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Autore: Aries K    24/09/2014    3 recensioni
Quando la giovane Emily Collins mette piede nel collegio più cupo e spaventoso di Londra non sa che la sua vita sta per cadere in un mondo oscuro fatto di sangue e creature che credeva vivere solo nei suoi incubi. Quando pensa che la sua esistenza non possa cadere più in basso di così incontra William Delacour, figlio della temibile preside Jennifer Delacour. William -così enigmatico e onnipresente in quel convitto esclusivamente femminile- nasconde un segreto che sembra coinvolgere anche la giovane. I due non potranno che avvicinarvi anche se, non molto lontano da loro, qualcuno cova una centenaria vendetta che sembra non volersi compiere...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Secondo Capitolo




La lezione non durò molto. Il cielo era pressantemente ricoperto da nuvole grigie pronte a scaricare un sacco di pioggia. Quando il suono nasale della campanella risuonò per l’intero collegio mi alzai riponendo i libri in pila in modo da poterli prendere per bene, e mi permisi di sbirciare di nuovo fuori alla finestra. Credevo che William se ne fosse andato, a meno che non gli piacesse rimanere zuppo di pioggia ma, con mio stupore lo trovai ancora lì. Era inginocchiato sul verde tagliuzzando una siepe, eliminando le erbacce secche con una velocità da vero esperto; siccome non mi stava osservando decisi di avanzare di più verso la finestra. Ma nemmeno un secondo dopo, proprio in quel momento, alzò gli occhi verso la mia direzione. Colta di sorpresa indietreggiai incespicando nelle gambe della sedia e caddi all’indietro. Chiusi gli occhi e arricciai la bocca come se ciò mi evitasse di provare dolore alla base della nuca, dolore che arrivò un istante dopo.
-“Oddio, Emily! Ti sei fatta male?”, si agitò improvvisamente una voce stridula. Mugolai qualcosa senza riaprire gli occhi.
-“Credo sia svenuta!”, urlò la stessa voce. Mentre cercavo di sbiascicare qualcosa per dire che stavo bene sentii dei passi riecheggiare nel mio orecchio.
-“Emily Collins, alzati immediatamente!”, mi ordinarono. Quando la mia mente diede un volto e un nome a quella voce prepotente scattai in piedi non curante del giramento di testa. La preside teneva le braccia conserte e il suo volto severo esigeva una spiegazione.
-“Sono... inciampata e ho sbattuto la testa”, confessai,-“ma sto bene”, aggiunsi come se poteva importarle qualcosa.
-“Ci sono altre ragazze che devono frequentare lezioni in questa classe. Quando suona la campanella bisogna sgomberare. Ora raggiunti la tua prossima aula, muoviti.”
Assentii senza fiatare e un braccio scheletrico mi cinse le spalle sussurrandomi qualcosa nell’orecchio.
-“Andiamo, forza.” Era Nic. -”Prima o poi ti metterai nei guai”, disse come per rimproverarmi. Non c’era presagio più vero. La Delacour prima o poi mi avrebbe sicuramente spedita nel suo ufficio, era matematico: i guai in genere mi trovavano sempre. Rabbrividii al solo pensiero.
Quando io e Nicole entrammo nella nuova classe la lezione era iniziata da ben cinque minuti; fortunatamente il professore di biologia non c rimproverò, sicché mi trattenne alla cattedra per consegnarmi un libro antico quanto l’istituto che ci ospitava. Non feci in tempo a mettermi seduta che subito dovetti rialzarmi: il prof Bennet ebbe la meravigliosa idea di trasportarci in biblioteca per avvantaggiarsi riguardo una ricerca sugli atomi che le mie compagne avevano iniziato una settimana prima del mio arrivo.
Mi unii a Nicole per ricreare una mappa concettuale da consegnare al nostro docente e, tra una chiacchiera sussurrata e l’altra, l’intera classe consegnò i propri lavori un quarto d’ora prima. E con cosa venimmo ricompensate? Con la lettura libera. A casa di mia nonna mi piaceva rifugiarmi nei libri, cullarmi nelle storie che contenevano l’imprevisto di una lacrima o la gradita sensazione di leggere i propri sentimenti dalla penna di un altro essere umano; ad ogni modo m’inoltrai nella vasta biblioteca osservando con divertimento i riccioli castani de professore muoversi di scaffale in scaffale, dalla sezione scolastica a quella dei romanzi. Jamie afferrò due romanzi e schizzò via dal mio campo visivo in modo tanto celere che non riuscii ad individuare i titoli. In compenso lessi quello della compagna che mi sedeva affianco. Guarda caso, un libro sui vampiri. Con la pelle d’oca pensai a quel vociferare sul fatto che la famiglia Delacour fosse stata perseguitata da alcuni cacciatori secoli fa, in quanto affetta da vampirismo. E sul presunto libro oramai andato perduto che ritraeva una donna incredibilmente somigliante alla preside, libro scomparso dal giorno in cui iniziarono a circolar quelle voci.
Prima ancora che quelle parole potessero farmi ronzare nella testa dei veri e propri pensieri incoerenti e deliranti, le ricacciai indietro, alzandomi per tornare al mio giro di perlustrazione tra gli altri scaffali.
Dacché il tempo trascorreva senza che io trovassi niente di particolarmente interessante stavo giusto per allungare una mano e prendere un libro a caso, quando un tonfo inaspettato alle mie spalle fece sobbalzare ogni cellula del mio corpo. Mi voltai di riflesso accorgendomi di un libro a terra, aperto a metà con le pagine spiegazzate sotto la copertina per via della caduta. Fu allora che, chinandomi per raccoglierlo, intravidi tra la fessura da dove era volato giù, un paio di occhi che mi stavano osservano. Strozza un grido a stento. -“Scusami, se ti ho spaventata”, si affrettò a dire il visitatore distratto, nonché il figlio della Delacour,-“mi è caduto. Potresti raccogliermelo?”
Tanto lo spavento che feci come mi aveva chiesto senza rispondergli.
-“Ti ringrazio”, mi disse cordiale, mostrandomi un sorriso titubante. Rimanemmo ad osservarci come due perfetti imbranati.
