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Autore: Beatrix Bonnie    03/10/2014    1 recensioni
-Seguito de L'orologio d'oro-
I tempi spensierati sono finiti: con il ritorno di Colui-che-non-deve-essere-nominato, Mairead, Edmund e Laughlin, insieme ai loro amici del FIE, dovranno affrontare il crescente clima di razzismo dell'Irlanda magica, tra ansie per gli esami finali, nuovi caos a scuola e un Presidente della Magia che conquista sempre più potere. Per Edmund non sarà un'impresa facile, soprattutto visto che il ragazzo sarà anche impegnato nella ricerca di un leggendario manufatto magico di grande potenza, che potrà salvarlo dalla maledizione impostagli da Sigmund McFarren. Ma dove lo porterà la sua ricerca? E questo oggetto esiste davvero o sono solo farneticazioni di un vecchio?
Genere: Drammatico, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Trinity College per Giovani Maghi e Streghe'
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CAPITOLO 8
Nobiltà rinnegata






Faonteroy accelerò il passo. Aveva la netta sensazione che qualcuno lo stesse seguendo e la cosa non gli piaceva affatto. Mentre saliva la scala a chiocciola per raggiungere la gufiera, cercò di tranquillizzarsi, ripetendosi che le persone di cui sentiva i passi alle sue spalle potevano benissimo essere studenti che scrivevano alle famiglie. Perché qualcuno avrebbe dovuto tendergli un agguato per aggredirlo? Arrivato alla gufiera, scelse un barbagianni dall'aria robusta e cominciò a legare il primo pacco di lettere da spedire ai parlamentari.
«Oh, ma guarda chi c'è!» esclamò una voce alle sue spalle. E aveva un tono per niente sorpreso.
Faonteroy si voltò lentamente, la mascella contratta e il mento leggermente sollevato. Si ritrovò davanti Ailionora Diablaiocht, spalleggiata come sempre dalla sua amica O'Hara e da quel piccoletto con l'aria da topo di Best. «Buongiorno a voi» salutò Faonteroy, la voce incolore.
«O'Brian...» La Diablaiocht gli si avvicinò, piegando la testa di lato come una maestrina che sgrida il suo allievo più indisciplinato. «Non ci piace che tu porti quel fiore nel taschino. Non ci piace quello che rappresenta.»
«Ne sono rammaricato.» Faonteroy non tentò nemmeno di recuperare la bacchetta dalla tasca: non avrebbe potuto fare nulla contro tre studenti dell'ultimo anno e l'unico modo per cavarsela senza punizione era evitare di rispondere all'attacco.
«Rammaricato?» gli fece eco Best, con uno sghignazzo. «Ma in che secolo credi di vivere?»
«Nel secolo in cui esiste la libertà di espressione.» Faonteroy sapeva di non aver scampo, ma non aveva intenzione di farsi mettere in piedi in testa da quei tre trogloditi ignoranti. Nessuno aveva il diritto di prenderlo in giro per il suo vocabolario ricco e appropriato.
«Al Trinity non c'è libertà di espressione» lo rimbeccò la Diablaiocht. «Togliti quel fiore.»
«Non credo che tu abbia alcun diritto di darmi degli ordini.» Faonteroy voleva mettere ben in chiaro la cosa, prima di soccombere. «Non sei più console, perché è stato scelto Balosky come dictator dei Nagard e chi non diventa dictator, perde la carica di console quando subentrano i due nuovi del quinto anno. E se anche tu ricoprissi una qualsivoglia carica studentesca, non c'è alcun articolo del regolamento di istituto che vieti di portare fiori nel taschino.»
«Piccolo idiota saputello!» gli sputò addosso la Diablaiocht. «Te lo strappo io quel fiore!» Alzò la bacchetta e fece per lanciare l'incantesimo, quando una voce la fermò.
«Cosa sta succedendo, qui?»
