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Autore: Audrey_e_Marilyn    27/09/2014    2 recensioni
Gli uomini sognano, ma i sogni non hanno alcun valore quaggiù e ciò che prima era un luminoso raggio di speranza, adesso è una lunga notte d'agonia. Questo è il principio della fine, è stato concesso tempo a sufficienza, ma nei meandri della terra ancora giace in attesa l'eredità degli angeli, un'eredità macchiata di sangue e bruciata dal fuoco.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Atto Terzo: Il rapimento
 

Nonostante le fosse stato spiegato più e più volte, Clelia ancora non si capacitava della presenza, no dell’esistenza, del ragazzo che le camminava accanto con postura fiera mentre si dirigeva verso il Duomo di Siena. Suo zio aveva liquidato la questione dicendole che erano ordini dai piani alti, che il Cardinale in persona le aveva affiancato Samuele come partner e che avrebbe vissuto con loro.
«Senti ragazzina potresti non trasudare nervosismo? Mi rovini la giornata…» sussurrò il ragazzo al suo orecchio mentre entravano nella chiesa, facendole drizzare i capelli sulla nuca.
«IO rovinerei la giornata a TE?!» sibilò stizzita lei, mentre girava la chiave di rubini e prendeva la fiaccola dal muro «Tu se mai stai rovinando la mia giornata, anzi la mia vita fino ad ora ,tutto sommato, priva di crucci!»
«Come siamo melodrammatiche, guarda che nemmeno io sono entusiasta di essere qui, a Roma stavo benissimo…» rispose lui tranquillo, mentre scendeva la scalinata di pietra ed entravano alla base.
«Anche io stavo benissimo fino a due giorni fa…» borbottò la ragazza dirigendosi verso la sala degli allenamenti.
«Ehi, dove vai?»
«Ad allenarmi no? Sbrigati…» rispose atona Clelia, facendo strada.
 
Una volta arrivata nella sala, molte coppie si stavano allenando nel corpo a corpo, ma lo sguardo della ragazza cadde sui suoi amici. Giselle ed Emi testavano le nuove alabarde. Le erano mancate le sue amiche, sempre così frizzanti e allegre, senza mai alcuna preoccupazione.
 «Clelia! Bentornata!» la salutò Giselle scartando un colpo di Emilia per correre verso di lei.
   «Ehi! E mi lasci qui così?» chiese divertita la bionda che, seguita dal fratello, la raggiunse.
 «Dove sei stata per tutto questo tempo? Dovevi essere qui già da due giorni» le ricordò la rossa abbracciandola, affettuosa come al solito.
«Diciamo che ho deciso di fare una gita fuori programma» rise la ragazza, senza specificare il motivo della sua improvvisa partenza ed evitò inoltre di menzionare il rubino.
   «E che bel souvenir hai portato» ammiccò Emilia, guardando il Samuele che si guardava intorno curioso. Per lui era, stranamente, tutto nuovo… quella base era molto diversa dalla sua. Molto meno fornita, innanzitutto, molto meno ampia e più angusta.
«Ah già… lui è Samuele, viene da Roma… ed è il mio partner» spiegò infastidita la ragazza, mentre l’altro si limitava a salutare il gruppetto con un cenno della mano.
    «Come, come?» la scherzò Shane avvicinandosi, «qualcuno ha fatto una marachella e le hanno affibbiato un babysitter?»
«Piantala Shane!» sibilò Clelia irritata. Doveva per forza aprire quella sua boccaccia? Non poteva stare zitto e farsi i fatti suoi?... No, ovviamente no, dopotutto si trattava di Shane e lui era peggio di una comare quando si impegnava. «Comunque si… il concetto tutto sommato è quello… per trovarne uno alla mia altezza hanno pescato lui» sbuffò la ragazza mentre l’amico andava dal ragazzo.
    «Da Roma eh? Quindi sei uno dei pezzi grossi…»
  «Così dicono… Samuele, piacere» si presentò allungando la mano
    «Shane, piacere mio» rispose stringendo la mano tesa «E questa è la mia partner, Giselle» disse indicando la ragazza dai capelli rossi.
