Anime & Manga > Katekyo Hitman Reborn
Segui la storia  |       
Autore: musa07    02/10/2014    2 recensioni
" Dino ci aveva proprio preso gusto ad insegnare. Ecco perché aveva accettato l’incarico fino a fine anno scolastico. E questo voleva dire che sarebbe partito in gita con la classe della quale era responsabile. Alias quella di Tsuna e company. Non stava più nella pelle!
- Che bello. In gita! – stava proferendo felice per l’ennesima volta da quando si era svegliato quella mattina ed era stato malamente scaricato da Kyoya a casa Sawada, dato che il Disciplinare non era più in grado di reggere i suoi farneticamenti ..." (dal cap.1)
Ciaossu^^ Dopo l'angst, dopo la 3Some PWP, approdo nuovamente al mio habitat naturale: lo slice of life soooooo romantic, oh yes!
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Dino Cavallone, Enma Kozato, Hayato Gokudera, Takeshi Yamamoto, Tsunayoshi Sawada
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Ciaossu^^ Sono un po’ un ritardo, lo so, ma stavolta non è colpa mia ma colpa di Fushimi^O^ Saru, il tuo cosp mi sta dando tanta soddisfazione a mano a mano che lo creo, ma che capperi!!!
Ragazzuoli miei adorati, son qui, tuuuuuutta per voi! Ahahah^//^ So che suona come una minaccia.
A dopo e buona lettura.

 
 

“ Devi guardare a testa alta le cose che ti stanno davanti, o non potrai mai superarle”
 


CAPITOLO 3
 
 
Kyoya non era di certo uno facile al panico, ma si trovò inspiegabilmente col fiato corto quando si svegliò di soprassalto, spalancando gli occhi grigi.
Era stato tutto così dannatamente reale! Quello non era stato di certo un sogno …
Boccheggiante, scandagliò con lo sguardo i contorni della stanza, per esser certo di trovarsi nella sua realtà. Nel suo mondo.
La prima cosa che lo portò alla realtà fu vedere che le braccia della persona dietro di lui, che lo stavano tenendo stretto, non potevano altro che essere di Dino. Si assicurò della certezza seguendone i contorni del tatuaggio. Poi, sempre più calmo e rientrato completamente in sé, voltò appena la testa di lato a scrutare il volto serenamente addormentato dell’altro. Sì, ok: era il suo biondo inetto quello che lo stava abbracciando.
- Biondo … - sussurrò appena, con i sensi ancora leggermente offuscati dalla nebbiosità del sonno.
Di colpo si portò una mano tra i capelli, scostandosi la frangia e scrutandola a fondo, grazie al chiarore spettrale della luna che filtrava attraverso i vetri della finestra.
- Ok, sono neri … - bisbigliò, e fu solo perché ancora intorpidito dal sonno che aveva permesso per un lungo, lunghissimo istante, al panico di serpeggiare in lui. D’altra parte, per lui era stata la prima volta. La prima volta che riviveva in maniera così spasmodica i ricordi di Alaude. Comprensibile quindi che, perfino per un animale freddo e raziocinante come lui, quella cosa era stata in grado di frastornarlo.
- Hn! – grugnì, ripensando ai suoi “compagni” di sogno  – Domani li ucciderò tutti e tre. – decretò, dando la colpa agli altri tre di quella sua strana avventura notturna.
 
 
 
