Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Nayuki911    24/09/2014    2 recensioni
E pensare che tutto era iniziato con una banalissima lite.
Poteva davvero essere una svolta nella sua misera vita?
Sarebbero state due anime destinate ad unirsi, o a scontrarsi senza esito?
Genere: Drammatico, Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mikasa Ackerman, Rivaille, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2


Ci mise un po’ ad aprire gli occhi e notare che l’orologio sul comodino segnava le 8.10. Sbadigliò silenziosamente, si alzò dal letto controvoglia, del resto, quattro ore di sonno non erano proprio il massimo. Non importava, aveva un compito da svolgere, e stanca o meno, non aveva tanta scelta: si trattava della vita di qualcun altro, e quella valigetta avrebbe potuto fare la differenza. Si stiracchiò fino a far scrocchiare ogni singolo muscolo, dopodiché andò dritta a darsi una sciacquata, non fece neanche colazione. Prese un paio di jeans, quelli già sistemati sulla poltroncina ai piedi del letto, una maglioncino, cappottino blu, borsa, sciarpa, berretto di lana, e.. ah, quasi dimenticava la valigetta. 
 Stava per uscire dalla porta, quando fece un balzo indietro; lasciò in fretta e furia un bigliettino sul tavolo della cucina, con su scritto: 

Farò un po' tardi. Nel frigo c’è da mangiare.”


Messo il naso fuori, strinse la giacca al petto, l’aria era molto fredda, ma per lei non era mai stato un problema: amava il freddo. Chiuse il portoncino alle spalle, e come ogni mattina, quando decideva di uscire, cercò un autobus che la portasse a destinazione.
Si rigirò il foglietto tra le mani, quello in cui aveva appuntato l’indirizzo dell’ufficio, la sera prima. Lo mise in tasca, pregando con tutto il cuore di arrivare in tempo.
O di arrivare e basta.