«Oh, ciao… sei un’iniziata? Quanti anni hai? Dodici, tredici?» domandò sinceramente convinto.
 «Ne ho diciassette…»  rispose atona la ragazza.
«Oh… Capisco… Piacere di conoscerti» sorrise spiazzato Samuele,
 «piacere mio» rispose allegra la ragazza, piazzandosi al fianco del partener. Vedendo la corporatura minuta e ottile della ragazza, messa a confronto con quella del ragazzo che al contrario era massiccia e imponente, somigliava un piccolo pulcino.
«So a cosa pensi… sembrano l’articolo “il”»  rise Clelia
«in effetti lo pensavo…»
     «Lo pensano tutti. Piacere, sono Emilia» si presentò la ragazza, spostando scherzosamente Clelia con una spinta. «E lui è il mio gemello, Tommaso»
   «Ciao, molto piacere» salutò il giovane, che fino a quel momento era rimasto discretamente in silenzio al fianco di Clelia. Samuele rimase impressionato, non si assomigliavano per nulla. Lei era solare ed espansiva e lui così… freddo e asettico.
«Dopo aver effettuato i fastidiosi convenevoli riprendete gli allenamenti, su» esclamò severa la ragazza mentre tutti riprendevano le loro occupazioni e lei andava a cambiarsi. «Tu non muoverti chiaro?» disse prima di andare negli spogliatoi per indossare la divisa. Dopo pochi minuti era rientrata nell’arena per trovarsi davanti una scena che la lasciò ammutolita per qualche istante: Samuele, spada alla mano e postura impeccabile, dava consigli a Shane come se fossero amici da una vita.
«Shane, vedo che socializzi» scherzò la ragazza prendendo la spada tra le mani
    «Ovvio, quando mi ricapita di avere consigli da uno come lui?» rise lui, scompigliandole i capelli.
«Beh, avresti sempre potuto chiedere a me, dopotutto mi conosci da più tempo…» disse lei con un mezzo sorriso ad incresparle le labbra. Non capiva, lei lo aveva sempre spronato a migliorarsi e lo aiutava sempre, come poteva ignorarla in quel modo? Un po’ si dispiaceva, si sentiva come se tutti i suoi amici si fossero stancati di lei… i suoi migliori amici per altro.
«Tranquilla non ti rubo il posto» ghignò Samuele rigirandosi la spada tra le mani.
«Certo, come se tu potessi battermi» rise Clelia, sicura di se come non mai, non avrebbe mai permesso a quello sbruffone di superarla ancora.
«Ѐ una sfida ragazzina?» domandò lui divertito avvicinandosi a lei con aria di superiorità. No, lui non le faceva alcun effetto. Nessuno.
«Può darsi…» rispose la bionda, affilando lo sguardo.
«Benissimo… in posizione» disse portando la spada davanti a se, mentre l’arena si svuotava, lasciando spazio a chiacchere curiose e stupite.

Nessuno alla Base Rossa aveva mai osato sfidare Clelia, o almeno non in via ufficiale come quella e molti ragazzi, Shane per primo, erano curiosi di sapere come sarebbe finita.
«Sfida accettata» sibilò imitando il ragazzo e portando la spada davanti a se.
Dopo diversi minuti, in cui Samuele non si era mosso di un millimetro, Clelia decise di attaccare per prima, tentando un affondo veloce in quello che aveva individuato come punto cieco. Si accorse di aver fallito quando il ragazzo parò il suo colpo con facilità, spingendo la spada contro la sua e avvicinandosi a lei. Conosceva la scherma in modo impeccabile… nessuna sbavatura nella postura, nell’attacco, nella difesa…
«Ѐ il meglio che sai fare? Un po’ deludente devo dire» sussurrò strafottente il ragazzo, mentre Clelia si allontanava a passi veloci.
