Prologo
Ginevra Di
Maria aveva ventisette anni, e si era laureata da qualche mese in Italia. Non
aveva ottenuto un punteggio particolarmente elevato, la matematica e alcuni
docenti troppo rigidi le avevano impedito di ottenere la media alta che sognava
al momento dell’iscrizione. Tra alti e bassi, il suo voto finale fu un discreto
novantasette; non era un 110 e lode, ma i voti non sono tutto.
Mentre
ripensava, con una certa nostalgia, agli anni universitari, stava aspettando la
sua valigia all’aeroporto. Non poté fare a meno di sorridere: si trovava a
Londra, e non per una vacanza. Finalmente i bagagli cominciarono ad arrivare; iniziando
a cercare la sua valigia con lo sguardo, raccolse i lunghi riccioli rossi in un
elastico, formando una coda di cavallo.
Fuori da
quell’aeroporto la vita la stava aspettando. Aveva passato anni a sognare
Londra, quella città caotica e piena di opportunità.
L’emozione
aumentò, facendola saltellare sul posto ed emettere un gridolino di gioia,
quando finalmente vide arrivare la propria valigia viola. Prese al volo il
bagaglio dal nastro trasportatore, facendone cadere altri due; arrossì
visibilmente e corse via, biascicando qualche debole scusa, un po’ in italiano
e un po’ in inglese.
Uscendo
dall’aeroporto, trovò la fermata della metropolitana e ne scese le scale,
iniziando a consultare la mappa con le linee per trovare il binario giusto.
«Menomale
che mi sono fatta arrivare l’abbonamento via Internet» – borbottò tra sé e sé.
Rischiava già di perdersi così, chissà dove si sarebbe ritrovata se avesse
dovuto cercare un posto per fare i biglietti. Erano passati diversi minuti, e
lei era ancora lì a fissare – senza capirci molto – le linee multicolore della
cartina e il biglietto con segnato l’indirizzo.
“Forse
dovrei prendere quella rossa”
Fece
qualche passo indietro, per guardare la piantina da un punto di vista
differente e, soprattutto, per lasciare spazio ai pendolari più esperti che
sbuffavano esasperati dietro di lei. Il suo passo da gambero fu bruscamente
interrotto quando andò a sbattere contro qualcosa, o meglio qualcuno.
Passandosi una mano sul viso, perfettamente conscia della figuraccia, si voltò
pronta a chiedere scusa in ogni modo. Alzando il viso, notò immediatamente un
paio di occhi blu, all’interno di un bel viso dai tratti delicati, incorniciato
da un accenno di barba. In quel momento, aveva voglia di scavare una buca nel
terreno e sparire al suo interno.
«Oh… Ehm… Scusami
io…»
Parlò
talmente piano che il ragazzo non poté sicuramente sentirla, mentre lei udiva
benissimo la sua risata.
«Stai
cercando qualcosa?» – chiese lui gentilmente, indicando le linee della
metropolitana.
Ginevra era
un po’ riluttante a rispondere, ma poi cedette; ormai la figuraccia era stata
fatta. Meglio ammettere di non avere un briciolo di senso dell’orientamento,
che vagare per Londra. Mostrò al giovane il biglietto con l’indirizzo verso cui
era diretta. Si torceva le dita mentre lui le mostrava il percorso che avrebbe
dovuto fare.
“Mi perderò
sicuramente”
Sospirò
rassegnata, mentre le indicava una fermata della linea blu alla quale sarebbe
dovuta scendere per cambiare linea.
«Aspetta,
fammelo segnare» – tirò fuori dalla borsa il blocchetto per gli appunti e vi
scrisse le indicazioni.
«Tutto
chiaro?»
Il giovane
lanciò un’occhiata perplessa al blocco note della rossa, ma per lei quegli
scarabocchi erano chiarissimi.
«Certo,
grazie mille!»
«Benvenuta
a Londra, allora!»
Sorrise
ancora una volta in modo educato e, tenendo strette le indicazioni per la metro
si diresse finalmente verso il binario corretto.
Il treno
arrivò in pochi minuti; non le sembrò neanche di aspettare essendo abituata
agli autobus della sua cittadina, che avevano almeno mezz’ora tra una corsa e
l’altra. Non trovò un posto a sedere, così cercò di stare almeno nelle
vicinanze dell’uscita.
Prese dalla
tasca il suo telefono, era spento ormai da giorni. Aveva lasciato un messaggio
alla famiglia, prima di partire, dicendo che avrebbe cercato di avere una vita
soddisfacente. Da quel momento in avanti, il suo desiderio più forte era
tagliare ogni ponte col passato. Con un sospiro partito dal fondo dell’anima,
smontò il cellulare e cambiò la scheda, mettendo il numero inglese.
