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Autore: Aleena    08/10/2008    1 recensioni
"Lui non è mai risalito da quei corridoi; continua a vagare, senza corpo, senza voce, mentre gli anni passano, i ricordi sbiadiscono. Perfino il suo nome scompare, facendo restare solo l’Ombra, padrone incontrastata di mura e polvere.
Ma Astrea ricorda, Astrea SA.
Era Gabriel, una volta… come l’angelo… ma lui è un demone oramai.
Ed ha dei nuovi giocattoli, i primi da secoli."
I Malandrini, un'incantesimo antico quanto la stessa Hogwarts, gelosie, tradimenti, paure... riusciranno ad uscirne indenni?
Genere: Avventura, Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: I Malandrini, Nuovo personaggio, Severus Piton
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Innanzitutto, chiedo venia in ginocchio (e che volete di più? XD ) per l’enorme ritardo nel postare questo chap (ok, otto mesi, è stato quasi un parto!).
Sorry! e spero davvero di non aver perso tutti i miei lettori ç_ç  sono sicura che non vi interessa, però vi giuro, fra gli esami e le altre cose, è stata davvero dura trovare il tempo per scrivere ma vi prometto che d’ora in avanti troverò il tempo di postare regolarmente. Il mio stile di scrittura sta cambiando, anche se credo che per quanto riguardi questa, che era già nata fortunata, non sia evidente. È un buon risultato, secondo me, e sono felicissima di averla scritta…
… ed ancor più lo sarò se con un piccolo commentino mi farete sapere che non l’avete dimenticata nonostante tutto!
Continuerà, ed aggiornerò al più presto. Il cambio di clima e l’uni sembrano ispirarmi XD
Detto ciò… occhio ai cambi di punto di vista U_U questa storia ne è piena e cominciano da ora!

Buona lettura!

ALLERGIC (TO THOUGHTS OF MOTHER HEART)

   

Loneliness be over
When will this loneliness be over
 
Viaggia dentro e sarai contento
Di quello che scoprirai
Dei tesori che hai dentro e che ancora non sai…
 
Fear, and Panic in the air
I want to be free
From desolation and despair

And I feel like everything I saw
Is being swept away

Sotto la pelle c’è quello che cerco
Gli sguardi lucidi mi parlano di quello
Che non mi vuoi dire per non ferire
 
Take off your disguise
I know that underneath it’s me
Who are you
 
…Shock in my town velvet underground

Ho sentito urla di furore
di generazioni, senza più passato…
…Ho incontrato allucinazioni
Stiamo diventando come degli insetti; simili agli insetti.

Shock in my town velvet underground

 
 

Severus Piton non era mai stato quel che si potrebbe definire un “ragazzo in vista”. Anzi, per dirla tutta, era lo zimbello della scuola: magro, pallido e dai lunghi capelli neri e unticci lasciati sciolti attorno ad un naso che gli creava non pochi problemi, era il bersaglio preferito degli scherzi e delle battute del gruppo di famosi, adorati e bellissimi (con le dovute eccezioni) Grifondoro che ora gli stavano puntando addosso le bacchette, lividi in volto. Scuro ed impassibile, se ne stava dritto come sempre, con in volto quell’espressione di gelo misto all’odio profondo, una ruga sulla fronte e le sopracciglia strette. La mano destra, stretta intorno alla bacchetta talmente tanto che le nocche erano sbiancate, era abbassata; non fece una mossa, non disse altro, continuò semplicemente a fissare i quattro, livido.
 
