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Autore: controcorrente    28/09/2014    2 recensioni
Metà del 1800. Soledad Blanca Escobar ha solo 8 anni eppure sa già quanto sia veritiero il significato del proprio nome e, forte dell'esperienza della sua famiglia, arriva a pensare che amore e matrimonio non siano compatibili. Soledad rinnega l'amore ed ogni forma di sentimento, ritenendolo causa di ogni sua sciagura...eppure sarà proprio un matrimonio combinato a farle capire quanto sia importante...sia pure a caro prezzo.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Violenza
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Benvenuti a questo racconto. Per chi non lo sapesse, questa storia è il prequel di LEGAMI, una storia che verrà revisionata non appena avrò il tempo di farlo. Qui verranno fuori tante cose.

 

 

ABISSO

Più il tempo passava, più l'impazienza di mio padre cresceva. Lo vedevo aggirarsi nell'ambasciata come un animale in gabbia, occupando spesso la sala del tabacco per farsi delle lunghe e stizzite fumate.

Anche l'ambasciatore se ne avvide. -Calmatevi, amico mio, non vi fa bene tutto questo.-disse, con la sua consueta pacatezza.

Ignacio si girò.

-Dite? Io devo lasciare questo Paese, NE HO BISOGNO!-fece, alzando la voce.

-E sarà così, se lo vorrete. Il problema è che il mare ha altri desideri. Non è possibile andare contro quello che pensa Nettuno. Aspetteremo.- rispose, calmo.

Don Escobar scosse la testa. -Io non posso stare più in questo posto, voi non capite...-provò a dire.

-Invece comprendo bene. Vi siete esposto in modo sciocco all'invidia dei nobili di Cordoba, facendo quel passo falso che tutti aspettavano.-riferì- Ora dovete calmarvi e ragionare.-

Mio padre si fermò. -Avete ragione-fece, improvvisamente lucido.

Louis annuì. -Non potete continuare in questo modo. I disordini in Spagna hanno fatto passare in secondo piano il vostro problema. Ho saputo che qualcuno ha assaltato il Palazzo di Giustizia e, bruciando l'archivio dove erano contenute le delazioni.-fece- Possiamo augurarci che anche quella denuncia sia scomparsa ma non mi azzarderei mai a correre il rischio di andare a controllare di persona.-

-Ugualmente non posso esserne felice. I Rossignol hanno guadagnato molto dalla mia rovina, soprattutto nel periodo precedente alla mia denuncia.-disse, massaggiandosi la testa- Iddio mi sia testimone ma sono stato ingannato.-

Louis lo guardò con dispiacere. -Ve lo avevo detto. Non dovevate fidarvi.-disse, aggrottando la fronte -Come mai non vedo Alejandro?-

A quella domanda, rabbrividii.

-Me ne sono liberato.-rispose monocorde -Ha pagato per la sua infedeltà.-

Louis non parve molto sorpreso. -Ve lo avevo detto. Siete troppo buono. Non dovevate tenere quel moro con voi. E'troppo venale...che ha fatto?-chiese, con un piglio curioso.

-Mi ha venduto ai miei nemici.-rispose Don Escobar- A quanto pare, nemmeno la mia adozione è servita a cancellare la mia origine non nobile. Quel maledetto ha fornito gli estremi ai De Rossignol per farmi arrestare.-

Quelle parole caddero nel vuoto. Louis rimase immobile e silenzioso, con un'espressione cupa e pensierosa. -Ecco perché hanno potuto mettervi in carcere.- osservò- Non potete tornare in Spagna, allora.-

Ignatio annuì.

-Quindi rinnovo il mio suggerimento. Andate in Francia e prendete quella decisione.-disse.

Don Escobar chiuse gli occhi. -Va bene. Ugualmente non sono sicuro. I Rossignol mi hanno promesso vendetta.-lo informò -Dovrò averli perennemente attaccati al culo fino alla morte.-

Louis inclinò la testa. -Sono degli hildalgos. Hanno la testa dura. Non molleranno tanto facilmente.-fece- Hanno degli scheletri nell'armadio?-

Il silenzio di Don Escobar pareva pesante come un macigno, come se lo trascinasse in un baratro senza fine.

