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Autore: _joy    07/10/2014    4 recensioni
«E di me ti fidi?»
«Posso fidarmi?» rispondo «Dimmelo tu» 
«Sì» risponde senza esitazione. 
 
Gin/Ben
[Serie "Forever" - capitolo IV]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forever'
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I giorni seguenti sono strani.
 
Irreali.
 
Io e Ben siamo spesso insieme.
Ci cerchiamo, quasi affannosamente.
Eppure, a tratti, sento ancora in me quella voglia di respingerlo, di tenerlo alla larga.
Lui ne soffre. E io anche.
Penso quasi di fare più male a me stessa che a lui.
E, dopo quei momenti di rabbia, mi torna un bisogno spasmodico di vederlo, di sapere che è ancora qui.
 
Che io voglia godermi il potere di saperlo così succube?
Che io voglia vedere fin dove posso spingermi?
Avendolo sempre adorato, come ho fatto, voglio forse dimostrarmi adesso che anche io posso essere per lui quello che il nord è per l’ago di una bussola?
O voglio solo che soffra come ho sofferto io a Los Angeles?
 
O, magari, sto solo impazzendo e non capisco più cosa mi succede.
 
 
Ci sto riflettendo su da giorni.
Anche questa mattina, a letto, mentre Ben si fa la doccia.
Ieri sera volevo resistere, ma non ce l’ho fatta.
La sera prima l’ho trovato di nuovo fuori dalla porta.
E così, tra le suppliche e le debolezze di entrambi, cediamo in continuazione.
Quando siamo separati, è atroce.
 
Lo ammetto, ho sempre una paura folle che se ne vada.
Tre o quattro giorni fa, per fare un esempio, in preda a uno dei miei scatti d’ira repentini l’ho trattato malissimo.
Ci siamo visti con l’idea di vedere un film, ma dopo cinque minuti abbiamo lasciato perdere.
Eravamo sul divano e ci baciavamo, quando lui ha detto che gli mancano le mie curve.
Me lo dice spessissimo e, se si astiene dal fare commenti sul cibo, mi porta in continuazione da mangiare e controlla sempre cosa ho nel piatto e quanto ne mangio.
Ho provato a spiegargli un paio di volte che non ho problemi alimentari; semplicemente, non avendo mangiato per un po’, ho meno fame.
Non mi sto volontariamente privando del cibo: non mi va proprio.
Non l’avessi mai detto; ne ha fatto tragedie.
E siccome l’altro giorno non avevo voglia di ripetere la discussione (né di dirgli che, se sono tesa e non mangio è per colpa sua), ho finto di pensarci su e poi ho chiesto se non voleva magari che mi rifacessi le tette, così sarei stata magra ma dotata… Non avrebbe preferito che fossi più tipo da modella?
Ben è rimasto scioccato e, dopo il primo sbalordimento, si è infuriato.
Abbiamo litigato e se ne è andato sbattendo la porta.
Bene – ho pensato – va bene così.
Dieci minuti dopo tremavo in preda all’ansia che se ne fosse andato all’aeroporto.
Mi ha chiamata cinque ore dopo (cinque ore e quattordici minuti, per essere precisi) e solo allora ho ripreso a respirare.
 
C’è una costante in queste liti: è lui che chiede sempre scusa.
Io di solito non parlo.
Mi tengo tutto dentro e non so nemmeno io come districare questa matassa aggrovigliata di sentimenti, rancore, paure che ho dentro.
Ben sembra aver paura che io mi rompa in mille pezzi e io sto iniziando a chiedermi se non sono sull’orlo del collasso.
Lo detesto: non deve stare con me per compassione.
Che poi… stare.
Stiamo insieme?
Di sicuro non siamo divisi.
Ma che cos’è, questa situazione?
Ben me lo chiede ogni giorno; io ogni giorno svicolo.
 
Adesso, animata da un’improvvisa risolutezza, mi alzo e mi infilo in bagno, sorprendendo Ben.
È ancora in doccia, ma mi tende la mano con aria invitante.
Entro e mi stringo a lui e il suo corpo bagnato aderisce al mio.
Mi lascio insaponare e coccolare e mi rifugio tra le sue braccia, nascondendo il viso nell’incavo del suo collo.
Rifletto sulle sue parole mentre mi abbraccia: è questo che significa sentirsi a casa?
 