Sirius non era - né era mai stato - un tipo calmo o capace di riflessioni profonde in momenti d’azione. Al suono della voce di Severus si era voltato e, muovendo la destra con un gesto fluido, aveva cercato invano di lanciare addosso al moro un incantesimo dopo l’altro prima di gettare lontano la bacchetta e scagliarsi sull’altro con ira, come se l’intera situazione fosse colpa sua; inutile dire che tutto questo aveva lasciato il tempo a Remus e James di avvicinarsi quel tanto che bastava per afferrare l’altro prima che si scagliasse su Astrea, che gli si era parata davanti così d’improvviso che non avrebbe potuto evitarla, le braccia aperte a difendere il Serpeverde, il volto specchio perfetto dell’espressione di Sirius.
Uno sguardo. Solo un’occhiata, gelida come le pareti desolate di quell’edificio illuminato dal sole morente; tanto era bastato perché Sirius perdesse i suoi propositi e, con una scrollata di spalle, si liberasse degli amici, dando le spalle alla sorella. Un gesto strano, una ripicca quasi infantile mentre il silenzio s’allargava nella stanza, denso come un’ombra, palpabile, oscuro presagio più vivo e vero di quel che si nascondeva oltre la porta.
Rimasero così per quelle che potevano esser state ora, o forse pochi istanti; e il piccolo topo, forse, avrebbe riso della scena, se fosse stato lì presente. Severus Piton in piedi, con le nere iridi che parevano avere come unico obiettivo l’utopia d’incenerire tutti i presenti; Astrea con le braccia abbassate, ora serena, gli occhi che vagavano dalla schiena del fratello, all’uscio, alle altre porte di quella loro prigione; Lupin e James, accanto a Sirius, il primo bellamente indifferente agli sguardi astiosi, il secondo combattuto fra l’attaccare quel ‘piccolo verme pallido’ e l’allontanare l’amico; e Sirius, infine, ancora di schiena, il respiro grosso, gonfio d’un ira che aveva dell’inspiegabile.
 
Già litigi, già lotte. Resisteranno? Non so ma saranno divertenti.
Bambole, come bambole…

 
«Vieni con me» disse Astrea quindi, semplicemente, afferrò il braccio di Severus trascinandolo nella porta a destra, varcando l’uscio semiaperto che conduceva ad una camera con un grande letto al centro, le tende del baldacchino piegate. Chiuse la porta ancor prima che Sirius si fosse voltato e la chiave girò, rompendo definitivamente il silenzio.
«È il caso che eviti mio fratello, almeno per un po’…» sembrava imbarazzata mentre con le braccia incrociate al petto esaminava la stanza senza interesse apparente.
Silenzio. Ora solo il litigio fra i tre Malandrini oltre la porta era avvertibile, lontano come se la stanza fosse schermata.
«Che ci fai qui?» chiese Astrea in un sussurro secco, carico di comando; aveva smesso di camminare - sebbene neanche si fosse accorta d’aver iniziato a muoversi - e dopo un attimo si era seduta sul materasso fin troppo morbido, sprofondandovi un po’. Più sciolta, adesso osservava Severus con calma e curiosità negli occhi.
Ancora silenzio.
«Credo tu ricordi bene cosa successe l’ultima volta che seguisti uno di noi per denunciare il suo essere scappato dal castello…» Tono noncurante il suo, di quelli che ci si aspetterebbe di sentire da una donna che licenzi un’amante guardandosi le unghie dipinte di fresco «… o devo ricordarti che non è bene tentare in tutti i modo di farci sbattere fuori? Devo dirti che hai rischiato di rimanere ucciso? O arrivi a capirlo da solo?»
Severus si sarebbe sempre chiesto come avesse fatto quella ragazza a parlare di argomenti così taglienti con toni colloquiali, con la noncuranza di chi parla del tempo con un vecchio amico.
E forse proprio chiedendoselo rimase zitto; e anche lei, così che solo i suoni dell’ira di Sirius filtravano, lontani.
 
… e non sarò più solo. Finalmente.
Un nuovo giocattolo, finalmente… qualcuno, finalmente, finalmente…