-“Stai cercando un libro in particolare?”, mi domandò di punto e in bianco. E adesso il suo sorriso incerto era divenuto in qualche modo divertito. Avvampai, perché con qualche buona probabilità si stava domandando se soffrissi di qualche disturbo comunicativo. Raccattando tutta la mia sanità mentale ricambiai il sorriso e risposi:
-“Sì, l’ho appena trovato.” Detto questo mi voltai, allungai una mano prendendone uno a caso come mi ero prefissata e mi rigirai, simulandomi soddisfatta in modo da tagliare lì la conversazione.
-“Devo proprio andare, tra poco mi tocca ritornare in classe.” Strinsi il libro al petto e trotterellai verso il mio tavolo non concedendo a William nemmeno il tempo di salutarmi.
Ma dopo un paio di minuti mi accorsi di un certo movimento di fronte al mio tavolo e, non resistendo a non alzare lo sguardo, incontrai nuovamente quello di William che, fattosi serio, mi augurò un buon proseguimento di giornata. Gran parte delle teste si voltarono verso di me.
Jamie, dall’altra parte del tavolo, mi strizzò un occhiolino. Mi ritrovai a balbettare qualcosa di incomprensibile persino per me stessa. Il suono della campanella mi permise di recuperare un certo contegno e, senza sapere perché, provai l’impulso urgente di uscire da quella biblioteca. Questo fin quando una mano non strinse un lembo della mia divisa facendomi indietreggiare.
-“Collins, dove pensi di andare?”, mi chiese un’indignata Camille.
-“Sto uscendo dalla stanza come stanno facendo tutte. Sai com’è, è suonata la campanella.”
-“Forse con te non sono stata abbastanza chiara.” Ed ecco tornare il tono minaccioso e velenoso di due orette fa. Sapevo dove sarebbe andata a parare.
-“Quale parte del ‘devi stare lontano da William’ non ti è chiara? Se vuoi te la rispiego.”
Alzai gli occhi al cielo, con voglia zero di controbattere.
-“Scusa Camille, ma ho cose più importanti a cui pensare.”
-“Collins, io ti ho avvertita. Saprei come rendere la tua permanenza un vero inferno.”
-“Oh”, feci allontanandomi,-“sto tremando dalla paura”, bisbigliai poi, uscendo dalla biblioteca dove Jamie sembrava attendermi con un stano luccichio infondo agli occhi.
-“Ti stavo giusto cercando.”
-“Sai, Camille mi ha…”
-“Okay, non m’importa di Camille”, tagliò corto agitandomi un dito davanti alla bocca. I lati delle sue labbra si sollevarono in un inequivocabile sorrisino cameratesco.
-“Allora?”, domando, in attesa.
-“Allora, cosa?”, ribattei confusa.
-“Ti ho vista parlare con William. Cioè, tutte ti hanno vista parlare con William. Che, per inciso, non ha fatto altro che osservarti per tutto il tempo e tu nemmeno te ne sei accorta. Certo che se fossi in te mi sentirei lusingata.”
-“Non si può proprio dire che stavamo sostenendo una conversazione… so solo che è un tipo davvero, davvero bizzarro.”
Mi scrutò per qualche secondo di troppo in silenzio, come se stesse cercando sul mio viso un qualcosa capace di tradirmi…e poi azzardò un qualcosa che mi fece rimpicciolire dall’imbarazzo.
-“Secondo me tu gli piaci!”
-“Stai delirando, amica”, obiettai, guardandomi intorno con la vaga impressione che Jamie avesse urlato più del dovuto.
-“Perché Jamie sta delirando? Non che sia stata normale nei giorni addietro.” La voce di Nicole provenne dalle mie spalle, quando entrò nel nostro campo visivo mi parve più reduce da un lungo sonno che da una lettura profittevole. Jamie sbuffò, borbottando.
-“Non sto impazzendo, sto solo sostenendo che, per me, William mostra un interesse particolare per la nostra cara amica Emily.”
Spostai lo sguardo su Nicole che rimase con le sopracciglia aggrottate, senza commentare, anche nei suoi occhi balenò una luce.
-“Oh, beh, dovresti essere al settimo cielo per attirare l’attenzione di un tipetto così.”
-“Vedi?”, m’incalzò Jamie, forse non captando il tono sarcastico di Nicole.
Alzai le mani in segno di resa, cercando di non cedere ad altre provocazioni e insinuazioni che altrimenti mi avrebbero fatta imbarazzare sino al balbettio; dunque passammo ad altri argomenti, ad altre faccende. Il resto della giornata non fu totalmente monotono: concluse le ore obbligatorie di lezione, ci dividemmo per frequentare dei corsi extra che ci permettevano di far allenare il nostro cervello (vedi corso di scacchi o il corso accelerato di matematica), la nostra creatività (vedi corso di pittura, scrittura e musica) oppure che miravano a sviluppare una brava e buona signorina a modo (vedi corso di cucito e cucina). Proprio in quest’ultimo –dopo aver eccelso in quello di pittura- avevo ritrovato Jamie che desiderava con tutte le sue forze coinvolgermi nel boicottare il preparato per dolci di Camille; ma io, terrorizzata dalle inevitabili conseguenze che avrebbero seguito quell’atto, riuscii miracolosamente a frenarla.
Infine, scoccate le sette di sera, fui lieta di gettarmi gloriosamente sul letto per godermi un istante di meritata pace.
-“Non so se riuscirò a resistere a stare qui dentro”, borbottai rimanendo a pancia in giù sul letto. -“Sembravi entusiasta, prima, delle ore libere.”
-“E’ stata l’euforia del momento. Cosa vuoi che sia un momento comparato all’infinito di questa catastrofica prigionia?”
-“Wow-ooh, Jamie, hai sentito? C’è un poeta dentro Emily”, scherzò Nicole, sedendosi sul letto. Osservai entrambe, avvertendo una sensazione di gelosia nel vederle in possesso di tanto autocontrollo e apparente buonumore; io chiusa in quelle quattro mura minacciavo di esplodere da un momento o l’altro.
-“Chiunque è qui dentro perché non ha altra scelta,” asserì Jamie, sospirando,-“beh, chi più chi meno.” Mi tirai a sedermi, distendendo le gambe.
-“Qual è la tua storia, Jamie?”
Prima di rispondere mi sorrise, non mostrando disagio.
-“Hai presente quelle scene che si vedono nei film, quelle in cui i bambini vengono abbandonati di fronte ad una porta di una casa qualunque? Ecco, la mia storia è semplicemente e tristemente questa.”