Moira entrò nella gufiera con l'aria interrogativa. Al collo troneggiava imponente la coccarda da dictator. «Devo togliere una valanga di punti ai Nagard o abbassi la bacchetta?» domandò rivolta alla Diablaiocht. Non si poteva dire che Moira fosse mai stata una persona particolarmente autoritaria e sicuramente sarebbero riusciti a sopraffarli in tre contro due, ma la Diablaoicht soppesò le possibilità e decise di abbassare l'arma. Dopotutto, un conto era spedire O'Brian in infermeria con una bella fattura, un altro era coinvolgere un dictator in una baruffa da corridoio. L'ultimo e definitivo elemento dell'equazione, che fece desistere completamente la Diablaiocht, fu l'entrata in scena di Edmund Burke.
«Oh, eccolo!» esclamò quando vide Faonteroy. «L'abbiamo trovato.»
«Veramente l'ho trovato io per te.» Moira gli lanciò un'occhiataccia. «E meno male, direi.»
La Diablaiocht si voltò indignata e, facendo un cenno ai suoi di seguirla, sparì lungo la scala a chiocciola.
Faonteroy tirò un sospiro di sollievo. Non pensava davvero che se la sarebbe cavata. «Grazie dell'intervento vitale» mormorò rivolto a Moira.
«Di nulla.» La ragazza gli mise una mano sulla spalla come segno di incoraggiamento. «Quando ti serve, sai su chi contare» gli rivelò con un sorriso. «Ora devo continuare il mio giro di pattuglia. Doveri da dictator.» Con un cenno di saluto, si affrettò a scendere dalla torre.
Faonteroy si girò a guardare Edmund. «Mi cercavi?» domandò titubante. Non era proprio il caso di farsi coinvolgere in qualche follia da un altro Raloi svitato. Ne aveva già abbastanza di sua cugina Mairead.
«Sì, be'... mi devi un favore, no?» Edmund sfoderò uno dei suoi migliori sorrisi.
«Sì» rispose Faonteroy, cauto. In fin dei conti, Edmund gli aveva lanciato l'Incantesimo duplicatore sulle lettere, quindi aveva tutto il diritto di chiedere un favore in cambio. Dipendeva però, da che genere di favore.
«Ho bisogno che mi accompagni a far visita all'ultimo discendente di Hoser Howt. Devo trovare delle informazioni su di lui» rivelò Edmund, improvvisamente serio.
«Ma...» balbettò il ragazzino. «Ma... non puoi fare una ricerca in biblioteca?»
Edmund scosse la testa. «È una settimana che frugo ovunque, ma pare che Howt abbia subito una damnatio memoriae coi fiocchi.»
«Nessuno vorrebbe ricordare quell'episodio increscioso della storia Irlandese, tanto meno la famiglia Howt.» Faonteroy sembrava poco propenso a seguire l'idea di Edmund.
«Lo so, per questo ho bisogno di te!» rincarò la dose l'altro. «Questi Howt sono nobili decaduti e tu sai come si sta in mezzo alla nobiltà.»
Faonteroy si stropicciò le mani. Un amico, con cui era in debito, aveva bisogno del suo aiuto, ma tale richiesta prevedeva un'infrazione di un numero infinito di regole della scuola. «Vorresti che uscissimo dal castello? Non ho già la fedina penale abbastanza sporca?» fu il suo ultimo tentativo di dissuadere Edmund dall'impresa.
Il ragazzo si strinse nelle spalle a mo di' scusa. «”Uscire” non è proprio il termine che avevo in mente. Direi più che altro “sgattaiolare”.»
Faonteroy mugugnò rassegnato. «La mia carriera è finita ancora prima di cominciare.»

