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Autore: Lely_1324    28/09/2014    7 recensioni
Sarà il loro più grande segreto, che li porterà a vivere una straziante storia d'amore. Dovranno confrontarsi con la clandestinità e la passione ...Ma nella città dell'amore tutto è possibile!
JENNIFER MORRISON- COLIN O'DONOGHUE
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Lei se ne era andata.
Loro erano arrivati quella notte.
Le uniche parole che aveva scambiato con sua moglie era stati dei saluti assonnati mentre usciva quella mattina per andare sul set. Per andare da lei. Niente sembrava cambiato.
Fu un semplice squillo a rammentargli quanto poteva sbagliarsi. Tolse il cellulare dalla tasca dei jeans, maledicendosi mentalmente per non essersi ricordato di spegnerlo e aprì la chiamata senza controllare il display: “Si”
“Sono io”
C: " Helen! Che succede?”
H: “Isaac è morto”
C: “Oh..mi dispiace..quando è successo?” conosceva poco il cugino di Helen, ma sapeva che era malato da tempo.
H: “Circa un’ora fa..ho già fatto i bagagli.”
C: “Ah..capisco..mi dispiace cara, porgi le condoglianze anche a mio nome per favore..e non preoccuparti per Rebecca, stasera cercherò di staccare prima..”
H: “Che diavolo stai dicendo Colin” lo interruppe la donna con voce improvvisamente stizzita “nostra figlia torna a Dublino con me..con noi! Non dirmi che pensavi di rimanere a Los Angeles come se non fosse successo niente..”
Colin spalancò gli occhi per la sorpresa, deglutendo piano: “Ma..Helen..” cominciò, balbettando leggermente “non posso abbandonare il set così, senza preavviso..ci sono un centinaio di persone che dipendono dal mio lavoro, io non posso..”
“Ma certo che non puoi..” sospirò sua moglie, trattenendo a fatica il sarcasmo “decidi tu quali sono le tue priorità: questa volta non ho intenzione di alzare la voce.”
Dall’altra parte non ci fu replica: sapevano benissimo entrambi che quel breve scambio di battute era solo la punta di un iceberg, un iceberg nel quale il loro matrimonio si era incagliato e congelato nel corso degli ultimi anni.
H: “Abbiamo un volo nel primo pomeriggio: se ti sbrighi, possiamo raggiungere l’aeroporto insieme.”
 
 
Erano quasi le quattro quando arrivò agli studios, salutata dal sorriso gentile degli addetti alla sicurezza: parcheggiò l’auto e s’incamminò velocemente verso il luogo delle riprese, senza passare dal trailer..dopo tutto, aveva con sé soltanto la sua borsa: oggi aveva bisogno di vedere con i propri occhi che, almeno fra le pareti di quel suo mondo blindato, le cose procedevano come al solito. 
Si guardò intorno, aspettandosi di vederlo mentre cercava di riportare la calma elargendo direttive e pacche sulle spalle, con una sigaretta e l’accendino già pronti nel palmo della mano: ma lui non c’era.
“Bene, eccoti qui” si sentì afferrare vigorosamente per il braccio.
“Dov’è Colin?” domandò Jen a bruciapelo.
Katie la squadrò con un’espressione incredula, e leggermente divertita: “Come, non lo sai? È morto un parente della moglie ed è corso a Dublino per il funerale. E pensare che credevo di completare le riprese entro domani mattina..”
La ragazza ritrasse il braccio di scatto, e proseguì in direzione delle costumiste, senza dire una parola. 
Ebbe solo il tempo di controllare il cellulare, trovando il display muto e invariato, prima di essere inghiottita in un vortice di mani e voci.
 
 
 
 
Alzò il bavero del cappotto, reprimendo un brivido incontrollato: faceva freddo, gocce di pioggia sottili e impalpabili cadevano dal cielo, e i postumi del fuso orario non facevano che peggiorare il suo malessere. Passò lo sguardo sui propri figli, evitò invece di girarsi verso la moglie, che gli camminava di fianco. Avanzavano lentamente verso il cimitero, insieme ad un piccolo gruppo di parenti di Helen che lui conosceva a malapena.
Colin alzò gli occhi verso le case e gli alti palazzi che dominavano quella strada secondaria, identica a mille altre strade che circondavano i dintorni di Camden: era sempre stato a suo agio nell’austera eleganza della capitale, ma adesso si sentiva sopraffare dalla stanchezza e da un leggero senso di nausea, e, segretamente, anelava spazi aperti, e sole.
Da quando si sentiva un estraneo nella propria città?  Anche questa domanda era sbagliata.
 