 
«… si è calmato, forse. Credo…» La ragazza Black s’era avvicinata alla porta d’improvviso e vi aveva posato l’orecchio «…si, credo che possiamo arrischiarci a farti uscire» la Grifondoro l’aveva guardato con quegli occhi che sembravano sondarlo fin dentro l’anima. Lui non aveva risposto, limitandosi ad un cenno secco: aveva sempre avuto una sorta di malato orgoglio che usciva fuori nei momenti peggiori, come questo «hey, un’alzata di spalle non è una risposta» concluse lei, tagliente, mentre la chiave girava nella toppa e l’uscio si apriva sul silenzio.
Fuori dalla stanza solo la schiena di Lupin era visibile, a patto di sporgersi a guardare oltre il tavolino al centro della stanza: infatti il lupo mannaro era chino al suolo, intento a frugare fra gli scaffali che contornavano il lavello.
«Che fine ha fatto quell’inutile del mio fratellino, Rèm?» domandò la Grifondoro con circospezione, guardandosi intorno lentamente.
«James l’ha portato ad esplorare di là, nel corridoio. Credo per calmarlo» fece Lupin, alzandosi lentamente, voltandosi ed osservando con gravità prima la ragazza Black poi Severus, che arricciò il naso: quel viso così calmo e rilassato - quel guscio di perbenismo che nascondeva il sangue maledetto d’un anima nera - non era mai andato davvero a genio a Severus. Meglio la sincerità, essere fuori foschi come lo si era dentro, questo pensava. Come lui era, d’altronde; o chissà, come forse era diventato a causa di un modo di pensare che sapeva essere sbagliato ma che non intendeva cambiare.
«E ti hanno lasciato solo soletto qui? A fare cosa? L’inventario?» aveva ironizzato la ragazza avvicinandosi al lupo mannaro indi voltandosi come a cercare qualcosa, per finire ad osservare con vago interesse un barattolo di zucchero di canna poggiato a terra.
«A quanto pare…» riprese Lupin, azzerando le distanze con la Grifondoro chinandosi a raccogliere la scatola di zucchero.
«Esagerato come sempre, il fratellino» sbuffò la ragazza Black con insofferenza.
«È passionale, lo sai, e prende fuoco facilmente. Ed è… è una reazione più che giustificata dopo…» lanciò un’occhiata alla porta come se non potesse realmente pronunciare il nome del malandrino perso o di ciò che avevano sentito, visto, immaginato.
«Peter…» la Grifondoro si era spostata ed ora era seduta su una poltrona ocra all’apparenza morbida e confortevole. Lupin rimase in piedi, il pacco di zucchero in mano, gli occhi che pigramente esaminavano  il contenitore di latta lucida mentre il ragazzo lo rigirava fra le mani.
«Già…» fu la tardiva risposta del lupo; rimase in silenzio il tempo che gli occorreva per poggiare la schiena contro il ripiano offerto dagli scaffali bassi fra i quali frugava poco prima, le mani posate dietro la schiena, oltre il bordo di questi.
Sembrò che per un istante Astrea volesse parlare, o almeno aprì le labbra prima di scuotere la testa, producendo solo un sospiro; E mentre Severus si muoveva per sedere su di una sedia del tavolo rotondo, la porta si spalancò e il resto del groppo fece il suo ingresso nella sala.
 
Non avevano parlato molto, James e Sirius. Era questo il pregio, il legante del loro rapporto d’amicizia: non avevano bisogno di parole per capirsi. Solo sguardi, densi come nebbia ma niente più d’incroci momentanei d’occhi.
Almeno, questo quanto succedeva di solito. Che fossero seguiti da smorfie di disgusto, da gesti di comprensione o, più spesso, da ghigni strafottenti che annunciavano idee maligne, erano comunque sguardi d’intesa reciproca, sana e genuina, quasi sovrannaturale.
Ma non lì, non stavolta.
Per James, la sua reazione era solo uno slancio emotivo dovuto alla perdita dell’amico ed alla comparsa del Serpeverde, come se dalla vita di uno si fosse sviluppata la macchia nera che era l’altro; ma per Sirius quella reazione era ben altro. Qualcosa d’inconfessabile, insospettabile, incomprensibile forse; e l’aveva letto nello sguardo dell’amico che non aveva capito questa volta.
L’aveva scorto in sé stesso: Sirius non sapeva spiegare solo con la perdita di Peter e la paura della trappola il senso di colpa per una sua stupida idea finita in tragedia, né quell’ira ingiustificata ed irrazionale, tantomeno quella stretta al cuore che l’aveva acceso, infiammato fin nelle ossa, divorato per un istante con una tale intensità che solo gli occhi, quegli occhi di ghiaccio di sua sorella, erano riusciti a spegnere.
Era il grande pregio d’Astrea il rimanere lucida in qualunque situazione, il saperlo calmare con uno sguardo di quelle iridi così simili alle sue, in quel volto che tanto gli rassomigliava. Era la loro differenza, radicata nel profondo e quasi invisibile ad un’occhiata superficiale: Sirius era fiamma, Astrea ghiaccio.
Con un sospiro, il Malandrino si era disteso su un letto troppo morbido ed aveva dimenticato il mondo per un istante.
Finché il mondo non era tornato nella luce innaturale di quel salotto in cui s’era ripresentato assieme a James.
 