«Sta zitto…» sibilò irritata mentre tentava un nuovo affondo schivato con facilità, aumentando la sua irritazione colpo dopo colpo. Ma non si sarebbe mai lasciata dominare dalla rabbia, nonostante in quel momento fosse forte, aveva un ottimo autocontrollo e dominava perfettamente ogni affondo e ogni stoccata, prontamente parate o schivate dal ragazzo.
«Sul serio, mi aspettavo qualcosa di meglio dalla nipote del Gran Maestro» la prese in giro lui sorridendo come se nulla potesse scalfirlo, mentre lei cominciava a sudare e sentiva il fiato venirle meno.
«Ti ho detto… di stare zitto!» esclamò nervosa mentre tentava un altro affondo. Il ragazzo lo schivò, rapito, portandosi sul suo fianco e le colpì la mano con l’elsa della spada, disarmandola e premendole la lama fredda contro la gola.
«Ho vinto ragazzina» sussurrò soddisfatto al suo orecchio mentre si scostava, godendosi l’applauso dei ragazzi che avevano assistito allo scontro e le risate di Shane. «Una volta che l’avversario è distrutto, psicologicamente e fisicamente, allora sai di avere già vinto.»
    «Allora esiste! Esisti veramente!» rise il ragazzo appoggiandosi contro al muro «Oddio, non credevo fosse possibile… e come promesso rido: ahah!»
   «Tappati quella fogna, Shane!» lo sgridò Giselle, colpendogli il braccio con una pacca, «con tutte le volte che sei e sarai sconfitto da lei hai ben poco da ridere, te lo dico sempre!» il ragazzo smise di ridere e la rossa accompagnò Clelia a cambiarsi negli spogliatoi.

Scese con rabbia e aprì con forza l’anta del suo armadietto, rischiando di romperlo. Tutti i fumi caldi provenienti dalle docce le facevano girare la testa e la rabbia ribolliva feroce nelle sue vene, come un ringhio che brama di essere liberato.
«Quel brutto… presuntuoso!» sbottò irritata mentre si sfilava rabbiosa il corsetto e la camicia.
   «Però è bravo, devi ammetterlo…» disse calma l’altra, mentre si cambiava «Clelia, se hanno scelto lui c’è un motivo, e te lo ha appena dimostrato… è il migliore, l’unico alla tua altezza.»
«Non…» stava per protestare quando la voce di Emilia la interruppe.
    «Non lo accetti Clelia? Ti conviene farlo… e alla svelta»
   «Emilia ha ragione, puoi imparare molto da lui, ha una tecnica impeccabile» concordò Giselle.
«Avete ragione… ma è amaro da buttare giù» sospirò lei mentre si rimetteva i suoi vestiti e andava all’uscita «A domani ragazze» le salutò mentre andava verso l’uscita della Base.
Fuori dal duomo, appoggiato a braccia conserte vicino alla sua moto, stava Samuele con il solito sorriso da schiaffi impresso sul viso. Il sole era appena calato e sullo sfondo il cielo illuminava Siena di un colore roseo.
  «Torniamo a casa?» domandò passandole il casco, lo afferrò con un gesto stizzito mentre saliva sulla moto in silenzio. Dopo pochi minuti arrivarono alla villetta, ne Vasco ne Dafne erano ancora tornati, per cui poteva dar sfogo alla sua frustrazione senza doversi subire i rimproveri del caso.
«Brucia la sconfitta eh?» domandò il ragazzo mentre entrava dopo di lei e si chiudeva la porta alle spalle.
«No… affatto, la tua è stata solo fortuna» sibilò stizzita la ragazza, punta sul vivo. Bruciava eccome.
«Fortuna? Dolcezza, io sono il migliore, non sono fortunato… sono bravo» rispose calmo lui, portandosi davanti a Clelia, che stringeva i pugni con forza.
«Certo, chiunque sarebbe bravo se fosse il protetto del cardinale in persona…»
«Stai insinuando che sono diventato come sono per quello?»