A cena, la tensione con Helen saturava l’aria, e chiudeva lo stomaco a tutti.
Si erano sforzati comunque di instaurare una normale conversazione, parlando di scuola, vicinato, cronaca ..ma Colin commise l’errore di riportare l’argomento a Los Angeles, agli impegni che lo aspettavano, e sua moglie non seppe trattenersi:
“Puoi evitare, per favore, per una volta che sei a casa, e concentrarti sulla tua famiglia?”
La voce le uscì più dura e rancorosa di quanto avesse voluto. Lui tacque, sforzandosi di finire quello che aveva nel piatto. 
Rimasero solo loro due in cucina, con una gran bisogno di urlare, e il desiderio di ritornare in fretta alla normalità.
 
Con sua grande sorpresa, fu Heln ad abbozzare un tentativo di scuse, mentre se ne stavano distesi nel loro grande letto matrimoniale:
“Mi spiace aver alzato la voce, prima.."
“Non importa” le rispose lui con tono asettico.
“Ma non dovresti parlare sempre di lavoro, caro..questo lavoro ti allontana troppo da noi..” e allungò una mano verso il suo viso, nel tentativo di accarezzarlo. Colin si ritrasse d’istinto, senza rendersene quasi conto, e la mano della donna rimase sospesa nello spazio buio fra di loro. Heln chiuse la mano a pugno, ritirandola di scatto verso di sé, e domandò a bruciapelo: “Che c’è? Ce l’hai con me perché ti ho strappato dalle moine di qualche attricetta americana?”
Finalmente l’aveva detto. Credeva che si sarebbe sentito schiacciato dal peso della colpa, e invece qualcosa nel tono di lei gli fece montare ancora di più la rabbia che aveva in corpo:
“Lascia perdere Helen, è meglio che ci mettiamo a dormire” le intimò con voce bassa. Sua moglie fraintese quelle parole come se fossero un patetico tentativo di fuga, e rincarò la dose: “Non te la cavi così, mio caro! È proprio il caso che ti ricordi come si comporta un padre di famiglia!”
Si sentì afferrare per un polso da una mano nervosa e vigorosa, e ammutolì all’istante.
“Abbassa la voce, c’è Rebecca in casa. Mi hai costretto a lasciare il set e i miei colleghi nel caos, e ci passo sopra: ma sono stanco, stanchissimo, di essere trattato come un idiota, specialmente davanti ai miei figli”
H: “Tu..”
C “Basta! Te lo dico per l’ultima volta, Heln: non umiliarmi più davanti ai miei figli !"
Le mollò bruscamente il polso, e le voltò la schiena, lasciandola nello stupore e nella confusione più totali.
 
 
Al LAX, i paparazzi stavano come al solito in agguato, ma lui non si fece trovare impreparato, riuscendo persino ad abbozzare un sorriso. 
A Dublino aveva lasciato una situazione più incerta che mai, eppure, contro ogni sua previsione, non si stava torturando come un’anima in pena.
 Forse era il jet lag e l’insonnia prolungata ad offuscargli il giudizio, ma nel preciso istante in cui aveva toccato di nuovo il suolo americano si era ricordato di non averla più sentita da un’infinità di tempo, e questa era l’unica preoccupazione che gli dominava la mente. 
Non l’aveva neppure avvisata del suo ritorno ...mentre l’autista lo riaccompagnava al suo appartamento, valutò la possibilità di inviarle un sms, ma richiuse di scatto il cellulare. 
Poche stupide parole non sarebbero bastate.
 
