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Autore: pesca56    01/10/2014    2 recensioni
Questa storia parla di un amore sopito, nato tra le pagine di un libro.
Parla di una bambina che si nasconde dietro le forme sinuose di un corpo di donna e di una ragazza che non riesce a completare quel corpo maturo con uno spirito altrettanto forte.
Parla di un ragazzo che non lo sa ancora, ma si sta innamorando di quella bambina.
E' la storia di James, che dalla vita ha avuto tutto, ma non è stato capace di condividerlo con nessuno.
E' la storia di Astrid, che si è persa inseguendo se stessa e non si è accorta di stare guardando nel posto sbagliato.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Famiglia Potter, James Sirius Potter, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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In casa Potter la presenza di Astrid non si poteva certo definire discreta. Sembrava non riuscisse a fare a meno di colorare il bianco del silenzio con l’acquerello della sua voce. Le pareti erano talmente impregnate del suo timbro che, se di notte chiudeva gli occhi, riusciva a percepirlo senza fatica.
Cominciava a piacergli, quella ragazza. Cominciava a piacergli davvero. Gli piaceva vederla far sorridere suo padre, chiacchierare con sua madre, far sbuffare Lily, istruire Albus. Adorava osservarla inciampare nei bordi del tappeto, macchiarsi di sugo le labbra, passeggiare in corridoio e sorprenderla a pugnalare l’inglese stonando canzoni sotto la doccia. Era bello vedere l’effetto che suscitava nelle persone a cui sfiorava l’anima.
Per James fu un patetico dejavue vederla staccarsi da Scorpius e avvicinarsi a lui con quel sorrisetto ebete.
Rancore e amarezza disegnarono una smorfia crudele sul suo volto. Lei non era speciale. Era come tutte le altre. Anzi, come lei.
< Beh, cos’è quel muso lungo? Rose ti ha dato cattive notizie? > scherzò Astrid con aria innocente.
< Sai, potevate evitare di farci fare la figura degli idioti davanti a tutti i nostri amici > sibilò lui.
< Noi? E di voi cosa dovremmo dire? Ci avete abbandonati come due zerbini in balia di semisconosciuti, cosa dovevamo fare? Ci siamo solo messi a chiacchierare per far passare il tempo! > gracchiò la ragazza. Non aveva ancora perso quel sorriso.
< Così adesso si chiama “chiacchierare” > sbottò James ironico.
< Ma sei serio? Sei davvero geloso del ragazzo di tua cugina? Non ci credo > ridacchiò.
< No. Non sono geloso di lui. Sono deluso da te > sussurrò.
< Ehi, se è per il vestito lamentati con tua sorella, non avevo nessuna intenzione di soffocare per colpa sua > lo punzecchiò scherzosa.
Astrid non capiva. Per lei continuava ad essere una specie di gioco. Ma lui non era stupido. Non si sarebbe fatto prendere in giro da una ragazza una seconda volta. Trafisse con lo sguardo gli occhi bruni, infilzando la scintilla giocosa che continuava ad animarli. Non riusciva più a sopportare l’idea di averla accanto.  
< Sei serio > realizzò Astrid mentre sulle sue labbra sfumava la curva dolce del sorriso e su quelle di James si apriva un ghigno beffardo, spietato e amareggiato.
< James, io… >
Il ragazzo allontanò malamente la mano che lei tese.
< Che cosa? Ti dispiace? Sai, potevi pensarci prima, ormai è tardi > la freddò sprezzante.
< Io non ho intenzione di scusarmi > riprese lei, con calma.
< Non ho fatto nulla di male, non ti devo spiegazioni e non ho idea del perché tu ti stia comportando così. Ritorna in te, per favore >
Gli diceva la verità?
Le immagini di una camicetta azzurra e di una treccia bionda profumata di lavanda lampeggiarono davanti ai suoi occhi solleticate dalla memoria.
< Ho bisogno di stare da solo > sussurrò e si voltò agile, le mani in tasca, la testa china, forse una lacrima a fondere lo sguardo. Fuggiva. Fuggiva da lei. Fuggiva dal ricordo che lo stritolava lento, inesorabile, con le sue dita d’ombra.