-Farò delle indagini approfondite, in modo da poter avere un quadro della situazione chiaro e cristallino.-spiegò.

Ignatio non rispose. Il suo sguardo si volse verso di me, scrutandomi profondamente. I suoi occhi erano scuri, neri come l'inchiostro. Quel buio mi terrorizzò, congelandomi sul posto.

-Mi auguro che troviate quanto occorre. Quei maledetti non devono più essere un mio problema.- mormorò rabbioso, volgendo lo sguardo verso il francese.

 

 

 

 

Muovermi su una carrozzella continuava ad essere strano e insolito.

Non avevo più niente e, ormai, chiusa nell'ambasciata, cominciavo a non sentire più nemmeno la nostalgia.Non mi chiedevo più nemmeno quale sarebbe stato il mio futuro.

Non avevo più desideri e nemmeno il coraggio di sognare qualcosa, tanta era la paura di vedere quel sogno frantumarsi nelle mie mani. Tutto mi sembrava così fragile da schiacciarmi a terra, stroncando quello stimolo che conduce al desiderio.

-Mademoiselle-disse una voce.

Mi girai e vidi l'ambasciatore. Mi fermai di colpo, rimanendo in attesa. Monsieur Louis era di fronte a me, avvolto nei suoi vestiti più belli. -Ho visto che state passeggiando molto. Vi annoiate?-disse, inclinando la testa.

A quelle parole non parlai. Non avevo niente da dire e non mi piaceva conversare. Lo trovavo fastidioso, tanto più sapendo che quell'uomo aveva un legame perverso con il mio genitore. Perché quel sodomita mi rivolgeva la parola? La sua sola presenza mi lasciava sgomenta e afflitta più del dovuto. Sapere che mio padre aveva tali peccaminosi vizi e pensare che aveva giaciuto con mia madre, malgrado tutto, mi disgustava oltre il lecito.

-Immagino di sì-continuò, del tutto ignaro della ragione del mio silenzio -desiderate passeggiare in giardino?-

Io non dissi niente ma mi limitai ad osservare la mia sedia a rotelle. Come poteva chiedermi una cosa simile? A quella domanda senza risposta, il mio cuore si lacerò. Ugualmente non proferii parola e, docilmente, lasciai che mi conducesse ovunque avesse voluto portarmi.

Louis mi portò al piano inferiore, guidandomi verso una porticina che non avevo mai notato. -Ecco, quando vi ho visto, ho pensato bene di portarvi qui.-disse, cordiale...e quando la porticina si spalancò, venni investita da un lampo di luce.

-E'un luogo che io frequento spesso, quando mi manca la Spagna.- mormorò -E'un Paese al quale devo molto della mia carriera diplomatica.-

Guardai muta quello spazio. Era un giardino fatto di piccoli spazi verdi, irrigati da corridoi d'acqua corrente. Pergolati di piante rampicanti correvano intorno, circondando il tutto in un verde abbraccio. Non avevo mai visto niente di simile.

-Ho visto Granada, sapete? La dimora di quegli infedeli è ancora magnifica ma versa in pessimo stato, se permettete.-disse, inclinando pigramente la testa.

Quella notizia mi fece tremare. Da che avevo memoria, mio padre non mi aveva mai portato fuori da Cordoba. Non avevo mai visto cosa ci fosse fuori da quel luogo e mi bastava la vita ritirata che avevo trascorso insieme a mia madre. Non avevo cercato niente di tutto questo...ed ora il Mondo aveva deciso per me.

-Io e vostro padre siamo amici. Lui mi ha aiutato molto, quando avevo bisogno di sostegno. E'una persona molto buona.-disse, tentando di attaccare discorso ma le sue parole non mi toccarono.
Non mi colpiva più nulla...così, dopo qualche momento, mi lasciò da sola, tornandosene ai suoi affari. Rimasi così in quel giardino, pregno di atmosfere conturbanti e orientali, chiedendomi cosa avrei fatto, seguendo Don Escobar.