*
 
La sera Ben mi convince a uscire.
 
Facciamo due passi e la situazione tra noi è subito strana.
Dormiamo insieme, lo so, e lui è spesso da me, ma adesso mi sembra di vivere un paradosso.
Ben fa per prendermi la mano, ma io le ho già infilate in tasca.
Ci resta male, lo capisco anche se non lo dice.
Cosa siamo, quindi?
Una coppia?
Non sembriamo una coppia.
Di sicuro, non siamo la coppia che eravamo prima.
E lo so che lo squilibrio di questa situazione dipende tutto da me, perché sono io che non riesco a chiarirmi le idee.
Devo dare atto a Ben che lui si comporta benissimo.
È affascinante, premuroso, gentile e meravigliosamente affettuoso.
Come è sempre stato prima dell’America.
Sono io che non ho più un equilibrio.
Lo voglio e, insieme, ne ho paura.
 
Quando ne parliamo, non riesco a spiegarglielo meglio.
E dire che ne parliamo spessissimo.
«Ben io ti amo» gli ripeto oggi, mentre passeggiamo per Parco Sempione «Questo non è in dubbio, non lo è mai stato. Ma… Non mi fido»
«Non ti fidi di me» replica lui e sembra straziato.
Non riesco a non prendergli la mano.
«No, non di te. Di me. Non so se riesco a fidarmi di nuovo… A ricominciare. Non riesco a non pensare che potrebbe succederci di nuovo e io non ce la farei»
«Ma non succederebbe di nuovo» ragiona lui «Perché ci siamo già passati e quindi…»
«Ben» lo interrompo, delicatamente «Ti prego, non prenderla come un’accusa, ma il tuo lavoro…»
Lui si agita subito.
«Ma ho rinunciato a quel film!»
«Sì» rispondo, paziente «È stato un bel gesto, davvero, però…»
«Un bel gesto?» ripete, incredulo «Scherzi, vero? Non mi capiterà più una parte del genere!»
Mi irrigidisco subito.
«Senti, lo hai deciso tu, è inutile che me lo rinfacci. Ma è un problema, tra noi, e mi sembra evidente, visto che ci scanniamo appena si tocca l’argomento»
Lui non ribatte e per un po’ passeggiamo in silenzio, poi mi tira verso di sé.
«Io so fare solo questo» bisbiglia «Ho sempre voluto solo essere un attore… Ma cambierò, per te»
Io rimango attonita.
«Se il mio lavoro deve allontanarci, allora io non me la sento. Non me la sentirei di partire per qualche meta senza di te, né di lasciarti indietro. Non mi va bene questa situazione, mi fa stare male. Se…»
«Ti fa stare male rinunciare al lavoro» lo interrompo e gli poso dolcemente un dito sulle labbra «Ascoltami: io lo so quanto ci tieni e non voglio, assolutamente non voglio, metterti nella posizione di scegliere tra me e una cosa che ami così tanto»
«Amo te di più» dice risoluto.
Io scuoto il capo, ma lui insiste:
«Gin, senza di te io non stavo bene in America! Avevi ragione sulla vita che si fa lì! Io… non fa per me. Alla lunga… quella vita mi cambia e a me non sta bene»
«Ma ti affascina» finisco io per lui «Puoi dirlo, non è una colpa»
Lui sembra circospetto.
«Posso farne a meno»
«No. Non voglio privarti di qualcosa che per te è importante. Ho sempre immaginato la nostra vita insieme come qualcosa di ricco e soddisfacente, non come un patto di non belligeranza»
Lui fa un sorriso triste.
«E se la vita fosse così? Un compromesso continuo?»
Inorridisco.
«Non posso farti vivere nel compromesso»
«Dici delle cose bellissime e fai scelte difficilissime per me… Ma poi mi tieni lontano, Gin, e questo mi uccide. Non è il lavoro… sei tu che mi fai male, adesso»
È una supplica che mi spezza il cuore.
«Ben, non sopporto di…»
«Dimmi che mi ami»
«Lo sai che è così»
«Dimmelo»
«Ti amo»
«Dimmi che mi perdoni»
«Ti ho già perdonato. Potrei portarti rancore?»
«E allora… stai con me. Resta con me»
«Sono con te» replico, distogliendo lo sguardo.
Lui mi posa due dita sotto il mento per farmi alzare il viso.
«Fammi stare con te» chiede.
Annuisco.
«Sei sempre con me»
«Non è vero. Hai costruito un muro e io… Io non riesco a raggiungerti! Cosa posso fare, Gin?»
Poso il capo sulla sua spalla.
«Non lo so, Ben»
 
*
 
Ho mollato il lavoro senza rimpianto (è tra le cose che non riuscivano più ad appassionarmi. Quello e tutto il resto), ma devo comunque recuperare un po’ di cose.
 