 
Lo guardò allontanarsi restando immobile, le braccia lungo i fianchi. E all’improvviso quella sensazione di vertigine così sgradevolmente familiare si impossessò della sua mente, obbligandola a tirare fiato e irrigidire le gambe, come se da un momento all’altro rischiasse di cadere schiacciata sotto un peso invisibile.
Se ne era andato. Per colpa sua. Gli aveva fatto male e lui non se lo meritava. Non si era comportata bene. Lo aveva deluso.
La testa scivolava dalle sue dita, sempre più lontana, sempre più leggera, rifiutandosi di mantenere il controllo del corpo. Si sentiva svenire, si sentiva soffocare. Non sarebbe successa nessuna delle due cose, ormai lo sapeva, ma ogni volta la paura era la stessa.
Obbligò la vocina che pigolava timida sommersa da pensieri scuri e velenosi a farsi avanti. Che bisogno c’era di colpevolizzarsi a quel modo? Non aveva fatto nulla di male, non aveva nessun motivo per sentirsi in colpa. E allora perché quella sensazione di nausea e malessere continuava ad aumentare?
Sbirciò Scorpius allacciato a Rose, gli occhi grigi illuminati dallo sguardo caleidoscopico dell’esuberante rossa e si rituffò a passo svelto tra le piante del giardino. Si rannicchiò su una panchina, l’odore dolciastro di rose e gelsomino a riempirle le narici, la luce delle stelle a rischiararle il viso.
Non si sentiva abbastanza forte per chiedere aiuto.
 
Sapeva dove trovarla. L’aveva seguita con lo sguardo appena si era voltata dando le spalle a tutti, convinta di non essere vista da nessuno. Le aveva concesso cinque minuti per nascondersi, prima di correre a cercarla. E adesso era lì, davanti a lui, preda ignara e assorta, incurante del cacciatore.
< Scusa >
Sussultò voltandosi a guardarlo.
< A volte la nostra famiglia sa essere così… >
< Ingombrante? Fastidiosa? Impicciona? > sbottò lei.
< Ingenua >
Astrid si zittì.
< Non riescono a guardare al di là del proprio naso e sono convinti che la loro versione dei fatti sia l’unica corretta.  Non te la prendere, è giovane, imparerà >
Le passò un braccio intorno alle spalle, lasciando stemperare il garbuglio di emozioni nel silenzio.
< Cosa stavi facendo? > chiese dolce.
< Stelle cadenti > bisbigliò indicando il cielo.
Il riflesso di una scia luminosa accese gli occhi scuri e in un secondo si dissolse.
< Hai bisogno di far avverare un desiderio? >
< Bisogna stare molto attenti a quello che si chiede > sussurrò < Potrebbe realizzarsi davvero >
Lottava. Contro se stessa, contro il mondo, contro la bambina che aveva vissuto prima di lei, contro la ragazza spaventata che ne aveva preso il posto e non voleva dividerlo con la donna nascosta nel suo sguardo e nei suoi pensieri.
E poi, all’improvviso, quella domanda.
< Harry, pensi che io sia inutile? >
Le diede un buffetto sulla guancia.
< No. Assolutamente, categoricamente no. >
< Voglio dire, se non trovassi nessuno al mondo da salvare, se fossi una come tante, non avessi nulla di speciale. Che senso avrebbe restare qui? >
Pensieri contorti, avvizziti, troppo scuri per intaccare le sconfinate possibilità di una ragazza della sua età, le rosicchiavano l’anima bianca chissà da quanto tempo. E lui non era riuscito ad accorgersene prima.
< Astrid, tu non sei una come tante. Nessuno è uno come tanti >
< Tu non sei uno come tanti! > scattò lei liberandosi dalla sua stretta ed alzandosi in piedi.
< Porca la miseria, almeno fino a qualche mese fa avevo il diritto di pensarti frutto della fantasia, invece esisti davvero! Sei l’ulteriore conferma della mia inettitudine a vivere >
Prese a girovagare avanti e indietro solcando l’erba a grandi falcate.
