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Autore: windy_times    04/10/2014    2 recensioni
Lovino conosce Antonio sin da quando la famiglia dello spagnolo si è trasferita nella casa adiacente alla sua. Dieci anni sono passati, e niente è cambiato. Se non che, la sera prima di cominciare un nuovo anno scolastico, Antonio stravolge completamente il loro rapporto.
[Spamano]
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Austria/Roderich Edelstein, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas, Ungheria/Elizabeta Héderváry
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Lovino aprì gli occhi, infastidito dalla luce del Sole. Si era dimenticato per l’ennesima volta di chiudere le tende prima di andare a dormire. Strizzò gli occhi, e si mise a fissare il soffitto, cercando di capire chi era, dove si trovava, che giorno era.
La stanza era completamente illuminata. Era una bella domenica d’autunno. Lovino, dopo aver realizzato che si trovava nella sua camera, girò la testa e vide dalla finestra il cielo azzurro, terso. Il ragazzo grugnì, e si mise lentamente a sedere sul letto. Si mise a fissare la foto appesa alla parete: c’erano tre bambini. Uno più grande, con un sorriso a trentadue denti, che teneva stretta la mano di uno un po’ più piccolo, con un’espressione imbronciata, e infine uno ancora più basso degli altri, che sembrava una bambina, che sorrideva dolcemente alla fotocamera.
Antonio aveva detto di fare come se non fosse successo nulla, dopo la sua dichiarazione la sera prima dell’inizio della scuola; era però naturale che le cose non fossero come prima. Ad esempio, Lovino non si presentava più tutti i pomeriggi a casa di Antonio con un qualche esercizio che non riusciva a fare. A scuola, quando lo vedeva arrivare nella sua direzione nel corridoio, lo evitava. Al lavoro al bar non lo guardava neanche in faccia. E al mattino, non lo andava a svegliare.
Lovino rise mentre guardava la foto. Già. Quando erano piccoli, appena si svegliava, correva fuori dalla porta di casa, e bussava impaziente alla porta dei Carriedo.
 
-Buongiorno!
Lovino era scortese sin da piccolo, ma riusciva sempre ad essere educato con le donne.
-Buongiorno signora Carriedo! Posso andare a svegliare Antonio?
Senza neanche ascoltare la risposta, il piccolo dribblava le gambe della donna e si precipitava di corsa al di sopra delle scale, per poi fiondarsi dentro la camera di Antonio, salire sul letto e saltare sulla pancia del poveraccio dormiente.
-Ahia!
-Sveglia, bastardo. È mattina.
Lovino lo guardava truce.
 -Ah… Buongiorno, Lovi…  non è che potresti trovare un modo un po’ più carino per svegliarmi? – chiedeva Antonio, la pancia che faceva malissimo dopo l’urto con il piccolo bolide.
-Chiudi il becco. –
 
-…-
Aveva continuato imperterrito ad andare a svegliarlo bruscamente ogni mattina fino alla settimana precedente.
Lovino, senza realizzare bene quello che stava facendo, si vestì, uscì silenziosamente dalla casa e bussò alla porta di quella adiacente, come aveva fatto per tanti anni.
-Lovino!
La signora Carriedo era una bella donna. Aveva i capelli ricci e scuri, gli occhi come quelli di Antonio, verde brillante, e un sorriso sempre stampato sul viso. Sì, si vedeva che era sua madre. Lo stesso, irritantissimo sorriso. Anche Lovino se ne appiccicò uno di cortesia sopra l’espressione sempre scocciata.
-Buongiorno.
-È da un po’ che non ci si vede! Come va?
-Bene, grazie.
-Vuoi entrare?
-Sì, vado a svegliare Antonio. – disse gentilmente il ragazzo. La casa dei Carriedo era strutturata in modo diverso: era sempre a due piani, ma erano collegati internamente, e non esternamente come nella casa dei Vargas. Una volta passato l’atrio, Lovino iniziò a salire le scale legnose, non di corsa, come una volta, ma un gradino per volta, lentamente, con la mano che scorreva sul corrimano. Era venuto lì quasi senza rendersene conto, in automatico, e in quel momento iniziò a sentirsi nervoso. Dopotutto, erano passati solo sette giorni dal fatto, ed era difficile affrontare tutto. Ma Lovino voleva tornare come prima: non l’avrebbe mai ammesso, ma gli mancava Antonio.