Quindi, oggi lascio Ben a letto e vado in ufficio a prendere quel poco che ho mollato lì.
Uscendo mi chiedo di sfuggita che prenotazione deve aver fatto Ben in hotel. A tempo indeterminato?
Sbrigo quello che devo fare velocemente e ne approfitto per fare due passi.
Inutile dire che i miei pensieri vorticano sempre su Ben.
Sulla nostra situazione.
 
È buffo, perché io ho sempre odiato le situazioni irrisolte.
Per me è tutto sempre bianco o nero… Come è possibile che mi trovo a sguazzare in questo mare di grigio?
Ben dice che lui è sicuro e io sono quella incerta.
In realtà, io so benissimo cosa vorrei.
È solo che temo che tra quello che voglio e quello che potrò avere in realtà ci sia una forbice.
Ben dice di essere disposto a rinunciare a tutto, ma quanto potrà stare lontano dal suo lavoro?
Siamo seri: se non è questo film, sarà un altro.
Ci saranno altre audizioni, per forza.
È giusto che sia così.
E quindi, cosa succederà?
A tratti vorrei avere la forza di scoprirlo, ma per la maggior parte del tempo penso che ignorare il passato sia un errore da sciocchi incoscienti.
Ho già visto cosa significa vivere in quell’ambiente.
Non siamo compatibili.
Punto.
 
Provo una stilettata di dolore solo a formulare il pensiero.
Prendo il cellulare di tasca e chiamo Ben.
Risponde subito e io esordisco con un:
«E se andassimo sulle montagne ad allevare mucche?»
Lui scoppia a ridere.
«Come Heidi?» chiede «Però ti ci vedo, vestita da contadinella…»
«Stupido» rispondo, ma mi viene da ridere «Era una soluzione geniale, invece»
«Sì, certo… Tu che allevi mucche. Geniale proprio, tesoro»
«Sarei bravissima!»
«Certo, certo…»
«Ben, sono serissima!»
«Ne parliamo a pranzo, Heidi? Ti passo a prendere?»
«Ma non eri a casa?»
«Sono uscito. Devo fare una commissione e ho bisogno di te»
«Che commissione?»
«Una piccola cosa. Mi aiuti?»
«Certo, ma… Di che si tratta?»
«Normale amministrazione, perché?»
«Oh. Non sapevo se…»
«Se?»
«Se è una cosa tipo “ritorno alla realtà”» borbotto.
«Questa è la realtà» fa lui.
«Per niente!»
«Invece sì»
Mi mordo la lingua.
Non voglio discutere ancora.
Ripetiamo sempre le stesse cose e sta diventando insostenibile.
«Dove sei? Ti raggiungo?» chiedo.
«Gin, se non ti va bene questa situazione allora chiediti cosa vuoi»
Stringo forte il telefono.
«Ma io lo so già, ricordi? Voglio la favola»
«Noi ce l’abbiamo, la favola. Siamo due persone che hanno avuto la fortuna di trovarsi e tu non puoi comportarti come se questo dono incredibile non valesse niente!»
All’improvviso sembra furioso e, ovviamente, mi innervosisco anche io.
«La nostra favola ha fatto alquanto schifo»
«Niente è facile nella vita, Gin. Ma, se hai la fortuna di avere tra le mani qualcosa per cui vale la pena lottare, allora…»
«E tu saresti quello che lotta?» mi infervoro.
«Sì» risponde, lapidario «Lo sto facendo per te, ogni giorno. Magari sbaglio, magari non sono perfetto, ma io ci metto tutto me stesso. Tu, invece, non lotti più. E sai quanto me che questa non sei tu, Gin»
 
Gli attacco il telefono in faccia, furiosa.
E ferita.
Perché lo so che ha ragione.
Devo prendere una decisione, ne sono consapevole.
E la questione, ridotta ai minimi termini, è semplice: o lo lascio andare, per sempre, o scelgo di buttarmi.
E, se mi butto, lo faccio davvero.
Mi basta formulare il pensiero per essere di nuovo assalita dai dubbi.
Gli ho detto che lo amo. Perché è vero.
Ma, se lo amo, allora cosa sto chiedendomi? Non ho già le risposte?
Oppure è vero il contrario: non basta l’amore?
 