«Ehi, che posto allegro.» Edmund si lasciò sfuggire una smorfia. Si sentì improvvisamente inadeguato nel suo completo da mago celeste, quello che la signora Maleficium aveva confezionato per il suo diciassettesimo compleanno. Era stato Faonteroy ad insistere perché si cambiassero, sostenendo che presentarsi a casa di un nobile con la divisa scolastica poteva essere considerato offensivo e certo non un buon punto di partenza per tentare di carpire informazioni su un antenato sgradito. Faonteroy si era scelto un completo verde bottiglia con più pizzi di quanti un uomo sano di mente potesse permettersi di indossare. Lui invece aveva indossato l'unico che possedeva, ma l'azzurro si era rivelato un colore quanto meno inappropriato di fronte alla dimora degli Howt. La villa era ridotta in condizioni pietose: il cancello era divelto, il giardino (se giardino si poteva chiamare quella foresta) incolto e abbandonato a se stesso; una qualche pianta rampicante di dubbia origine si inerpicava contorta sulla facciata della villa, facendola somigliare ad un mostro emerso dalla palude.
«Sei sicuro di voler entrare?» pigolò Faonteroy, improvvisamente meno gagliardo. Già la Materializzazione congiunta gli aveva fatto rivoltare le budella, ora ritrovarsi davanti una specie di casa degli orrori non doveva essere il modo migliore per infondergli un po' di coraggio.
«Ma sì, che vuoi che sia...» lo incoraggiò Edmund con una pacca sulla spalla.
Si avviarono insieme lungo il vialetto, o almeno quello che ne era sopravvissuto. Quando bussarono all'immenso portone di legno scuro, venne loro ad aprire una minuscola elfa domestica, raggrinzita e ripiegata su se stessa per la vecchiaia, con gli occhi opachi e spenti. «Chi è?» domandò con un filo di voce, ma non alzò lo sguardo su di loro. Doveva essere cieca.
«Faonteroy O'Brian di Mael Duib e Edmund Burke» rispose il ragazzino, riprendendo un po' di coraggio nel presentarsi come nobile. «Vorremmo scambiare due parole con il tuo padrone Lancel Howt.»
L'elfa piegò la testa di lato come se volesse tendere l'orecchio verso di loro. «Padron Lancel non riceve molte visite, no» commento flebile. «Potty non ricorda l'ultima volta che padron Lancel ha ricevuto una visita.»
«Vogliamo solo fare due chiacchiere» intervenne Edmund, tentando di essere gioviale, ma Faonteroy lo zittì con lo sguardo. Un'occhiataccia molto simile a quelle che gli lanciava Mairead, ad essere precisi.
«Noi siamo persone molto importanti.» Faonteroy lo disse con un tono talmente aristocratico che nessuno avrebbe mai potuto mettere in dubbio le sue parole. «Ti conviene farci entrare.»
L'elfa aprì un pochino di più il portone e si mise di lato per farli passare. «Potty è una brava elfa, Potty si prende cura di padron Lancel» mormorava nel frattempo, come una macabra cantilena.
Non appena i due ragazzi misero piede nell'atrio, capirono immediatamente perché l'elfa mostrasse chiari segni di squilibrio mentale: la casa era tetra, con pesanti tendoni di velluto nero appesi alle finestre; sembrava che un mago malvagio avesse rapito tutti i colori. Chiunque avrebbe dato di matto a restar rinchiuso in un posto come quello.
«Chi era, Potty?» domandò una voce rauca dal piano di sopra.
«Potty è una brava elfa, Potty si prende cura di padron Lancel» cantilenò l'elfa.
Faonteroy lanciò uno sguardo atterrito a Edmund, che si strinse nelle spalle e fece qualche passo avanti in ingresso. Di fronte a loro s'innalzava una scalinata imponente, grigia come il resto della casa. «Signor Howt?» domandò Edmund e la sua voce rimbombò nell'atrio. «Signor Howt, vorremmo solo parlarle.»
Passarono una manciata di minuti in cui l'unico suono udibile fu il borbottare continuo dell'elfa domestica. Poi, finalmente, qualcuno comparve in cima alla scalinata. Poteva essere un giovanotto poco più grande di Edmund, ma appariva consumato come un vecchio albero malato. Aveva i capelli di un biondo quasi bianco e il suo pallore era esaltato dal pesante abito da mago di velluto viola e nero. Le spalle curve e lo sguardo vacuo davano l'impressione di aver di fronte una persona sconfitta dalla vita.