Il ragazzo aprì con cautela la porta. Vide le copertone sul letto, e sorrise: mentre lui si agitava nel sonno, Antonio rimaneva perfettamente immobile, come una mummia. Avanzò, e scrutò dall’altro la persona che dormiva beatamente. L’unica parte che usciva dal piumino era la testa. Era appoggiata dolcemente al cuscino: Lovino vedeva le lunghe ciglia nere del ragazzo appoggiarsi alle guance, i capelli completamente spettinati, e un sorriso sereno che illuminava il volto.
“Chissà cosa sta sognando…”
Lo fissò per qualche minuto, poi improvvisamente si ricordò perché era lì. Salì sul letto, e iniziò a saltarci sopra.
-Mhhh…
-Svegliati, bastardo. – disse Lovino, continuando a saltare.
Antonio aprì assonnato gli occhi, cercando di capire se quello in corso fosse un terremoto magnitudo 10. Zoomò lo sguardo verso la causa delle scosse e riconobbe il ragazzo.
-Lovino… che stai facendo? È domenica… ho sonno…- mugugnò Antonio, e si tirò di scatto le coperte sulla testa, muovendosi freneticamente.
-AH! STAI FERMO, BASTA…- urlò Lovino, la cui stabilità era nulla a causa dei salti, precipitando sul piumone.
Il ragazzo non ci mise molto prima di realizzare che era caduto proprio addosso all’altro.
-Pesi… - mugugnò lo spagnolo da sotto le coperte.
-È colpa tua! – protestò Lovino, calciando freneticamente e agitandosi.
La testa di Antonio emerse dal grumo.
Lovino diventò rosso fuoco, osservandolo che si sedeva, sbadigliava e sorrideva allegro.
-Buongiorno!
-Umm…
Rendendosi conto che era ancora disteso, ed era praticamente in grembo all’altro ragazzo, Lovino si mise velocemente a sedere.
-Bella giornata, eh?
“Come fa ad essere così di buon umore quando si è svegliato un minuto fa? …boh, questo bastardo spagnolo.”
-Già. – mugugnò Lovino.
Si fissarono in silenzio qualche istante: Lovino lo guardava imbarazzato, Antonio invece cercava di riconoscerlo anche se la luce lo accecava.
-Sei tornato! – sorrise contento il ragazzo, gioioso come sempre.
-… non credere che l’abbia fatto perché tengo a te o cose simili… - Lovino terminò la frase abbassando lo sguardo -…bastardo.
-Hehehe. Che ne dici di andare a fare colazione?
-Muoviti. - disse Lovino alzandosi dal letto e iniziando a scendere le scale, lasciando lo spagnolo sul letto a guardarlo allontanarsi.
 
La cucina era deserta, così come il salotto.
-Tua madre era qui una decina di minuti fa. – grugnì Lovino, guardandosi intorno, mentre Antonio lo raggiungeva, vestito con jeans e maglietta. Lo spagnolo lanciò uno sguardo al frigorifero e vide un post-it lasciato dalla madre.
Andiamo a fare un giro. Ormai sei abbastanza grande per passare la domenica da solo! Saluta Lovino, ci sentiamo stasera. Besos, Mamà.
-Che dice? – chiese Lovino, capendo del biglietto in spagnolo solo il proprio nome.
-Uno dei loro viaggi domenicali.
I genitori di Antonio erano tipi un po’ strambi: ogni domenica, o trascinavano Antonio in una qualche gita, o se ne andavano loro due da soli e lo mollavano a casa da solo.
-Aaaah, quindi sei rimasto da solo anche questa domenica! Scemo! – ridacchiò malignamente Lovino, portando le mani dietro la testa.
-Credo starò a casa… - disse Antonio, ignorando la frecciatina.
Lovino stette zitto mentre lo guardava apparecchiare la tavola, tostare le fette di pane e preparare il caffè.
Mangiarono in silenzio qualche istante, poi Antonio ad un certo punto chiese: -Lovi…
-Mh?
 -E se andassimo a fare un picnic? – chiese con nonchalance lo spagnolo.
-Scusa?!
-Tanto non hai neanche tu niente da fare, no?
Prima che Lovino potesse ribattere scorbuticamente, il ragazzo aggiunse: -E chiediamo anche a Feli se gli va.
-… solo perché sono libero. – rispose l’italiano, bevendo un sorso di caffè.