 
*****************************


«Sono fottuto.» 
«Che accoglienza! Buongiorno anche a te, comunque. Ah, bel parcheggio! Caffè macchiato?»
Erwin tese una mano, porgendogli il bicchiere; lo accettò senza se e senza ma, a giudicare dal coperchio trasparente appannato, aveva l’idea di essere davvero caldo, e in una mattinata gelida come quella, faceva davvero piacere.
Lui odiava il freddo
« ..grazie. Ma resto comunque fottuto,» bevve un sorso, talmente in fretta che quasi si ustionò la lingua. «Porca puttana.» 
«Ehi, calma! Sbaglio o sei un po’ agitato, stamattina? Entriamo, così mi racconti. Dov’è la tua valigetta? Ah, che freddo spizzichino!»
Levi lo seguì, roteando gli occhi al cielo, più volte. Quell’uomo sembrava sempre sulle nuvole, ancora si domandava cosa lo spingesse a fidarsi ciecamente di lui. 
Quando misero piede nell'edificio, un tepore si diffuse fin dentro le sue membra, grazie al cielo i riscaldamenti erano già in funzione, e dentro un ufficio come quello, era il minimo. 
Era un palazzo di vetro, quarantasei piani. Da lassù si poteva ammirare un panorama spettacolare; si ergeva al centro della città di Ginza, e come tutti gli edifici nei dintorni, non passava di certo inosservato. Per la gente che viveva lì, non era affatto una sorpresa.
«Dritto al punto. L’ho persa. Temo di averla lasciata al pub, ieri...»
Per poco Erwin non si strozzò con il caffè.
«Scusami, non.. credo di aver capito bene-»
«Mi hai capito benissimo. Me ne sono accorto stamattina. Mi sono svegliato, sono uscito di casa, e la valigetta non c'era. A quel punto mi è venuto come un flash, e temo di averla lasciata lì.»
«Merda. Questo è un problema. Hai provato a chiamare al locale?»
«E' un pub notturno, non è aperto la mattina, idiota.»
«Lo dicevo io, che avere il numero di una di quelle belle fanciulle sarebbe servito a qualcosa, ahah!»
Nessuna risposta, solo uno sguardo dei suoi, sottili, pungenti, più affilati di mille coltelli. E quelli di Levi erano piuttosto pesanti.
«--! Scherzavo!»
«Sono fottuto.»
«Lo hai già detto. Non hai delle copie dei documenti, sul computer che hai in ufficio?»
«Non tutti. E la presentazione che avrei dovuto fare oggi.. era tutto lì dentro, dannazione..»    
«Calmo, calmo, adesso vediamo come fare.. Ah, buongiorno, Petra!»
«Buongiorno Erwin. Levi.»  
Levi fece un cenno di capo, liquidandola quasi subito, entrando nella sala riunioni. Al momento le sue priorità erano ben altre, e se non avesse trovato in fretta una soluzione, sarebbe stato un grosso guaio.
Erwin si scusò con la collega, raggiungendo l'amico, stando certo di essersi chiuso la porta di vetro alle spalle.
«Potresti essere un tantino più gentile, con lei, Levi. Sai che ti viene dietro da secoli!»
«Non mi interessa, e lo sai già.» Si abbandonò su una sedia, nello sconforto più totale, le mani sulla fronte; quanto avrebbe voluto strapparsi i capelli.
«Su, su, avrai tempo per la calvizie, intanto rilassati. Vedremo di temporeggiare, magari possiamo tenere la presentazione insieme.» cercò di incoraggiarlo, prendendo posto accanto a lui.
«E che documenti presenterò, quando mi chiederanno dimostrazioni e tesi?»
«Levi. Un episodio simile può succedere a chiunque, non sei né il primo e né l'ultimo. Andrà tutto bene, rilassati. Ancora è presto, per la riunione, e tu hai bisogno di tranquillizzarti.»
Erwin era così, diplomatico, un bonaccione. La faceva sempre facile, anche quando le cose si mettevano male. Aveva sempre una soluzione, era la calma fatta a persona. 
«Mi serve un altro caffè,» proferì, sbatacchiando il suo bicchiere ormai vuoto.
«Vai a prenderlo, il tizio all'angolo della strada li fa veramente buoni, come hai visto. E.. non fare quella faccia, c'è freddo ma ne varrà la pena. Non ti sei nemmeno tolto la giacca, ci credo che prendi l'influenza, poi!»
Levi annuì con un cenno scocciato, lasciandolo lì a parlare praticamente da solo. Forse non avrebbe dovuto criticarlo, in fin dei conti, senza uno come lui, sarebbe stato perso; non per nulla, era stato proprio Erwin a trovargli quel lavoro benestante, l'unico a scorgere del potenziale in lui. Senza, probabilmente starebbe ancora vendendo crocchette di pollo.
Si voltò appena, prima di lasciare la sala, la mano poggiata sul muro - gelido anche quello.
«Grazie, comunque vadano le cose.» 
«Dovere, Levi.»

 
***************************************


«Ah.»
Questa era stata la reazione di Mikasa di fronte a quell'immenso edificio.
Era noto e risaputo quanto quel quartiere fosse rinomato, ma considerando il suo scarso stipendio, non era solita andarci spesso. 
Sembrava piccolissima, a confronto. Una formica al cospetto di un formicaio, o forse peggio. Con la valigetta ancora in mano, si diede un'occhiata in giro: chiunque entrava o usciva da quel palazzo, aveva l'aria di essere una persona importante; i vestiti sembravano costosissimi, e.. possibile che tutti avessero una sottospecie di valigetta?
"Immagino di sì", disse tra sé e sé, salendo le scale, avvicinandosi alla vetrata che dava spazio all'ingresso. Con la valigetta ancora in mano, cercò di guardare oltre. Per un attimo, si chiese cosa avrebbero pensato, se una come lei, fosse entrata lì dentro; non che i suoi vestiti fossero da stracciona, ma la gente sembrava tutta in tiro, lì, snob, con la puzza sotto il naso. 
Fece un passo indietro, forse spaventata da tutta quella enormità, forse incantata, o invidiosa.
Qualcosa del genere, una come lei, poteva soltanto sognarla.
La tentazione di lasciare la valigetta lì davanti e scappare, divenne fortissima.
Ma non lo fece, perché era una brava ragazza, e questo era evidente, o non si sarebbe trovata in un quartiere del tutto ignoto, solo per restituire una valigetta ad un perfetto sconosciuto.
Nemmeno lo ricordava in viso. 
Perché, non lo ricordava?
Mikasa era un'osservatrice nata, ma a volte guardava senza guardare. Era stato lui a pagare il conto? Proprio non riusciva ad immaginarsi il suo volto, quella sera era troppo sovrappensiero, come tutte le altre, del resto.
Si voltò di scatto, scese le scale a raffica, avrebbe dovuto lasciare quella valigetta al locale, sicuramente l'uomo sarebbe venuto a cercarla e tutto si sarebbe risolto nel migliore dei modi. Che ci faceva una come lei, lì? 
Si sentì improvvisamente osservata, con mille che occhi puntati addosso; ci mancavano solo le palpitazioni. La mano serrata sul manico della valigetta, l'altra a tenere la borsa, i piedi camminavano praticamente da soli, non sapeva neanche cosa stesse facendo.
La vista si annebbiò all'improvviso.
L'edificio fu l'ultima cosa che vide, prima di sentire una fitta lancinante alla testa. Avvertì un dolore fortissimo al braccio, e cadde a terra come una pera cotta.



