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Autore: Giuls_breath    03/10/2014    2 recensioni
Elena Gilbert era una ragazza come le altre almeno fino a che la sua vita non si è incrociata a quella dei fratelli Salvatore.
Tratto dal secondo capitolo:
"Mamy" sussurra addormentata.
"Amore, torna a dormire" le rispondo con dolcezza "Fai tanti bei sogni, ti voglio bene".
"Secondo te anche il mio papà me ne vuole?"
Sento il mio cuore sbriciolarsi a quella domanda così innocente e una lacrima mi riga il volto.
"Ma certo che te ne vuole. E ora fa' la nanna".
Prima storia sulla mia coppia preferita.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert, Un po' tutti | Coppie: Damon/Elena
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Prima di lasciarvi alla storia voglio scusarmi per il ritardo
e poi vorrei chiedervi, ma non vi piace come scrivo?
Faccio errori?
Anche quelli sono accetti.
Però vedere che le visualizzazioni sono alte, ma le recensioni non ci sono..
non è molto bello.

Comunque, oggi è il TVDay *-*
Emozionate?
Spero tanto che Damon torni presto nel mondo dei vivi anche se a quanto pare tanto presto non sarà!

Bando alle chiacchiere e buona lettura.



            
 

Never Let Me Go 

Capitolo IV

 
“Elena, ti amo così tanto.”
Gli salto addosso, stendendomi sul suo fisico statuario e sorrido.
Sorrido perché sono felice.
Sono felice di stare con Damon.
“Promettimi che non mi lascerai mai, Damon.”
Mi guarda estasiato con quegli occhi blu profondi come l’oceano, mi sposta delle ciocche ricce che mi ricadevano davanti al viso.
“Te lo prometto.” mi sussurra un istante dopo a fior di labbra “Ti amo. Ti amo. Ti amo. Te lo ripeterò all’infinito fino a quando non ne avrai abbastanza.”
Un sorriso ancora più ampio si fa largo sul mio volto “Mai.”
Accarezzo il suo viso, le sue guance e sfioro il suo naso con il mio.
“Non ne hai idea di quanto vorrei poter restare per sempre così con te.” ammetto.
Mi bacia intrappolando le mie labbra nelle sue.
Quando mi bacia, riesce a farmi dimenticare ogni cosa anche il più stupido dei miei pensieri razionali.
Lo scopro fissarmi quando apro gli occhi.
“Ti faccio una promessa, appena finirai scuola ti porto con me.”
I miei occhi si spalancano per la sorpresa e le labbra si schiudono “Ma, Damon… come…?”
Sorride “Non temere, quando accadrà ci penseremo. Però questo ti dovrebbe rassicurare.”
“Su cosa?”
“Non ti lascerò. Non ti lascerò mai.” dice poi facendo invertire le nostre posizioni e pronto a fare l’amore.
 
 
“Damon se n’è andato! Dimenticalo!” grida Stefan scuotendomi per le spalle.
“Stefan, ma… dobbiamo andare a cercarlo! E se è ferito, se.. se.. se gli è successo qualcosa?” chiedo troppo scossa e troppo agitata per razionalizzare la situazione.
“Elena, Damon ti ha lasciato un biglietto” dice facendo sventolare quel pezzo di carta con quelle quattro righe scarabocchiate velocemente “va’ avanti!”
Scuoto la testa portando le mani tra i capelli.
“Io mi rifiuto.”
“Elena…”
“Stefan, mi devi aiutare! Insomma, tu.. tu saprai sicuramente dove può essere andato! Aiutami, ti prego! Tu lo conosci meglio di chiunque altro.”
“Ti sbagli, io non lo conosco affatto.” mi guarda serio.
Lui non si muove, non fa nulla. E’ immobile nel centro della stanza con i suoi jeans chiari e camicia verde bosco. Questo suo non fare nulla mi urta terribilmente.
Perché non mi aiuta?
“Stefan? Stefan? Ti prego, aiuto!”
 