«Sicuro che non sia un vampiro?» bisbigliò Faonteroy, senza scollare gli occhi di dosso all'ultimo discendente degli Howt.
Edmund si limitò ad un sorrisetto tirato. «Grazie di averci ricevuti, signor Howt.»
Il ragazzo fece un cenno del capo.
Edmund lanciò uno sguardo disperato a Faonteroy, ma quello sembrava incapace anche solo di muoversi, figuriamoci di dargli supporto in una conversazione con quella sottospecie di cadavere. «Signor Howt noi... siamo scrittori.» Buttò lì la prima panzana che gli venne in mente. «Stiamo scrivendo la storia dell'Irlanda del XVII secolo e vorremmo il suo contributo, in particolare per quanto riguarda il suo antenato Hoser...»
«Chi siete?» lo interruppe Howt, con voce rauca e insieme aspra.
«Gliel'ho detto, siamo scrittori...» tentò Edmund, ma quello lo fermò di nuovo.
«I nomi.» I suoi occhi acquosi erano puntati su Faonteroy.
Edmund tentennò. «Ehm, io sono Edmund Burke e lui...»
«Faonteroy O'Brian» completò il ragazzino, facendo un passo avanti. Sostenne lo sguardo di Howt, come se volesse sfidarlo a contraddirlo in qualche modo.
«O'Brian» sputò Howt. La rabbia e il disgusto deformavano i lineamenti del suo volto, rendendolo brutto e grottesco. «Che cosa volete sapere di Hoser Howt?»
«Ehm, la sua storia, i suoi... la sua vita» tentò Edmund, cercando di usare ancora un tono gioviale.
«Non vi basta averci ridotto a questo?» tuonò Howt, con una voce insospettatamente potente. Aveva gli occhi pallidi dilatati come un folle, il volto contratto in smorfie di rancore.
Emdund spostò gli occhi in giro per il cupo ingresso, alla ricerca di vie di fuga, poi mosse la mano verso la bacchetta, piano. Meglio essere prudenti. «Noi non non abbiamo fatto nulla» sussurrò guardingo.
«Gli O'Brian!» Howt puntò il suo dito ossuto contro Faonteroy. «La schiatta di Mael Duib sostituì quella degli Howt, quando il mio antenato Hoser fu accusato di complottare con gli Inglesi. Ci tolsero dalla nobiltà, ci lasciarono in questa decadenza. Nessuno voleva più avere a che fare con un Howt! Guardate come siamo ridotti!»
«Non c'entrarono nulla gli O'Brian con il vostro tradimento» replicò Faonteroy, in uno scatto di orgoglio. Nessuno poteva permettersi di insultare la sua famiglia.
«Ah no?» insinuò Howt, spalancando gli occhi come un pazzo. «Chiedetelo a quella vipera di Elizabeth O'Brian! Lei macchinò e macchinò, affinché la sua schiatta fosse ritenuta nobile, così da potersi sposare Deamundi e cercare un partito altrettanto buono per il fratello.»
«State solo vaneggiando!» Le gote di Faonteroy si tinsero di rosso, la voce resa acuta dalla rabbia repressa a stento.
«Chi è Elizabeth O'Brian?» intervenne Edmund; una pessima scelta tattica.
«Andatevene!» gridò Howt. In un turbinio di stoffa nera, estrasse di tasca la sua bacchetta. «Andatevene fuori di qui! Non siete i benvenuti!»
Edmund valutò velocemente le alternative: avrebbe potuto mettere fuori gioco Howt in un paio di mosse, ma non era il caso di farsi accusare di aggressione, per quanto potesse giustificarla come legittima difesa. Inoltre non aveva intenzione di mettere in pericolo Faonteroy. Per cui decise di alzare le mani in segno di resa e di fare un paio di passi indietro. «Ce ne andiamo.» Lentamente, senza scatti improvvisi, lui e Faonteroy si voltarono verso la porta e imboccarono l'uscita.