Tutto bene..?

Cos'era quella sensazione di umido, addosso?

Oi, ragazzina, tutto bene?

Qualcuno la stava chiamando. Era forse morta? Com'era successo?


«Ma tu guarda che ragazzina impertinente, mi hai versato addosso tutto il caffè. Hai idea di quanto costi, una camicia come questa?»

Aprì gli occhi, lentamente. Una piccolissima parte della folla che poco prima la osservava curiosa, era intorno a lei, bisbigliava cose che non riuscì a comprendere, per via del ronzio alle orecchie. Un uomo dai capelli corvini la fissava intensamente, la fronte corrugata, lo sguardo forse preoccupato. 
Ah, era uno di loro. Uno di quelli eleganti, in tiro, con la giacca da mille bigliettoni. La camicia bianca era macchiata di marrone, e adesso si spiegò la sensazione di umido addosso; era probabile che durante l'urto, gli avesse versato il caffé addosso, e adesso aveva persino una camicia sulla coscienza. Capì immediatamente che lo sguardo di preoccupazione era più rivolto al suo indumento costoso, che a lei.
Sbatté le palpebre più volte, prima di mettere a fuoco il viso dell'uomo; era davvero elegante, fine, il naso all'insù, i capelli neri con un taglio bizzarro le ricordarono qualcosa. Che fosse lui l'uomo che cercava? 
No, era impossibile.
Avrebbe sicuramente ricordato degli occhi così.
Di ghiaccio, magnetici. Le mani sotto la sua schiena erano fredde, lo poté sentire anche attraverso la stoffa del cappotto. Non riusciva nemmeno a parlare, non appena ci provava, avvertiva un senso di nausea, come se dovesse vomitare da un momento all'altro. Sentiva lo stomaco compresso, un gran mal di testa, e tutto ciò che voleva, era andare a casa, mangiare qualcosa e farsi una bella dormita. 
Ma prima aveva quella commissione da sbrigare.