Sì? O no?
Qual è la risposta giusta?
 
 
*
 
Quando raggiungo Ben sono ancora confusa e, pertanto, di umore litigioso.
 
Ma non faccio in tempo ad aprire bocca, perché lui mi viene incontro e mi afferra per un braccio.
«Vieni!» mi dice.
E inizia a camminare con quelle sue falcate lunghe, quasi trascinandomi.
«Dove andiamo?» chiedo.
«Zitta e cammina!»
Si volta per sorridermi, ma continua a tirarmi per il braccio.
Camminiamo veloci fino al parco di Porta Venezia.
«Che roba» borbotta lui, mentre avanziamo verso il laghetto «E questo lo chiamate parco? Ah, mi manca Londra!»
«Anche a me!» ansimo, mentre mi scosto i capelli dal viso.
Ben si ferma e si volta verso di me.
Mi solleva i capelli scompigliati dal collo e poi mi alza il cappuccio della felpa.
«Ehi, non fa così caldo…» mormora, improvvisamente dolce.
Appoggia le labbra sulla mia fronte e mi abbraccia e io, riluttante, mi accosto a lui.
Riesce persino a smorzare la mia voglia di litigare, il bastardo.
Mi sfrega le mani sulle braccia e sulla schiena, come a volermi scaldare.
Io non ho freddo, ma comunque lo lascio fare perché mi fa sentire protetta.
È così facile sentirsi bene, quando c’è Ben.
Se solo non ci fosse sempre quella vocina insistente che mi fa temere il peggio…
Dopo un po’, Ben allenta la stretta delle braccia e mi posa le mani sui fianchi.
Restiamo vicini – io con il capo sulla sua spalla e lui con il mento poggiato sui miei capelli – e sento la sua accarezzarmi dolcemente.
«Perché siamo qui?» mormoro.
È un giorno lavorativo e non c’è molta gente.
Essendo una giornata grigia, così tipica di Milano, anche i bambini presenti sono pochi.
E questo angolo di parco è molto tranquillo.
«Perché volevo stare un po’ con te» bisbiglia lui, in risposta.
Alzo il capo e gli sorrido, senza ironia.
Un sorriso vero.
«Ah… perché nei giorni scorsi non eri con me?»
Anche lui sorride.
«Ma io voglio stare sempre con te» risponde.
E mi bacia il naso.
«Per cui…»
Si zittisce e fa un passo indietro, lanciandomi un’occhiata strana.
«Sì?» dico io.
Lui fa un respiro profondo e poi dice:
«Stavolta voglio farlo bene, ti avviso prima»
«Cosa?» rispondo, perplessa «Cos’è che devi fare?»
Ben mi afferra una mano e la stringe forte.
Poi, lasciandomi senza parole, si mette in ginocchio.
«Cosa fai?» chiedo, attonita.
«Guai a te se scappi!» mi minaccia lui, serissimo, rafforzando la presa sulla mia mano.
Poi si infila l’altra in tasca e tira fuori un astuccio.
 
Chiaramente è un astuccio di Tiffany.
 
 
Io resto zitta, ma ho le gambe che tremano.
Non so bene cosa provo: è un mix di stupore per il gesto inaspettato, ansia al ricordo di una camera da letto americana in cui è avvenuta una scena tristemente simile e gioia all’idea che lui stia facendo il gesto più tradizionale e romantico al mondo.
Ok, lo so, mi è già successo.
Eppure… mi sento frastornata, come la prima volta.
 