«Sto pensando che quando si è ai piani alti si hanno trattamenti diversi! Io ho versato sangue e lacrime per essere la migliore!» sbottò furente la ragazza.
«Credi che io non mi sia allenato?! Non è che ho schioccato le dita e mi sono ritrovato tutte le nozioni in testa!» replicò infastidito Samuele.
«A che poteva servirti allenarti?! Saresti comunque diventato uno dei pezzi grossi!»
«Ah, e allora oggi come ti ho battuta? Con la forza del pensiero? La dura verità, cara Clelia, è che non riesci ad accettare di essere la numero due!» urlò il ragazzo, oramai furente quanto lei. Anche lui si era allenato duramente per diventare bravo, anche lui aveva dovuto faticare e affrontare lunghe e pesanti ore di addestramento e non sopportava l’idea che una ragazzina, che le avevano affibbiato a forza, potesse anche solo insinuare il contrario.

Clelia stava per replicare, quando la scena davanti ai suoi occhi cambiò, il salotto della sua casa, divenne una stanza piccola e angusta, la polvere dorata splendeva in un fascio di luce che entrava da una piccola finestra, che illuminava un tavolo di legno malmesso al quale sedeva una giovane intenta a scrivere su un cartiglio. Lunghe parole si susseguivano con una calligrafia ordinata, su una pergamena ingiallita. La scena sbiadì in fretta, e Samuele e le sue urla tornarono a riempirle le orecchie.
«Allora? Non dici più nulla?!» domandò stizzito il giovane mentre Clelia si limitava a guardare il vuoto confusa, per poi correre fuori, salire in fretta sulla moto e correre alla Base, aveva già visto cartigli come quelli, e sapeva anche dove trovarli. Si diresse veloce verso la biblioteca, senza accorgersi delle due figure che l’avevano scontrata.
     «Ahi… ehi ma che? Clelia? Che ci fai qua?» domandò confusa Emilia.
«Io… devo andare alla biblioteca.»
   «Che cosa devi cercare?» domandò Giselle.
«Un cartiglio, devo cercare nella sezione proibita.»
     «Uh, roba che scotta» rise Emilia, «possiamo venire?»
«Certo» sorrise Clelia, «in tre faremo di sicuro prima» disse facendo strada verso la biblioteca.

Uno dei privilegi dell’essere un Cavaliere era che potevi accedere a sezioni e luoghi misteriosi di cui nessuno era a conoscenza; uno di questi la sezione proibita della biblioteca, dove erano custoditi cartigli risalenti a diverse epoche storiche e diversi resoconti delle missioni più importanti.
     «Cosa cerchi esattamente Clelia?» domandò curiosa Emilia mentre iniziavano a cercare tra gli scaffali.
«Qualcosa inerente a Giovanna D’Arco, qualcosa di suo… un testo…» spiegò la ragazza, già immersa tra i rotoli, e uno piccolo e consunto catturò la sua attenzione. Lo prese tra le mani, e sentì come se ci avesse già avuto a che fare una volta. Lo aprì e scorse velocemente, «o forse una lettera…» esultò stendendolo bene sul tavolo mentre le due amiche la raggiungevano.
   «Avanti, leggi…» la incitò curiosa Giselle.
«Un momento, è in francese… allora: “Caro Pierre, mio adorato fratello, ti scrivo questa missiva, per salutarti, oramai la battaglia è prossima e io scenderò in guerra insieme ai soldati. Tu sei l’unico che mi accetta, nonostante le mie scelte, anche se non le comprendi e per questo scrivo a te, l’unico di cui mi fidi più che di me stessa. Voglio confidarti un segreto Pierre, grazie a strane visioni e voci che persistono da tempo nella mia testa, sono riuscita a risalire ad una spada mistica, la sua lama è lambita dalle fiamme, ad ogni colpo sparge ceneri scure e il suo affondo è infallibile. Se la mia vita dovesse spegnersi in battaglia, o in qualsiasi altro caso, prendi tu quella spada Pierre, e nascondila, in attesa che un altro prescelto possa impugnarla. Perdonami se non ti do altre spiegazioni, ma ti prego di fidarti di me… ora devo andare, il sole sta già tramontando e devo partire. Addio Pierre, madre, padre… grazie di tutto. Con immenso amore, Jeanne”» lesse Clelia, traducendo dal francese e corrucciando la fronte perplessa.