 
Sobbalzo agitando le mani come a voler scacciare quel peso che mi opprimeva.
Il ricordo.
Il mio respiro è pesante, i capelli sono appiccicati alla fronte, non riesco a pensare lucidamente. Dove sono?
Mi guardo intorno e quando riconosco il mio letto matrimoniale con il copertino viola e le margherite realizzo di essere a casa mia, nel mio letto.
Traggo un enorme sospiro di sollievo.
 
Mi alzo e vado a prendere un bicchiere d’acqua e allora mi ricordo…
Astrid!!
“Oddio” sussurro.
Guardo il telefono e noto tre chiamate senza risposto “Hay”.
La richiamo.
 
“Elena? Dove sei ti ho chiamata più volte, ma non rispondevi, stai bene?”
“Hayley sì, sì sto bene. Mi sono addormentata! Astrid?” chiedo agitata.
Cavolo non mi è mai successo di addormentarmi sapendo che mia figlia è fuori!
“L’ho portata a casa da me, ti voleva salutare e chiederti una cosa. Ciao Elena, Astrid è la mamma!” sento poi dire mentre passa il ricevitore alla mia piccola.
“Mamma? Mammina dove sei?”
“Tesoro mio, sono a casa. Scusami, mi sono addormentata. Sai, la mamma è tanto stanca, ma non preoccuparti non succederà più.”
“Non preoccuparti, io sto bene. Hayley mi è venuta a prendere. Mammina?”
“Sì piccola?”
“Posso dormire qui solo per oggi?” sono sicura che ha quegli occhioni da cucciolo indifeso ai quali non saprei dire di no.
“E va bene, ma fa’ la brava!”
“Sì, sì.”
“Amore, come è andata la festa?”
“Benissimissimo! Allora, abbiamo fatto tanti, tanti giochi e mi sono divertita un sacco. Poi mentre stavamo guardando il teatrino delle marionette Jason mi ha tirato i capelli e così l’ho spinto.”
“Amore!” la rimprovero “Non si fa, te l’ho già detto che tante volte!”
“Ma mamma, mi ha fatto male! Dovevo difendermi!”
Ecco un altro aspetto per cui è identica a Damon.
All’attacco risponde.
Se qualcuno la rimprovera – che non sono io – risponde.
Come devo fare per farle capire che la violenza non è la soluzione ai problemi?
E’ vero che è solo una bambina, ma se comincia così però!
“Ascolta, tesoro, le persone ti fanno e faranno tanto male, però tu mi devi promettere che non reagirai più così. Ci sono altri modi!”
“E sarebbe?” chiede curiosa.
Vendicarsi?
E’ la parola peggiore a cui ho pensato.
“Parlare a questa persona e farle capire che solo gli stupidi usano la violenza.”
Okay, forse è troppo per una bambina di 5 anni “Oppure mi dici chi è e ci parlo io prima con lui e poi con la mamma!”
“No, mamma, voglio farlo io! Devo sapermi difendere da sola da subito!”
Sospiro.
“Cosa avete mangiato?”
“Patatine, cipster, delle pizzette piccoline con il sugo e la mozzarella, anche se la mozzarella l’ho tolta, non mi piace!” Sorrido “Pooooi” starà pensando “pop corn e dei dolcetti, i cupcake al cioccolato, vaniglia, pistacchio e nutella e poi c’era la torta ed era grandissimissima a tre piani e pienissima di nutella!”
“Davvero? E tu hai mangiato tutto tutto?”
“Sì, sì. Non potevo lasciarlo lì nel piatto!”
Mia figlia è proprio una buongustaia.
“E ora che farai con Hope?”
“Stavamo colorando un quaderno delle principesse Disney.”
“Brave.”
“Mamma, adesso devo andare, Hope mi sta chiamando! Ti passo Hayley?”
“Sì, amore. Ciao e buonanotte.”
“Ciao mami.” poi sento dei passi e la mia amica mi dice di stare tranquilla e che per qualunque cosa mi chiama o posso chiamare.
 
Chiudo la telefonata e così – più tranquilla – vado a farmi un bagno caldo.
Ho bisogno di rilassarmi, o almeno di provarci.
Ma il relax non dura tanto, infatti dieci minuti dopo il telefono squilla di nuovo; per fortuna lo avevo lasciato vicino alla vasca da bagno.
E’ Kol.
 