< Pensa che quando mi inseguono o mi minacciano non scappo, mi rannicchio su me stessa e rido. Non ho nemmeno l’istinto di conservazione, capisci? Non sono geneticamente portata per la vita >
Harry sorrise con dolcezza.
< Astrid, non esistono persone sbagliate o inadatte a vivere. Il solo fatto di essere nata ti assicura di esserne capace >
La ragazza tornò a sedersi sulla panchina, incrociando le braccia al petto.
< Non è questo il punto. Ripenso ai miei amici, quelli un po’ svogliati che volevano diventare medici da quando avevano tredici anni e adesso ricevono orgogliosissimi caterve di trenta e lode, quelli che disegnavano sul banco durante le ore di latino al liceo e adesso hanno un brillante futuro da architetti. Io le seguivo tutte quelle ore di latino e me le facevo pure piacere, come mi era stato detto. Mi consideravano brillante, intelligente, volonterosa. E sono rimasta fregata. Ho scelto una facoltà a caso nel gigantesco mucchio di quelle che mi interessavano, ma per cui non sentivo una particolare vocazione. Dico a tutti che astrofisica era la scelta migliore che potessi fare. Ma non è vero. La verità è che non mi sento abbastanza motivata per finire. Non mi sento più abbastanza per nulla. Non so cosa voglio e dove sto andando. Sono rimasta indietro. Non sono riuscita a crescere come hanno fatto tutti gli altri >
La vide rannicchiare le ginocchia al petto aggrappandosi ad esse con forza e riconobbe nelle nocche bianche, nelle unghie strette conficcate a bucare le calze, il tormento degli occhi inquieti.
Già.
Come aveva fatto a non accorgersene prima?
< Hai vent’anni > sussurrò fermando un boccolo morbido dietro l’orecchio della ragazza. < Sei così giovane >
< A vent’anni si va per tentativi, il più delle volte > le rivelò.
< Tu non sei mai andato per tentativi. Tu hai sempre saputo tutto > bisbigliò lei amareggiata ricambiando lo sguardo.
< Io non ho quasi mai avuto scelta. E quando finalmente sono stato libero di decidere cosa avrei voluto fare della mia vita ho imboccato una strada e mi sono messo a camminare. Non siamo su binari, Astrid. Se non ti piace il sentiero che stai percorrendo ti basta deviare e cambiare percorso >
Quando cercò di sfiorarle la spalla lei si ritrasse, irrigidendo le braccia, mostrando lo sguardo sofferente e fiero che la volpe ferita rivolge al cacciatore prima di morire.
< Sei già grande, ragazza mia. Lo si vede da come parli, da come ti muovi, da come ragioni > le sussurrò.
La vide sciogliersi lievemente e cominciare a giocherellare con l’orlo della gonna, assorta.
< Mi fa paura, crescere > confessò.
< Eppure ho smesso di fare la bambina molto presto. Essere capricciosa e ingenua non si addiceva all’immagine che mia mamma mi aveva confezionato >
Una lacrima rotolò leggera sulle guance arrossate di fard.
< Ho cominciato a comportarmi come la gente voleva che fossi. All’inizio è stato difficile, come separarsi da una vecchia bambola. Ma una volta chiusa in soffitta, lontana dagli occhi, ho cominciato a dimenticarmene. Finchè non ho più sentito il bisogno di essere me stessa, piccola o grande che fossi. Ma non si può relegare ai ricordi una parte di sè. L’ho imparato cominciando a leggere. Illuminava le pagine colorando di immagini le scritte nere. Non le avevo dato modo di vivere una vita vera, così si accontentava di ricalcare le avventure di altri >
Uno sguardo di smeraldo illuminò gli occhi scuri, tristi, spenti, lucidi. Harry si avvicinò a distanza di un respiro dal volto della ragazza.