«Ho fame. Cosa c’è nella dispensa?» la ragazza s’era alzata d’improvviso dalla poltrona, parlando. Tipico d’Astrea, tagliare un discorso di netto, anche se sottinteso come quello.
«Ti pare il caso di mettersi a mangiare ora? Ora che siamo prigionieri, senza magia e senza speranza d’aiuto, e Codaliscia è…» James non finì la frase. Nessuno pareva poter davvero.
«Si, se serve a rompere il blocco di ghiaccio che si forma ogni volta che siamo nella stessa stanza tutti e cinque» rispose la ragazza, questa volta con una punta d’impazienza a mascherare ira o paura. «in ogni caso, non è detto che sia morto, in fin dei conti» continuò, sedendosi sopra la superficie marmorea di un bancone «E poi ho fame. È forse un crimine?»
«Non è detto? Li hai sentiti anche tu i rumori, no? L’hai vista, quell’omb… quell’essere…quella COSA che l’ha attaccato!»
«Calmati, Sirius. Arrabbiandoti non risolverai la situazione»
«E cosa proponi, allora? Starcene fermi mentre quel che resta di un nostro amico potrebbe essere disteso a pochi passi dalla porta, o noi stessi richiamo di finire i nostri giorni qui?»
«Proporrei di smettere d’urlare, James, e di metterci a pensare, un attimo, alla situazione…»
«LA SITUAZIONE? LA TUA CALMA È PIÙ SNERVANTE DI QUALUNQUE SITUAZIONE, TE NE RENDI CONTO?»
Astrea s’era alzata con una rapidità che aveva del sorprendente ed ora teneva il fratello per il bavero della camicia, il volto a pochissimi centimetri dal suo.
«E cosa proporresti, sentiamo… qual è questa tua brillante idea che ci salverà tutti? Oh, scusa, non ne hai. E nonostante tutto ti concedi il lusso di sprecare tempo in fottutissimi attacchi d’ira. Ti rendo conto di dove siamo? Arrivi a capire quel che è successo? Minimamente ti rendi conto che non possiamo più contare sulla magia? Hai il vago sentore del fatto che nessuno sa che siamo qui?» sembrava non avere un filo logico, come se in fondo stesse solamente sfogando quella tensione che così abilmente aveva fino ad ora nascosta. Chiuse gli occhi un istante, Astrea, quasi a cercare la calma e diede in un sospiro liberando il colletto del fratello dalla sua presa. Senza una parola tornò alla poltrona e vi si sedette stancamente, nascondendo il volto nel palmo della destra, il cui gomito poggiava sul bracciolo. Nella stanza calò il silenzio, immobile, mentre Sirius portava gli occhi al soffitto e poi ad Astrea, evitando con cura d’incrociare i Malandrini o Severus che, dal canto suo, non s’era scomposto e rimaneva fermo nella stessa posizione in cui James e Sirius l’avevano visto entrando.
«Che facciamo?» la voce di Astrea, dopo quella che poteva esser stata un’ora o un minuto di silenzio, era fievole e inconsistente. Non s’era mossa, i capelli che le ricadevano sul volto oscurandolo a metà.
Nessuno rispose. Non c’era nulla da dire, forse nessuna soluzione certa o, perlomeno, nessuna che fosse loro venuta in mente.
«Che ne dite di esplorare questo posto? Potremmo… cercare un passaggio, una qualunque cosa… tagliente o pesante, magari, per distruggere quella maledetta porta e vedere se Peter sta bene» il tono con cui Astrea aveva pronunciato il nome del Malandrino, preoccupata e dolce al tempo stesso, era un chiaro segno della gravità della situazione. Questo, e la totale assenza d’entusiasmo nel suo dire. A memoria di James, la ragazza non si era mai rattristata della prospettiva d’esplorare nuovi territori o di distruggere qualcosa.
«Esplorare?» anche il tono di Sirius era privo d’inflessioni. Era scivolato lungo la parete e ora si trovava seduto a terra, la schiena contro il muro candido, gli occhi chiusi rivolti verso il soffitto.
«Sai, curiosare in giro, guardare com’è il luogo» eccola di nuovo,l’aria da saccente e quel lieve sfottere. Un sorriso, brevissimo, nacque sulle labbra di Sirius.
«Abbiamo già guardato, già esplorato…» intervenne Lupin facendo sentire la sua voce, ora roca, dopo molto tempo.
«Forse c’è qualcosa, qualunque cosa…» ma non ne era convinta nemmeno lei.
«Vorresti provare a forzare la porta? Ti vantavi di essere così brava» ora James scherzava, anche se solo un vago accento era percepibile. Un sorriso storto apparve sulle labbra di Astrea, un sorriso carico dell’amarezza e dell’insofferenza del momento, sebbene ironico.
«Ci si può provare, ma non garantisco nulla» si alzò e con calma si diresse verso la porta, seguita per un istante dagli sguardi dei ragazzi presenti. Sguardi che volsero tutti all’unisono verso Severus quando il suo stomaco diede in un borbottio sordo.
