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Autore: Joy Wyatt    06/10/2014    0 recensioni
Gilbert, Antonio e Francis, welcome to Oxford, Bad Friends Trio!
Gioco di passioni e potere, soldi, alcool e vita notturna inglese. Oxford sarà il palcoscenico dell'avventura più grande dei tre ragazzi.
Tra due gemelli italiani sadici e meschini, una Elizaveta alla ricerca della passione e del vero amore, un Antonio sognatore ed un Francis ai limiti dello snob, signore e signori:
Welcome to Oxford!
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Prussia/Gilbert Beilschmidt, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Hangover and third-wheels
 
Gilbert si svegliò di soprassalto in tarda mattinata, temendo di essere nuovamente in ritardo per le lezioni.

Dopo alcuni momenti di dormiveglia si ricordò che era domenica e che, ovviamente, quel giorno non ci sarebbe stata alcuna lezione.

Imprecò ad alta voce e decise di sonnecchiare ancora per qualche minuto, e dopo una lunga stiracchiata, decise di alzarsi, poco dopo sentì l’orologio scoccare le dodici.

Aveva un leggero mal di testa, dolce regalino che il suo corpo decise di farli, per ricordarli cordialmente che anche la notte prima si era sbronzato.
Maledizione, pensò massaggiandosi leggermente le tempie, se non avesse geni tedeschi abituati all’alcol ed un fegato di ferro avrebbe deciso di frenarsi dal bere per almeno una settimana buona.

«Francis?», lo chiamò cercando l’amico.

 Nessuna risposta.

«Tony?».

Nuovamente il silenzio.

Inveì sottovoce, erano usciti entrambi, lasciando solo come un cane. Lo spagnolo se l’era svignata di prima mattina, mentre il francese probabilmente era uscito più tardi a considerare dal caffè ancora caldo nella caffettiera.  Se ne versò una tazza ed accennò a berne un sorso, quando sentì qualcuno suonare al citofono. Si avvicinò alla porta d’entrata e vide nell’immagine bianconera del dispositivo Elizaveta, per poco non gli cadde la tazza di mano.

«Che diavolo vuoi, Liza», le chiese non appena accostò la cornetta all’orecchio, dall’immagine vide Elizaveta sussultare a quel benvenuto.

«Dobbiamo parlare Beilschmidt, scendi per favore», disse la ragazza in risposta.

«Non abbiamo nulla da dirci», sbottò Gilbert, «a quanto ne so», aggiunse poco dopo, quando la vide abbassare gli occhi.

«Ti prego, sono venuta a scusarmi...», sussurrò appena lei, « non voglio che ci siano conflitti tra di noi».

Gilbert si fermò ad osservare la ragazza dallo schermo, una parte di lui non desiderava altro che correre da lei, ma un’altra gli diceva di non farsi illusioni. Solamente perché’ lei era venuta sin lì per parlargli non voleva dire automaticamente che gli avrebbe proposto di ritornare insieme.

«Vattene Liza», il suo tono era spento e stanco. Sentire l’ungherese nuovamente vicino, inebriarsi del suo profumo lo avrebbe fatto solo star peggio di quando già non stava. Mise giù la cornetta e tornò in salotto, dopo quell’esperienza il suo caffè andava corretto.
 
***
Quel giorno, tanto per cambiare diluviava. Nonostante questo, Francis era uscito da casa con un sorriso a trentadue denti.

Finalmente, era arrivato il giorno dell’appuntamento con la bella Sesel. Per l’occasione aveva indossato uno dei suoi completi migliori, uno smoking nero, una cravatta color smeraldo e una camicia bianca, il tutto perfettamente inamidato.

A pensarci, doveva consegnare alla sua domestica i vestiti da lavare e stirare per la settimana successiva… Scacciò il pensiero velocemente, non era il momento di preoccuparsi di quello. Ora doveva concentrarsi sull’appuntamento.

Un paio di giorni prima aveva incontrato Sesel tra i corridoi dell’università, quella volta il kolhoz russo per fortuna non c’era, ed avevano deciso di darsi appuntamento in un bar in stile parigino in centro nella città di Oxford.

Francis ci mise piede solo una volta e quella gli era bastata, il cappuccino che gli avevano portato era un obbrobrio, ed anche i tre successivi che aveva ordinato, dopo aver rimproverato il cameriere di incompetenza non erano stati meglio. Se non fosse che era un bar rinomato, si sarebbe preoccupato che al quarto caffè che il cameriere rifaceva, avesse deciso di lasciargli nella tazza un tocco personale.

Il francese aveva sempre pensato che il caffè fosse una bevanda piuttosto difficile da rovinare, eppure i sempliciotti inglesi ce la facevano sempre e comunque, nonostante la qualità del prodotto e della caffettiera che avevano a disposizione, nemmeno quello filtrato riuscivano a farlo decente. 

Tra questi pensieri si accorse di essere arrivato al posto dell’incontro, per un attimo si soffermò sulla soglia, indeciso se fosse più cavalleresco aspettare Sesel fuori o dentro. Alla fine decise per la seconda, il tempo da lupi facilitò notevolmente il suo dilemma.