Non ebbi modo di trovare una risposta...e c'era una ragione. Semplicemente, non avevo alcuna scelta.

-Mademoiselle-disse improvvisamente il francese, richiamando la mia attenzione. Era tornato indietro ed io non mi ero accorta di nulla. -Vorrei dirvi una cosa. Per quanto le circostanze abbiano un certo volto, non è detto che le cose siano esattamente quelle che gli occhi vi hanno mostrato.-disse, prima di andarsene, senza tornare indietro.

Quelle parole mi apparvero prive di ogni logica. Io sapevo...un vero peccato che tra quella consapevolezza e la presunzione vi fosse un confine così labile. Allora però non lo vidi. Lo smarrimento mi aveva privato di ogni appoggio, tanto che l'unica cosa su cui potevo contare era l'odio per Don Escobar.

 

 

 

 

 

 

 

Qualche giorno dopo, il mare si placò e fu possibile partire.

Si trattava di una piccola imbarcazione per passeggeri, senza immagini particolari. Mio padre aveva preso una stanza in seconda classe. Aveva una finestrella dalla quale si vedeva il ponte. Mio padre passava il tempo lì, anche di notte, rifiutandosi di dormire nella stessa stanza.

Si occupava di me, aiutandomi a mettermi nella carrozzella e lavandomi quando serviva. Il resto del tempo, invece, lo occupava nella prima classe, giocando d'azzardo e fissando l'oceano.

Lo faceva spesso.

Quella solitudine forzata, nella minuscola cuccetta, non mi piaceva. Mi chiedevo continuamente per quale motivo Don Escobar avesse voluto portarmi con sé. A cosa potevo servirgli?

Quell'assassino mi aveva trascinato nella sua fuga, senza dirmi niente ma mi chiedevo come potesse continuare a muoversi con una simile disinvoltura, quando il fardello dell'anima di Honor gli passeggiava accanto. Avrebbe dovuto mostrare eterno dolore e pentimento, tremando ad ogni sospiro, soffrendo per la crudeltà perpetrata...ma non succedeva niente. Don Escobar continuava a vivere indisturbato mentre mia madre giaceva sepolta lontano da me.

Per molto tempo, pensai che quello stato di cose fosse dovuto al fatto che mio padre non mi volesse ed io non ero altro che un testimone scomodo.

La sua freddezza mi terrorizzava, insieme ai suoi improvvisi e violenti lampi d'ira. Tendevo sempre l'orecchio, sussultando ad ogni suo respiro, come un animale selvatico preso nella rete del cacciatore: passavo i miei giorni temendo la sua mano omicida.

Non poteva essere diversamente. Anche i De Rossignol, a suo tempo, non avevano nascosto quanto fossi inutile, con la menomazione che la sorte aveva deciso per me...perché Don Escobar, l'assassino di mia madre, non avrebbe dovuto agire allo stesso modo?

Questo pensiero mi logorava, unito alla più profonda incertezza nei confronti del futuro. Con quale coraggio avrei potuto aggrapparmi a quella sagoma mortifera e scura?

Semplicemente non ci riuscivo e il graduale avvicinarsi della destinazione rendeva tutto goffo e confuso. Avrei passato buona parte dei miei giorni in compagnia di quel maledetto, soffocando la verità dentro di me ed avvelenando le poche cose buone che erano rimaste nel mio cuore.

Mentre pensavo queste cose, Don Escobar continuava a condurre la sua esistenza freddamente, conversando con gli altri passeggeri e giocando nel locale sulla nave. Spesso non tornava nella cabina, lasciandomi dentro. Non ho mai saputo dove dormisse ma, all'epoca, non me ne curavo.

Mi chiedevo quale futuro potesse profilarsi per una come me, una bambola rotta, senza possibilità alcuna di muovere le gambe. Quello che so è che mi portava la colazione nella cabina, lasciandomi poi subito dopo, non prima di essersi assicurato che avessi mangiato tutto.