Non cercai nemmeno di nascondere tutto il mio sgomento.
-“E non sai niente dei tuoi genitori biologici?”
-“Niente di niente. Non ho avuto mezzi per cercare di rintracciarli. E da quando mia ‘madre’ è morta dopo una lunga malattia, io sono finita in questo collegio. Forse, fuori di qui…magari li cercherò in qualche modo.”
-“Il modo in cui lo racconti, sembri così…solida.”
Col senno del poi compresi che forse avrei potuto dire un qualcosa di più adeguato o intelligente ma, ragazzi, era l’unico commento che riuscii ad articolare. Perlomeno riuscii a farla ridacchiare.
-“Non che sono –come hai detto?- solida, ma è che dopo un po’ riesci a conviverci con il tuo passato, per quanto brutto o triste sia stato.”
-“Come darti torto. E tu, Nicole?”
Guardai Nicole e sembrò essere stata colta di sorpresa dalla mia attenzione, mi parve di leggere nei suoi occhi dell’incertezza o disagio ma, prima che potessi esserne certa, lei sbatté le palpebre rispondendo: -“Io non ho niente di paragonabile alle vostre storie…voglio dire…”
Lei scosse il capo per farmi intendere che non c’era nessun problema.
-“I miei genitori sono vivissimi”, premise,-“io sono qui per…”
-“Ribellione”, suggerì Jamie, come se avesse discusso di quell’altro altre volte e avesse dedotto che Nicole era confinata nella parte del torto. M’incuriosii.
-“Ma quale ribellione! Non darle retta. Comunque, Emily, mia madre e mio padre si sono separati parecchio tempo fa e, sempre tempo fa, mia madre ebbe un colpo di fulmine da adolescente in preda a tempeste ormonali con uno zotic…”
-“George”, puntualizzò, ancora, Jamie.
Nicole fece un gran sospiro, poggiando i gomito sulle ginocchia piegate.
-“Jamie è la mia life coach, fa in modo che io non mi…mmm, agiti più del dovuto. Comunque. Io e George non andiamo propriamente d’accordo, tra l’altro conduce un’attività che lo vede spesso soggiornare per un periodo di tempo prolungato in varie città sparse per il mondo e mia madre, pur di non lasciarlo andare da solo –in pena per vedere andare in fumo anche questa relazione,- ha deciso di seguirlo ovunque andasse, ed io con loro. Sono stata a Parigi, Mosca, Berlino e poi di nuovo Londra fin quando un bel giorno ho deciso che avrei preferito rinchiudermi in collegio piuttosto che vivere con loro e come loro. George mi prese alla lettera, ed eccomi qui. Sperando che a loro arrivi un messaggio chiaro e tondo, s’intende.”
-“Oh”, commentai con autentico stupore,-“accidenti. Non avevo mai sentito niente del genere.”
Che altro potevo dire? Di sicuro non potevo giudicare quel suo gesto disperato, così optai per un breve silenzio di riflessione.
-“Pensi che in questo modo tua madre e George possano trovare una stabilità, tipo mettere la testa apposto, sistemarsi ed essere una famiglia normale come tu vorresti?”
-“Più che altro”, rispose abbassando gli occhi ed incupendosi di colpo,-“vorrei George fuori dalla nostra vita.”
Non saprei dirne il motivo, ma ebbi l’impressione che indagare sul perché e su altre motivazioni non mi avrebbe portato a niente di buono, così lasciai declinare la conversazione con un commento di circostanza, riuscendo ancora una volta a strappare un sorriso ad entrambe.
Sorriso che si sgretolò non appena nella stanza si udì una voce piena di scherno e derisione dire:
-“Il circolo delle sfigate che s’improvvisano uno sleepover club. Siete proprio tristi.”
Camille era comodamente adagiata sul suo letto, con le gambe che ciondolavano oltre il bordo del materasso, e così mi fu chiaro che aveva ascoltato più di quanto le sarebbe stato concesso. Non solo era velenosa come una vipera, ma a quanto pare si muoveva anche come tale: non l’avevo né vista né sentita arrivare.
-“Stavamo parlando di cose serie.”
-“Non devi giustificarti con lei, Jamie. Non è proprio nessuno.” Alzai volutamente la voce per far giungere alle orecchie di quella serpe tutto l’astio con cui avevo condito quelle parole.
Grugnì qualche imprecazione e poi si rivolse direttamente a me.
-“Collins, ma lo sai che mi dai proprio sui nervi? Tu e la tua aria da superiore?”
-“Perché ce l’hai con me, Camille?”, le domandai esasperata. Quel giorno mi aveva marcata stretta.
-“Lasciala stare, Emily”, s’intromise Jamie,-“forse ha finalmente capito che con William non ha nessuna possibilità, indipendentemente da te, ma comunque deve sfogarsi sull’oggetto delle attenzioni di colui che non sarà mai suoi.”
Cielo, se Jamie aveva assunto un’aria e un tono di voce da prenderla a schiaffi. Aveva innescato una bomba, capii nel vederle gli occhi di Camille, la quale aveva perduto tutto il colorito.
-“Ripeti?”, sputò, balzando in piedi. A quel punto la sua rabbia si era definitivamente spostata da me. -“Ho solo detta la pura e semplice verità. O sei anche sorda oltre cattiva?”, rispose l’altra, ancora più impertinente di qualche secondo prima, alzandosi per fronteggiarla.
E poi, in un battito di ciglia, successe l’inevitabile. Non feci in tempo a poter evitare la magagna, ahimé, che Camille si era già avventata contro Jamie. Le due capitolarono sopra il letto su cui era rimasta Nicole che, impietrita, si portò le mani sulla bocca osservando le due con gli occhi sgranati.
Le mani della bionda erano morse pericolose, quelle di Jamie fendevano troppe volte il vuoto; le due si presero a pugni come due uomini fuori di senno. Fu quando vidi sanguinare il naso di Jamie che riuscii a scrollarmi di dosso lo stato di catalessi in cui ero caduta e mi fiondai sulle spalle di Camille per tirarla via dalla mia amica.
-“Lasciala stara, adesso, Camille! Smettetela!”, strillai, digrignando i denti per lo sforzo.
In risposta mi arrivò una gomitata dritta in bocca, impatto che mi fece rovesciare a terra come una bambola di pezza.