 
Feliciano al picnic non poteva andare. Aveva farfugliato qualcosa su degli impegni, sui tedeschi, e se l’era data a gambe.
Lovino non poteva fare a meno di chiedersi come potesse suo fratello di 14 anni avere una vita sociale più piena di lui.
-Lovino, a che pensi?
Quindi il ragazzo si era ritrovato da solo con Antonio. Erano andati sui colli, in una zona tranquilla, avevano steso una coperta e si erano seduti a guardare il panorama mozzafiato. Si trovavano in un praticello ai lati della strada. Da quel punto potevano osservare tutta la pianura. Vedevano qualche macchina muoversi fra le strade di campagna.
-Fatti gli affari tuoi.
Lovino aveva accettato di andare solo perché pensava che il fratellino si mettesse, come al solito, fra loro due. E invece, gli aveva tirato pacco.
-Ahhh… que bellissima domenica, eh? – commentò l’ispanico, stendendosi sulla coperta a osservare le nuvole correre in cielo.
Lovino rimase seduto e sbuffò in risposta, rimanendo a fissare il panorama.
-Si sta così bene… Ah, fa un po’ freddo, forse dovresti metterti una giacca.
-La vuoi piantare di parlare? – esclamò l’italiano, visibilmente irritato.
-Su, su, Lovi. – Antonio lo ignorò completamente, come sempre, e gli passò la giacca dallo zaino.
-Non la voglio.
-Ti ammalerai. Succede tutti gli anni. – sospirò.
Ogni anno, con l’arrivo dei primi freddi, Lovino puntualmente rifiutava di vestirsi più pesantemente e si beccava un febbrone da cavallo, che veniva anch’esso puntualmente curato da Antonio.
-Sono state solo sviste! Ti dico di no!
Lo spagnolo si alzò e con un sorriso gli mise lo stesso sulle spalle la giacca.
-Lovi, ma che devo fare con te?
Il ragazzo si bloccò un secondo, e girò preoccupato la testa verso Antonio, convinto che volesse ritirare in ballo la questione della dichiarazione. Vedendo che però il bruno era completamente tranquillo, capì che non si riferiva a quello.
-B-beh… questo dovrei dirlo io. – grugnì, stringendosi nella calda giacca e raggomitolandosi su sé stesso.
Antonio si sedette al suo fianco.
-Ah, giusto, ho preparato dei churros! – esclamò, entusiasta, prendendo dallo zaino un contenitore in plastica con al suo interno i tipici cibi spagnoli. –Vuoi assaggiare?
-No.
-Lovinooo! – implorò l’altro. –Al club di cucina mi hanno fatto tutti i complimenti… por favor!
-Che palle.
Lovino afferrò il contenitore, tirò fuori un churro e lo addentò.
-Beh? Te gusta? – chiese impaziente lo spagnolo.
-… mah, si fa mangiare. – commentò Lovino, continuando ad addentare la pietanza. Effettivamente, la trovava deliziosa.
Antonio ridacchiò soddisfatto fra sé e sé. Adorava prendersi cura di quello scemo.
-Senti, Anto…
Il ragazzo si schiarì la gola, finito di mangiare, e provò a farsi coraggio.
-Mh?
Lovino proprio non capiva cosa ci trovasse Antonio in lui. Era stato preso così alla sprovvista che quella notte non gli era neanche passato per la testa di chiederglielo.
-P.. p… pe… ah, fanculo! – esclamò, troppo imbarazzato per continuare.
Antonio rise.
-Lo trovi divertente, bastardo?!
-No, no, figurati.
-Volevochiedertiperchéseiinnamoratodime. – disse Lovino in un soffio.
-Mh?
-Volevo. Chiederti. Perché. Sei. Innamorato. Di. Me. – al ragazzo costò non poca fatica esprimere la domanda che gli frullava per la testa senza svenire dall’imbarazzo.
-Beh, Lovi… - cominciò Antonio, - credo, dopo dieci anni, di conoscerti abbastanza bene. Quindi, direi che è perché sei una persona sensibile, sotto sotto. E tieni molto alle persone che ti vogliono bene, anche se non lo ammetteresti mai. Perfino il tuo non essere sincero mi piace, perché ora mi è facile leggerti.
-Non è assolutamente così! – protestò Lovino.