Ben mi sta stritolando la mano, per cui faccio una smorfia.
«Non scappo» bisbiglio, con la voce ridotta a uno squittio.
Lui ha un’espressione concentratissima.
«Ok, bene» risponde, a fatica «Perché ho appena… No, seriamente, ho appena realizzato che per aprire la scatolina devo lasciarti la mano… Se scappi mi incazzo davvero, ok?»
Scoppiamo a ridere entrambi, lui sempre in ginocchio e io con la mano libera premuta sulla bocca.
Un signore anziano ci passa vicino e ci guarda sconcertato; noi ridiamo ancora di più.
Quando alla fine riusciamo a smettere io ho mal di pancia dal gran ridere e persino Ben, che è perfetto ed elegante in ogni situazione, sembra in difficoltà.
«Va bene» dice «Non doveva succedere. Ricomincio, ok?»
Le mie labbra tremano per un sorriso.
«Vuoi lasciarmi la mano, prima di ricominciare?» chiedo.
«Posso fidarmi?» chiede lui, con un’occhiata truce.
«Ah, non lo so» gli sorrido «La fiducia è una cosa che si conquista, non che esiste e basta»
Lui mi guarda malissimo e io ridacchio.
«Allora, cosa vuoi fare?» domando «Scegli di fidarti?»
Lui ci pensa su, poi la sua espressione si ammorbidisce.
«Io mi fido di te» bisbiglia.
Mi lascia la mano.
Le nostre dita si sfiorano in una lenta carezza e lui tiene gli occhi fissi nei miei.
Io non mi muovo.
 
Va bene, lo ammetto, per un nanosecondo l’idea di mettermi a correre mi ha attraversato la mente, ma solo per il piacere infantile di provocarlo, di fargli un dispetto.
 
Eppure… è così teso e ha un’aria talmente vulnerabile che non potrei mai giocargli un tiro del genere.
Resto immobile e lui prende fiato.
Continuiamo a guardarci negli occhi e all’improvviso gli chiedo:
«Perché mi guardi così?»
«Non mi ero mai reso conto della posizione di vantaggio in cui si trovano le donne, mentre noi stiamo inginocchiati per terra»
Io faccio una smorfia.
«Tu non sembri in svantaggio, se ti consola»
Dico davvero: sembra mangiarmi con gli occhi, sono io che mi trovo in difficoltà.
«Io sono in difficoltà da mesi, senza di te, ma pur di trovarmi qui, adesso, sopporterei qualcosa di molto peggiore»
 
Ormai lo sapete: io ho la tendenza a parlare sempre, a sproposito o meno.
E, anche adesso, mi viene voglia di dire qualcosa, ma mi mordo la lingua.
È giusto concedergli lo spazio per parlare.
Stavolta tocca a lui.
 
Mi sforzo di non incrociare le braccia per non sembrare ostile e vengo attraversata dal pensiero che probabilmente sembro un’idiota che non sa dove mettere le mani.
Poi mi esce tutto di testa, quando Ben mi rivolge un sorriso timido e dolcissimo.
Apre la scatolina e un diamante purissimo scintilla nella luce ovattata del giorno.
Io però quasi non lo guardo, perché sono troppo occupata a contemplare lui, l’espressione dei suoi occhi, la piega seria delle labbra.
Non l’ho mai visto così nervoso.
E, quasi mi avesse letto nel pensiero, la prima cosa che dice è:
«Non mi sento molto lucido, quindi scusami se dirò cose con poco senso»
Ho la gola secca, per cui mi limito ad annuire.
Lui prende ancora fiato.
«C’è un milione di cose che vorrei dirti e in questi giorni non facevo che pensare a come esprimere tutto, a cosa dire prima… E adesso ho la testa vuota e tutto quello che avevo provato non me lo ricordo più e, comunque, forse non aveva molto senso, per cui… L’unica cosa che io so con sicurezza è che ti amo. E l’unica cosa che desidero è avere te. Stare con te tutti i giorni. Io non voglio mai più stare lontano da te»
Mi lancia un’occhiata da sotto quelle ciglia lunghe e scure e prosegue:
«Quando te l’ho chiesto a Los Angeles… sì, l’ho fatto perché speravo di rimediare alla spaccatura che si era creata tra noi. Ma adesso… Io non mi sono mai sentito così. Io non voglio sposarti per non perderti né per convincerti che ti sbagli e che possiamo essere ancora felici. Io voglio sposarti perché senza di te niente ha senso. Il mio lavoro, la mia vita… E tutto quello che faccio. Non è bello, né colorato, se tu non ci sei. Non leggo, non mi piace la musica, i film mi annoiano. Quando tu ci sei, invece, c’è colore nella mia vita. Posso imparare dai miei errori, ma questo è un vuoto che non posso colmare da solo. Non voglio stare con te come un egoista che ha bisogno di qualcuno, ma come qualcuno che ha visto che differenza c’è tra stare con te e senza di te e ha capito che, senza, non ce la fa. Sei tu la persona che mi completa, Gin»
Esita un attimo prima di aggiungere:
«Mi vuoi sposare?»
 