Le mani di Nicole vennero in mio soccorso tirandomi in piedi.
-“Ti prego, Emily, per l’amor del cielo, fermale!”
Con un dolore allucinante che partiva dalla bocca fino al mento, tornai alla carica e bloccai le braccia di Camille, riuscendo finalmente a staccarla da Jamie, per poi scaraventarla furiosamente contro il muro.
-“Ma si può sapere cosa vi è preso? E tu, Jamie!” Mi volta, sgolata verso la mia amica pesta. Solo in quel momento, mentre stavo zitta, mi resi conto di quanto irregolare battesse il mio cuore.
-“Collins”, era Camille, affannata,-“non ti intromettere mai più.”
-“Non essere ridicola”, masticò Nicole, raggiungendo Jamie,-“stai sanguinando dal labbro, Emily.”
-“Accidenti.”
Istintivamente mi pulii il labbro inferiore con la lingua, invadendo il mio palato col sapore metallico del sangue; dunque sfiorai la ferita con un dito per esaminare il taglio.
-“Esce ancora. Vai in bagno, è meglio.”
Seguii il consiglio di Nic, ma prima ancora che potessi arrivare davanti allo specchio, un botto sordo mi bloccò e mi fiondai nuovamente in stanza temendo di poter trovare ancora quelle due azzuffarsi… quando invece mi trovai davanti l’ultima persona che mi aspettavo di vedere.
La Delacour.
Accanto a lei vi era una ragazza minuta, probabilmente più piccola, appartenente ad una delle stanze affianco. -“E’ successo qui. Si stavano picchiando e gridando”, disse la ragazzina indicandoci una per una.
Impallidii, sconvolta.
La preside dondolò il capo entrando completamente nella stanza, dove i suoi occhi si perlustrarono l’ambiente con occhi colmi di disappunto: i cuscini erano sparpagliati a terra, i letti su cui quelle due se l’erano date erano sfatti, le coperte che fuoriuscivano dall’incastro col materasso…e poi i suoi occhi finirono ad osservare il mio labbro spaccato. Senza pensarci mi portai una mano a nascondere l’accaduto. Capii al volo di essermi tradita da sola.
-“Collins.” Il suo tono sembrava la conclusione di una lunga riflessione.
Quella maledetta spiona al suo fianco!
-“S-sì?”
-“Ebbene Miss Delacour ho cercato in tutti i modi di fermarle”, proruppe Camille andando incontro alla preside,-“ma Jamie ed Emily erano troppo… indomabili per poterle contenere. Quando sono entrata in stanza le ho già trovate che si stavano prendendo per i capelli.”
Non potendo credere sul serio alle mie orecchie incrociai l sguardo di quell’attrice da due soldi di Camille, che indovinate un po’, era riuscita a darla a bere alla preside. Gli occhi di ghiaccio di quest’ultima parvero assumere una sorta di eccitazione nell’udire quel resoconto; probabilmente erano la conferma cui anelava. Io m ritrovai a domandarmi dove fosse andato a finire il calore del mio corpo.
La Delacour schioccò le labbra e non ci sarebbe nemmeno stato il bisogno di parlare che sapevo già cosa stesse per dire.
-“Nel mio ufficio. Domani mattina presto, prima dell’inizio delle lezioni”, scandì parola per parola, -“sono veramente delusa dal vostro comportamento. Questa sera abbiate la decenza di non presentarvi a cena, impiegate il tempo a riflettere sui vostri errori. Incoscienti”, concluse.
I suoi occhi guizzarono di nuovo sulla mia ferita ancora pesta di sangue; sembrò esaminarla e poi se ne andò emettendo una specie di lamento. Aggrottai le sopracciglia e la porta si richiuse con un cigolio e un rumore a dir poco sinistro.
-“Ottima performance, davvero!”, sbottai allontanandomi da lei.
Mi pentii amaramente di non aver replicato. Cielo, se me ne pentii! Non potevo minimamente concepire la sua malignità nei miei confronti, forse potevo comprenderla nei confronti di Jamie, ma non verso di me. Io, la nuova arrivata, ero lì da appena tre giorni.
-“Così imparerai che vuol dire pestare nel mio territorio, Collins.”
Non risposi, mi limitai ad osservarla mentre usciva dalla stanza. Pienamente soddisfatta di se stessa. Quella sera io e Jamie rimanemmo in camera. A giudicare dalle occhiatine di sottecchi che ci scambiarono le altre dovevano già esser state informate riguardo l’accaduto.
Rimasi seduta sul letto portando le ginocchia al petto e poggiai il mento su esse, cercando di far sbollire il nervosismo. Difficile, con il mio cervello che fantasticava su cosa la Delacour avesse in mente per me e Jamie: quale tortura? Quale castigo? E soprattutto: perché? Perché far subire tutto questo? Mi era stato riferito che questo era un luogo piuttosto singolare ma non avevo creduto fino a questo punto. Affondai ancora di più la testa tra le ginocchia e strinsi con forza le gambe al petto, come se mi stessi facendo scudo dai miei stessi pensieri.
E all’improvviso un tuono rimbombò facendo tremare le pareti e sobbalzare la sottoscritta.
-“Accidenti”, mugugnai nervosa, gettando un’occhiata alla finestra. Il tempo andava via via a peggiorare, e il primo carico di pioggia iniziava a venire giù.
-“Sei agitata?” Jamie aveva rotto il silenzio riuscendo dal bagno. Prima non avevamo fiatato, chiuse in un silenzio di rimprovero contro noi stesse: dovevamo difenderci. Tutto qui.
-“No”, mentii,-“e tu?”
-“Come te.”
Sorrisi debolmente.
-“Arrabbiata?”
-“Ovvio!”, esclamò poggiandosi contro il muro accanto alla cornice della finestra,-“la preside non conosce mezze misure e tende sempre a credere a quella leccapiedi di Camille. Forse perché sono fatte della stessa pasta, chissà.”
-“E’ veramente frustrata quella ragazza. E cattiva.”
-“Eh?”
-“Dico, Camille. E’ cattiva.”
-“No, non ce l’avevo con te. Vieni un po’ a vedere”, farfugliò, schiacciando il naso sul vetro. Scesi giù dal letto e raggiunsi Jamie. Ridussi gli occhi a fessura per focalizzare cosa stesse osservando con tanta curiosità. -“Io non vedo niente. Cosa hai visto?”