«Si vede che non ti nutrono abbastanza in quella topaia che chiami Casa. Hai fame per caso?» fu il commento di Sirius. Privo della sua solita ironia, privo del suo spirito.
«Arguto come sempre, Black. A volte mi chiedo come tu faccia ad arrivare a conclusioni così scontatamente ovvie senza alcun pudore» il tono del Serpeverde invece era sempre lo stesso, quasi che lui non risentisse della situazione. Anche James parve accorgersene, perché sollevò un sopracciglio
«Dimmi un po’, pivello, com’è che sei così calmo? Non è che c’è il tuo zampino in questa situazione?» domandò, con l’aria di chi sia appena arrivato alla più ovvia delle conclusioni. Nessuno poté osservare il viso di Sirius prima ch’egli si scagliasse di nuovo su Severus ma, se l’avessero visto, vi avrebbero scorto una sorta di gratitudine per le parole di James unita a qualcosa d’indecifrabile, come un’ombra. C’era comunque solo una sorta di ceca furia sul volto di Sirius quando afferrò il colletto della camicia del Serpeverde nello stesso modo in cui Astrea aveva afferrato la sua; solo che la forza del Malandrino era superiore e l’intento era di far male. Nonostante fosse stato sbattuto in malo modo al muro, Severus sorrise, strafottente
«Mi credi davvero così idiota, Potter? Io non sono certo al vostro livello» si premurò di sottolineare la parola malignamente nonostante stesse divenendo paonazzo, data la stretta sul suo collo.
«Oh, certo che non lo sei, Mocciosus. E smetti di sognare di divenirlo, un giorno» ribatté Sirius acido, fermo nella sua posizione di carceriere come fermi erano gli altri Malandrini, nessuno dei quali pareva intenzionato ad intervenire in soccorso del Serpeverde.
«Lascialo andare, fratello» fu il pigro mormorio di Astrea che armeggiava con la porta. Sirius lo ignorò, aumentando la stretta sul colletto di Severus
«Che ci sei venuto a fare, qui? Che hai fatto a Peter? Cosa cazzo ti è passato per quella…» ma non concluse la frase perché un forte rumore, come di legno che resista ad un tentativo di schianto, lo fece voltare improvvisamente verso la porta «Ma che cazzo fai, Astrea?» latrò, feroce come il cane nel quale poteva trasformarsi.
«Ti sembra il caso di prendere a calci il portone?» chiese James, con una voce tesa.
«Non ho trovato nulla di pesante al momento per abbatterla» Astrea stessa sembrava seccata, nonostante tutto. Avvicinò la testa alla porta e gli occhi esaminarono il legno «intatto, neanche una misera stupida maledettissima scalfitura» fu la sua diagnosi, prima che con stizza gettasse una serie di piccole forcine per capelli al suolo e si dirigesse verso Sirius; posò una mano su quella del fratello - ancora ancorata alla camicia di Severus - e fece forza per far staccare le sue dita. Sirius, dal canto suo, la guardò storto, stringendo maggiormente; non visto, un segno rosso già si disegnava sulla pelle diafana del Serpeverde.
«Vuoi che lanci il Mocciosus?» Sirius tentò di sorridere, con l’unico risultato di rivolgere alla sorella una smorfia.
«Invece di fare il gradasso idiota che ne diresti di cercare qualcosa di veramente pesante per buttar giù quella porta? O una finestra, quello che vuoi. Strozzandolo non risolverai granché, vero?» poi, abbassando il tono ed avvicinandosi al suo orecchio con il volto, sibilò «vedi di fartele passare queste manie da pazzo omicida. Una volta si tollera, ma ora stai passando il segno…» prima di scostarsi da lui, che dal canto suo allentò la presa fino a staccarsi dal tessuto ormai liso.
«Potrei sempre usare lui come ariete. La sua testa è abbastanza dura, per quella porta»
«Mi ripeto: non sei spiritoso, fratello»
«Forse non volevo esserlo»
«Sirius!» la voce di Remus. Autoritaria, come lo era poche volte. Sirius non lo guardò nemmeno, semplicemente portò una mano sulla spalla di Severus e fece forza, spingendolo al suolo mentre lui si volgeva per sparire di nuovo oltre una porta.
«Vieni» ancora seccata, Astrea tese una mano al Serpeverde per aiutarlo a rialzarsi ma questi, sprezzante, volse il capo da un lato e, facendo forza sulle braccia, si rimise in piedi e, barcollante, sparì dietro la porta della camera, dalla parte opposta rispetto a Sirius.
«Ma che grande idea, questa. Una bella escursione notturna! Ma vaff…» sbotto Astrea dando un calcio ad una poltrona.
 