Ogni volta che succedeva, mi ritrovavo sotto il suo sguardo cupo e pesante, intento a scrutare tutti i movimenti che il mio corpo era in grado di fare. Allora, la mia mano si muoveva meccanicamente, immergendo il cucchiaio nel brodo. La mia bocca si apriva, ingoiando il liquido, senza sentire il suo calore bruciante. Eseguivo tutto questo come un automa, anche se il cuore batteva impazzito, lasciando quell'uomo fuori di me.

La mia routine continuava in questo modo, con mio padre che tornava sempre dalla prima classe, alle ore più disparate, mentre io rimanevo rimanevo lì, sola con me stessa ed i miei fantasmi.

Allora mi immaginavo mia madre.

Honor mi avrebbe sicuramente rassicurato, con le sue dolci carezze, raccontandomi le storie dei paladini cristiani, di Rolando e del Cid. Mi piacevano i suoi racconti. Ogni volta li riempiva di particolari nuovi. Honor aveva l'animo dell'artista, quando dipingeva quelle novelle di colori sempre diversi.

Quei ricordi venivano perennemente a farmi visita ed ogni volta, sentivo quelle immagini graffiarmi dentro, lacerando delle ferite che non avrei mai avuto modo di rimarginare.

Mia madre non c'era più.

Quell'assenza mi lasciò nuovamente sconfitta...ed io sopportavo sempre meno quello stato di cose. Era del tutto inutile che io proseguissi quel viaggio.

Rivolevo la mamma e, se il Mondo non poteva più darmela, l'avrei riabbracciata lo stesso, in ogni modo. Così, approfittando della solitudine in cui mi trovavo, uscii dalla cabina.

 

 

 

 

C'era una passerella che conduceva sul ponte della nave. Giunta lì, mi mossi sul parquet, guardandomi attorno. C'erano molte famiglie, molti avventurieri e donne intenti a conversare. Sopra di me c'era la prima classe. Istintivamente mi girai verso quella direzione...e fu allora che vidi mio padre, mentre dava il braccio ad una donna grassa e vestita in modo dozzinale.

Don Escobar le teneva il braccio, sussurrandogli delle parole che facevano ridacchiare quella sconosciuta ingioiellata. Lui, invece, sorrideva in modo strano, come se pendesse dalle labbra di lei, malgrado la differenza d'età fra loro era piuttosto considerevole.

-Oh, la baronessa Von Thumple ha un nuovo amante?-disse un uomo poco distante da me.

Io mi girai. Erano due marinai che fissavano con sufficienza la scena, come se fossero avvezzi a questo tipo di spettacoli. -Pare di sì. Lo ha incontrato sulla nave ed è rimasta incantata dal suo aspetto esotico. Lo vuole con sé ad ogni giro e pare che non ami quando se ne va, sgattaiolando via dalla prima classe.-disse, sghignazzando un altro.

-Non è strano-disse il primo che aveva parlato- la baronessa ama la carne giovane.-

A quelle parole, arrossii di vergogna e di sdegno.

Mia madre era una delle donne più belle di Cordoba. Colta, raffinata e dal viso espressivo...come poteva mio padre tradire così la sua memoria? In quel periodo, gonfio di dolore e sofferenza, con la certezza che le mie gambe non avrebbero più sorretto il mio corpo, avevo bisogno solo di una piccola scintilla, per poter cedere completamente.

Sarebbe bastato qualcosa, qualsiasi cosa per dare un senso alla mia sofferenza.

La mamma diceva che il dolore era una conseguenza delle cattive azioni delle persone...ma in quello che mi era successo, non riuscivo a trovare una spiegazione.

Io avevo sempre obbedito.

Non avevo commesso alcun crimine.

Perché allora avevo ricevuto una simile punizione?

Quello che era successo aveva demolito anche l'immagine che avevo del mio genitore. Non avrei mai potuto sopportare anche quella scoperta, o almeno così pensavo. Ecco, questa è la ragione mi dissi, avvicinandomi al bordo della nave.