 
Rimase muta a fissarlo sulla soglia di casa, come se non fosse reale: il casco in mano, il solito zaino in spalla, la barba appena più incolta, eppure le sembrava di non vederlo da una vita. Lui non seppe come interpretare il suo silenzio.
“Posso entrare?”
Jen sbattè le palpebre, e lo fece passare, richiudendosi la porta alle spalle. Sapeva che sarebbe tornato presto, era fin troppo consapevole dei propri doveri professionali: ma credeva di rivederlo direttamente sul set, al massimo di ricevere una telefonata..
Colin fece passare lo sguardo sulla sua figura, così minuta in quella camicia da notte chiara, i piedi scalzi: la vide arrossire leggermente, e si sentì un intruso ad invaderle la casa in quel modo.
Colin: “Io...lo so, avrei dovuto chiamarti prima di partire, e anche stasera...non sono neppure salito nel mio appartamento, ho preso le chiavi della moto e..ed eccomi qua.”
Lei si schiarì la voce, torcendosi le mani: “Mi dispiace per il vostro lutto, Katie mi ha detto...”
 “Un cugino di Jo, una brava persona...lo conoscevo appena”
 “capisco..” surrurrò Jen anche se non stava capendo più niente,  mille domande le si affacciavano alla mente
Colin: “Già”
Jen: “Vuoi..vuoi farti una doccia, mangiare qualcosa? Ho qualcosa di pronto, lo devo solo scaldare..”
Scosse il capo, sorridendo imbarazzato: “Non dovresti essere così gentile con me..”
Lei non sapeva cosa dire, ignara e preoccupata per quei giorni che aveva passato dalla sua famiglia, lontano da Los Angeles e da lei.
“Magari..magari mi stendo un attimo sul divano..sono un po’ stanco..” osò chiederle timidamente.
Jen: “Stenditi sul letto, e copriti bene, sei gelato” 
Colin la guardò negli occhi stupito, e vide che era tornata serena e perfettamente padrona della situazione.
Era bellisima, dolce e assurdamente intelligente. No, davvero non se la meritava.
La lasciò a trafficare in cucina, e raggiunse la camera che ormai conosceva bene: il letto era disfatto da un lato, il lato destro dove dormiva lei. Un sorriso rinfrancato gli aggraziò i lineamenti: buttò il giubbotto di pelle su una sedia, si tolse le scarpe, e si adagiò con un sospirò in quella nicchia ancora calda del corpo di lei.
Dio, il suo profumo! Quanto gli era mancata.
 
Quando riaprì gli occhi, la stanza era immersa nell’oscurità e nel silenzio, cadenzato solamente da un respiro gentile e regolare: lanciò un’occhiata alla radiosveglia, rendendosi conto che aveva dormito per più di quattro ore. 
Si avvicinò piano all’esile figura che gli dormiva accanto, cercando di scrutarne i dettagli nonostante il buio: il corpo era rivolto verso il suo, le ginocchia leggermente piegate all’unisono, il braccio destro rannicchiato contro il seno mentre il sinistro riposava sul cuscino, con il palmo rivolto verso l’alto. 
Distingueva solo le forme, e un delicato riflesso dei capelli dorati. Una parte di lui sentì improvvisamente il bisogno di svegliarla, di parlarle, ma l’altra parte, quella più fragile e impaurita, gli impose di trattenere il fiato..non per evitare di turbare il suo sonno, ma per rimandare le spiegazioni, il confronto, tutti quei maledetti e necessari discorsi che avrebbero fatto riaffiorare i suoi sensi di colpa e le sue incertezze. 
Le baciò piano il polso scoperto, e si alzò con altrettanta delicatezza dal letto.
 