     «Non ci ho capito granché… ma ho l’idea che tu stia cercando questa spada» dedusse Emilia.

D’un tratto le ampie vetrate della biblioteca vibrarono, frantumandosi in mille pezzi, piccoli e taglienti, che costrinsero le tre ragazze a nascondersi sotto il tavolo in legno. Clelia frugò nelle sue tasche alla ricerca di un’arma… un pugnale, una pistola, almeno la sua cerbottana!... Nulla. Era disarmata.
 «Ma che diavolo succede?!» gridò Emi per sovrastare il rumore di vetri infranti.
«Non lo so…» rispose disorientata « sembrerebbe quasi un’onda d’urto…»
Un forte colpo ruppe il tavolo sovrastante, uscirono da loro nascondiglio in malo modo. Sentì una forte fitta alla mano e guardò il lungo e profondo taglio che si era fatta tagliandosi con un vetro affilato. Il sangue che ne sgorgava era rosso cremisi e scendeva a flotti, poteva sopportare il dolore. Anche il suo labbro sanguinava tingendole la bocca di un rosso corpulento e denso. Dinnanzi a loro due uomini, dall’andatura massiccia ed imponente, che impugnavano solenni le loro spade; al centro una donna, alta, sinuosa, dai fluenti capelli ramati e lo sguardo subdolo, sfoggiava fiera lungo il suo collo un tatuaggio già visto: un drago nero. Rabbrividì e sentì una scossa lungo sua schiena. Adrenalina? No, mai aveva provato una sensazione simile dinnanzi ad un nemico.
  «Avete dei buoni riflessi, non che mi sorprenda… dopotutto fate parte dell’Ordine» notò acida la donna scostando i capelli dal suo magro volto scarno e pallido. Una fredda pelle d’avorio e un paio di occhi smeraldini che le fissavano truci. «Peccato, contavo di farla finita velocemente» borbottò annoiata.
 «Chi sei?» domandò Clelia sulla difensiva.
«Il mio nome è Dana, ma non vedo come possa interessarti fanciullina…»
 «Effettivamente non mi interessa… fuori, questa sezione ai membri dell’Ordine.»
La laida donna scoppiò in una fragorosa e raggelante risata che riempì i meandri vuoti della biblioteca: «ahh,  l’Ordine… certo…» commentò divertita dall’affermazione della ragazza. «Dimmi un po’ ho la faccia di una che segue le regole? Sul serio?» si fece spaventosamente serie, man mano che le parole fluivano dalle sue labbra. «Avanti, spiegami come arrivare alla spada ed io me ne andrò.»
 «Si riferisce a quella lettera?» sussurrò Giselle al suo orecchio, avvicinando cautamente la mano ai coltelli nella sua cinta. Clelia fissava la donna senza sbattere le palpebre e con aria ferrea.
 «Esattamente rossa!» storse la bocca in un ghigno malefico tramutando quell’elegante neo, in una raccapricciante verruca. «Racconta quello che sai e nessuno si farà del male» la minacciò i due uomini si avvicinavano trovi.
 «Ad una come te?» rise Emi «Giammai.»
  «Voi dell’Ordine siete così prevedibili, ma avete ritrovato quel dannato fogliaccio… quel bastardo… lo ha nascosto bene… avanti fanciullina, gira quel pezzo di carta e dimmi se qualcosa non ti suona familiare» la incitò Dana.