Giunta lì, mi appoggiai e, facendo forza, mi levai in piedi, fissando il mare sotto di me. Guardai la superficie liquida, socchiudendo gli occhi.

Non avevo idea di cosa mio padre volesse offrirmi...ma, in quel momento non mi interessava. Volevo tornare dalla mamma...e con quel pensiero, mi gettai giù.

 

 

 

 

 

Non so bene dire cosa pensassi, quando mi lasciai scivolare giù. Mentre cadevo insieme alla carrozzina, sentivo l'aria frustarmi il viso con violenza, rendendomi difficoltoso anche solo respirare e quando il corpo si scontrò con l'acqua salmastra, non potei non sentire dolore, un dolore così forte da farmi scappare un gemito.

Le gambe ed ogni singolo membro mi dolevano in modo insostenibile, come se mi fosse gettata da una finestra, invece che su una superficie acquosa.

Non importa. Rivedrò la mia mamma.

L'acqua cominciò a riempirmi il viso e bruciarmi gli occhi. Li chiusi di scatto, non sopportando quella sensazione. Non importa. Dopo questo, rivedrò la mia mamma.

Un'onda, più forte del previsto, fece entrare dell'acqua giù per il naso, spingendomi a tossire con forza. Solo allora, con quel sapore amaro in bocca, l'immagine rassicurante della fine delle mie pene cominciò a vacillare. Il dubbio di soffrire ancora di più per raggiungere Honor bloccò quel piacevole velo che mi aveva spinto a lanciarmi di sotto.

Alzai la testa e vidi la sagoma alta della nave stagliarsi su di me.

Immensa e scura, dalla misera posizione in cui mi trovavo, procedeva in modo impercettibile, dandomi quasi l'illusione di rimanere sempre ferma nel medesimo luogo. La guardai per un breve istante, intimorita da quella vista. Una nuova onda mi entrò nel naso, facendomi tossire con violenza.

Non importa. Rivedrò la mia mamma.

Quando però il mare si mosse ancora, entrandomi dentro con violenza, quel pensiero si fece ancora meno saldo. Honor non aveva sofferto così tanto, o almeno questo era il mio intendere ma aveva avuto paura lo stesso, se mai ne ebbe il tempo. Io non avrei avuto quella concessione...e allora ebbi la conferma di quanto la mia azione fosse insensata. Honor era morta per mano di Don Escobar, mentre io, se anche avessi fatto passare il mio trapasso per un incidente, non avrei comunque ingannato quel Dio che mia madre pregava con grande devozione.

Sgranai gli occhi.

Sarei morta come suicida...e non avrei mai più visto la mamma, dopo aver dannato la mia anima in maniera tanto insensata. Istintivamente provai a raggiungere lo scafo della nave ma qualcosa mi impedì di fare tutto questo. I pizzi del mio vestito, intrisi d'acqua, si erano impigliati alla carrozzina che, divenendo sempre più pesante, si inabbissava nei flutti, istante dopo istante...trascinandomi giù.

In preda al panico, mossi le braccia a casaccio, nel tentativo di non affondare ma il peso sotto di me era invincibile. Mi dibattei a lungo fino a quando, stremata,persi le forze e, prima di precipitare, urlai il nome di Honor, in un ultimo, disperato tentativo.

 

 

 

Allora, un chiarimento. Soledad cade con la carrozzella dalla nave. La ragione verrà detta meglio dopo. In ogni caso, è stato davvero difficile scrivere questo capitolo, come è difficile mettersi nei suoi panni. La spiegazione che dà, alla fine, è spiegabile in questo modo: suicidandosi, Soledad finirebbe all'inferno e, poiché ritiene la madre innocente, non potrebbe rivederla da morta.

Ad ogni modo, le cose si complicheranno sempre di più. Potrei dividerla in tre parti questa storia...ma vedremo.

Chiedo scusa per i ritardi negli aggiornamenti ma sono molto impegnata.

   
 
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