Solo quando furono fuori dal perimetro della villa, Faonteroy osò guardare il compagno in volto. «Mi spiace, Edmund» pigolò piano. «Ero venuto per esserti d'aiuto, invece...»
«Ma tu mi sei stato d'aiuto.» Edmund gli mise una mano sulla spalla in segno di incoraggiamento. «Ora ho un nuovo nome su cui indagare.»

Avevano indossato nuovamente le divise scolastiche, in modo da non dare nell'occhio. Erano stati via dal castello per poco meno di un'ora, per cui Edmund era abbastanza certo che nessuno avesse notato la loro assenza. Stava per rassicurare un preoccupatissimo Faonteroy, quando una voce proveniente dalla segreteria lo fece trasalire.
«Edmund, potresti venire nel mio ufficio?» Il preside Captatio, il volto mortalmente serio, era comparso in ingresso.
Edmund vide Faonteroy al suo fianco perdere colore fino a diventare più bianco di un lenzuolo. Ebbe come l'impressione che la prospettiva di una punizione lo terrorizzasse più dell'idea di trovarsi di nuovo faccia a faccia con Lancel-vampiro-pazzo-Howt. Gli mise una mano sulla spalla nel tentativo di rassicurarlo, poi si affrettò a seguire a capo chino Captatio in presidenza.
Non appena ebbe varcato la soglia del disordinato e caotico ufficio del preside, si affrettò a scagionare l'amico, che in fin dei conti l'aveva seguito solo perché lui aveva fatto leva sul suo senso dell'onore. «Signore, Faonteroy non c'entra...» cominciò a dire.
«Siediti, Edmund, per favore» lo interruppe Captatio.
Edmund non poté far altro che obbedire.
Il professore sembrava serio, ma almeno non arrabbiato. «Dove sei stato questa volta?» chiese, sedendosi alla scrivania di fronte a lui. «C'è qualcosa che vuoi raccontarmi?»
Edmund fissò gli occhi azzurri di Captatio, che esprimevano una viva e sincera preoccupazione nei suoi confronti, e capì che era il momento di rivelargli tutta la storia. Cominciò dall'inizio: gli raccontò di quanto era successo a casa di McPride, di come l'uomo avesse conquistato la sua fiducia e del tradimento che in seguito Edmund aveva scoperto; gli raccontò del FIE, del legame che si era creato tra i ragazzi. E poi narrò dell'orologio d'oro, della ricerca del codice degli Interventisti e dei ricordi di McFarren ritrovati al laboratorio di Lerwick. Gli disse che lui era nato per capriccio di un mago oscuro, era nato in provetta, incrociando il DNA di Tom Riddle e quello di Melita. Gli si formò un nodo alla gola quando fu costretto ad ammettere di non essere altro che un esperimento, ma andò avanti a raccontare. Parlò di come avesse trovato McFarren nascosto con la figlia a Petra, della Maledizione che l'uomo gli aveva imposto, dell'arrivo dei Mangiamorte e dei ragazzi del FIE, grazie ai quali erano riusciti a fuggire. E infine gli rivelò quanto aveva scoperto dagli appunti di McFarren su quel manufatto misterioso che il vecchio mago aveva denominato Mela d'Oro.
Alla fine del racconto aveva la gola secca, ma si sentiva incredibilmente più leggero. Ora Captatio sapeva tutto e avrebbe potuto aiutarlo. Il professore fece apparire un bicchiere pieno d'acqua e glielo pose. «Grazie di esserti confidato con me, Edmund» disse infine, con un sorriso bonario. «Farò tutto ciò che è in mio potere per aiutarti.»
Il ragazzo annuì, ma poi fu colpito da un'illuminazione. «Il professor Silente...» cominciò a dire.
Captatio sorrise, compiaciuto dalla sua astuzia. «Il professor Silente aveva dei sospetti su di te, da quando ti ha visto qui nel mio ufficio, un paio di anni fa» ammise. «Ma ovviamente non poteva immaginare tutta la storia.»