Avevano provato di tutto. James, preso da un attacco di frustrazione, aveva sollevato assieme a Remus una poltrona e aveva provato a scagliarla contro una delle finestre dalle imposte chiuse, col risultato che questa era rimbalzata come fosse di gomma rischiando di ferire i due Malandrini che, per pura fortuna, erano riusciti a spostarsi. Un tavolinetto in frantumi era il solo risultato del loro ultimo tentativo; come se non bastasse non erano nemmeno riusciti a far entrare altra luce che non fosse quel pallore da tardo pomeridiano che sembrava non avere fonte.
Dopo aver sbraitato un po’, finalmente anche Astrea si era stancata e era andata in cerca di provviste mentre Remus radunava quelle del cucinino e del salotto.
«Niente di assolutamente nulla. Non c’è una briciola in tutta la casa» proruppe la ragazza infrangendo il silenzio, rotto solo da piccoli tonfi delle cibarie posate e dei cassetti chiusi ed aperti. «Qui almeno và un po’ meglio? » s’informò, prendendo una sedia e accomodandosi col ventre poggiato allo schienale, le braccia incrociate oltre il bordo della spalliera e il mento su queste.
«Da come ti comporti, potresti essere tranquillamente un maschio, sai, fratellina?» esordì Sirius, sbucando nel salotto d’improvviso, le mani affondate nelle tasche della veste.
«Uno dei due deve pur fare il ruolo del fratello, no, mia dolce sorella?» canzonò la ragazza, senza particolare enfasi nella voce «Allora Remus?»
«Direi che si può andar avanti per un mese, un mese e mezzo forse. L’acqua non è un problema, quella arriva, e per il resto c’è un po’ di tutto» rispose il Licantropo sollevandosi oltre il bordo di uno sportello «mi chiedo come sia possibile che queste provviste non siano scadute. O meglio, come mai si trovino qui»
«Forse qualcun altro usa questa casa» ipotizzò Astrea con un’alzata di spalle che sminuiva radicalmente il problema.
«Tu dici di no, ma io sono sicuro che c’entri Moccios…» cominciò Sirius, il rossore della rabbia che si rinnovava sulle guance.
«Piantala, Sirius, è più spaventato di te, non lo vedi? E non è che tu stia poi così tranquillo» lo liquidò Astrea con un cenno del capo ed un’occhiata fulminante.
«E fa bene ad essere nervoso, dato il bellissimo scherzo che ci ha fatto»
«SIRIUS!» urlò Astrea, sbattendo una mano sulla liscia superficie del tavolo rotondo.
«Piantatela entrambi, mi state facendo impazz…» sbottò James, ma venne interrotto quasi subito.
«Hey, e quella cos’è?» ignorando bellamente l’amico Sirius si era alzato per andare ad esaminare una delle bottiglie che Lupin stava rimettendo negli scaffali «Idromele… e qui c’è del Whisky Incendiario… Burrobirre, nah, troppo leggere… oh, Rhum…» lesse le etichette ad alta voce, allontanando Remus dallo scaffale con pigrizia.
«Lasciale stare, che tu non lo reggi l’alcool, fratellonA» ironizzò Astrea «Dalle a qualcuno che è più serio ed adulto di te»
«Adulta, tu? Per due minuti mi sei maggiore e rinfacci pure? E piantala. Se non altro, potrebbero aiutarci a dimenticare»
«Hey, l’alcool è un ottimo combustibile, no? Geniacci, vi ricordate se esplode?» fece Astrea, i lvolto illuminato da una gioia pura mentre volgeva lo sguardo da James a Remus – ora intento a trafficare su unas vecchia stufa a legna con dei fiammiferi - ed ancora indietro.
«Hai la fissazione con gli esplosivi, tu!» sospirò il primo Malandrino, alzando gli occhi al cielo.
«Che c’è di male se mi piacciono, James?»
«Vedi un po’ tu, Astrea, se ti sembra normale»
La ragazza sollevò le spalle, ed osservò il fratello chiudere lo scaffale a chiave.
«Queste ce le conserviamo per la sera che riusciamo ad aprire la porta» Siurius aveva assunto una posa composta e dignitosa del bravo, cadetto Caposcuola che non era.
«Facciamo che le apriamo per il compleanno di Potterucciolo, che è fra un paio di settimane…»
«Ed ora chi è l’accanito bevitore, sorello?»
«Primo, non ho mai negato di esserlo e, secondo, smettila di copiare le mie battute, che tanto non sei capace»
«Comari Black che ne direste di smettere di discutere e di venire a cena?» Remus era seduto al tavolo, con James che vi si dirigeva guidato dall’odore stranamente più che allettante della sua semplice cucina. Che bolliva allegramente. Avvicinandosi al desco, Sirius notò che c’erano cinque piatti; lanciò quindi un’occhiata di fuoco ad un già imbarazzato Lupin, che nonostante tutto sostenne il suo sguardo
«Credo abbia bisogno di mangiar qualcosa anche lui» non disse altro, solo fece un cenno con la testa verso la porta chiusa dietro la quale era nascosto Piton.
Era appena scoccata la mezzanotte nel mondo di fuori ma nessuno di loro avrebbe avuto modo di stabilirlo.
 