Più morti che vivi, i ragazzi si trascinarono verso il luogo di ritrovo per il primo giorno di tour, non ricordando neppure di esser passati per la colazione.
Perfino Hayato, che era uno abituato a dormir poco, non seppe mai dirsi come ci fosse arrivato in strada.
Per loro fortuna, il programma di quella mattinata prevedeva di arrivare al Museo di Arte Moderna a piedi, perché se fossero dovuti salire sull’autobus, sarebbero stati vittime di un attacco narcolettico senza avere neanche il tempo di sedersi.
Come spesso accade durante le gite scolastiche, a mano a mano che la camminata proseguiva, si formavano vari gruppetti di ragazzi e gli argomenti di conversazione spaziavano e variavano nella maniera più molteplice. Ovvio che l’argomento di conversazione preferito tra le ragazze – nonché oggetto di ogni attenzione - fosse il loro insegnante di inglese. Dino, infatti, non stava avendo un attimo di tregua da quando aveva messo piede fuori dalla sua stanza. Il docente, affabile com’era nella sua natura, rispondeva gentilmente a tutte, scortato a distanza da Hibari. Ovvio era, ma gli altri ben si sarebbero guardarti dall’affermarlo a voce alta, che il Disciplinare era chiaramente infastidito da tutte quelle attenzioni. Ok, quando camminavano normalmente per strada, molte teste si giravano in direzione di quella zazzera dorata e quella figura atletica, ma durante quella gita, Dino stava subendo continui e ripetuti assalti, che stavano irritando Kyoya fuori dalle maniere. Da bravi Guardiani, gli altri accorsero in aiuto dei due, in qualche maniera.
- Prof, ma lei ce l’ha la ragazza? –
Eccola! La domanda tanto temuta da tutti, era alla fine arrivata.
Per un secondo ci fu solo silenzio, e Takeshi, Hayato, Ryohei, Tsuna ed Enma, non seppero verso chi – tra Dino e Kyoya – portar l’attenzione. Il primo istinto sarebbe stato quello di darsi saggiamente alla fuga, e il fatto che tutti e cinque per un attimo si fermarono di botto, fu segno inequivocabile che per un istante ci avevano seriamente pensato, ma poi il forte senso di amicizia nei confronti del biondo, li costrinse a restar lì. Dino, dal canto suo, deglutì a vuoto, tentando in ogni modo e maniera di non spostare la direzione dello sguardo verso Kyoya, per non tradirsi. Kyoya che, come sempre, rimase il solito modello di stoica imperturbabilità. Solo l’assotigliare degli occhi grigi fu segno di un bagliore di interesse, nonché un accenno di sorrisetto sadicamente divertito a vedere come l’altro se la sarebbe cavata. Bastava negare, no? , pensò il Guardiano, ma Dino – traendo un profondo inspiro – parlò.
- Sto insieme ad una persona, sì. – confessò alla fine, sorridendo, obbligandosi a portar l’attenzione verso il gruppetto di ragazze che stavano attendendo ansiose la risposta, e non su Kyoya.
- Uffi! – borbottarono in coro le sue studentesse, evidentemente deluse. – Eh vabbè, ragazze: uno così, c’era da aspettarselo! -
E i cinque tirarono un sospiro di sollievo. Sospiro di sollievo che lasciò loro tregua solo per un istante, perché le dolci donzelle non avevano ancora soddisfatto la loro morbosa curiosità.
- E lei com’è, Prof? – cinguettarono felici, stringendosi maggiormente attorno al loro insegnante.
- Eh? – chiese Dino, cercando di mascherare il panico serpeggiante.
- Sì, ce la descriva. –
Takeshi e Ryohei, che si trovavano al fianco di Kyoya, inconsciamente si allontanaro preventivamente da lui, deglutendo a vuoto. Nemmeno Tsuna, né tantomeno Enma ebbero il coraggio di guardarlo.
“Cazzo Cavallone, ma non potevi limitarti a negare?” pensò Hayato “Quel sociopatico di Hibari non se la sarebbe mica presa, avrebbe di sicuro capito la situazione.”
Ma se Dino non aveva negato, ma aveva risposto sinceramente, non era per il fatto che temeva che il suo innamorato potesse prendersela, ma perché – se fosse stato per lui – avrebbe dichiarato il loro amore ai quattro venti. E Dino continuò a parlare …
- Per stare con lei, deve essere sicuramente bellissima. – insistette una delle ragazze.
- Oh, sì: lo è. Tanto. – rispose il biondo, addolcendo lo sguardo. E quell’adorabile espressione che gli si dipinse in volto, lasciò le sue interlocutrici senza fiato, dandogli tregua.
Gli altri cinque si strozzarono con la loro stessa saliva, per non scoppiare a ridere. Quanto ardire stava dimostrando, pensarono. Quella era una dichiarazione d’amore in piena regola e Hibari stava tentando di incenerirlo con lo sguardo. E Dino, che quando si trattava del suo compagno, permetteva a tutto il suo fervore di venire fuori, si lasciò prendere la mano, incalzato dalla curiosità delle sue allieve.
- Ohhh … - sospirarono sognanti  – Prof, qual è stata la prima cosa che l’ha fatta innamorare? –
- I suoi occhi … Sono bellissimi. Di un color ardesia screziato di azzurro che non pensavo potesse esistere in natura. - fu la risposta altrettanto sognante.
Nuovo coro di “Ohhhh” estasiato.
Takeshi e Ryohei che, al solito, erano quelli che riuscivano sempre a ricavare un lato divertente in ogni situazione, dovettero mordersi il labbro inferiore per non scoppiare a ridere quando videro Hibari voltarsi verso Dino, letteralmente scioccato dal fatto che il suo compagno stesse continuando a rispondere alle domande di quelle scocciatrici.
“ Dino non vedrà l’alba del nuovo giorno!” pensarono invece in panico Tsuna ed Enma.
- E come si è dichiarato? – continuarono imperterrite le ragazze, costringendo Hibari ad attirare l’attenzione del biondo con un colpo di tosse. Fulminandolo seduta stante nel momento in cui, finalmente!, gli occhi marroni si legarono ai suoi.
Non azzardarti a continuare a parlare, stava chiaramente ad indicare quell’occhiataccia, ma Dino si limitò a fare il suo sorrisetto sghembo, segno inequivocabile che stava bellamente ignorando la minaccia.
- Mi sono preso una randellata di botte quando l’ho fatto. – ricordò ridendo.
“ Chissà come mai non facciamo fatica a crederci …”pensarono gli altri, tuttavia interessanti, perché quella parte della storia non l’avevano mai saputa neppure loro.
- Come sarebbe a dire che l’ha pestata? – borbottarono perplesse le ragazze – Cioè, non era al settimo cielo quando si è dichiarato? –
- Per niente! –
- E come l’ha fatta capitolare alla fine? –
Nuovo colpetto di tosse da parte di Hibari, che parve più un grugnito stavolta.
- È stata dura, infatti. – confessò Dino, ridendo ancora al ricordo.
- Che caratterino che deve avere ‘sta tipa. – costatò perplessa la capoclasse, incredula che questa fantomatica ragazza si fosse permessa anche di far la preziosa.
- Tch – si lasciò sfuggire Hayato, a voler dar conferma di quanto detto dalla ragazza. L’aveva fatto sovvrapensiero, ma fu perfettamente udito dalle assaltatrici. Che drizzarono le antenne. Sei paia d’occhi si spostarono dal volto del loro docente agli occhi turchesi del Guardiano.
- Voi la conoscete? – chiesero, rivolgendosi a tutti e cinque e il tono tuonava in maniera minacciosa.
- Tch! – si riprese immediatamente Hayato – Noi non abbiamo niente a che farci. – specificò.
- Magari è lei che non ha nessuna intenzione di aver niente a che fare con voi … - ci tenne a precisare Kyoya, mormorando.
Per fortuna lo scambio di battute al vetriolo tra i due non suscitò l’interesse delle ragazze, che avevano quindi riportato l’attenzione verso il loro docente.
- Ce la farà conoscere almeno, eh Prof? –
 “ Non potete neanche immaginare che questa persona la conoscete benissimo … ” pensò Tsuna, sempre più in ansia per le sorti dell’amico. Ma, al solito, la fortuna arrise al giovane boss italiano.
- Oh, siamo arrivati. – dichiarò il biondo sollevato, chiamando a raccolta i suoi studenti e andando a recuperar la guida del Museo. Guida del Museo che altri non era che una vecchia cariatide che ci provò con Dino per tutto il tempo della durata della Mostra. E il copione si ripeté.
 
 
 
QUALCHE ORA PIU’ TARDI
 
Alla fine del percorso guidato, gli studenti furono lasciati liberi di scorazzare fino all’ora di pranzo per il parco che si trovava all’interno del Museo.
Enma si era seduto sulla muretta, attendendo che Tsuna ritornasse dal chiosco con le bibite. Era da quella mattina che non si sentiva proprio per niente bene, e poco aveva a che fare con il fatto che non avesse dormito tanto.
Si sentì rabbrividire dalla testa ai piedi e cercò tepore in un raggio di sole, affondando le mani gelide in tasca.
- Stai male? – la voce di Dino lo costrinse a sollevar la testa, dopo che aveva cercato calore immergendosi nella sciarpa.
- Diciamo che mi sembra di esser passato sotto ad una pressa … - confessò debolmente, sentendosi in qualche maniera – e a torto – in colpa.
Il biondo lo fissò dubbioso, piegando la testa di lato.
- Sei caldo, in effetti. - costatò dopo che gli aveva poggiato una mano sulla fronte e stava facendo il raffronto con la sua.
- Gomen … - bisbigliò Enma.
- E di cosa ti scusi? – lo rassicurò Dino, sistemandogli meglio la sciarpa e facendogli un sorriso incoraggiante  - Vuoi rientrare in albergo? – gli chiese premuoroso.
- No! – si affrettò a rispondere l’altro, in ansia. Non voleva che Dino lo rispedisse in hotel, ci teneva a passare il tempo con Tsuna e soprattutto non voleva farlo preoccupare o rovinargli la giornata. In particolar modo il pomeriggio, dato che dovevano andare a vedere le cascate nella campagna limitrofa. Cascate che in quel particolare periodo dell’anno si ghiacciavano completamente e formavano delle composizioni archiettetoniche naturali da fiaba. Lui le aveva già viste un paio di volte, ma Tsuna no ed Enma sapeva che era una cosa che non vedeva l’ora di visitare.
Nuovamente Dino lo scandagliò con lo sguardo, intuendo perfettamente i suoi pensieri.
- Ok – disse alla fine, con un sospiro – Ma quando rientriamo alla pensione prima di prepararci per le cascate, ti provi assolutamente la febbre e sei hai più di 38 e mezzo, non metti piede fuori dalla tua stanza, intensi? –
- Hum … - rispose Enma, assentendo con il capo. Sapeva che Dino in quel momento non stava facendo il professorino ma il fratellone maggiore che si preoccupa per il suo fratellino.
 