-Visto? – rise l’altro. –E poi… mi piace prendermi cura di te… sei carino…
-Maniaco.
-…i tuoi sorrisi sono rari e preziosi. Ma quando me ne regali uno, credimi, mi dai il mondo. Sei il mio mondo.
Lovino arrossì furiosamente alle parole di Antonio, e si girò dall’altra parte per nascondere il colorito.
-…sei un fottutissimo bastardo.
-Ti va se ti sbuccio una mela? – chiese Antonio, tirando fuori il frutto e uno dei suoi coltellini da collezione.
Lovino sbirciò con la coda dell’occhio l’altro ragazzo, sempre nascondendo il viso paonazzo.
-Sei dannatamente inquietante. Tu e le tue passioni. Non è possibile che un maniaco delle cose piccole e carine sia anche un collezionatore di coltellini.
-Ahaha! Sai com’è, ognuno ha le proprie stranezze. – disse, allungandogli il frutto sbucciato.
Lovino lo prese e si decise a rivelare il proprio volto, ancora rosso, e iniziò a mangiare.
-Comunque, Lovi…
-Si?
-Non è che, anche se non ne parliamo, io non sia innamorato di te. Semplicemente non voglio metterti a disagio, perché mi hai già dato la tua risposta e la rispetto. Ma ricordati che comunque io lo aspetto.
Il vento frusciò fra gli alberi attorno al prato, freddo e gelido.
-Aspetti cosa?
-Il giorno in cui dirai che mi ami anche tu.
Lovino rimase senza parole, come quella notte al Grande Albero. Rimase a fissare il sorriso di Antonio, dimenticandosi completamente della mela che teneva in mano, e sentì crescere un groppo alla gola mentre sentiva tutto l’amore che gli veniva offerto.
-Stai facendo il poeta del cazzo.
-Lo so, è una dote naturale.
-Io non me ne vanterei.
-Ma ti piace, no?
-Lo pensi tu, bastardo.
Improvvisamente, arrivò un’altra folata di vento che fece rabbrividire Lovino.
-Incredibile, una così bella giornata e fa così freddo. – commentò il ragazzo spagnolo.
-È arrivato Capitan Ovvio. – disse sarcastico l’altro, facendo ruotare gli occhi.
-Torniamo a casa? Ti vedo infreddolito…
Lovino starnutì fragorosamente.
-Sto benissimo.
-Su, tieni -  disse Antonio porgendogli un fazzoletto e cominciando a rimettere le cose utilizzate nello zaino.
-Torniamo a casa.
 
Il giorno dopo, Lovino aveva il raffreddore.
-Etciù!
Si soffiò rumorosamente il naso, mentre il professore continuava a blaterare qualcosa sull’ impegno e sulla coerenza nello studio.
Un quattro. Il primo voto dell’anno era un quattro in arte.
Dopo una settimana di scuola, il ragazzo era già sotto la media in una materia.
Le lezioni erano finite da circa mezzora. Era dovuto rimanere per ascoltare il predicozzo di quel vecchio rincitrullito.
“Ho buttato via trenta minuti della mia vita per colpa di quel bastardo.” Pensò scocciato il ragazzo, mentre rimetteva i libri nella cartella ed usciva dall’aula.
-Mi raccomando, Lovino, non voglio che si ripeta la storia degli anni scorsi.
-Arrivederci.
Di tutte le cose delle quali non poteva importargli nulla, quella materia e il suo insegnante erano al primo posto.
Chiuse la porta e si diresse verso le macchinette nel corridoio, per comprare delle schiacciatine al pomodoro. Lovino amava i pomodori. Svoltò l’angolo, e vide una bella ragazza che si inginocchiava per recuperare una lattina di thè. Era vestita con una minigonna a pieghe verde scuro, e con una camicetta bianca. Aveva i capelli lunghi fino a metà schiena, mossi, e tra di essi era nascosto un piccolo fiore rosa. Quando sentì dei passi venire nella sua direzione, girò la testa, e riconobbe il ragazzo.
-Oh, Lovi! –sorrise alzandosi in piedi.
-Ciao. Che ci fai ancora qui?
Elizabeta era una ragazza gentile con tutti. Nella classe, circolava la voce che fosse spaventosa quando si arrabbiava, ma Lovino non l’aveva mai vista veramente irritata.