Entrò nel bar ed attese che un cameriere venisse ad accoglierlo, questo non si fece aspettare a lungo:

«Buon giorno Signore!».

«Salve, vorrei un tavolo per due», dette una breve occhiata al bar e precisò: «vicino alla finestra».

«Certamente, la prego di seguirmi», il cameriere lo precedette e si diresse verso il miglior tavolo che avevano sistemato accanto ad una grande finestra che dava sul giardino posteriore. Nonostante la pioggia, la vista rimaneva piacevole.

«Posso portarle qualcosa, mentre aspetta?» chiese il cameriere non appena Francis si era accomodato al tavolo.

«Non per il momento, grazie», lo scacciò Francis con un gesto della mano. Il cameriere si ritirò e continuò a servire gli altri clienti.

Il francese attese per circa dieci minuti, controllando il suo costoso orologio da polso a cadenza regolare.

Sesel entrò nel locale con il viso ambrato leggermente arrossato dalla corsa. Francis ridacchiò nel vedere il suo viso mortificato. Il suo sorriso si tramutò in una smorfia di orrore quando vide l’omone russo entrare subito dopo la sua dolce Sesel. I due lo scorsero e presero ad avvicinarsi al tavolo mentre Francis iniziava a sudare freddo, perché diavolo se l’era portato appresso? Non le aveva forse fatto capire con esattezza che quello era un appuntamento tra loro due, soli?

«Buon giorno, Francis, è un piacere divederti!» disse l’omone russo precedendo Sesel a passo spedito verso il francese, «Sesel mi ha detto che vi vedevate oggi, quindi mi sono unito anch’io!», continuò amabilmente, la sua espressione cambio da dolce a pazzo omicida quando aggiunse: «spero non sia un problema, vero?».

Merda, questo mi ammazza.

«Perdonami Francis», si scusò Sesel, «Ivan ha insistito tanto nel venire, non me la sono sentita di dirgli di no», spiegò «sono sicura che passeremo una bellissima giornata noi tre insieme!».

Contenta lei, contenti tutti, si ritrovò a pensare Francis, vedendo crollare tutti i suoi castelli in aria.

Che illuso, si disse, come poteva pensare anche solo per un momento che non ci sarebbe stato qualcosa a rovinare quel giorno?

Tutto ciò che voleva era solamente passare un giorno romantico con quella bella ragazza dalla pelle ambrata ed i capelli color dell’ebano.

Guardò il russo, che continuava ad avere l’espressione ed il sorriso più ebete del mondo.

A mali estremi, estremi rimedi.

Per fortuna aveva il numero della bielorussa schizzata. Ora gliele insegnava lui un paio di buone maniere, aveva sentito da fonti che la bionda da sballo con il carattere da incubo aveva una cotta per il russo, pertanto non sarebbe stato difficile convincerla a raggiungerli…

 
***
 
«Sei mai stata in Spagna, signorina Fréd», le chiese Antonio con voce solare mentre scendevano dal suo aereo privato.

«No, mai!», esclamò lei eccitata dalla vista del cielo azzurro, senza l’ombra di una nuvola, «fa’ piuttosto caldo qui, forse avrei dovuto vestirmi meno?», fece a mo’ di domanda.

Lovino ridacchiò, «non chiedevo altro, tesoro», ricevette in risposta un dolce sorriso sia da Fréd che da Antonio.

«Hai ragione, ci saranno almeno 22 gradi ora come ora», considerò Antonio, chiuse gli occhi e si beò del sole caldo del suo dolce paese natale.

«Sì, in effetti, qui fa più caldo che in Italia», considerò Lovino, «la vegetazione mi ricorda quasi un deserto».

«Non considerare un paese da ciò che c’è intorno all’aeroporto», gli fece notare Fréderique. Lovino si limitò ad alzare le spalle. 
Una macchina nera li stava aspettando poco distante dall’aereo, l’autista, dopo essersi accertato che gli ospiti di Antonio non avessero bagagli gli invitò a salire, aprendo loro la porta posteriore. Fréderique e Lovino si sedettero dietro mente Antonio decise di sedersi di fianco all’autista. Presto i due iniziarono a parlarsi in spagnolo scoppiando ad intervalli regolari in una risata fragorosa.

Lovino prese ad accarezzare pigramente la gamba di Fréd, lasciata parzialmente scoperta dalla minigonna, ed a guardare fuori dalla finestra, mentre lentamente le radure con poca vegetazione della Spagna di sostituivano a caseggiati tipici di quella parte dell’Europa meridionale.

Erano arrivati in centro ed avevano pranzato velocemente, Lovino aveva insistito nel fare un giro in centro subito dopo, a nulla erano servite le spiegazioni di Antonio sulla siesta degli abitanti di Granada e della Spagna in generale. Aveva sottolineato che fino ad almeno le tre del pomeriggio, tutti i bar ed i negozi sarebbero stati chiusi, Lovino aveva ribadito in risposta che se voleva fare dello shopping or bere un buon caffè, l’avrebbe fatto in Italia.