 
Ed Enma non riuscì ovviamente a bypassare le premure di Dino.
- Enma! Hai 39 e due! – esclamò Dino sbalordito ed evidentemente preoccupato – Come hai fatto a reggerti in piedi fino adesso? –
Il miagolio che il ragazzo produsse stava chiaramente ad indicare che nemmeno lui sapeva darsi una risposta. Seduto sul suo letto, a gambe incrociate, sollevò lo sguardo dapprima su Dino, per poi portarlo verso Tsuna. Il quale lo stava osservando altrettanto preoccupato.
- Mi dispiace … - bisbigliò di nuovo, cercando un po’ di calore dalla coperta che il Juudaime gli aveva poggiato sulle spalle una volta che erano rientrati in stanza.
Dino gli lanciò un’occhiata tenera, scompigliandogli i capelli.
- Adesso tu ti metti sotto le coperte, ti prendi un’aspirina e non muovi un solo passo fuori di qui.– gli disse perentorio.
- Hai bisogno di qualcosa? – gli chiese poi, mentre gli porgeva medicinale e bicchiere d’acqua. Enma si limitò a scuotere il capo. Non aveva neanche la forza di protestare. Già si sentiva un emerito schifo a notare lo sguardo preoccupato di Tsuna, ed era proprio il fatto di sapere di esserne la causa che lo faceva star male.
- Tsuna? – lo richiamò Dino, mentre stava per uscire dalla camera – Tra dieci minuti partiamo … - gli ricordò, con uno sguardo triste. Capiva perfettamente come si sentissero entrambi in quel momento.
Enma, vestito di tutto punto, si distese trascinandosi dietro la coperta, prontamente aiutato dal suo compagno.
- Scusa se non mi sono accorto che stavi male … - mormorò Tsuna, sedendosi al suo fianco. Enma si limitò a scuotere la testa ad indicare di stare tranquillo, sorridendogli debolmente. Fece scivolare una mano al di fuori della coperta fino a recuperare quella dell’altro. Il quale sobbalzò a sentire quanto bollente fosse.
- Ti preparo un thè. – esclamò il Juudaime solerte. Fece per alzarsi, ma il rosso lo bloccò, costringendolo a sedersi nuovamente.
- Tsuna, vai. –
- Ma … - cercò di protestare alacremente, ma fu interrotto dall’altro.
- Vai. – bisbigliò dolcemente Enma, ma con tono fermo. Sapeva quanto Tsuna ci tenesse a quella particolare escursione  - L’autobus tra pochi minuti parte … - sussurrò, biascicando le parole, dato che il sonno stava avendo la meglio su di lui.
Tsuna lo vide cercare di combattere, inutilmente, contro l’avanzare dell’oblio ovvatato dato dalla febbre alta. Sospirò, posandogli una leggera carezza sulla guancia …
 
Per Enma sarebbe potuto esser passato solo un minuto, così come giorni interi. L’aprirsi e il richiudersi della porta gli arrivò ai sensi come se si trovasse all’interno di una bolla. Come se intorno a lui il tempo si stesse muovendo a rallentatore, riaprì gli occhi e si trovò nuovamente Tsuna davanti.
- Tsuna … - riuscì a bisbigliare. L’arsura della gola gli impediva di deglutire e parlare gli costava una fatica indicibile  - Hai dimenticato qualcosa? –
Il Boss Vongola si limitò a scuoter la testa, sorridendo divertito.
- Hum-hum, niente. –
Enma socchiuse gli occhi, per cercare di leggere in quell’espressione.
- Ma l’autobus … -
E stavolta fu il turno di Tsuna di togliergli la parola.
- Sono sceso in reception, per avvisare Dino e gli altri che non sarei andato. –
Enma si passò una mano tra i capelli confuso, non capendo ancora appieno le parole dell’altro.
- Gli ho detto che sarei rimasto qui. Con te. – concluse con un sorriso, sedendosi nuovamente sul letto e gattonando verso di lui.
- Ma Tsuna! – esclamò il giovane Simon, avendo ora pienamente intuito il significato di quanto detto. Si mise a sedere sul letto. – Vai, per favore. Io sto bene, mi faccio una bella dormita e sono a posto. Vai, non restare qui per me … Ci tenevi così tanto a veder le cascate … - la protesta si spense in un mormorio, mentre lo pregava con lo sguardo di andare. Ma Tsuna, con uno di quei sorrisi che, pur nella loro bontà non ammettevano repliche, fu irremovibile. Sarebbero stati proprio quel genere di sorrisi che, anni più avanti, ne avrebbero fatto la sua forza quando avrebbe dovuto mantener salde le sue posizioni di fronte a polemiche e proteste.
- Ci tenevo a vederle anche insieme a te. – fu la sua dolce replica. Detta mentre le guance gli si coloravano di rosso.
- Tsuna … - bisbigliò Enma, ricercando la sua mano. Gli faceva sempre così specie quando qualcuno faceva qualcosa per lui. Era abituato a dar tanto, ma si stupiva sempre molto quando qualcuno faceva qualche carineria nei suoi confronti. E in questo assomigliava in tutto e per tutto al suo antenato.
- Allora sai cosa facciamo? – si sforzò a parlare, con la voce roca – Durante le vacanze invernali, ci prendiamo due giorni e torniamo qui a vederle, ok? –
- Ok! – assentì Tsuna, sorridendo e rubando un dolce sorriso anche all’altro. Nel momento in cui il Juudaime gattonò ulteriormente sul letto, abbassandosi verso le sue labbra, fu il bussare alla porta che li interruppe.
I due si fissarono negli occhi, dubbiosi. Chi poteva essere?
Tsuna andò ad aprire perplesso, ma fu un’autentica sorpresa che gli fece sgranare gli occhi quando li vide sulla soglia.
- Minna – esclamò sbigottito. C’erano proprio tutti!
Fece per aprir bocca nuovamente, a chieder loro il motivo per il quale non si trovavano sull’autobus che ormai si doveva trovare in strada da qualche minuto, ma Takeshi non gli permise di dir alcunchè.
- Se avete bisogno di qualsiasi cosa, noi siamo in stanza del senpai. –
- Ohhh, certo! A farci una bella partita a carte. –
-  Tch! Io non voglio proprio far niente con te! –
- Che cosa hai detto Testa a Polpo?! –
- Su su, ragazzi …  –
- Hn! -
Il quadretto si stava svolgendo come al solito da copione, tanto che Tsuna – dopo aver lanciato un’occhiata fugace alle sue spalle, a cercare con lo sguardo Enma – non poté che scoppiare a ridere.
- Ragazzi, cos’è tutta questa confusione? –
- Dino! Anche tu? – esclamò Tsuna sorpreso quando la ben nota zazzera dorata fece capolino a sua volta sulla soglia della stanza.
- Certo – fu la replica del biondo, strizzandogli l’occhio, complice – Non potevo lasciare i miei studenti preferiti da soli. – scherzò, beccandosi un’occhiata in tralice da parte di Hayato. Occhiataccia carica di significati.
- Tutti a giocare a carte da Ryohei, allora? – proseguì il giovane boss italiano, battendo le mani felice. Due “no” e due “sì” si levarono per il corridoio, ed Enma, anche se non avesse riconosciuto le voci, avrebbe potuto affermare con sicurezza da chi provenissero.
Dino fece spallucce, limitandosi a prendere sottobraccio Takeshi e Ryohei, ovviamente i due ferventi sostenitori del pomeriggio di giocate.
- Ragazzi? – li richiamò indietro Enma, che si era trascinato fino alla porta, avvolto nella coperta.
Cinque paia d’occhi si girarono verso di lui, attendendo.
- Grazie … - bisbigliò, divenuto più rosso dei suoi capelli, e il rossore non era dato esclusivamente dalla febbre.
- Ehi, a cosa servono gli amici altrimenti? – rispose per tutti lo spadaccino, facendogli dono di uno dei suoi splendidi sorrisi rasserenanti.
 