«L-Le..»
«Stai bene? Gesù, perché non guardi dove metti i piedi, la prossima volta?»
«...»
«.. ci siamo già visti?.. Stai male?» La osservò a lungo. Quegli occhi neri, adesso del tutto aperti, gli riportarono in mente la serata precedente. Con tutte quelle cianfrusaglie addosso, non l'aveva affatto riconosciuta. Eppure, la sera prima, ricordò di esserne rimasto colpito. Proprio per la sua diversità, rispetto a tutte le altre, pari a dei manichini di legno. Falsi e sbilenchi.
«Mi viene da vomitare. Deve essere stato un calo di pressione.»
«Sei a stomaco vuoto?»
«...»
«Vieni, ti aiuto ad alzarti.»
La folla cominciò a diradarsi; Mikasa poté avvertire alcuni mormorii sommessi, del tipo "Ma che cappotto ha?", "Fa a pugni con la sciarpa rossa!", "Sembra pallidissima.. dici che soffre di anoressia?" e altre frasi poco gradevoli che non facevano altro che aumentare il senso di nausea.
«Le ammazzo,» brontolò, mentre si reggeva all'uomo, per alzarsi in piedi. Notò che era un po' più basso di lei, ma evitò di farglielo presente.
«Ignora. Comunque è vero, quella sciarpa stona, con il blu del cappotto.»
«Non ho chiesto il suo parere. E comunque questa sciarpa è importante, e la metterei addosso anche con qualcosa di.. di verde.»
«Sembreresti un albero di natale.» Aggiunse l'uomo, farfugliando qualcosa di incomprensibile mentre provava a pulirsi la camicia. La accompagnò educatamente su una panchina lì vicino, facendola sedere, quindi, prese posto accanto a lei.
«Ti ho già visto, vero?» ripeté l'uomo, anche se dentro di sé sapeva già la risposta.
Con quello, Mikasa fu sicura che fosse Lui, l'uomo in questione. Come aveva fatto a dimenticarselo? Avrebbe dovuto stare più attenta.
«Lei.. si chiama Levi? Io.. ho la sua valigetta, sono.. una delle ragazze che lavorano al pub in cui è stato ieri, con il suo amico.»
Per poco, all'uomo non venne un infarto.
«Hai la mia valigetta?» chiese, quasi interdetto.
«Sì, è proprio...»
Merda. Dove diamine era la sua valigetta? Fissò il punto in cui avrebbe dovuto essere, ma la realtà è che c'era soltanto del terriccio, un po' di neve, e.. nient'altro.
«... ce l'avevo in mano, un attimo fa. Poi sono svenuta, e.. deve essere caduta da qualche parte.. nei dintorni,» balbettò confusa, ancora frastornata da quel fastidioso ronzio.
«Cosa? Stai dicendo che l'hai persa a neanche un giorno dall'averla ritrovata?» a quel punto balzò in piedi, con uno sguardo colmo d'ira, avrebbe fatto paura a chiunque. Ma non a lei. Non ad una ragazza che, se avesse voluto, avrebbe potuto stendere tutta la folla in una manciata di secondi. Scattò in piedi anche lei, forse troppo in fretta; un giramento di testa la costrinse a sedersi di nuovo, a tenersi la testa tra le mani, ma nulla le impedì di alzare la voce, benché per i suoi canoni fosse comunque bassa.
«Lasci che le dica una cosa, brutto bifolco. Io non ero neanche tenuta a portargliela, visto che è stato lei a lasciarla incustodita. Ho quattro ore scarse di sonno, non mangio da ieri, e il mio primo pensiero, stamattina, era quello di fargliela riavere, visto che sicuramente è qualcosa di importante. Ho passato un'ora intera in quel maledetto autobus, e sento ancora la puzza di sudore. Sono stanca, potrei vomitare da un momento all'altro, e lei sa solo accusarmi, persino per quella stupidissima camicia?»
Batosta numero uno. L'uomo rimase in silenzio per alcuni secondi, forse un po' accigliato; ma la punta di orgoglio gli impedì di porgerle delle scuse, almeno non subito.
«Non è una stupidissima camicia. E poi, autobus..? Quanti anni hai?»
«Diciotto.»
«E non hai la patente?»
«Non posso permettermela,» tagliò corto. Scoccò uno sguardo eloquente ai suoi abiti, sguardo che intendesse dire "a differenza sua", e quello, fu sufficiente a concludere la discussione.
L'uomo prese un profondo respiro, quindi tornò a sedersi accanto a lei, con una mano in fronte, l'altra su un ginocchio. Restò alcuni minuti in silenzio, sbuffando, osservando i minimi dettagli di quella strada tanto affollata. 
«Scusa, non dovrei avercela con te. E' che per un attimo, ho creduto davvero di essermi salvato il culo.»
«Anche io. Insomma, dopo tutta questa strada, speravo che almeno si concludesse tutto per il meglio