“Ciao Kol.”
“Ciao piccola. Volevo chiederti… sì, insomma, ti andrebbe di cenare con me questa sera?”
“Perché no! Mi farebbe piacere passare la serata con un vero amico.”
“Allora ti passo a prendere io.. per le otto va bene?”
“Kol, sono le otto.”
“Oh, allora tra mezz’ora? Muoio di fame, lo confesso.”
Sorrido “D’accordo, mezz’ora andrà benissimo.”
“Niente di troppo elegante, andiamo in una pizzeria. Ti va bene la pizza?”
“E lo chiedi?” chiedo fintamente contrariata “Io voglio la pizza con tante patatine e prosciutto!” dico assumendo un tono infantile che forse non avrebbe usato neanche Astrid. Sono strana, lo so.
“E’ la mia preferita! Allora ne facciamo due così e una con la nutella.”
“Andata.”
“A tra poco, tesoro.”
“Ciao, ciao.” dico interrompendo la telefonata e correndo ad asciugarmi.
 
Ho optato per un jeans chiaro a vita bassa, un top rosa senza bretelle, sopra un cardigan corto giusto per coprire le spalle e una collanina con un ciondolo a forma di cuore piccolo argentato. Niente di troppo appariscente.
Dopo aver indossato le mie fidate – e logore – scarpe da ginnastica e aver preso soldi e telefonino, scendo. Kol è già sotto casa.
Mi sorride dolce.
Mi schiocca un sonoro bacio sulla guancia e mi invita a salire nel suo Maggiolino azzurro chiaro, anzi chiarissimo addirittura da sembrare bianco.
Nel tragitto mi parla della sua musica preferita e molti dei nostri gusti coincidono.
Fa diverse battutine simpatiche e non posso non trovarlo simpatico e al tempo stesso tenero perché si vede che è impacciato.
 
Arriviamo in un batter d’occhio alla pizzeria.
Il cameriere ci fa accomodare ad un tavolo vicino ad una porta finestra che dà su un giardino immenso illuminato da dei faretti posti di tanto in tanto sul prato. Sorrido.
“Bello, vero?” mi chiede.
“Sì.” Kol è accanto a me.
“In questa pizzeria ci sono venuto tipo tre o quattro volte, ma del giardino mi ero reso conto solo la volta scorsa assieme a Bekah.”
“L’hai portata qui?” chiedo curiosa.
“Sì. Ah il nostro tavolo è pronto!” dice illuminandosi in volto.
Ci sediamo e dopo aver ordinato le due pizze e due birre, io mi aspetto che Kol vomiti i suoi dubbi, ansie, paure, ma non lo fa: gioca con la forchetta come un bambino.
Per cercare di farlo parlare gli dico: “Sai, anche mia figlia lo fa!”
Mi guarda e forse rendendosi conto che sta facendo una cosa infantile, si ferma.
“Lena, non mi va di parlarne. Sai, Rebekah è la mia Damon.”
Un crampo allo stomaco mi dà il buonasera, quel nome continua a farmi questo effetto. Non oso immaginare se dovessi rivederlo!
Poso una mano sulla sua e lo guardo negli occhi dicendogli: “Okay, touchée… non mi va di parlare di Damon né di Rebekah se ti fa soffrire.”
Annuisce cupo in volto.
“Kol, non mi hai mai detto molto della tua famiglia. Hai parenti che vivono qui nei dintorni?”
Sospira “Mio cugino, Niklaus. Lo conosci, solo che con il nome di Klaus.”
“Klaus? Klaus è tuo cugino?”
“Sì, di secondo grado e con il quale ho un pessimo rapporto.”
“Perché? E’ un uomo tutto d’un pezzo questo sì, ma non mi sembra cattivo.”
“Cattivo no, solo che.. davanti al denaro non si fa scrupoli.”
“Mi parli di un uomo che non conosco.”
“Meglio così! Forse è cambiato in questi ultimi dieci anni che non l’ho visto!”
 