Alla fine, vinto dall’insistenza dell’italiano, girarono in centro per un paio d’ore, dopodiché l’autista si rifece vivo ed i tre salirono in macchina.

Una volta che si misero comodi, Antonio si rivolse a Lovino:

«C’è qualcosa in particolare che vorresti visitare?».

Lovino incrociò gli occhi di Antonio nello specchietto retrovisore e rispose:

«Voglio andare all’Alhambra».

Antonio sorrise e parlò in spagnolo all’autista che annuì e fece partire la macchina. Arrivarono al palazzo circa venti minuti dopo, intorno ad esso c’era una moltitudine di alberi e flora, l’Alhambra era situata su un rialzamento rispetto al resto di Granada, quindi era protetto dai rumori della città sottostante.

«Antonio è bellissimo», mormorò Fréderique a bocca aperta. Il palazzo era costruito in stile islamico e mudéjar datato tra il tredicesimo e quindicesimo secolo. Le sue mura erano appena rosate.

Il volto di Lovino si fece cupo, «I miei genitori vennero qui per la loro luna di miele», bisbigliò Lovino guardandosi intorno.

Nessuno dei due sentì il suo commento, e se lo sentirono non lo dettero a vedere. Senza aggiungere altro Lovino si allontanò lasciando Fréderique e Antonio indietro a parlare animatamente del palazzo che stavano visitando. Presto Lovino li perse dietro di se’. Continuò a camminare finche’ non arrivò nel Patio de los Aeeayanes, una corte interna che aveva una grande vasca in centro.

Si avvicinò all’acqua e vi si specchiò, l’immagine che vide era quella di un uomo determinato con gli occhi verdi pieni di rancore per coloro che avevano osato separare lui e Feliciano dai loro genitori.

Non voleva compagnia in quel momento, il silenzio attorno a lui era perfetto, ad eccezione dei canti degli uccelli che volavano intorno a quello spiazzo. Osservò il cielo azzurro, senza nuvole, che trovò noioso. In Italia, c’erano sempre delle nuvole che attraversavano pigramente l’orizzonte.
Perse la cognizione del tempo, se ne stava semplicemente in piedi, taciturno, appoggiato ad una colonna ad osservare il riflesso del cielo nell’acqua della vasca.

La Spagna non era nulla di speciale dopotutto, non sarebbe mai stata altrettanto bella come la sua Italia, come la città in cui lui e Feliciano erano nati, la città eterna, Roma.

Senti un rumore di tacchi avvicinarsi a lui ad una velocità notevole e riconobbe il profumo famigliare di lavanda. Una Fréderique affannata e con le guance imporporate gli si parò davanti con espressione a dir poco contrariata.

«Idiota che non sei altro!», gli sbraitò contro, «si può sapere dove eri finito?», continuò nello stesso tono senza accenni ad abbassarlo, «ti abbiamo cercato per ore!».

In quel momento Lovino distolse lo sguardo dalla belga e lo rivolse ad Antonio, fermatosi poco lontano da loro. Abbassò gli occhi nuovamente e rise di se’ stesso, era rimasto a commiserarsi per ore? Si portò una mano alla testa e passò le dita tra i suoi capelli corvini e disordinati.

«Lovino?», fece Fréderique allora, preoccupata per la reazione dell’italiano. Lui a sentire pronunciare il suo nome non rispose, ma abbracciò la ragazza di slancio e la strinse a se, inspirando quel profumo calmante di lavanda. Allora lei iniziò ad accarezzargli lentamente i capelli, cingendolo a sua volta tra le sue braccia. 

Il sorriso di Antonio si spense al vedere quella scena tra i due innamorati. Lui in quel momento era il terzo in comodo. Inizialmente aveva creduto che fosse solamente lussuria e desiderio il sentimento che i due condividevano, tuttavia si dovette ricredere. 

Dopo qualche minuto Lovino si separò da Fréderique e si rivolse ad Antonio:

«Vorrei fare un giro in città e poi tornare ad Oxford».

Antonio si sforzò di rivolgergli un sorriso cortese, da ciò che gli aveva raccontato Fréderique mentre cercavano Lovino, i suoi genitori erano venuti a mancare quando i gemelli Vargas erano piccoli, uccisi da malviventi a Roma. Per la loro luna di miele avevano deciso di visitare la Spagna ed erano rimasti particolarmente affascinati da Granada e dai suo palazzi e la moltitudine di giardini. 

«Possiamo fare tutto ciò che vuoi Lovino», rispose Antonio con dolcezza, «se vuoi possiamo tornare in Inghilterra anche ora».
 
***
 Spazio Autrice
Salve a tutti/e! Essi’, cosa posso dire? Ho riletto questa storia circa una settimana fa ed ho deciso che andava assolutamente finita! :D
Il mio modo di scrivere sicuramente sara’ cambiato dopo tutto questo tempo, comunque spero di non annoiarvi! XD 
 
Fatemi sapere che ne pensate, mi raccomando, eh! 
 
Bacioni, 
Vostra Joy!

 
  
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