«È la mia
fermata!» – gridò a un certo punto, attirando l’attenzione degli altri
pendolari. Sentirsi osservata non le era mai piaciuto e si ritrovò a
bisbigliare delle scuse, mentre il suo viso prendeva il colore dei suoi
capelli.
Senza
perdersi, riuscì ad arrivare alla stazione di King’s Cross in largo anticipo.
Si sedette su una panchina, appoggiando borsa e valigia in terra. Chiuse per
qualche istante gli occhi, “ce l’ho fatta” pensò, e respirò profondamente.
Quando si alzò decise di guardare la stazione, i negozi e ristoranti che
conteneva.
Trovò un
bar, dove l’insegna recitava “Caffè espresso italiano”; aveva seriamente
bisogno di energie, quindi si avvicinò al bancone e chiese un caffè.
«Che è sto
schifo?» – il barista la guardò male. Non voleva fare un’altra figuraccia ma
quella brodaglia era davvero impossibile da bere, così guardò l’orologio che
portava al polso e si affrettò a uscire, fingendo di essere in ritardo per
chissà quale cosa di vitale importanza.
Si diresse
verso i bagni per darsi una rinfrescata al viso e una sistemata generale, in
modo da nascondere leggermente l’aria stravolta che era sicura di avere.
Non appena
l’acqua fresca toccò la sua pelle, si sentì subito meglio. Rimase a guardarsi
qualche istante allo specchio, indecisa se usare o no il correttore per
nascondere le occhiaie che stavano crescendo indisturbate attorno ai suoi occhi
verdi.
“Mi sa che
è il caso di nasconderle un po’”.
Aprì la
borsa che portava a tracolla, prese l’astuccio in cui metteva il necessario per
il makeup e prese a passarsi il cosmetico. Decise che era il caso di usare
anche un filo di trucco, giusto per non sembrare trasandata: un filo di matita
e un ombretto dalla tinta naturale, mascara e un lucidalabbra trasparente ed
ebbe l’impressione di essere cambiata totalmente, sentendosi più sicura di sé.
Slegò i capelli e si mise a testa in giù, ravvivandoli con le mani. Quando fu
nuovamente in posizione eretta sorrise al proprio riflesso, sistemando qualche
ricciolo ribelle.
Fu proprio
in quel momento che la vide. La sua figura non era la sola nello specchio,
dietro di lei c’era una donna alta e bionda, con indosso una tunica, che la
fissava con freddi occhi di ghiaccio. Non aveva sentito entrare nessuno, non
aveva visto la porta aprirsi. E quella donna… era così strana. Aveva un’aria
famigliare, eppure c’era qualcosa di sbagliato in quegli occhi che la
scrutavano.
«Chi sei? Che
cosa vuoi da me?» la sua voce uscì meno sicura di quello che si aspettava. La
bionda non rispose, rimase immobile.
Ginevra si
girò, per poterla guardare meglio, ma dietro di sé non c’era nessuno.
“Com’è
possibile?”
Tornò a
guardare nello specchio e trovò solo se stessa, con un’espressione spaventata
in volto. Si sentì le gambe tremare e dovette reggersi al lavello.
“Che cosa
succede? Non è possibile che mi sia immaginata tutto”.
Osservò
ancora per qualche istante lo specchio, si pose più vicina, ma non c’era più
niente, se mai c’era stato qualcosa.
Il rumore
della porta che si apriva la fece sobbalzare, tanto che la signora che stava entrando
si preoccupò sul suo stato di salute.
«Sto bene,
sono solo stanca per il viaggio» - si congedò velocemente, per dirigersi
all’agenzia immobiliare.
Camminare
le fece bene, immersa nel traffico londinese non ebbe più modo di pensare a ciò
che era successo nel bagno della stazione, era più impegnata ad attraversare
guardando dal lato giusto. Da dove veniva lei poteva fare anche a meno delle
strisce pedonali, a Londra, farlo, avrebbe significato suicidarsi.
Fortunatamente quasi ogni incrocio era munito di semaforo e, sull’asfalto era
indicata la direzione da cui arrivavano le macchine.
Dopo pochi
incroci, finalmente trovò l’insegna “Home in London”. Appoggiò una mano sulla
maniglia, si prese un istante per un respiro profondo ed entrò.
Il suo
ingresso fu segnalato dal suono di un campanellino che richiamò l’attenzione di
una delle impiegate, che si apprestò ad accoglierla.
«Buongiorno
signorina, in cosa posso esserle utile?».
Ginevra
frugò nella borsa in modo frenetico per alcuni secondi, quando ne riemerse
aveva in mano la documentazione per il contratto d’affitto. L’impiegata prese i
fogli che le porse, controllò alcuni dati al computer e sparì per pochi momenti
nel retro, per tornare con un mazzo di chiavi.