I due si richiusero la porta della camera alle loro spalle. Vederlo rabbrividire per l’ennesima volta, sentirlo mugolare il più silenziosamente possibile – cosa così da lui, perché Enma più di tutto non voleva che la gente si desse pena e affanno per lui. Per non disturbare. Per non essere di peso – gli fecero sentire una morsa in mezzo al petto. Come se una mano invisibile si fosse fatta spazio tra le sue carni, fino a raggiungerne il cuore e iniziare a stritolarlo. Così come, in netta contrapposizione, si fece spazio in lui un’enorme felicità. A sentire quanto tenesse a lui. Al fatto che avrebbe fatto ogni cosa – qualsiasi cosa – per rendere Enma felice. Per poter vedere ancora, e ancora, le sue labbra piegarsi in quel dolcissimo sorriso che gli andava a plasmare una fossetta sulla guancia sinistra. Eh, no: indubbiamente per lui Enma non era un amico. Era molto di più. Come se, in un momento non meglio precisato della sua nascita, la sua Anima fosse stata squarciata in due e solo in quel preciso istante gli fosse stato rivelato ciò. Che la metà della sua Anima aveva sempre avuto memoria e ricordo della sua gemella persa chissà dove, ed ora – improvvisamente – l’avesse finalmente ritrovata.
Allungò una mano verso la schiena dell’altro, Tsuna, ma quando le sue dita furono ad un soffio da Enma, si fermarono. Ce l’avrebbe mai fatta?, si chiese. Ce l’avrebbe mai fatta a pronunciare quelle semplici paroline? In fin dei conti, era già chiaro no, per entrambi? Ovvio! Ma dirlo, era tutto un altro paio di maniche.
Sospirò affranto, mentre le sue dita – nuovamente – si mossero silenziose verso la schiena di Enma, ma si trovò a ritirarle di scatto quando l’altro si voltò verso di lui, fissandolo interrogativo in volto, mentre gli sorrideva.
Il sorriso di Enma era il suo mondo. La sua salvezza. La sua ancora. Loro due, insieme, si sarebbero potuti salvare a vicenda da quel mondo che nessuno dei due aveva scelto, ma nel quale – loro malgrado – erano stati gettati. E avrebbero potuto di sicuro migliorarlo. Farlo ritornare per quello per il quale era nato. Con Enma, fin dal primo istante in cui si erano conosciuti, si era potuto permettere di esprimere i suoi dubbi, le sue paure, senza paura di saltar per aria come faceva sempre Reborn quando lui si permetteva – o per lo meno tentava - di opporsi. Per non parlare di manifestarle ad Hayato, il quale – sorvolando sul 99% di quanto diceva, cioè che a lui non avrebbe potuto fregare di meno di essere il Decimo Boss Vongola – gli ribatteva di non preoccuparsi, che lui sarebbe stato in grado di farcela, che ok: faceva bene alla sua labile autostima, ma non lo aiutava di certo. Perfino manifestare i suoi dubbi, le sue perplessità a due serafici come Takeshi e Dino, non gli faceva ottenere l’aiuto morale sperato. Anche solo impensabile manifestarle ad Hibari – pena la morte. E poi era arrivato Enma … Enma che, come lui, si era trovato invischiato in qualcosa che non avrebbe voluto. Troppo buoni tutti e due, ma grazie alla loro caparbietà erano sempre riusciti ad andare avanti. Com’era sempre stato facile parlare con Enma! Perché Enma, non solo ascoltava, ma lo capiva perfettamente. E Tsuna, per la prima volta da quando tutto quell’infernale casino era iniziato, si sentiva completamente compreso. E lo capiva perfettamente. Perché Enma, impacciato e imbranato come lui, quand’era il momento, quando i suoi amici erano in pericolo, non guardava più in faccia niente e nessuno, a cominciare proprio dalla propria incolumità.
Perché Enma era il suo mondo. Il suo riferimento. Se lui era il Cielo, Enma era la Terra senza la quale il Cielo non può neanche pensare di reggersi.
- Enma? –
- Sì? –
Dai, forza!, udì perfettamente dentro di sé. Ma era così difficile! E allora, come sempre, dove non arrivano le parole, arrivano i gesti ... Tanto Enma avrebbe capito, ne era certo. Avrebbe capito cosa si stava sforzando di far uscire dalle sue labbra. Due semplici parole … Enma avrebbe capito, e poco c’entrava il loro super-intuito ereditato direttamente dai loro amati predecessori.
Tsuna, abbassando timidamente gli occhi a terra per poi risollevarli verso i suoi, lo prese per un braccio per attirarlo verso di sé e poter affondare la testa nell’incavo della sua spalla e abbracciarlo. Peccato solo che, trattandosi di loro due, inevitabilmente, il suo gesto repentino li fece incespicare nelle falde della coperta e finire a terra.
Tsuna sgranò gli occhi incredulo. Non ci poteva credere! Quella che doveva essere la sua dichiarazione d’amore, si era tramutata al solito in un disastro. Ma la risata cristallina di Enma, il suono della sua risata fresca, sincera, di cuore, gli arrivò alle orecchie ammagliandole e gli fece affondare maggiormente la testa su di lui. Lo strinse ancora più a sé. E le braccia di Enma fecero altrettanto sulla sua schiena. E gli incespicanti successivi tentavi di alzarsi, non sapendo bene da che parte appoggiar le mani, fecero tremare e sussultare entrambi, sempre più imbarazzati, tanto che anche il posare semplicemente lo sguardo l’uno sull’altro – con le mani di Tsuna appoggiate sul petto di Enma, e quelle di Enma adagiate morbidamente sui fianchi di Tsuna – li fece andare a fuoco entrambi, mentre tentavano di biasciare scuse, caracollando sulle loro stesse parole.
 