Restiamo in silenzio per un po’.
Infine Kol decide di rompere il silenzio e chiede: “Lena, secondo te, perché ci innamoriamo sempre di chi ci fa soffrire?”
“Kol, se lo sapessi non sarei qui a soffrire ancora pur essendo stata lasciata da 5 anni!” esclamo brusca, ma poi rispondo in un soffio “Siamo masochisti. Ci attrae il difficile, l’impossibile e non sappiamo apprezzare la semplicità dei piccoli gesti, queste piccole cose ci sembrano quasi stupide.
La verità è che però noi siamo stupidi.
Dovremmo essere in grado di lasciare andare chi non ci vuole e ci tratta come uno zerbino!”
“Lena, ma io non ci ho neanche provato! Posso dire tra me e me ho fallito, senza però averci realmente provato?”
 
E Damon con me ci ha realmente provato?
C’ha provato ad amarmi, capirmi?
O si è limitato a far di me un’altra delle sue conquiste da portare nel suo letto e ammaliare con quelle parole, probabilmente parte del manuale del seduttore?
 
Abbasso lo sguardo, non voglio incupire o demoralizzare il ragazzo accanto a me, ma la frase che mi esce – che doveva essere un modo per incoraggiarlo – diventa un motivo per crogiolarci ancora nelle nostre pene e dolori “Siamo due disperati questa è la verità!”
“Dovremmo creare un club sui cuori infranti.”
“No, è troppo banale! Però magari potremmo metterci insieme e risolviamo così entrambe le cose!” dico prima di rendermi conto di quello che ho detto realmente.
Mi guarda intensamente incredulo e io faccio lo stesso, che figura!
“Ho detto una sciocchezza scusami!”
“Non ci pensare! Tanto lo so che è il padre di tua figlia a cui pensi!”
 
Davvero?
E’ a lui che penso?
Possibile che non abbia ancora imparato la ‘lezione’?
La più cruda e triste lezione della mia vita?
Evidentemente la risposta è no.
 
Posa la sua mano sulla mia e la stringe delicatamente.
“Io sono e sarò sempre tuo amico. Questo non cambierà.
Anche se hai detto una frase infelice!”
Sorrido.
 
A parte quel momento imbarazzante la serata trascorse serena, Kol mi raccontò di alcuni episodi della sua infanzia strappandomi anche una risata sincera, la prima dopo tanto tempo. Questo ragazzo è speciale.
E’ semplice, ma sa come rendere speciale chi gli sta intorno.
 
“Ordiniamo la pizza alla nutella?” chiede passandosi le mani sul suo stomaco piatto.
“Non ce la faccio più, Kol. Questa pizza era immensa.”
“Sì, devo ammetterlo, era più ricca del solito, però io la pizza lo voglio lo stesso!”
Scrollo le spalle e lo sento ordinare un’altra pizza, io non so davvero come faccia ancora a mangiare dopo tutto il ben di Dio che ha già divorato e a non ingrassare!
Lo invidio!
 
Quando portano però la pizza non posso non assaggiare un trancetto di pizza piena di nutella, cavolo quanto mi era mancata la nutella! C’era stato un periodo in cui non la sopportavo e mi provocava la nausea, non per la gravidanza, non so cosa fosse ma m’infastidiva; ora l’adoro!
“Buonissima, eh?”
“Sì, Kol. Mmmh, che buona!” esclamo chiudendo gli occhi per assaporarla, quando li apro c’è un Kol divertito che mi guarda e mi dice che sono buffa.
Alzo lo sguardo e sorrido, quando lo faccio i miei occhi si fermano su un uomo alto, longilineo, la pelle diafana, i capelli nerissimi come la pece, gli occhi azzurri come l’oceano che sembrava stesse per inghiottirmi da un momento all’altro, il sorriso sicuro, sghembo a illuminargli il volto.
 