-“William.”
Al suono di quel nome fui percorsa da un lungo e lento brivido. Scossi il capo per darmi un contegno. -“E cosa ci fa ancora nel giardino con questo tempo?”
-“Se ne fossi sicura giurerei di averlo visto scendere da quest’albero”, mi rispose Jamie, mostrandomi un’aria perplessa, come se lei per prima non credesse a quello che stava dicendo. E come darle torto? L’albero vicino alla finestra era fin troppo alto, per non parlare dell’assurdità dell’arrampicarvi.
Provai ad aguzzare la vista pulendo il vetro con un lembo della manica, ora appannato dal nostro respiro e…eccolo! Accanto ad altri due alberi, sembrava stesse ricercando un modo per nascondersi, come se avesse intercettato i nostri sguardi curiosi.
-“Quando intendevo che lo trovavo bizzarro, dicevo per questo”, mormorai alludendo al fatto che adesso, William, si era spostato dal suo nascondiglio, mirando un punto che noi non potevamo seguire.
Aveva i capelli talmente fradici che sembravano neri e l’acqua scorreva sul suo giubbotto, i pantaloni che aderivano come panneggi alle sue gambe toniche, affusolate.
-“E’ la prima volta che lo vedo gironzolare qui sotto di sera”, rifletté Jamie, -“Strano. La Delacour non vuole che suo figlio stia troppo tempo nel collegio, salvo le ore di lavoro, s’intende.”
Nella sua voce potevo sentire tutta la condanna del frequentare un collegio esclusivamente femminile.
-“E come mai?”
-“Dice che la sua presenza potrebbe distrarci dai nostri compiti e dalla nostra educazione”, mi rispose imitando la voce oscura della preside. Risi scuotendo la testa.
-“Eppure non ha tutti i torti, no?”, aggiunse facendomi smorzare il riso, indirizzandomi un’occhiata pregna di significato. Io non mi sbilanciai e mi limitai ad annuire.
Quando entrambe tornammo a guardarlo, rimanemmo poco sorprese dal fatto che si fosse spostato. Le sue spalle erano curve, sembrava avesse puntato qualcosa in lontananza; ero davvero impaziente di vedere –e soprattutto capire- cosa stesse facendo o cosa stesse per fare, ma al borbottare grave di un tuono io e Jamie saltammo dalla paura. Ci scontrammo e come due perfette idiote sbandammo fino quasi a cadere.
-“Santo cielo!”, disse, ridacchiando, con le orecchie che le erano diventate rosse.
Tornai subito ad osservare William ma di lui non vi era più traccia.
Un’inspiegabile sconforto si abbatté su di me.
-“E’ andato. Magari stava dando la caccia a qualche animale. Una volta sono entrati due tassi, la Delacour li ha fatti sparire in tempi record.”
Tornammo nei nostri rispettivi letti, senza più nessuna distrazione.
-“Prima che rientrino le altre preferirei addormentarmi”, mi confessò la mia amica spegnendo l’abat jour sul comodino.
-“Sì, in effetti credo sia meglio. Buonanotte Jamie”, dissi, imitando i suoi gesti.
-“Buonanotte a te, Em. E stai tranquilla: andrà tutto bene.”
Furono quelle le ultime parole che sentii quella sera; talmente stanca da sprofondare immediatamente in un sonno profondo. Ricordo che durante quella notte sognai qualcosa che, però, non riuscii a ricordare una volta sveglia, nonostante avessi cercato di recuperare qualche immagine che mi stuzzicava ancora la mente, nel dormiveglia.
Mi stropicciai gli occhi osservando la stanza colorirsi al passaggio dei primi freddi raggi solari… dunque capii che erano le primissime luci del giorno, quelle.
-“Oh, no”, borbottai, -“è ancora troppo presto.”
Fuori si prosperava bel tempo, proprio quel giorno che tutto poteva essere fuorché bello. Cercai di scendere giù dal letto senza farlo troppo scricchiolare, in modo da non disturbare il sonno beato delle altre. Entrando in bagno, cercai a tastoni l’interruttore per accendere la luce, il quale riuscii a trovarlo solo dopo aver fatto fuori alcune sedie lì vicino. Dovevo ancora imparare ad orientarmi. Accesa la luce ciondolai fino al lavandino.
Mi spruzzai sulle mani un po’ di sapone liquido al cocco e mi sciacquai lentamente. Tanto non mi correva dietro nessuno, per una buona volta. Fatto ciò mi strofinai i denti con scrupolo e infine indossai, controvoglia, la divisa. Più passava il tempo e più mi sembrava impossibile abituarmi a quella rigidità.
Quando mi guardai allo specchio per esaminare in che stato fossi fui piacevolmente sorpresa: avevo il viso rilassato nonostante l’angoscia e il rifiuto per tutto ciò che mi circondava mi logorasse, e miei capelli si erano mantenuti morbidi e lucenti nonostante l’umidità. Poi il mio sguardo cadde sul labbro semi distrutto, la mia mente rievocò le immagini spiacevoli dell’episodio del pomeriggio precedente. Quella piccola grande vipera, pensai immaginando di prenderla a pugni. Ma le fantasie della mia mente si bloccarono perché in me risuonò una frase che mai avrei voluto sentirmi dire: “nel mio ufficio. Prima delle lezioni.”
Rabbrividii. Ecco il motivo inconscio per cui mi ero svegliata così presto, solo in quel momento me ne resi conto. E quando tutto sembrò essermi più chiaro un’ombra riflessa in modo improvviso nello specchio mi fece sobbalzare. Mi voltai di scatto strozzando un grido.
-“Santo cielo!”, esclamai con il cuore a tremila.
-“Scusa, non volevo spaventarti.” Jamie aveva la voce e le sembianze di uno zombie. Gli occhi erano gonfi e i capelli erano conciati in uno stato terribile, alcune ciocche parevano bagnate. Quei piccoli dettagli mi fecero insospettire pensando che avesse pianto per tutta la notte. Si trascinò fino al lavandino, posando la divisa sulla sedia accanto dove io mi appallottolai. Aspettai che lei si preparasse a dovere, in silenzio assoluto. L’unico rumore che regnava nel bagno era lo scrosciare timido dell’acqua. Molto probabilmente anche lei non desiderava svegliare le altre.
