrovare se stessi”
Silenzio.
E subito dopo, all’improvviso, un braccio possente le cinse le spalle: “Beh, io ho ritrovato te, Jeanne”




  
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