Severus riposava in quella stanza gelida. Aveva tirato le cortine del letto e subito la sua figura era sprofondata nel buio più fondo. Allora, solo nelle tenebre compatte, era riuscito a stendersi sulla schiena con le braccia allargate, a contemplare il soffitto nero nel quale pareva potesse vedere i suoi pensieri coagularsi e rendersi immagine.
 
Si era svegliato tardi quella mattina e non era da lui. Aveva corso a perdifiato nei corridoi per poter arrivare in tempo alla lezione e non li aveva visti. Era ovvio, come avrebbe potuto? Poggiarsi al muro, dietro un angolo: tipico di quella banda di imbecilli che erano i Malandrini più sorella al carico. E, ciliegina sulla torta, era andato a sbattere proprio contro quel grosso idiota di Black. Il più stupido e il più manesco del gruppo. Era caduto in terra e… chiuse gli occhi, come ad evitare al ricordo di formarsi sullo schermo nero delle tende … e poi era stata di nuovo la solita umiliazione, condita da un bel rimprovero da parte del professore di Cura Delle Creature Magiche. Dio, quanto non sopportava quell’uomo. Sciatto, monotono, perfidamente pungente, fissato con l’abbigliamento marrone quanto lui non lo sarebbe mai stato col nero, sebbene adorasse quel colore… rabbrividì, pensando tra sé e sé che il marrone non poteva essere definito un colore … pareva seriamente intenzionato a voler punire chiunque non fosse della sua Casa… maledetti anche i Tassorosso … ed era parziale fino all’esagerazione. E quei capelli! Poteva anche lavarseli, una volta al mese!... Severus scosse il capo, come ad allontanare quei pensieri …insomma, non era di certo stata una bella mattinata. Inviperito, aveva deciso di saltare il pranzo per non dover passare nuovamente accanto ai maledetti cinque Grifondoro seduti come eroi al loro bel tavolo. Si era diretto verso il lago, affamato e scocciato assieme, e… ma guarda i casi meravigliosi della vita …aveva sentito l’inconfondibile, odiata voce di Black che spiegava al gruppo di idioti di un libro che aveva letto… già, ora finge perfino di saper leggere! …ed in cui aveva trovato delle informazioni circa una casa nascosta nella foresta; e non solo credeva a quelle sciocchezze ma aveva anche in progetto di andarla a visitare durante le  ormai prossime vacanze di natale che avrebbe passato ad Hogwarts… per sua estrema gioia …e che obbligava a far passare lì anche a quell’inetto di Minus. Si era stampato tutto nella mente e a poco valeva che appena dopo l’avessero scoperto accanto al portone mentre rientrava e gli avessero fatto fare l’ennesima figura di… davanti al resto della scuola. Li aveva in pugno. Se avessero trovato quel posto… cosa di cui non dubitava più, ora …sarebbe stata una scoperta sensazionale per lui, che avrebbe avuto libero accesso ai segreti della sua magia prima della confusione della massa; se non l’avessero trovata… bhe, poteva sempre schiantarli e lasciarli al limite della foresta sperando che qualcosa gli si mangiasse un arto o, semplicemente, per farli trovare dal custode e fargli avere finalmente una punizione. Se la cavavano sempre, ma stavolta…
 