Clelia girò il retro del foglio titubante e le sue mani tremavano. Ciò che lesse le fece gelare il sangue nelle vene: “Labirinto nel sottosuolo di Parigi, al di sotto della statua di Giovanna d’Arco. Deceduti: Andrea Franchisio e Ginevra Bianchini. Esito: fallito. Missione: livello nero.” Era la missione in cui i suoi genitori erano morti e la firma di suo zio stava a certificare quanto scritto.  Chiuse gli occhi sentendo un profondo vuoto, un colpo al cuore che faceva più male di una sconfitta.
 «I tuoi genitori sono morti in modo pietoso, tu vorresti fare la loro stessa fine?...Infondo, se sei figlia loro…»
«Non so chi tu sia, o perché brami la spada, ma quel tatuaggio non mi ha portato altro che guai e quindi da me non otterrai nulla strega!» esclamò decisa stringendo il cartiglio.

Dana sospirò teatralmente portandosi una mano al petto, mostrò il labbro inferiore e uno sguardo addolorato. Tutta scena, si disse Clelia, non mi incanta.
 «Non mi lasci scelta fanciullina…» schioccò le dita e di quel rumore veloce e penetrante si fece eco in tutta la sezione. I due uomini si avventarono su di loro come fanno i lupi sulle prede, senza dar loro il tempo di estrarre alcun tipo di arma.
Quando il nemico si avvicinò a lei, respinse il colpo con un corpo a corpo, ma la mano bruciava come lambita dalle fiamme. Il gorilla di Dana tentò un altro affondo, lo schivò lateralmente e prese tra le mani il suo polso. Lo strinse forte e lo girò, impossessandosi così della spada. Guardò la mano girata del suo avversario e come, con una semplice leva, fosse stato in grado di sistemarla. Fu una scena raggelante, non aveva mai visto nessuno risistemarsi un osso rotto in quella maniera, senza mostrare sul volto alcun segno di dolore. Ma almeno aveva recuperato un’arma e aveva “indebolito” l’avversario, anche se sembrava parecchio più resistente di lei e forse lo era, ma doveva trovare un modo per batterlo… e alla svelta. Il rumore delle schegge di vetro rotte sotto i piedi si mescolava con lo stridere delle lame, i coltelli di Giselle fendevano l’aria e il rumore dei colpi batteva nei timpani come il rullo dei tamburi. Il suo nemico era meno forte di quanto immaginasse e i suoi gemiti di dolore si facevano sempre più forti ed insistenti, il suono del ferro le concedeva una scarica di forte adrenalina e il sangue che colava dalle sue labbra fremeva caldo, voleva sentirlo ancora per rendersi conto di quanto poteva spingersi oltre. Gli conficcò una lama nel fianco e guardò la punta della lama fuoriuscire dalla sua schiena con uno scintillio cupo, guardò le due ragazze alle sue spalle mentre il suo avversario rantolava a terra. Giselle, privata dei suoi coltelli, si difendeva a colpi dal grosso uomo dinnanzi a lei e notò un lungo taglio che le percorreva la guancia destra. Stanco del suo continuo schivare la fece sbattere contro la libreria con forza e nell’esatto istante in cui volse lo sguardo verso Emi, la sua più vecchia e cara amica, la terra venne a mancarle sotto i piedi. Dana bloccava Emilia puntandole una pistola alla tempia e un coltello alla gola.
 «Ora basta!» sibilò la strega «dimmi dove si trova quella spada ragazzina, o la tua amica non rivedrà la luce del sole!» minacciò lei premendo il filo della lama sulla pelle della ragazza, tingendola con una sottile linea scarlatta.
  «Clelia non farlo…» mormorò Emi con un filo di voce, mentre tentava di allontanarsi invano dall’arma.
 «Lasciala! Ancora non so nulla su quella dannata spada!» gridò Clelia disperata e ancora indecisa se avvicinarsi o meno, « piuttosto prendi me… sono io quella che vuoi, è con me che ce l’hai, non con lei.»