«Già.»
«
 .. Era molto importante, vero?»
«Già.» 
Poteva leggerci la disperazione, negli occhi di quell'uomo. Non seppe dire esattamente perché, ma per un solo attimo si rivide in lui. Il che, vista la differenza di rango, non era sicuramente possibile.
Si morse un labbro, le mani sulle ginocchia, ancora tremanti. Era mortificata, sul serio.
«Grazie comunque, ho apprezzato il tentativo,» l'uomo parlò ancora, sempre senza guardarla.
«Avrei dovuto lasciarla al pub, sarebbe venuto a riprendersela, ne sono certa.»
«Sarebbe stato tardi comunque. Ho una riunione, tra poco, e tutti gli appunti erano lì.»
«Ah. Sapevo, che era importante. Senta.. mi dia un minuto, vado a cercarla. Se qualcuno l'ha presa, non potrà essere poi così lontano. Sono velocissima a correre. E-»
«Se provassi a correre, cadresti a terra in un attimo, nelle tue condizioni attuali.»
«...»
«Non importa, davvero. O meglio, importa, ma è andata così. Adesso è meglio che vada. Cercherò di salvare il salvabile.» Guardava dritto dinnanzi a sé, con lo sguardo un po' perso, finché non si alzò definitivamente, rivolgendole uno sguardo piuttosto calmo. Non aveva nulla a che vedere con l'uomo che si era lamentato per la propria camicia. Era diverso, nella sua eleganza. Sembrava diverso dagli altri. A quel punto sentì il dovere di scusarsi, anche per tutto il resto.
«Mi dispiace. Anche per averla urtata, insomma.. la sua camicia. Io, davvero non-»
«Fa niente. Ne ho altre. Oggi non potrebbe davvero andare peggio.» La salutò così, con un cenno di capo, senza neanche guardarla in viso.
 
Mikasa, ancora intontita, rimase seduta per un po', afflitta. Da un lato, il senso di colpa devastante, dall'altro, la rabbia di essersi persino presa un rimprovero, nonostante tutto. Una come lei, lì, era decisamente fuori posto.


 
********************************


«Levi, dove diavolo ti eri cacciato? Ho una notizia bellissima!» Erwin lo riaccolse a braccia aperte, alzandosi persino in piedi.
«Tutto questo è un sogno e io non sono davvero fottuto?»
«Hanji ha trovato la tua valigetta!»
«..Prego?»
«Sì, sì! Nella confusione, qui fuori, ha visto questa valigetta in mezzo al nulla, e.. sai com'è Hanji, no? Ha l'occhio di falco, l'ha riconosciuta subito e ha pensato di prenderla! L'etichetta con il tuo nome le ha dato la conferma definitiva! Non è buffissimo? Ah, i miracoli!» Si chinò, sparendo sotto il tavolo, facendo uscire fuori una valigetta nera, quindi gliela sventolò davanti, soddisfatto.
Non poteva crederci. 
Era la sua valigetta, esattamente come l'aveva lasciata. Ebbe l'istinto di gettarsi sopra il tavolo e prenderla in mano, tant'era rincuorato, ma prima.. c'era un'altra cosa che doveva fare.
«..sì, i miracoli. Ascolta, devo andare un attimo qui fuori, torno subito, ci metterò un attimo.»

Lasciò Erwin a bocca spalancata, con la valigetta ancora sospesa a mezz'aria, incredulo.

Non riusciva a crederci, quella ragazza, in qualche modo, gli aveva davvero salvato la vita.
Si precipitò fuori dall'ufficio, anche solo per rincuorarla, dirle che tutto si era sistemato, e che poteva stare con il cuore in pace.
Solo in quell'istante di serenità interiore, si rese conto di averla trattata davvero male. Non se lo meritava per niente, in fondo aveva fatto tutta quella strada solo per portargli la valigetta e salvargli la carriera. Il fatto è che era talmente sovrappensiero che non gli importava nulla, al di fuori del suo lavoro.
Non le aveva neanche chiesto il suo nome.
Si sarebbe decisamente scusato. E magari le avrebbe pure offerto da mangiare.

Una volta fuori, volse subito lo sguardo alla panchina, si avvicinò.
Due anziani si scambiavano notizie sull'ultima partita di football.

Si guardò attorno, dappertutto, ma della ragazza, non vi era nessuna traccia.




Continua...



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N.d.A. WOOO, ma che succede!? Avrete notato come ho descritto pochissimo la vita di Mikasa, e non è perché io voglia fare le cose alla sbrigativa, ma perché per adesso voglio incentrare il tutto su Levi. Quindi.. sì, è fatto di proposito.
Tutto a tempo debito!
Se avete critiche o consigli, sono sempre ben accetti, quali sono le vostre impressioni? Mi piacerebbe saperlo, anche perché io so già come concluderla! DEHEHEHE<3 Mando un bacio alla mia cara Nexys, a cui continuo a dedicare questa sciocchezzuola! ~
   
 
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