 
Questa volta i ricordi che si presentarono nei suoi sogni riguardavano qualcosa di differente rispetto ai soliti. Qualcosa che tutti loro avevano visto quando i Vindice avevano consegnato l’ultima chiave dei ricordi di Giotto e Cozzato. Ma quello che Enma e Hayato rivissero, fu ciò che successe dopo …
 

Giotto era annientato. Non solo aveva subito il tradimento di uno dei suoi amati e preziosi Guardiani, ma – cosa ancora più annichilente – stava per dire addio al suo più caro amico.
A G. non era mai importato più di tanto di Daemon – ultimamente l’aveva sopportato solo ed eslusivamente per amore di Giotto – ma per quanto riguardava il dare l’addio a Cozzato, si sentiva esattamente come il Primo. Se non peggio. Se Giotto era l’adorato compagno della vita e per la vita, Cozzato era per lui il fratello che non aveva mai avuto. E quel genere di legame che si era creato tra loro, andava ben oltre ad un semplice legame di sangue.
- Ci rivedremo un giorno? – provò a chiedere, ben sapendo già da sé la risposta. La decisione era stata presa. E per il bene di tutti loro. Delle loro rispettive Famiglie. Ma questo non voleva dire che il bene comune non cozzasse contro quello che era il loro bene. I loro desideri. Le loro necessità. E Cozzato – tra tutti – fingendo la sua morte e quindi scegliendo la via dell’esilio, il fatto di non poter più vivere alla luce del giorno, era quello che avrebbe pagato di più del tradimento ordito da Daemon ai danni delle Famiglie Vongola e Simion . Ma molto probabilmente, dato che quella soluzione l’aveva suggerita e decisa lui stesso, era proprio per questo motivo che, tra i tre, era il più sereno e cercava di trasmettere ai suoi due cari amici quella serenità.
- Non in questa vita. – disse sorridendo, posando una mano sulla spalla di entrambi, stringendo appena, infondendoli la sua tranquillità. Posò lo sguardo ora all’uno, ora all’altro, e vedendo riflessa nei loro occhi quella tristezza che stava tendando in ogni modo di non far trapelare, anche il suo sorriso si immalinconì.
- Ma io sono sicuro che tra qualche anno, magari tanti anni … - riprese a parlare, sorridendo nuovamente e strappando un piccolo sorriso anche in G. e Giotto - Riusciremo a reincontrarci attraverso i nostri discendenti. Ne sono certo … - proferì convinto, stringendo maggioramente la presa sulle spalle degli altri due, addolcendo lo sguardo, prima di riprendere a parlare.
- Perché la nostra amicizia va oltre al tempo. Oltre alle parole. Oltre ai luoghi … Io porterò nel mio cuore ogni singolo momento passato con voi. Ogni risata. Ogni discorso. Ogni notte tirata a far tardi a raccontarci di noi. Il fatto che sia nelle cose belle, che in quelle brutte siamo sempre stati l’uno al fianco dell’altro. Sempre! Ovunque io sarò. – concluse in un mormorio, in un soffio che gli spezzò le parole. E nuovamente anche Giotto e G. si addombrarono, a vedere come il sorriso morì sulle labbra del loro amico.
-  Cozzato, ci rincotreremo. L’hai detto tu! Nei nostri eredi, noi ci rincontreremo e saremo amici per sempre. – sostenne l’arciere, e fu loro il turno, ora, di posargli una mano sulla spalla, stringendo, per farlo scuotere dallo stato nel quale era caduto. Il Boss Simon fu loro grato di quel gesto. Sarebbero stati amici per sempre.
- Beh, se il tuo discendente avrà il tuo carattere di merda, siamo fregati. Povero Simon futuro! – rise di gusto Cozzato, strappando una risata anche in Giotto.
- Ma che cazzo vorresti dire? – finse di inalberarsi il Guardiano, facendoli nuovamente scoppiare a ridere.
- Hum, Cozzato ha ragione mi sa … - diede man forte all’amico il biondo.
- Giotto, anche tu? – replicò allibito G., e stavolta il suo sbigottimento era reale.
- Ah, Giotto: penso proprio che solo il tuo discendete si salverà dai suoi sguardi truci. – continuò nella farsa Cozzato.
-Ancora?! – sbottò G. Cosa che fece scambiare ai due infingardi un’occhiata complice, prima che Cozzato li stringesse a sé in un abbraccio.
- Boss, dobbiamo andare … - uno dei Guardiani Simon era andato a recuperar Cozzato. A malincuore, perché sapeva cosa volesse dire per lui dire addio ai suoi due amici. Cozzato aveva parlato con i suoi, dicendo che ognuno si sentisse libero di seguire la propria strada. Non li avrebbe mai costretti a seguirlo. Ma nessuno di loro, dal primo all’ultimo, aveva sciolto la promessa. L’avrebbero seguito tutti. Per loro sarebbe stato anche solo impensabile non seguire in capo al mondo uno come Cozzato. E a nulla erano valse le sue proteste e le sue argomentazioni.
Il Boss Simon si girò verso il suo Guardiano, sorridendogli.
- Arrivo … - rispose semplicemente, facendo scivolare lentamente le mani lungo le braccia dei suoi due amici.
 - Non c’è proprio altro modo? – ci riprovò G., sentendo la rabbia montargli dentro. E fu Giotto a cercar di placarla, stringendogli delicatamente un braccio, come a volergli dire “smettila, ti prego” mentre scuoteva la testa, sempre più sofferente. E Cozzato non ebbe neanche il tempo di cercare una risposta, che si trovò rapito e stretto nell’abbraccio dell’arciere.
- Mi mancherai. Non puoi neanche immaginare quanto! – sussurrò G. con la voce incrinata in quel pianto che non gli riuscì più di trattenere.
- Oh sì, invece. Sì che lo posso immaginare, perché sarà quanto voi mancherete a me. – bisbigliò l’altro in risposta, stringendolo forte a sua volta. Tutta la stoicità con la quale aveva cercato di rasserenarli, era andata a farsi benedire.
Giotto non li aveva mai visti piangere. Né l’uno nell’altro. E si sentì lacerare il cuore.
È tutta colpa mia, non faceva altro che ripetersi dentro di sé, disperato. Se anni prima non avesse dato vita a quella storia dei Vigilantes, ora non sarebbero stati lì a dirsi addio …
- Giotto, non ti crucciare – per l’ennesima e ultima volta, Cozzato gli aveva letto dentro – Sono stato io a suggerirtelo, se ben ricordi. –
- E come potrei dimenticarlo? - sussurrò, sforzandosi di sorridere mentre le lacrime gli scendevano lungo il volto, rigandogli le guance. E di nuovo si strinsero tutti e tre in un abbraccio.
- Ci rincontreremo ragazzi. Il bene che ci vogliamo non morirà. Passerà oltre le ere. Oltre il tempo …- bisbigliò nuovamente Cozzato. Quel pensiero li avrebbe sempre rincuorati e rasserenati.
Perché era molto di più di una semplice promessa.

