Una sera, rientrato in cabina, trovò Mayu a letto immersa in un sonno profondo. Dormiva tantissimo in quegli ultimi mesi, ma di solito lo aspettava sveglia a quell'ora, quando finalmente potevano stare insieme senza essere disturbati.
Harlock la guardò con tenerezza e decise di non destarla finché non fosse arrivata la cena. Ebbe il tempo di farsi una doccia e mettersi in libertà, quando arrivò l'uomo di corvée in cucina con le vivande che Masu preparava ora con ancora più cura.
A quel punto il capitano si avvicinò al letto e accarezzò la guancia e i capelli della ragazza, chiamandola a voce bassa.
“Mayu, tesoro, è ora di cena... su, svegliati, altrimenti si raffredderà tutto.”
Ma lei non si mosse nemmeno. Allora Harlock alzò leggermente la voce e la scosse piano.
“Dai, dormigliona, apri gli occhi... da brava...”
Perché non si svegliava?
In preda a una crescente inquietudine, cominciò a scuoterla sempre più forte, a chiamarla quasi urlando.
“Svegliati, per favore, non fare così, svegliati!”
Senza risultato.
Il cuore gli martellava in gola, l'ansia gli spezzava il fiato. Calma, si disse, ragiona con calma, non perdere la testa!
Le toccò il polso. Il battito era regolare, come il suo respiro. La pelle era tiepida. Scostò le coperte, terrorizzato da quello che avrebbe potuto trovare. Ma non vi era alcuna traccia di sangue. Si sentì sollevato, ma soltanto per un istante, perché quel sonno così profondo non era normale.
Si attaccò all'interfono per chiamare il dottore.
Qualcuno gli rispose che era in mensa e che magari più tardi....
“Non mi interessa! Io ho bisogno di lui adesso! Mandamelo qui immediatamente!”
Pochi minuti dopo Zero entrò trafelato.
“Che cosa succede, capitano?” chiese preoccupato.
Harlock gli mostrò Mayu e gli spiegò la situazione.
Il medico aggrottò la fronte. Auscultò il cuore con i suoi strumenti.
“Non capisco... sembra tutto normale... Non si sono rotte le acque e non c'è nessun travaglio in corso...”
Provò anche lui a svegliarla, ma senza successo.
Harlock era nel panico più totale.
“Aveva detto che andava tutto bene!”
“Infatti, è così! L'ho visitata solo pochi giorni fa e non c'era un solo parametro fuori posto. L'unica è portarla in infermeria e fare degli accertamenti. Non sarà nulla di grave, capitano, ne sono sicuro.”
Andò a prendere una barella. Trasportarono Mayu attraverso i bui corridoi dell'Arcadia fino all'infermeria il più in fretta possibile. Per fortuna erano tutti a cena e non incontrarono nessuno. Harlock non amava i pettegolezzi. L'angoscia gli chiudeva la gola e gli impediva di pensare. E forse era meglio così.
L'attesa era snervante. Il dottore era chiuso nel laboratorio da un tempo che ad Harlock sembrava infinito. Mayu era sempre incosciente. Aveva la maschera dell'ossigeno, ma, dato che era incinta, non si poteva al momento somministrarle alcun farmaco. Non prima di aver capito che cosa le fosse capitato.
Comparvero in infermeria Meeme e Yuki. L'uomo che aveva risposto all'interfono aveva raccontato che Harlock aveva fatto chiamare il medico con urgenza. Nella confusione che regnava sempre all'ora del rancio, sulle prime nessuno aveva fatto caso alla sua assenza. Le due donne erano però andate a vedere nella cabina del capitano, ma, avendola trovata vuota, con i piatti intatti e ormai freddi e il letto disfatto, si erano preoccupate.
“Che c'è?” chiesero con una certa inquietudine.
Harlock era abbandonato su una sedia, con la testa tra le mani. Alzò su di loro uno sguardo disperato. Non l'avevano mai visto così.
“Mayu non... non si sveglia... non so da quanto tempo...”
“Sono stata con lei fino quasi all'ora di cena - disse Meeme - Stava bene. Mi ha solo detto che voleva riposarsi un po' prima del tuo arrivo...”
“È che... non reagisce... ci abbiamo provato in tutti i modi. Il dottore sta cercando di capire perché...”
“Non sarà nulla, vedrai...” disse dolcemente l'aliena, posandogli una mano sulla spalla.
Finalmente Zero uscì dal laboratorio. Avrebbe voluto essere rassicurante, ma l'espressione del suo viso tradiva la sua preoccupazione. Del resto, al capitano non si poteva mentire...
“Non capisco. All'improvviso i globuli bianchi sono saliti vertiginosamente...”
“E che cosa significa?”