< Chi l’ha detto che per crescere sia necessario dire addio al bambino che ci ha preceduti? Se non ha avuto l’occasione di vivere quando toccava a lei, lasciale spazio adesso. Permetti alla te stessa bambina di stupirsi per un tramonto, di ridere quando ti scopre a fare una faccia buffa, di realizzare un suo desiderio. Ritrovala e fermati per un momento ad ascoltarla. Non sempre, solo ogni tanto. Magari così diventare grandi risulta più facile >
Astrid sospirò. Significava è complicato, non puoi capire, non ti è mai successo, ma, nonostante questo, ascolterò il tuo consiglio e proverò a seguirlo anche se so che sarà inutile. Era stata Lily ad insegnargli inconsapevolmente il linguaggio dei figli.
E poi la vide girarsi. E sorridere. Non un sorriso vero, ma uno a metà, strappato da un ricordo dolce. E cominciò a parlare.
< Volevo che fossi tu il mio primo bacio > mormorò guardandolo di sottecchi.
< Quando ho capito che non avrei mai baciato nessuno se avessi continuato ad aspettarti, ho deciso che qualsiasi appartenente al genere maschile sarebbe andato bene. A quel punto dovevo già abbondantemente recuperare le mie amiche in fatto di esperienza >
Le labbra si posarono sul suo volto, facendola sussultare di sorpresa e spavento.
Un bacio salato, ruvido di barba accennata sulla guancia morbida, soffiato appena vicino all’angolo della bocca.
Risero. Risero entrambi.
Una di quelle risate che riempiono gli occhi di lacrime e fanno male alla pancia.
Gli piaceva vederla felice. Era entrata nella sua vita come sconosciuta, quasi pericolosa, ma adesso l’affetto che provava nei suoi confronti era uguale a quello che nutriva per tutti i suoi figli. Si chiese se sarebbe stato in grado di rimandarla a casa senza più memoria di quei segreti condivisi.
< E dimmi un po’, tutto questo perché James ti ha accusato ingiustamente di averlo in qualche modo offeso? > riflettè.
< No, anzi, sì, insomma, più o meno > farfugliò la ragazza. < La definirei una reazione a catena con passaggi logici piuttosto sconnessi e precipitosi. James l’ha innescata facendomi sentire in colpa >
Restò assorta a ciondolare le gambe avanti e indietro, timorosa di lasciar spazio al ricordo del segno di labbra marchiate sulla pelle.
< Tu, hai informato i tuoi compagni di disavventure della tua scoperta? > chiese.
< Non ancora. Ho deciso di cercarla, questa fantomatica scrittrice e mi piacerebbe risolvere la faccenda da solo, questa volta > chiarì.
< Buona fortuna, allora >
< Ne avrò bisogno. Non so nemmeno da dove iniziare >
< Hermione andrebbe subito dritta verso la biblioteca e anche io, se fossi in te >
< Giusto! Hermione! Ho promesso a lei e a Ron che ti avrei presentata a loro. James mi ha detto che ti avrebbe fatto molto piacere >
Harry sorrise nel vedere lo sguardo di Astrid illuminarsi della consueta, vivace scintilla.
 
 
                                                                                                         ∞
Rumore di nocche sul legno.  
< Scusa > borbottò James, impalato sull’uscio. < Ho esagerato, mi dispiace >
Torturava una busta tra le dita.
< Non fa niente > mormorò lei.
Si appoggiò allo stipite, a braccia conserte.
< Non è per farmi perdonare, l’idea l’avevo già da prima, sia chiaro > precisò. Prese fiato.
< Verresti con me ad Hogwarts? >
< Come prego? >
< Lumacorno è vecchio, tra un po’ se ne andrà in pensione. Gli ho chiesto se aveva bisogno di un apprendista, un tirocinante, uno che imparasse il suo mestiere e prendesse il suo posto >
< E… >
< E mi ha detto di sì. Ma devo andare là a preparare un po’ di cose per lui >
< Ma James, è una cosa bellissima! E certo che ci vengo con te, porca miseria! > esclamò basita.
< Ah, si parte domani > aggiunse lui voltandosi veloce.
< Cosa?!? Ma ti sembra? Dirmelo così senza neanche un po’ di preavviso? James, non scappare, torna qui! Come ci si deve vestire in Scozia? Ehi, mi stai ascoltando? JAMES! >
  
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