-“Sai che ore sono?”, le domandai, dopo.
Jamie ancora con lo spazzolino in bocca scosse la testa. Poi sputò e si pulì.
-“Credo molto presto. Più di quanto possiamo immaginare”, disse con uno strano tono. Le risposi con un verso inudibile e ritornai nel mio silenzio.
Per tutto il tempo, almeno fino al risveglio delle altre, gironzolammo per i corridoi senza farci sentire. Se poco prima credevo che il collegio sembrasse spettrale, dovetti ricredermi: di prima mattina, con i primi strascichi di luce, anche quel posto pareva assumere un’aria accogliente e calda. Persino le pareti grigiastre sembravano aver acquistato più colore; le scale non erano nemmeno tanto minacciose come quando ci vidi la Delacour o Camille salirci. Sorrisi del mio pensiero: di sicuro Camille era il male minore in confronto con la preside, ma anche lei aveva la sua buona dose di cattiveria. Basti vedere il viso preoccupato di Jamie, e il terrore che avvertivo io. In fondo era colpa sua se entrambe rischiavamo l’espulsione. Beh, forse per la Delacour sarebbe stato un premio sbatterci fuori dal suo istituto.
Mentre camminavamo per l’atrio, osservando gli svariati quadri, colsi i miei stessi pensieri sul volto assente di Jamie. Molto probabilmente lei avrebbe preferito essere espulsa.
Stavo giusto per aprire bocca, tanto per sillabare qualcosa di irrilevante per alleggerire l’atmosfera, qualcosa o meglio qualcuno fece sbattere troppo rumorosamente la portafinestra dietro di noi. A quel punto ci voltammo entrambe –nella mia mente si erano già designati i lineamenti di William- ma la persona che ci venne incontro era la Belfiore.
-“Ragazze cosa ci fate già in piedi?”, ci domandò perplessa. Allora nel collegio le notizie non viaggiano così in fretta come pensavo. Lasciai rispondere Jamie, io ne avrei fatto a meno di sentire lo sconforto nella mia voce.
-“Ci siamo svegliate prima del previsto. Tanto tra poco è ora di colazione, quindi…”, mugugnò torturandosi le dita. Ancora scettica la Belfiore si tirò su la manica scrutando il suo orologio da polso, vecchio quanto mia nonna. La mia povera nonna.
Poi sembrò cadere dalle nuvole.
-“Accidenti. Non credevo fosse così tardi per me. Devo assolutamente correggere alcuni compiti entro stamattina. Beh, ragazze è arrivato il momento dei saluti: ci vediamo a lezione.” E detto ciò si congedò attraversando l’aula degli insegnanti. Solo in quel momento mi accorsi dell’esistenza di quella stanza accanto alle scale.
Io e Jamie rimanemmo inermi al centro dell’atrio, aspettando che la campanella suonasse per annunciare l’inizio di un nuovo giorno, che per noi due era amaramente iniziato da un po’.
-“Io propongo di dirigerci verso l’ufficio della Delacour”, disse, anticipando il suono ronzante che stava attendendo, il quale riscosse l’intero collegio.
Mentre ci trascinavamo con passo di due condannate al quarto piano, nel passare nei piani dei dormitori sentimmo le voci assonnate delle altre e la vita ce si risvegliava.
Una volta arrivate di fronte alla porta dello studio della Delacour entrambe ci sentivamo in dovere di scambiarci una qualche parola di conforto; parola che, per quanto ci sforzassimo, rimaneva impigliata sulle nostre lingue.
-“Bussa. Siamo in due, andrà tutto bene”, riuscì a dire Jamie con la voce che le si spezzò sull’ultima parola. Tentò anche di simulare un sorriso ma questo le morì prima ancora di raggiungere gli occhi. Dunque annuii, presi una bella manciata di ossigeno e, cercando di ignorare il tremore che si era impadronito dei miei arti che sembrava non volermi concedere tregua, bussai. Non appena le mie nocche si abbatterono sulla superfice della porta, la voce saettante della preside ci concesse di entrare.
Obbedii spalancando la porta, la quale si fece aprire con un cigolio straziante.
L’ufficio non era particolarmente grande, e quella poca profondità che offriva era occupata da una lunga libreria che si ergeva piena zeppa di libri rilegati in pelle. Chissà perché non mi sorpresi della lugubre carta da parati che la preside aveva scelto per il suo posticino; un blu violaceo smorto, buio, che conferiva severità a tutto l’ambiente già poco illuminato dall’unico finestra che si affacciava sul cortile principale. Nonostante ciò la mia attenzione fu catturata dall’unico tocco di colore presente nella stanza: una cornice dorata incorniciava un dipinto ritraente un giovane uomo distinto che cingeva i fianchi di una donna dal volto famigliare.
L’espressione di lui era fiera e disarmante, quasi stesse fissando colui che osservava l’opera, quella di lei era l’espressione di una donna appagata, dolce. Solo dopo una brevissima e accurata occhiata capii che quei tratti, quegli occhi, appartenevano a Jennifer Delacour.
Lottai con tutte le mie forze per non esibirmi in mugolii di sorpresa perché, credetemi, era a dir poco spiazzante vederla in un contesto così romantico, seppur si trattava di osservare un disegno. Come se questa avesse letto i miei pensieri, si lasciò andare ad un colpo di tosse piuttosto spazientito ed eloquente.
-“Buongiorno signorina Collins e signorina Sandford”, esordì e il modo con cui pronunciò i nostri cognomi mi fece rizzare i peli fin sopra la radice. La Delacour sedeva sulla poltrona girevole oltre la scrivania, sui cui aveva puntato i gomiti. Ebbi come l’impressione che stesse per decidere la nostra sorte proprio in quel momento. E così mi preparai al peggio, inutile trovare appigli, inutile ipotizzare in un escamotage capace di trarci d’impiccio.
-“Buongiorno”, rispondemmo ad unisono, educate.
La Delacour fece un ghigno, richiudendo il libro che stava leggendo e depositandolo nel primo cassetto. -“Che dire. Sono veramente rammaricata per il vostro comportamento”, scosse il capo, alzandosi,-“Il nostro convitto vanta alle sue spalle anni ed anni di insegnamento, rispetto ed educazione, da prima ancora che arrivassi io. Azzuffarsi e gridarsi in faccia non è un comportamento degno né ammissibile.” I suoi occhi trafissero entrambe. Sentii lo stomaco svuotarsi di colpo.