«Lui aveva conosciuto Tom Riddle, Voldemort da giovane» commentò Edmund, immaginando che la somiglianza fisica tra lui e Riddle doveva essere impressionante. «Ma dice che io non sono come lui.»
«Non lo credo minimamente» confermò Captatio, con un sorriso. «Tu sei Edmund e questo fa una gran differenza.»
Il ragazzo rimuginò su quelle parole: era la stessa cosa che gli aveva detto il professor Silente. Lui era Edmund, e sapeva cosa voleva dire amare. Aveva degli amici e qualcosa per cui lottare. E soprattutto, aveva la speranza di trovare il manufatto in grado di spezzare la sua Maledizione. A quel proposito, aveva ancora una cosa da chiedere al preside. «Professore?» domandò titubante, osservando la reazione di Captatio di sottecchi. «Avrò bisogno di uscire ancora dal castello, per andare alla ricerca di questa Mela d'Oro.»
«Lo capisco.» Il mago annuì. «Ma ti pregherei di non coinvolgere ancora i tuoi amici. Non tutti hanno la tua prontezza di spirito nell'affrontare i pericoli.»
Edmund fu costretto ad ammettere con se stesso che trascinare Faonteroy a casa degli Howt non era stata una buona idea, perché il ragazzino non sarebbe stato in grado di affrontare un'emergenza. «Certo, signore.»
Captatio gli sorrise comprensivo. «Dal canto mio, parlerò con il professor Silente.» Il preside cominciò a frugare sulla scrivania alla ricerca di chissà cosa. «Vorrei anche potermi mettere in contatto con tua sorella Melita, per esserle d'aiuto nella sua latitanza» aggiunse poi.
«Sissignore.» Edmund non era certo che Melita avrebbe accettato l'aiuto, ma tanto valeva provare.
«Ah, e dirò alla professoressa O'Elan di darti delle lezioni private di Occlumanzia» continuò Captatio, segnando qualcosa su un pezzo di pergamena vagante. «Sai, saper chiudere la mente potrebbe tornarti utile per contrastare la Maledizione.»
«Grazie, signore.» Edmund si sentì improvvisamente rincuorato, sapendo di poter contare sul professor Captatio: il suo sorriso bonario, i suoi buffi cappelli a punta e il suo studio caotico gli davano una sensazione di pace e speranza.
«Edmund.» Captatio lo guardò negli occhi con profondità. «Vedrai che ce la faremo.»
Il ragazzo ricambiò il sorriso. «Lo credo anche io, professore.»









Ecco il nuovo capitolo!
Che dire? Vi avevo promesso di nuovo un Faonteroy tutto merletti e piagnistei... contenti? Quanto a Moira, ammetto che è comparsa solo di sfuggita per adesso, ma le ho preparato un ruolo da eroina in questo racconto! Tenetevi pronti!
Comunque, finalmente Eddy ha vuotato il sacco con Captatio! Era ora! Anche perché non poteva continuare a fare il furbo e pensare di passarla liscia ancora a lungo! ;)

Intanto, vi lascio la solita carrellata di immagini:
giusto perché mi sono accorta di non avervi mai fatto vedere il trio Diablaiocht-Best-O'Hara, ecco QUI alcuni ragazzi del sesto anno dei Nagard.
QUI un'inutilissima immagine di Edmund e Tom Riddle. Giusto perché sono entrambi due fighi.
Quanto al capitolo, QUI la villa cui mi sono ispirata per descrivere casa Howt e QUI l'immagine del capitolo, ovvero Lancel Howt in tutta la sua voglia di vivere!

Con il prossimo capitolo, torniamo nel passato! Preparatevi per conoscere i cattivi di tutta la storia... ma saranno davvero cattivi?
Ci vediamo venerdì 17 ottobre!
Grazie a tutti quelli che seguono. Se volete lasciare una recensione, sarò felice di leggere il vostro parere!
A presto,
Beatrix B.

   
 
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