 
 
Per quanto stesse scivolando effimeramente sulla sua guancia, fu una lacrima a risvegliare Hayato.
Sbattendo gli occhi turchesi, si ritrovò a fissare il soffitto della camera, mentre le lunghe ombre della notte avevano gettato le loro spire. Incredulo, poggiò la punta delle dita sul volto, fissandole poi sofferente nel vederle inumidite. Un sospiro che esprimeva tutta la sua tristezza gli uscì dalle labbra. Si sentì il cuore stritolare in una morsa. Solo quando era morta sua madre, aveva provato una tristezza agghiacciante simile. Sospirando nuovamente, si mise seduto. Solo allora si accorse che Takeshi lo aveva coperto. Gli aveva messo addosso una coperta prima di uscire per andare a fare la sua corsetta serale di allenamento.
Si passò una mano tra i capelli, recuperando dal comodino a fianco gli occhiali. Inforcandoli, si alzò dal letto, recuperò la felpa di Takeshi e uscì dalla stanza.
 
La malinconia che si sarebbe impossessata di Enma al momento del risveglio, fu in parte mitigata dal fatto che il ragazzo fu immediatamente rassicurato e rasserenato dal respiro di Tsuna, che si era addormentato al suo fianco, ed ora il rosso si trovava accoccolato sopra di lui, con la testa appoggiata sul suo petto. Mentre, sempre più cosciente, riviveva momento per momento di quel particolare ricordo lacerante, si sovrappose il proprio ricordo di come, una volta ritornato a letto, il suo compagno gli si fosse steso a fianco e lui vi si fosse acciambellato sopra. Di come, nel momento in cui, sentendolo tremare, Tsuna aveva fatto per alzarsi a recuperar altre coperte dall’armadio e lui gliel’aveva impedito. Aggrappandosi a forza alla sua maglia, attorcigliandone i lembi intorno alle dita. Nell’incoscienza della febbre alta, aveva percepito quel gesto di premura nei suoi confronti come una sorta di abbandono, e con ogni energia l’aveva fermato.
Facendosi rassicurare dall’alzare a abbassare ritmico del petto di Tsuna, Enma socchiuse nuovamente gli occhi. La febbre, grazie al farmaco, doveva esser scesa del tutto, pensò iniziando a percorrere con la punta delle dita il profilo della mano di Tsuna.
- Possibile che sia questo, quello che stai cercando di dirmi? … - bisbigliò, rivolgendosi a Cozzato.
Lentamente si mise a sedere, massaggiandosi le tempie e accorgendosi solo allora che il volto era rigato di lacrime. Sbigottito, si guardò la punta delle dita, bagnate. Emise un grosso espiro, portandosi in piedi, facendo ben attenzione a non fare movimenti bruschi.
Aveva una sete infernale! Infilandosi la rinfrancante tuta del Club di Atletica che portava stampato il suo cognome sul retro, posò delicatamente le labbra sulla fronte di Tsuna, che mugolò del sonno, e uscì dalla stanza per recuperare dell’acqua.
Si era fatto molto più tardi di quello che credeva e nell’albergo regnava il più completo e totale silenzio. E la più completa e totale oscurità. Fu proprio per questo che, una volta arrivato nella sala da pranzo, si accorse solo all’ultimo momento che vi si trovava un’altra persona.
Beh, è inevitabile, pensò, sorridendo appena.
Hayato si voltò di scatto nel momento in cui sentì Enma avvicinarsi.
Per un lungo, lunghissimo, istante, i due si studiarono in silenzio, poi il Guardiano riportò lo sguardo davanti a sé, a fissare fuori dalla finestra la luce tremolante delle stelle glaciali.
- Come stai? – gli domandò, guardandolo di sottecchi.
- Meglio, grazie – rispose, felice del fatto che si fosse interessato del suo stato – Sto cercando qualcosa da mangiare, perché immagino che Tsuna non abbia cenato … - proseguì a parlare. Sicuro che il ragazzo non era sceso per cena, perché lui stesso gliel’aveva impedito, ancorandosi a lui.
- Hum … - fu il commento laconico di Hayato, detto mentre si cacciava le mani in tasca, voltandosi verso di lui e scandagliandolo dalla testa ai piedi. Quel ragazzo aveva veramente a cuore il bene del suo Juudaime. Quando gli occhi turchesi si posarono su quelli di Enma, per i due fu come una sorta di deja-vù. Rivissero, l’uno nello sguardo dell’altro, quanto visto nei loro sogni. E bastò guardarsi per capire che avevano avuto lo stesso tipo di ricordo. Hayato scostò per primo lo sguardo, passandogli a fianco e augurandogli la buonanotte. Ed Enma, facendosi coraggio e traendo un grosso sospiro, lo bloccò fermandolo per un braccio. Doveva sapere.
Il Guardiano sgranò gli occhi sorpreso, spostando poi l’attenzione al volto dell’altro, il quale – fatto l’ennesimo sospiro - sollevò gli occhi su di lui.
- Io credo che Cozzato e G. avrebbero desiderato che le cose tra noi due andassero diversamente. – proferì semplicemente Enma. Ad Hayato si mozzò il respiro in gola. Ripensò al dolore del suo predecessore e, di nuovo, sentì una stilettata trafiggergli il cuore. Non riuscì a rispondere alcunchè e, dopo aver abbassato mestamente gli occhi a terra, li riportò verso quelli di Enma, che riprese a parlare.
- Gokudera, ho fatto qualcosa che ti ha infastidito? – chiese. Nel suo tono e nel suo sguardo non c’erano la solita sfumatura di dolcezza, ma era incredibilmente serio. Sempre più spesso, era in grado di tirare fuori quella venatura di autorità che spetta ad un vero boss. E Hayato gli pose la massima attenzione.
- No. – rispose, sincero. Era praticamente impossibile subire un torto da uno come Enma, questo glielo doveva.
- Se ho fatto qualcosa di sbagliato, dimmelo per favore e chiariamo una volta per tutte. – proseguì, sempre serio. E Hayato, nuovamente, sgranò gli occhi e sorrise dentro di sé. Enma e Tsuna si assomigliavano veramente molto da quel punto di vista. Ecco perché il Juudaime si è innamorato di lui, pensò. Avevano lo stesso senso di lealtà, lo stesso recondito bisogno di esser chiari e leali con gli altri.
Solo quando si rese conto di aver la massima attenzione dell’altro, il rosso allentò la presa sul braccio.
- Kozato, non hai fatto niente. Cosa te lo fa pensare? –
- Dal modo in cui mi guardi. – fu la risposta lapidariamente sincera, che lasciò Hayato spiazzato mentre schiudeva la bocca per parlare, ma nessuna parola vi uscì.
… se il tuo discendente avrà il tuo carattere di merda, siamo fregati. Povero Simon futuro … aveva detto Cozzato, ripensò Hayato. E aveva ragione! Maledettamente ragione!
Il fatto che tacesse, indusse Enma a credere – erroneamente – che l’altro avesse qualcosa contro di lui.
- Gokudera, mi spiace per tutto il casino che ho combinato durante la Cerimonia di Successione. – spiattellò alla fine, mortificato.
- Ehi, non eri in te – si affrettò a rassicurarlo, finalmente, l’altro – Ti era stato fatto credere che la tua famiglia fosse stata sterminata da noi Vongola. E non da una persona qualsiasi, ma addirittura dal padre del Juudaime … -
Enma deglutì a fatica a quel ricordo, mordendosi il labbro inferiore.
- Nessuno ti può biasimare. Da quando eravate piccoli siete dovuti crescere da soli e avete sempre subito umiliazioni e sorpusi da parte degli altri, certi che i Simon fossero stati traditi dai Vongola. E poi se per il Juudaime è tutto a posto … - ma Enma lo interuppe.
- Non mettere in mezzo Tsuna. Dimmi tu, dimmi quello che provi tu. – lo pregò, portandogli entrambe le mani sulle spalle, inquisendolo con lo sguardo. E Hayato, che non era bravo con le parole, che non era bravo a manifestare i suoi sentimenti, nuovamente tacque. Meravigliato, ma al tempo stesso anche ammaliato, dal fervore con il quale l’altro stava parlando. Ed Enma, non si risparmiò di certo.
- Indipendentemente da quello che Loro avrebbero desiderato, a me piacerebbe davvero esserti amico ... – gli rivelò, e sul suo volto ritornò la solita dolcezza.
- Tu non sai niente di me … - mormorò Hayato ostico, notando come gli occhi dell’altro, vicini ai suoi come mai erano stati, brillassero. A quell’obiezione, Enma si permise di sorridere.
- So che per quello in cui credi ti butti a capofitto. So che dietro a questa facciata a volte scontrosa c’è un cuore d’oro e un animo indomito. So che per i tuoi amici, per proteggerli, per proteggere il loro sorriso, passeresti anche in mezzo alle fiamme dell’Inferno … e quello che non so, per favore: permettimi di conoscerlo. – sussurrò in un soffio, sorridendogli nuovamente, non mollando la presa dalle sue braccia. Hayato si trovò a deglutire a vuoto, leggendo in quegli occhi la trasparenza, la sincerità, la purezza.
- Hayato? –
La voce di Takeshi, fermo immobile sulla soglia della porta, mentre li osservava perplesso percependo chiaramente la tensione tra di loro, li fece voltare di scatto entrambi. Enma lo liberò dalla sua stretta, ma ci fu un istante in cui i due si studiarono ancora negli occhi.
- Buonanotte … - bisbigliò il Guardiano, prima di voltarsi e raggiungere il suo compagno.
- Buonanotte … - sussurrò in risposta Enma, fissandoli.
 