-“Signorina Sandford, sei sempre stata una ragazza rispettosa e diligente. Eppure, questa è la seconda volta che la vedo convocata nel mio ufficio. Incredibile l’ascendente che la signorina Collins ha sul suo comportamento.”
Con la coda dell’occhio vidi Jamie fare un passo in avanti ma, prima che potesse aprire bocca per replicare, la Delacour posò il suo sguardo su di me. Decisi che avrei provato a ribattere, non avevo niente da perdere e non era colpa nostra.
-“Emily Collins”, sputò il mio nome, alzando il mento,-“non desidero avere elementi negativi nel mio istituto. Né elementi che le altre mie ragazze possano prendere a modello. Purtroppo, non mi lasciate scelta di punirmi severamente”, decretò e mi mancò letteralmente la terra sotto i piedi. Le parole che tanto desideravo pronunciare mi si ingarbugliarono in gola senza possibilità di uscire dalla mia bocca. Nonostante il suo viso non preannunciasse nulla di così terribile, nelle sue parole scorsi tutto l’orrore di ciò che non potevamo evitare. Cercai di trovare un contegno, in fondo avrei potuto ancora cambiare la situazione perché no, no, non poteva finire così.
Feci un passo avanti aprendo la bocca per dire chissà cosa quando, in modo del tutto inaspettato la porta dell’ufficio si aprì sbattendo contro il muro, ed io sentii un brandello di speranza in più farsi largo nel mio cuore. Mi voltai per vedere quale miracolo mi stava concedendo i secondi o i minuti per riprendere il controllo di me stessa e fui oltremodo stupita nell’incrociare gli occhi di William. i suoi esibirono tutta la sorpresa del trovarci lì, tant’è che fece guizzare il suo sguardo da Jamie e me. Me e Jamie. Per poi assestarlo sulla madre.
-“Buongiorno. Scusate l’interruzione, non credevo di trovarci delle visite.”
-“Buongiorno, figliolo.”
-“B-b-buongiorno”, balbettammo in coro io e la mia amica.
-“Intuisco che c’è qualcosa che non va. Puoi informarmi brevemente?”
Sembrava spazientita.
Lui ci dedicò un’altra occhiata.
-“Volevo solo informarti che oggi sono arrivato prima de previsto.”
-“Magnifico. Allora raggiungi Simus nel capanno. Sarà sicuramente lieto di vederti così presto oggi. Come vedi tu hai il tuo lavoro, ed io il mio.”
L’ultima frase sembrava impregnata di strani e terrorizzanti sotto intendimenti che solo la mia mente impappinata di paura poteva cogliere. I due rimasero in silenzio, l’uno di fronte all’altro, come impegnati in una muta conversazione.
Io e Jamie ci scambiammo un’occhiata confusa, in attesa della fine del conflitto madre-figlio.
-“Ti vedo più pallido del solito. Stai mangiando? Hai fatto colazione?”
-“Oh, sì, madre. La mia solita colazione, la stessa che dovresti fare tu”, la voce di lui si fece sottile, graffiante e, ancora una volta, ebbi l’impressione che dietro quello strano scambio di battute ci fosse un altro discorso trincerato.
-“Dobbiamo parlare, adesso”, ordinò, poi, William, appoggiando i pugni contro la scrivania.
-“In questo momento sto cercando di salvaguardare il nome di questo istituto. E non ho voglia di sentire i tuoi tormenti interiori”, sussurrò la Delacour in risposta, aggiungendo dell’altro che però non captai.
Si scrutarono per un po’, fin quando William non cedette.
-“Forse è meglio che vada. Per adesso.”
Girò i tacchi e diede un’occhiatina a Jamie, dunque si soffermò a guardare me più a lungo. Adesso che potevo vederlo in viso mi resi conto di quanto fosse alterato: la mascella era contratto, le narici dilatate e uno sguardo cupo gli stravolgeva i bei tratti.
Aprì la porta con un gesto nervoso, indugiando sulla soglia, magari sperando che sua madre gli concedesse il tempo a cui anelava. Invece non arrivò un bel niente.
-“Buona giornata.” Furono le sue ultime parole prima di richiudersi la porta alle spalle.
Confusa da tutto ciò che era successo e stremata per l’attesa del castigo, non sentii la Delcour rivolgersi a me.
-“Collins, hai intenzione di ignorarmi ancora per molto?”, quasi gridò, infastidita di non essere presa in considerazione.
Anziché arrossire, impallidii.
-“Sì, chiedo scusa.”
-“Dove eravamo rimaste? Ah, dunque: la vostra disciplina.”
Aprì un cassetto alla sua destra ed estrasse una frusta; improvvisamente sembrava volerla farla finita in fretta. Mi si mozzò il respiro e già potevo sentire il dolore invadere le mie spalle innocenti.
-“Jamie…”, iniziò la Delacour ma, prima che potesse proseguire, Jamie ebbe una crisi di pianto. Quando la guardai la vidi paonazza, con le mani cercava di trattenere i singhiozzi. L’ingiustizia e la paura mi fecero finalmente aprire la bocca:
-“Un momento!”, implorai, non senza tremare,-“Miss Delacour! La verità è che non è colpa nostra, se solo mi concedesse un minuto per spiegare, racconterei il fatto come è accaduto realmente.”
Questa mi guardò alzando un sopracciglio; ma io ero lontana dall’arrendermi ora che avevo ritrovato la voce. -“Camille ci ha indicato colpevoli ma è stata lei la prima ad aggredire Jamie. E’ una vipera, e questo sono pronta a sottoscriverlo. Mi deve credere Miss, noi non abbiamo fomentato nessuna lite. Questa è la verità. Nient’altro che la verità.”
-“Santo cielo, Emily”, sibilò Jamie, possibilmente ancora più nel panico.
Io guardavo la Delacour che sembrava riflettere sulle mie parole. Cercai di capire cosa le passasse per la testa. Doveva credermi, la mia voce era veramente al limite della disperazione. Eppure la preside scosse il capo, sostenendo:
-“Prendersi le proprie colpe è sinonimo di responsabilità, signorina Collins. Accusare qualcun altro…”
-“Ma sto dicendo la verità!”, la interruppi, fuori controllo, la voce schizzata di qualche ottava.