“Che c’è?”
“Cosa?” chiedo guardando Kol in viso di scatto.
“Sei pallida, ti senti bene?”
Respiro profondamente e guardo di nuovo verso l’ingresso, non c’è più.
Mi guardo intorno, ma non lo vedo più, possibile che la mia mente mi giochi questi brutti scherzi?
“Io.. sì. Ehm, perché non mi fai vedere il giardino? Ho bisogno di prendere un po’ d’aria.”
“Okay, avverto solo così non pensano che ce ne siamo andati senza pagare.”
“Sì.” sussurro mentre mi appoggio alla maniglia della porta finestra e un soffio d’aria fresca mi fa rabbrividire.
Esco e respiro a pieni polmoni.
Mi era sembrato tutto così reale!
 
 
“Hai ripreso un po’ di colore, va meglio?” mi chiede Kol posando sulle mie spalle il suo giubbotto di jeans.
“Sì, meglio, grazie.” dico a testa bassa.
In realtà non va affatto meglio, ho il cuore in gola e mille domande che mi si affollano, chi ho visto veramente?
Gli assomigliava così tanto.
Sembrava lui!
“Vuoi dirmi che cosa hai visto?”
Mi fermo e di fronte a lui rispondo: “Damon.”
Corruga la fronte ed esclama incredulo: “Com’è possibile!”
Sospiro.
E’ una cosa che faccio spesso ultimamente.
“Tecnicamente sarebbe possibile, solo che non so se è la mia mente a giocarmi questi brutti scherzi o se l’ho visto realmente!”
“Tu mi avevi detto che Damon era lontano!”
“Sì. Insomma, così so. Non lo so. Io… non lo so.” dico riprendendo a camminare lentamente.
Camminiamo per un po’ in silenzio, riesco solo a vedere passivamente gli splendidi fiori che adornano il giardino illuminato. Sono così immersa nei miei pensieri che Kol mi deve richiamare e ripetere ciò che mi ha chiesto: “Lena?”
“Eh?”
Mi sorride un po’ a disagio e mi chiede: “Vuoi andare via?”
“Sì.”
“Allora” si fruga nelle tasche “questa è la chiave della macchina, comincia ad andare. Io pago e ti raggiungo subito.”
“Okay.” dico prendendo le chiavi del suo Maggiolino.
Si allontana a passo svelto, mentre io procedo lentamente camminando nel prato umido per raggiungere il parcheggio.
Forse il mio subconscio desidera vedere Damon per poterlo abbracciare, stringere e al tempo stesso vorrebbe vederlo per poterlo schiaffeggiare.
Sento dei passi dietro di me, Kol deve aver già pagato.
Continuo convinta che tra non molto mi affiancherà, ma non lo fa.
Ormai il prato è terminato e sono sull’asfalto, mi volto e lo vedo tra tutti quei fiori variopinti, Damon. E’ immobile a pochi metri da me, è talmente immobile che credo di avere le allucinazioni.
Mi volto decisa a ignorare quelle apparizioni tanto realistiche.
 
“Elena.” mi chiama piano.
Mi fermo di colpo.
Il cuore al galoppo, com’è possibile?
Ora sento anche la sua voce?
Mi giro e lo guardo.
Stordita.
Incredula.
Mi si avvicina e sgrano gli occhi per la sorpresa, è qui.
E’ qui veramente.
Schiudo le labbra, vorrei dire qualcosa, ma le parole mi si strozzano in gola.
“Sono io.” mi dice solo avvicinandosi ancora di più.
Adesso è a mezzo metro di distanza.
“Come stai?”
Come stai? Come stai?
Mi ha davvero chiesto come sto?
Il mio corpo agisce prima di qualunque altra parola, la mia mano lo colpisce in piena guancia e facendogli girare appena il volto. Si massaggia la parte lesa e dice: “Mi aspettavo dicessi qualcosa, ma… in fondo me la merito.”
Lo guardo solo.
Non ci posso credere.
Quel vuoto, tutto quel dolore si rifà improvvisamente largo dentro di me.
E’ di nuovo così vivido.
Così forte.
Riesco solo a guardarlo questo vuoto, non riesco a dirgli nulla.
La mia espressione stravolta parla da sé, credo.
 