La porta si aprì lentamente e la luce lo colpì, facendolo sobbalzare. Si era addormentato senza accorgersene. Sbatté le palpebre diverse volte prima di mettere a fuoco l’immagine della Grifondoro, seduta sul letto, che lo guardava con una stana smorfia sul volto. Devo essere inguardabile meditò e si fanculizzò mentalmente per quel pensiero sconclusionato, ultimo residuo della stanchezza della notte insonne.
«Che vuoi?» rispose bruscamente, la voce arrochita dalla dormita.
«Vieni a cena». Semplice e lapidaria; dunque la ragazza Black s’alzò, finendo poi appoggiata ad una delle colonne lignee del baldacchino, il tutto senza staccare gli occhi da lui.
«Lasciami in pace, Black» Salazar, che tono infantile!
«Oh per Morgana. Smettila di fare il coglione e scendi da questo letto. Ho fame e mi scoccia doverti aspettare per tutta la…» la notte? La mattina? Non sai nemmeno che ora è, mia cara «insomma, mi hai capito, forza, muoviti»
«Quale parte della frase “lasciami in pace” non hai afferrato, Black? Salazar, che foste tardi era rinomato, ma non arrivare a comprendere un concetto così semplice!» incrociò le braccia sotto il capo, distogliendo lo sguardo per posarlo sulla stoffa del baldacchino, sopra la sua testa
«Fa quel che ti pare» fu la risposta della ragazza che si mise dritta e se ne andò, lasciando la porta socchiusa.
Con un gesto di stizza e la certezza che l’avesse fatto apposta, Severus si alzò e con un colpo secco chiuse la porta e le tende del baldacchino, ripiombando nelle tenebre e nei suoi pensieri con la vaga consapevolezza che, per pianificare quella che doveva essere la sua vendetta, il giorno precedente non aveva pranzato né cenato. Cullato dai morsi della fame si addormentò di nuovo, perdendosi nei suoi pensieri.
 
Sembra che non si possa mai andare d’accordo. Sembra che debbano esserci sempre liti… ma io non mi diverto.
Sembra che non possiamo mai andare d’accordo. No. Che lottino o si amino, non c’è divertimento. Che lottino o si amino… sono i miei giocattoli, ora, posso farne ciò che voglio… che lottino o si amino…
Non sono più solo, no, finalmente… che lottino o si amino…
Mi faranno divertire. Mi divertirò prima della fine.
Miei… domani. Si, già da domani mi faranno divertire, già da domani giocherò con loro… che lottino o si amino… che lottino o si amino… voglio e farò… che lottino o si amino…


 

[Le canzoni nell’ordine sono: Map Of The Problematique – Muse / Incantesimo – Litfiba / Map Of The Problematique – Muse / Frank – Litfiba / Megalomania – Muse / Shock In My Town – Battiato ]
 
Baci Baci ;)
 
 
  
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