 «Come ostaggio tu non mi servi a niente. Solo tu puoi condurmi alla spada Clelia e quindi io ti userò… te e tutti quelli che ti affiancano» portò con sé Emilia sul bordo della finestra «la spada, per la biondina… quanto siete disposti a perdere Cavalieri?» rise subdola e sparò al braccio di Clelia. Il proiettile strisciò incandescente sulla sua pelle e fendendole la maglia che poco a poco si colorava di sangue. Dana era sparita, così come i due uomini ed Emilia…. Si sentì sprofondare in un oblio dal quale le sembrava impossibile uscire. Nella biblioteca calò un lugubre silenzio e Clelia corse al capezzale di Giselle, ancora integra, ma molto confusa e dannatamente preoccupata.

 «Non doveva prendere Emilia…» sibilò Clelia trattenendo la rabbia e il dolore. «Dovevo esserci io al suo posto…»
   «Non sono stupidi, tu sei l’unica che può portarli a ciò che vogliono» ribatté Giselle rialzandosi in piedi.
«Gise lei… lei è la mia più grande amica, siamo cresciute insieme in questo posto e la considero quasi una sorella… sono stata una sciocca e un’incapace, come posso pretendere di diventare Gran maestro se non so nemmeno proteggere i miei amici?» i sensi di colpa le attanagliarono il cuore e lo strinsero forte come fosse chiuso in delle catene di titanio.
Giselle posò una mano sulla sua spalla: «torniamo alla base e parliamone con tuo zio, lui saprà cosa fare… inoltre non sarebbe male fare un salto in infermeria, stai… stai grondando sangue» suggerì la ragazza aiutandola ad alzarsi.
«Anche tu sei messa male… andiamo.» Nonostante il dolore che le percorreva il braccio e la mano ancora squarciata, non parlo, non si lamentò, quasi come se quel dolore non fosse nulla comparato a quello che alleggiava nel suo cuore. Percorsero i vicoli di Siena in Silenzio, cercando di non farsi notare troppo. Appena tornate alla base corsero all’ufficio di Vasco. Clelia aprì la porta di colpo era giusto ammettere i propri errori e questa volta aveva superato ogni limite.
 «Zio, è successo un casino!» esclamò trattenendo le lacrime, Giselle entrò con lei ed entrambe rimasero sbalordite nel vedere che erano state precedute. Samuele e Shane erano in piedi, difronte a loro a metà strada tra la rabbia e la preoccupazione. Clelia ingoiò le lacrime e lo sguardo severo e deluso del suo partner la colpirono molto, le fece capire cosa si provava a deludere qualcuno e quale retrogusto amaro lasciava nell’animo.
«Gise dove diamine eri finita?!» sbottò Shane trascinato dalla sua solita ira momentanea, «ti ho cercato in tutto il benedettissimo Duomo accidenti! Mi avevi detto di essere nell’arena!»
 «E tu? Dove cazzo sei andata a cacciarti?! Ti ho cercata per mezza Siena!» aggiunse l’altro, era già sorpresa che fosse venuto a cercarla… si era comportata male nei suoi confronti, davvero male.
Suo zio sogghignava divertito dalla sua scrivania e sistemava i suoi fogli volanti giusto per mettere un po’ in ordine quel casino che era la sua scrivania, poteva passare un’ora solo per cercare  suoi occhiali da lettura… forse anche due ore.
Lei e la sua amica si lanciarono uno sguardo complice e risposero in coro: «in biblioteca.»
«E allora perché sanguinate?» domandò Shane animato da una rabbia fredda ed impulsiva.
  «Noi… ci hanno attaccate» rispose Giselle attirando l’attenzione di Vasco.
«In biblioteca? E da chi?» domandò preoccupato.
 «La Confraternita del Drago Nero zio, ci hanno già attaccati una volta e  vogliono la spada di fuoco» Clelia con serietà poggiando delicatamente il cartiglio, intriso ormai del suo sangue, sulla scrivania di suo zio.
   «Sei andata a cercarla?!» gridò furente «Clelia te lo avevo proibito!» la rimproverò «è per questo che sei sparita dopo Venezia?!»