 
“Lena, sei ancora qui?” Kol mi raggiunge lateralmente.
Lo guardo stravolta “Ma ti senti male?” mi chiede ancora in modo premuroso.
Io non riesco a smettere di fissare… il padre di mia figlia.
Kol guarda anche lui nella mia stessa direzione, dalle sue labbra esce un sommesso ‘oh’, mi guarda in attesa di una mia parola o azione che però non arrivano.
Io continuo a fissarlo, continuo a cercare i suoi occhi, continuo a sentire il cuore in gola e battere rumorosamente nel petto.
 
Perché lui non va via?
Perché anche lui mi fissa così come se non ci fosse nient’altro se non io?
 
Oddio, che scema, sicuramente si aspettava questo mio blocco!
Mi riprendo come attraversata dalla corrente e torno a guardare Kol, che sembra stia seguendo una partita di ping pong guardando prima me e poi lui, e gli dico: “Scusami, andiamo?”
Faccio qualche passo avanti diretta verso la macchina di Kol, mi segue e prima di salire, guardo di nuovo verso il prato, verso di lui, verso l’unico che abbia veramente amato, ma non c’è più.
 
Sarà tornato dentro da qualche spasimante!
 
Che scema che sono!
Penso tirando su col naso mentre Kol mi accompagna a casa.
Ho sentito un paio di volte lo sguardo del mio migliore amico su di me, ma non l’ho mai ricambiato. Le lacrime rigano silenziosamente le mie guancie.
La macchina si ferma.
Io non riesco a scendere, non so da dove ricominciare a pensare razionalmente.
Respiro a pieni polmoni cercando di resistere, ma un singhiozzo mi tradisce.
Kol posa una mano sulla mia spalla e allora non ce la faccio più: lo abbraccio, stringo il suo maglioncino tra le dita e piango, il mio corpo si abbandona ai singhiozzi che mi sconquassano il petto, singhiozzi che avevo trattenuto per sei lunghi anni. Lacrime, ennesime lacrime, nuove.
“Era lui, vero?” mi chiede tra i miei capelli.
Annuisco solo.
“Okay.” si limita a dire stringendomi un po’ più al suo petto.
Dicono che piangere faccia bene, ma allora perché mi sento anche peggio?
Perché mi sento ancora più sola?
E ancora più confusa, delusa?
Perché non gli sono bastata?
Perché non ha avuto fiducia nel nostro rapporto?
Perché ha avuto paura?
Che cosa gli ho fatto?
Tante domande si affollano nella mia mente e alle quali dovrei trovare una risposta, ma la verità è che sono ancora più incerta di me stessa. E’ come se fossi tornata quella ragazzina di 18 anni appena lasciata, a cui era appena stata tolta la terra da sotto i piedi e annaspasse.
Eccomi.
Annaspo, cerco aria.
L’aria.
La mia aria.
Nonostante abbia mia figlia, il tesoro più prezioso di tutti, io mi sento incompleta.
Lo sarò per sempre.
Questa è la verità.
 
“Finite la lacrime?” mi chiede Kol accarezzandomi le guance umide.
Mi allontano da lui e annuisco accennando un sorriso.
“Con me non devi fingere, va bene?”
“D’accordo.” dico senza guardarlo in viso.
“Mi guardi?” alzo gli occhi su di lui “Io per te ci sarò sempre, okay? Puoi contare su di me anche per la cosa più banale. Puoi chiamarmi anche nel cuore della notte, io per te ci sarò comunque.”
“Grazie.” dico solo. Al momento non saprei dire altro.
Credo che Kol abbia capito però cosa significa per me la sua vicinanza, il suo appoggio costante e i suoi silenzi quanto siano preziosi.
Gli poso un bacio sulla guancia e dopo avergli augurato la buonanotte, scendo e salgo a casa mia. Poso le chiavi nel cestino in legno accanto alla porta, sfilo il cardigan posandolo sul divanetto del soggiorno e sbadiglio assonnata.
 
Bussano alla porta.
Kol che mi dovrà dire adesso?
Apro la porta e non è Kol l’uomo che ho davanti a me, due occhi azzurrissimi mi fissano attenti….
 
  
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