“Che c'è in corso un'infezione... di cui però non riesco a capire la natura, perché apparentemente non ci sono altri sintomi... devo fare ulteriori analisi, ma ci vorrà un po' di tempo per avere i risultati.”
“Ma... i bambini? Come... come stanno?”
Harlock si rese conto che la sua angoscia era ora moltiplicata per tre.
“Per ora stanno bene. Li tengo monitorati. I parametri vitali di Mayu sono normali, quindi... le farò solo delle flebo per nutrirli. Poi si vedrà.”
“In che senso si vedrà?”
Zero tacque per alcuni secondi.
“Dobbiamo prendere in considerazione l'ipotesi di farli nascere prima. Così potremo curare Mayu in tutta sicurezza... ma qui non siamo attrezzati per assistere dei bambini prematuri. Dobbiamo per forza andare in un ospedale.”
Il dottore sparì nuovamente tra i suoi macchinari e le sue provette, lasciandolo ancora più costernato di prima.
Bisognava prendere delle decisioni gravi. Si chiese se su Tortuga sarebbero stati in grado di aiutare Mayu, e temeva che non fosse così.
Yuki sembrò leggergli nel pensiero e propose subito una possibile soluzione.
“Forse è meglio cambiare rotta e dirigersi verso Pangea. Lì hanno sicuramente delle strutture sanitarie più avanzate che su Tortuga. E Xelas1 ci aiuterà senza esitazione....”
Harlock la guardò come se la vedesse per la prima volta. Anche lui, quando dovevano scegliere dove far nascere i gemelli, prima che a Tortuga, aveva pensato a Pangea. Il loro amico Xelas ne era diventato presidente ed era ancora in contatto con loro. Ma aveva scartato quell'ipotesi perché non voleva metterlo in difficoltà: non era opportuno che, nella sua posizione, si compromettesse per aiutare dei fuorilegge. Ora però la situazione era mutata. Yuki aveva ragione.
“Sì - disse con voce appena udibile - Facciamo rotta su Pangea. Pensaci tu, per favore.”
La ragazza raggiunse velocemente il ponte di comando per dare le disposizioni.
La voce del malore di Mayu si era già sparsa per l'Arcadia e tutti tempestarono Yuki di domande, a cui lei però non era in grado di dare una risposta. Richiamò quindi l'equipaggio all'ordine, dicendo che l'unico modo di rendersi utili era continuare a svolgere i loro compiti come al solito.
Le ore trascorrevano con estenuante lentezza. Harlock non si era mosso dalla sedia e non staccava lo sguardo dal volto pallido di Mayu, tenendo la sua mano inerte tra le sue. Ogni tanto provava a chiamarla, ma sempre senza esito.
Non voleva pensare a nulla. Non ancora. Voleva continuare a sperare, a credere che sarebbe andato tutto per il meglio.
Quando Zero ricomparve, era stravolto. Era ormai quasi l'alba e nemmeno lui aveva chiuso occhio. Il capitano lo guardò speranzoso. Ma ciò che vide scritto sul volto del dottore gli tolse ogni pensiero ottimista.
“Ci sono altre cose che non vanno - disse sconsolato - È come se il sangue di Mayu fosse stato aggredito da un virus sconosciuto. So che c'è, ma non riesco a individuarne la natura e quindi la cura...”
Ad Harlock crollò addosso l'intero universo. Era certo che il medico avrebbe trovato una soluzione. L'aveva sempre fatto. Non aveva mai messo in conto che si potesse arrendere. Non ora, che c'era in gioco la vita di sua moglie e dei suoi figli!
“E.. dunque?” balbettò.
Zero si rese conto dello stato mentale dell'uomo.
“Stia tranquillo, capitano. Ho inviato i risultati delle analisi a tre miei esimi colleghi, esperti in virologia ed epidemiologia. Sono sicuro che loro capiranno la situazione e ci suggeriranno come intervenire. Per il momento le condizioni di Mayu sono stazionarie. Vada a riposare. Resterò io qui con lei e la chiamerò se ci sono novità...”
“No! Non me ne andrò da qui per nessuna ragione” disse Harlock con un tono che non ammetteva repliche. Tanto che anche Meeme, che stava per intervenire, tacque e si allontanò silenziosamente.
Harlock si accostò ancora a Mayu, angosciato. Gli tornò in mente che anche Tochiro se n'era andato a causa di un male misterioso e incurabile e lui, con tutto il bene che gli voleva, non aveva potuto farci niente, se non assistere impotente alla sua agonia.
E lo stesso era successo con Maya.
Non doveva accadere di nuovo... non doveva accadere mai più!
1Per Pangea e Xelas, “Fuorilegge”, cap. 17