 «Sì.» Non aveva più paura di affrontarlo, ne aveva voglia di negare l’evidenza. Si meritava la predica e l’avrebbe incassata tutta. «Zio, io devo dare un senso a ciò che vedo…e ora ho un motivo in più per cercarla.» cominciò incupendosi.
 «E quale sarebbe?»
   «Hanno preso Emilia, le risparmieranno la vita solo quando consegnerò loro la spada» spiegò greve e nella stanza calò un pesante silenzio, rotto solo da un affranto sospiro di suo zio.
«Maledetti… Non ci lasciano scelta, dimmi che sai come arrivare alla spada.»
Clelia indicò il foglio sporco di sangue, Vasco lo lesse attentamente e lo vide stringere i pugni. Forse per rabbia, dolore, comunque amari ricordi… «Una visone mi ha portato al rubino che, a rigor di logica, dovrebbe essere il pomo della spada, un’altra al cartiglio di Giovanna d’Arco… Metterò insieme gli indizi, so che sembra strano ma se è l’unico modo lo farò.»
 «Molto bene, sai quello che fai e trovare quella spada è diventata una priorità…»
   «Grazie zio, tornerò presto…»
«Ferma subito l’entusiasmo Clelia, non andrai da sola.»
 «Cosa?! Zio, è colpa mia se hanno preso Emilia come pensi che riesca badare anche ad altri?»
«Scommetto che non è così, altrimenti ora al tuo posto ci sarebbe Emi… Lui verrà con te, siete partner e le cose si fanno in due, perciò verrà in missione con te. Ti dirò di più: Shane e Giselle si uniranno a voi. Ora tu e Gise andate in infermeria, siete malconce.»
 «Agli ordini signore» disse pacata lei uscendo dallo studio, Shane la seguì a ruota accompagnandola al capezzale di Dafne.
 «È la vostra priorità, fate veloci… Clelia dovresti andare in infermeria.»
«No, è già guarita…» guardò la sua mano che ancora sanguinava e la nascose dietro la schiena « a presto zio.»

Uscì veloce dalla porta e sentì la voce di suo zio levarsi in un mormorio distinto: “testona”. Sì, era testarda come un mulo e ne era pienamente cosciente. Sentì i passi di Samuele che la seguivano in silenzio e facevano un rumore molto più forte dei suoi, anzi, quasi li sovrastava. Nessuno dei due aprì bocca finché non si avvicinarono all’uscita.
 «Senti, riguardo alla discussione di prima…»
«Cosa?»
 «Dimentichiamo tutto» propose Samuele «ricominciamo da zero. So perfettamente che mi detesti, oggi lo hai affermato pienamente, ma non potremmo fare questo sforzo? Almeno provare a collaborare per salvare la tua amica…»
Non ci avrebbe guadagnato nulla ad odiarlo in eterno. «Va bene… io non… io non pensavo davvero quello che ho detto, ero solo arrabbiata, mi dispiace…» si scusò e davvero gli aveva chiesto scusa col cuore, non meritava nessuna delle parole che gli aveva detto.
«Sei perdonata.» La attirò a sé e la strinse in un abbraccio.
  «Ma… che stai facendo?»
«Non lo so, sembravi aver bisogno di conforto ed io te lo sto dando. Non preoccuparti per la tua amica, se è tenace quanto te nulla potrà spaventarla…»
Non rispose, si limitò a consolarsi nel calore di quel corpo sconosciuto che in quel momento, così duro e freddo, non faceva altro che confortarla. Si sentiva invasa da un forte dolore e per quanto avesse tentato di trattenere le lacrime, ogni suo sforzo fu vano. Era tutta colpa sua, se fosse stata più attenta e più coraggiosa forse Emi sarebbe stata ancora lì con lei. Lasciò colare le lacrime lungo il suo viso e lo pulivano con righe malinconiche, soffocò i suoi singhiozzi, ma strinse forte Samuele affondando il volto nel suo petto. Era colpa sua, solo sua.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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