-“Non voglio sentire altro!”, gridò di rimando lei,-“Non metterti in una situazione ancora più spiacevole di questa”, finì di rimproverarmi, con una cattiveria immane. Quindi spostò lo sguardo su Jamie e la invitò a scoprirsi le spalle.
-“No, Jamie”, mimai con la bocca quando, voltandosi, si girò per alzarsi il pullover e la camicetta. Tentò di farmi tacere con la forza dello sguardo, ma…
-“No!”, strillai,-“Jamie non c’entra, non c’entra niente è solo colpa mia”, dissi tutto d’un fiato, creando un alibi improvviso nella mia testa. Jamie lasciò cadere le braccia guardandomi come se stesse osservando una persona fuori di senno; scosse piano la testa.
Sì, Jamie. Ora tocca a me ricambiare il favore, pensai cercando di farle arrivare il messaggio attraverso i miei occhi, più che determinati.
-“Ha ragione. Forse sono un elemento negativo, forse mi servirà da lezione. Mi spiace, e sono pronta a prendere le mie responsabilità. Lasciando fuori la mia compagna.”
-“Oh no, questo no”, esclamò quella, furiosa. L’azzittii e quando vidi Jennifer riflettere per l’ennesima volta, pensai di aver fatto la cosa migliore. E se mai avessi fallito nel mio intento, beh, ci avevo almeno provato. -“Signorina Sandford, puoi andare.”
La voce della Delacour parve quella di un’assassina, ma ciò che volevo sentir pronunciare uscì dalle sue labbra marmoree.
-“Così siamo pari”, le sussurrai all’orecchio, stimolandola ad un’altra crisi di pianto. Guardò la Delacour con sguardo privo di espressione, prosciugata di tutto, mi sfiorò la spalla con le sue dita fredde.
Quando la porta si chiuse definitivamente, rimanemmo io e la Delacour e capii di non avere più scampo:
nessuna verità avrebbe potuto coprire la mia bugia.
Tornai ad osservare la lunga frusta nera e spessa che teneva fra le mani, stabilendo che non avevo mai visto un oggetto tanto minaccioso come quello. Mi scoprii lentamente le spalle, pronta ad accogliere quella sorte che parve non arrivare mai.
-“Avanti, colpisci”, dissi sottovoce, non rivolgendomi propriamente a lei. Tuttavia la udii mormorare un qualcosa in risposta, ma la ignorai. Ero tramortita, prima ancora di esserlo davvero.
Non appena chiusi gli occhi le mie orecchie registrarono uno schiocco assordante, prima ancora del dolore che arrivò propri al centro della schiena. E quando questo arrivò portò con se un’altra raffica di frustate. Ancora e ancora e…fine. Nessun altro rumore, solo dolore, bruciore. Nessun lamento, solo denti conficcati nel labbro inferiore e il principio di un giramento di testa.
-“Che questo sia un monito per le tue azioni future”, aggiunse come se non bastasse. Tirai subito giù i miei strati di vestiti, attenta a non strusciarvi sulle ferite fresche, e fu allora che vidi il pavimento ricoperto di microscopici schizzi di sangue. Del mio sangue.
Non guardarlo, per favore.
Mi scontrai contro la parete del corridoio una volta uscita nel corridoio semi affollato; sembrava un’impresa poter giungere alle scale. Tutto e tutti divennero immagini fluttuanti di fronte ai miei occhi, per niente definite. Ne riconobbi giusto una che si agitava sbraitando contro di me.
-“Sei una vera incosciente, Emily Collins!” Jamie. Stavo per svenire, sarebbe successo da lì a poco, era a dir poco scontato. Mugugnai qualcosa circa il bruciore che saliva e, tra lo stordimento e l’acuto strazio, riaffiorai appoggiandomi alla figura urlante della mia compagna.
-“E’ finito.”
-“Sì, è tutto finito”, confermò, carezzandomi il volto.
Ci trascinammo fino a scendere i primi gradini. Al costo di raggiungere la mia stanza avrei anche strisciato; giunta al terzo piano sibilai di nuovo qualcosa e mi accorsi di un’altra persona appena arrivata al mio fianco: Nicole.
-“Porca la miseria. Come temevo”, esclamò carica di indignazione.
-“Mi sto riprendendo, dai”, dissi ma ad ogni parola la mia voce si faceva sempre più foca, come se stessi entrando in un tunnel. Volevo solo andare in stanza. O risvegliarmi da quest’incubo in casa con nonna.
-“Riesci a camminare da sola?”, mi domandarono quasi in contemporanea, forse rendendosi conto dell’instabilità del mio movimento.
Annuii distrattamente, scendendo il secondo scalino, traballando sul terzo, scivolando sul quarto…poi questi si moltiplicarono! E cominciarono a muoversi: era tornato l’offuscamento. La mia coscienza stava tentennando di nuovo. A quel punto sentii delle goccioline fredde scendere lungo la mia fronte, le orecchie presero a fischiare…avevo resistito fino allo strenue delle forze; senza poter combattere fui costretta a lasciarmi andare.
-“No, Emily! ATTENTA!”, strillò Nicole, allungando la mano per acciuffarmi da qualche parte. Non mi recuperò, ed io, in un ultimo barlume di lucidità, mi ritrovai a pregare per non rompermi l’osso del collo e magari slittare direttamente dinanzi la porta del mio dormitorio.
Ed ecco il vuoto…stavo cadendo… fin quando senza sapere cosa di preciso fosse accaduto, la mia rovina fu bloccata. Come sospesa a mezz’aria.
Qualcosa –una mano, dedussi- premeva con forza sul mio fianco, poi vidi un braccio avvolgermi. Sbattei le palpebre guardando in su e il volto che vidi fu il più bello che potessi vedere in quel momento. William boccheggiava, il fiato corto e il naso all’insù che sfiorava il mio. I suoi occhi erano così sgranati e meravigliosi che quasi svenni per lui anziché per ciò che mi era accaduto.
Vidi le sue labbra muoversi.
-“Stai bene?”
-“No”, bofonchiai.
-“Cerca di appoggiarti a me”, mi consigliò attirandomi a sé.
-“No, no”, ribadii, -“ti prego lasciami star…”, ma non conclusi mai la mia protesta.
Andai completamente alla deriva.

   
 
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