“Mi hai svegliata”
Sollevò bruscamente il capo dal piatto che aveva davanti, e la osservò mentre se ne stava appoggiata sullo stipite della porta, i capelli sciloti sulle spalle e uno sguardo dolce.
“Scusa..” mormorò Colin col cucchiaio a mezz’aria “credevo di non aver fatto rumore..”
Un sorriso luminoso le scoppiò in viso: “Ma no, non hai fatto nessun rumore..mi sono solo accorta che non mi eri più vicino” 
Lo raggiunse al tavolo della cucina, e gli si sedette di fronte, sistemandosi i capelli dietro le orecchie, senza smettere di guardarlo.
Calò di nuovo il silenzio fra loro: quella ritrovata intimità aveva un po’ smorzato il senso di disagio di quando si erano rivisti, ma c’erano ancora mille cose da dire, e nessuno dei due sapeva da dove cominciare. Ma Jen sapeva che sarebbe toccato a lei fare il primo passo, come sempre, e buttò fuori le prime parole che le attraversarono la mente:
“Tua moglie?”
Colin spalancò gli occhi: “Ah, il pragmatismo americano!” replicò con un sorriso ironico.
 Ma Jen era diventata improvvisamente seria.
“Helen è una donna intelligente e sveglia, ha intuito che..che Los Angeles è diventata molto importante per me. Abbiamo litigato, tutto qua. Niente di più, niente di meno. Lei mi conosce fin troppo bene”
“Davvero?” gli ribattè Jen con voce un po’ roca “davvero lei ti conosce così bene?”
Lui la guardò con un’espressione carica di stupore:
“Io...è quello che ho sempre pensato”
Jen si massaggiò la nuca, in un gesto nervoso: non era ancora il momento per certi discorsi, o forse lui non era pronto per ascoltarli..e lei? Lei voleva davvero entrare in competizione con la madre dei suoi figli?
“Torno a dormire” gli comunicò con voce gentile e controllata, alzandosi da tavola. 
Lui si limitò ad annuire, indovinando penosamente i pensieri che dovevano passarle per la testa. Anche la sua mente era inquieta, ma il fatto di trovarsi a casa di lei, di aver dormito nel suo letto gli aveva dato forza e una serenità del cuore che non trovava nessun appiglio alla ragione. 
Per questo, si alzò anche lui, mise il piatto nel lavandino e la raggiunse in camera da letto, stendendosi al suo fianco, nella penombra che ora rischiarava leggermente la stanza.
 Ma Jen adesso gli dava le spalle. Lui, allora, le si adagiò contro la schiena, circondandole la vita con un braccio e affondando il viso fra i suoi capelli. 
Non era sicuro di cosa stesse provando, se era confusa, ferita o arrabbiata con lui.. Sapeva solo che stanotte non poteva lasciarla dormire lontana da sé.
La sentì irrigidirsi per qualche secondo, ma poi sospirò, rilassandosi e rimanendo perfettamente immobile. Lui la strinse un po’ più forte, e prese a baciarla dietro l’orecchio, inarcando il bacino. Jen non protestò, ma non si mosse. 
Colin sospirò dolorosamente.
“Jen..girati, per favore”
Lei ubbidì, girandosi lentamente dalla sua parte, e lo fissò con occhi tristi e pensierosi. Poi, alzò una mano e cominciò ad accarezzargli una guancia, mentre lui si lasciava catturare senza condizioni da quegli occhi ipnotici.
 La mano scivolò dietro la nuca, e le sue labbra morbide gli si appoggiarono sulla bocca. Chiuse gli occhi all’istante, e la invase subito con la lingua, intrecciandola languidamente alla sua. Jen continuò a tenere gli occhi aperti ancora per qualche istante mentre rispondeva al bacio, e gli vide comparire in viso quell’espressione così arrendevole e indifesa che gli nasceva solo quando si abbandonava totalmente a lei. 
Allora chiuse gli occhi anche lei e si aggrappò a lui più che potè. 
Si staccarono diversi secondi dopo, entrambi con lo sguardo perso e il respiro concitato.
Si spogliarono a vicenda, senza fretta. 
Jen si distese supina, aspettandolo.
Puntellandosi sui gomiti e sulle ginocchia per non schiacciarla con il proprio peso, Colin cominciò ad ondeggiare piano sul suo ventre.
Lei allargò le anche e gli accarezzò i duri glutei, invitandolo ad entrare subito. 
Le scivolò dentro completamente, e Jen lo tirò a sé, avvolgendogli le spalle e stringendosi a lui, che si abbassò su di lei, mormorandole all’orecchio il suo struggimento.
 “Amore..” un unica parola, eppure gli era uscita strozzata.
Com’era possibile che un corpo così minuto e prezioso sembrasse essere stato creato apposta per il suo? 
Ogni muscolo di lei, ogni sguardo, ogni respiro seguivano ed assecondavano i suoi muscoli, i suoi sguardi, i suoi respiri, come una melodia a quattro mani che si componeva magicamente sulla tastiera del pianoforte, senza che nessuno sapesse da dove provenisse. 
Colin cominciò a muoversi, assaporando con dolce pena ogni lento affondo, e lei fece altrettanto, dilatandosi e stringendosi, mormorando contro la sua nuca parole intelleggibili. 
Il loro desiderio di incontrarsi completamente riusciva a tenere a bada la voglia folle che esplodeva ne loro ventri. 
E poi il ritmo di lui cominciò a correre, le mani e le lingue si intrecciarono convulsamente, Jen si sentì sollevare da onde vorticose di piacere e il calore di lui la invase.
Si distaccarono con lentezza, e Colin le diede un bacio leggero sulle palpebre, sentendole umide e salate.
“Ti ho fatto male? Stai bene?” l'apprensione era palpabile nella sua voce.
Jen: “Benissimo”
Non sapeva cosa li aspettava, ma sapeva soltanto che ormai nessun altro uomo avrebbe mai potuto farla sentire così.
 
  
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