-Sto aspettando una persona… - disse, sorridendo maliziosa. –Ah, lo sai che da quest’anno sono nel club di cucina? Mi ero scordata di dirtelo!  – disse orgogliosa. -Perché non partecipi?
Lovino grugnì, quando sentì “club di cucina”. Antonio era il vice-presidente. Aveva conosciuto il capo del gruppo, un francese che assieme ad un tedesco stavano sempre assieme ad Antonio, formando il da lui soprannominato “Trio di Deficienti”. In quella dannata scuola internazionale c’era davvero gente proveniente da ogni possibile ed inimmaginabile pase.
-No, grazie. Devo andare a casa e studiare.
“Ma figurati se entro nel vostro gruppo di svitati.”
-…è una scusa, vero? Tanto lo so che pensi che siamo un gruppo di svitati.
Elizabeta aveva una specie di sesto senso che terrorizzava Lovino. Fiutava una bugia a chilometri di distanza. La ragazza si era trasferita dall’Ungheria un anno prima, e lei e Lovino avevano legato fin da subito... beh, era più che altro un rapporto di amore-odio, in quanto bisticciavano spesso.
-…
Lovino, l’anno precedente, era innamorato di lei. Era molto bella, e il suo carattere un po’ da “sorella maggiore”, sebbene fosse più piccola di qualche mese e più bassa di lui, lo attirava. Alla fine, però, non erano niente di più che buoni amici.
-E mi sembra anche di percepire qualcosa di strano tra te e Antonio.
La ragazza fece dei piccoli passetti e si alzò sulle punte dei piedi, per osservare attentamente la faccia di Lovino.
-È successo qualcosa? – chiese, con gli occhi che le brillavano.
-No.
-Eddai, dimmelo!
-Non è successo niente, ti ho detto… - sospirò. La sua limitata pazienza veniva messa a dura prova da quella ragazza. In genere con le ragazze era un vero casanova, ma tutte le sue certezze crollavano con Eliza.
-Uff. – mugugnò, riabbassandosi, -rompiballe.
-Cos’hai detto?? – chiese, minaccioso.
-Ohi, ohi, cos’è questa confusione?
Dalle spalle dei due ragazzi spuntò un giovane alto che entrambi conoscevano.
“Figurarsi se non arrivava anche lui.”
-Ciao, Anto! – salutò Elizabeta.
-Hola. – il ragazzo sorrise il direzione di Lovino. –Che ci fai ancora qui, Lovi?
-Fatti gli affari tuoi, bastardo. – mugugnò in risposta l’altro.
-Eddai, piantala di fare lo scontroso! – disse Elizabeta, tirandogli un pugno sulla spalla.
-Ahia! Ma sei scema?! –
-Femminucciaaa! – rispose provocatoria, facendogli la linguaccia.
-Sei TU che non ti comporti come una femmina! Mi pari un maschio! – protestò Lovino, massaggiandogli la spalla.
-Brutto maleducato!
-Sei tu che mi hai picchiato, maledetta!
-Ok, ok, calma. – intervenne fra i due lo spagnolo, dividendoli grazie alla sua statura che superava entrambi. Con il suo metro e ottantadue, batteva sia il metro e sessanta di Elisabetta, sia il metro e settantadue di Lovino.
-Non dirmi cosa fare, bastardo!
Antonio roteò gli occhi.
-Sì, ok. Torni con noi?
Lovino strizzò gli occhi, quando sentì l’ultima parola pronunciata dallo spagnolo.
-Come? Torni con noi? – chiese, non certo di aver capito bene.
-Sì. Elizabeta viene da me oggi. Le do una mano con matematica, tanto serve anche a me come ripasso.
-Ma figurati se vengo con voi. Anzi, io me ne vado. Ciao.
Lovino, improvvisamente irritato, girò i tacchi e scese le scale a passo di marcia. Uscì dall’edificio e saltò rapido sulla sua bicicletta, sfrecciando via per precedere gli altri due. Perché la cosa l’aveva irritato tanto?
 
 
 
*ANGOLO AUTRICE*
Ciriciao! ^^
Ecco qui il secondo capitolo, dove entra in scena la mia adorata Ungheria! ** mentre lo scrivevo ho avuto un momento di crisi, ma ora che l'ho finito mi ritengo soddisfatta.
Lasciatemi un parere, sia positivo che negativo!
Grazie per aver letto la mia fanfiction ^w^
Night (windy_times)
   
 
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