Takeshi, mentre si indirizzavano in silenzio verso l’ascensore, lanciò occhiate sempre più dubbiose all’altro, attendendo che parlasse, ma quando vide che – al solito – Hayato si era chiuso a riccio, capì che toccava a lui rompere il silenzio.
- Di cosa stavat … - non fece neanche a tempo a finir la domanda, sorridente, che l’altro lo interruppe.
- Niente! – fu la brusca replica di Hayato mentre scendeva dall’ascensore, che gli fece morire il sorriso sulle labbra.
Sospirò gravemente Takeshi, fissando la schiena dell’altro mentre apriva la porta della loro stanza. Sospirò e nuovamente, come solo la paura sa fare, fu scaraventato a forza nella sua angoscia più atavica. Nella paura di perderlo. Nel timore che Hayato non fosse suo. Cercò di calmarsi, Takeshi, d’altra parte la calma era la sua forza, una delle sue innumerevoli qualità. Ma non quando si trattava del suo adorato amore. Non quando temeva che quegli occhi turchesi lo fissassero e si sentisse mormorare che tra loro non poteva continuare, perché non era di lui che era innamorato.
“Forse” pensò lo spadaccino “dovrei dimostrargli di più ciò che provo. Il fatto che non voglio che sia di nessun altro.”
Come in trance, vide se stesso muovere quei pochi passi che, pietrificato dai dubbi, dalla paura, le sue gambe si erano rifiutate di fare. Vide le sue mani afferrare l’altro di spalle, di come Hayato si girò sbigottito verso di lui, di come chiuse la porta dietro di loro con un calcio, di come lo scaraventò sulla parete in entrata, di come il Guardiano della Tempesta neanche tentò inizialmente di opporre resistenza alcuna nel momento in cui iniziò a strappargli letteralmente i vestiti di dosso, perché troppo sorpreso.
- T-Takeshi … - cercò di fermalo Hayato, ripresosi dallo stupore iniziale, ma ancora troppo scosso. Neanche lo riconosceva. Quello non era il suo fissato del baseball. Non era da Takeshi imprigionargli i polsi in una morsa sopra le loro teste. Non era da Takeshi impedirgli ogni via di fuga, incastrandolo tra lui e la parete con un colpo di reni, dopo che aveva cercato di spingerlo via. Non era da Takeshi cercare di farsi strada dentro di lui, senza averlo minimamente preparato. Incredulo, Hayato, tentò nuovamente di liberarsi dalla presa dell’altro, ma lo spadaccino strinse ancora di più.
- Takeshi … - ci riprovò allora nuovamente. Ma il nome del suo amato gli morì in gola, perché fu un gemito strozzato quello che richiese a prepotenza di uscire, nel momento in cui Takeshi lo penetrò con un’unica spinta decisa. Strabuzzò gli occhi incredulo. Che diavolo stava succedendo?, si stava chiedendo freneticamente, mentre l’altro gli sollevava maggiormente la gamba destra per potersi muover agevolmente e spingersi maggiormente dentro di lui. Neanche si era spogliato. Neanche l’aveva spogliato completamente! Si era limitato a togliergli pantaloni e boxer, mentre lui aveva semplicemente abbassato i suoi, per permettere al suo sesso di uscire dagli indumenti.
Fissando le loro figure avvinghiate attraverso lo specchio nella parete di fronte a loro, Hayato si scoprì intento ad assicurarsi che quello lì con lui fosse veramente il suo Takeshi.
“ Cazzo!” salmodiò dentro di sé, non trovando niente di meglio che mordergli una spalla per farlo smettere. Non gli aveva dato così fastidio neanche la loro prima volta.
- Ohi! – lo redarguì pesantemente, e finalmente Takeshi si degnò di spostare gli occhi nocciola sui suoi, ma quello che vide lo lasciò pietrificato.
- Tu sei solo mio, sono stato sufficientemente chiaro? – gli soffiò sulle labbra lo spadaccino, con un tono di voce e uno sguardo così tremendamente severo che Hayato non gli aveva mai visto prima. E che, sarebbe stato un bugiardo se non l’avesse ammesso con se stesso, gli piacque. E tanto anche!
Impossibile replicare ad un’affermazione del genere. Ad un tono del genere.
E poi gli arrivò ai sensi. Ancora fresca della corsa appena finita, arrivò ai sensi di Hayato la fragranza della pelle sudata di Takeshi, facendogli scorrere i brividi per tutto il corpo. E allora, facendo leva sul tavolino che aveva a fianco, si issò sul corpo dell’altro, allacciandogli le gambe sulla schiena. Solo allora Takeshi, per forza di cose, gli liberò i polsi e portò le mani su di lui, per tenerlo e poter affondare maggiormente in lui.
“ Guarda solo me Hayato, ti prego. Solo me …” continuava a pregare lo spadaccino dentro di sé, imprimendo se stesso nell’altro, come a volergli lasciare un marchio.
Hayato dal canto suo, vinta la comprensibile ritrosia iniziale, si lasciò completamente andare. Non che gli dispiacesse che quando lo facevano, Takeshi fosse dolce prima, durante e dopo - era una cosa così da lui! – ma avrebbe mentito a se stesso ancora una volta se non avesse ammesso che quella maniera rude e selvaggia di fare l’amore – impressi a forza su di una parete, ancora praticamente vestiti, con Takeshi che affondava in lui senza alcuna pietà, con l’ansimare di piacere di quest’ultimo che gli stuzzicavano il lobo dell’orecchio, con i suoi stessi gemiti che salivano d’intensità e dei quali, più tardi, era certo si sarebbe vergognato come un ladro - gli stava piacendo. E quasi si stupì, sgranando gli occhi e aggrappandosi ancora di più alla schiena del suo adorato, nel momento in cui sentì la scarica più poderosa che mai avesse provato in vita sua squarciarsi nel basso ventre e iniziare a godere come mai prima di allora.
Implorando, supplicando, miagolando il nome di Takeshi, venne come mai gli era successo.
E Takeshi immediatamente dietro di lui.
Ansanti, ancora gementi, con le braccia e le gambe che ancora tremavano per lo sforzo, rimasero l’uno sull’altro.
Takeshi schiuse appena gli occhi, sentendo i capelli di Hayato stuzzicargli la punta del naso e solo allora riprese completo contatto con la realtà. Sentì l’ansimare conciato suo e di Hayato, di come questi fosse avvinghiato su di lui, di come lui lo stava tenendo ancora imprigionato tra il suo corpo e la parete. Spalancò gli occhi, sussultando. Solo allora si rese conto di quello che aveva fatto. Di come l’aveva fatto. Sentì il morso sulla spalla che gli aveva fatto Hayato pulsare, vide i segni sui polsi di quest’ultimo che LUI gli aveva procurato, e si maledì.
“ Oh, no! Che cosa ho fatto!” si maledì dentro di sé, angosciato. Senza avere il coraggio di spostare lo sguardo verso il volto del suo adorato. Verso quegli occhi turchesi tanto amati e per i quali avrebbe fatto qualsiasi cosa …
 
 
Continua …
 
 
Clau: Ciao bella gente. Ecco, devo dire che continuo a scioccarmi da me medesima^^’ Dai, vi prego:  non mi dite che Takeshi lovelove vi sembra OOC, io morivo dalla voglia di descriverlo un po’ più selvaggio nel momento del fornicamento. Oltretutto, ad Hayato è piaciuto tanto.
Goku: Questo lo dici tu veramente!
Takeshi: Beh, veramente lo dico anch’io^^
Clau: *ç* Oh, Madre *ç*
Goku: Mmmmmmm, che solfa! Andiamo avanti?
Clau: Oh, Goku: stai morendo dalla voglia di esser tu il protagonista assoluto del gioco “Se fosse”?
Goku: Assolutamente no.
Clau: Bene, cominciamo^^
Goku: Ohi! Ma mi hai ascoltato?
Clau: No, come sempre ahahah^///^
Goku: Cioè, lo ammetti anche?
Clau: Ahahah^O^
Goku: Basta ridere! Ti hanno separato dalla nascita da quell’altro idiota?!
Clau: Veramente io per disgrazia sono nata il giorno prima del Mr.Sociopatico di Hibari, quindi sarei potuta esser separata alla nascita da lui … Brrrrr, brivido di terrore!
Hibari: -_______-
Clau: Anche se ogni tanto, aver il caratteraccio sbroccato di Kyoya mi farebbe comodo.
Hibari: Hn!
Goku: Ohh, io direi che il “Se fosse” potremmo farlo su di te.
Clau: Eh?! Ma non penso che ai nostri cari lettorucci interesserebbe più di tanto.
Goku: Oh, ma a noi sì, invece.
Clau: Ehm, Goku: mi inquieti^^’
Goku: Bene gente cominciamo. E non trattenetevi eh. Se la Clau fosse un aggettivo, che aggettivo sarebbe?
(Terry, qua mi vien troppo in mente la descrizione che Allen fa di Tyki ^O^ Ancora rido!)
Takeshi: Hum ….
Dino: Hum …
Tsuna: Hum ….
Lambo: KYAKKYYYAKKKYYYA
Hibari: Hn!
Mukuro: Kufufufu.
Ryohei: Hum …
Goku: Occhio Testa a Prato, vedo fumo. Non sforzarti troppo a pensare.
Clau: Ahahah, Goku: questa mi piace proprio. Scusa Onii-chan^^
Goku: Allora? Nessuna risposta. Ok, rispondo io per tutti: Maniacità.
Clau: -__- Ma Goku …
Goku: Proseguiamo. Se la Clau fosse un mestiere, che mestiere sarebbe?
Takeshi: Hum ….
Dino: Hum …
Tsuna: Hum ….
Lambo: KYAKKYYYAKKKYYYA
Hibari: Hn!
Mukuro: Kufufufu.
Ryohei: Hum …
Goku: Ohi! Un po’ di fantasia. Rispondo io anche questa volta: la maniaca.
Clau: -__- Non è un mestiere Goku.
Goku: Zitta tu! Continuiamo. Se la Clau fosse la prima cosa che vi viene in mente, cosa sarebbe?
Takeshi: Hum ….
Dino: Hum …
Tsuna: Hum ….
Lambo: KYAKKYYYAKKKYYYA
Hibari: Hn!
Mukuro: Kufufufu.
Ryohei: Hum …
Goku: Ehhh, ma che palle che siete!
Clau: ^^’
Goku: Rispondo io di nuovo per tutti: la maniaca.
Clau: Ma Goku! Lo sai che la prima cosa che si nota negli altri, in realtà è la prima cosa che caratterizza noi stessi?
Goku: Tch!
G&Giotto: Buonasera a tutti.
Clau: Oh Signore! Muoio dissanguata*ç*
Goku: Tch! E poi ha anche il coraggio di negare!
Dino: Chiudiamo?
Takeshi: Sì và.
Tsuna: Ciao a tutti e alla prossima.
Studentesse: Profffff ci dica almeno il nome della sua ragazza!
Ryohei: Pft!
Hibari: Hn!
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Katekyo Hitman Reborn / Vai alla pagina dell'autore: musa07