Io sono senza parole.
Lo so, è già successo.
So anche che Ben per me ha fatto gesti mirabolanti e ha detto cose stupende, nel corso della nostra storia.
Eppure, stavolta è diverso.
Forse perché so che siamo davvero a un punto di svolta.
Questa domanda cambierà davvero le cose tra noi: da qui non si torna indietro.
E, guardandolo, mi sembra di non averlo mai visto deciso e sicuro come lo vedo oggi.
 
C’è un attimo di silenzio e, stavolta, è Ben quello che sembra non riuscire a tacere.
«So che hai paura» aggiunge, precipitosamente «Però, Gin, noi possiamo davvero cambiare le cose. Ho dato disdetta dall’appartamento a Los Angeles… E sì, in parte l’ho fatto perché a te non piace, ma anche perché questi ultimi mesi sono stati… Bè, non voglio tornarci. Possiamo andare insieme a Londra. Oppure possiamo stare qui, se vuoi. Io posso prendermi un anno, posso non lavorare e tu…»
«Ben!» lo interrompo «Aspetta, riprendi fiato! Vuoi continuare a parlare finché non dico sì?»
Sto scherzando, ma un’ombra passa nei suoi occhi.
«Potrebbe essere un’idea» dice.
Io mi passo una mano nei capelli.
«Ok, hai ragione» dico «È giusto che ne parliamo e che prendiamo una decisione definitiva. Alzati e…»
«No»
«Cosa?»
«Non mi alzo finché non mi rispondi»
«Oh, Ben, dai… dobbiamo parlare di tante cose e…»
Mi interrompo, perché vedo la sua aria decisa.
È testardo come un mulo, lo so bene.
Sospiro e scuoto la testa.
«Quindi, niente Los Angeles?» domando.
Lui annuisce.
«Lo sai che non voglio che rinunci a…» inizio, ma lui mi interrompe:
«Non voglio tornarci. O, almeno… Se lavoro ancora dovrò andarci per forza, ma non voglio vivere lì. Non fa bene né a te né a me. La persona che sono quando sto lì… Non sono io»
«Se però vuoi lavorare a certi livelli, è l’America il posto giusto»
«Sì. Però io voglio vivere a certi livelli, non solo lavorare. E, se per avere una grossa parte, devo pagare con la mia infelicità personale, allora…»
«Ma Ben, tu adori recitare!»
«Sì, certo. Non voglio smettere. Ma anche a Londra ci sono opportunità. Certo, non grandi come quelle americane, ma non è detto che le grosse produzioni siano per forza quelle giuste. Devo ammettere che, caratterialmente, io fatico a rapportarmi con quelle situazioni. Invece…. Se ti dicessi che ho ricontattato il mio manager a Londra per tornare in teatro?»
«Davvero?» chiedo, stupita.
Io adoro vedere Ben recitare in teatro: secondo me è un contesto molto più adatto a lui e lo fa emergere molto di più.
Mi sorride.
«So che tu sei a favore del teatro… Devo dire che anche il mio vecchio manager mi trova più adatto e non è giusto non ascoltare dei buoni consigli solo perché non dicono quello che io voglio sentirmi dire»
«Non posso permetterti comunque di fare un sacrificio del genere per me»
Lui fa una smorfia.
«Non hai capito, Gin. Io vado a Londra. Ci vado comunque, ma spero, davvero spero con tutto il cuore, che tu venga con me»
«Ma se poi lo rimpiangessi?»
«Non vorrei escludere il cinema del tutto. Ma, se ti va, possiamo tornare insieme in America per i miei casting. Anzi… se volessi cercarti un nuovo lavoro, che ne diresti di farmi da assistente?»
«Te lo scordi» rispondo, subito «Non saremmo d’accordo su niente e litigheremmo sempre»
«O magari no» obietta lui «So che è difficile crederlo, ma tu mi aiuti a controllare quel lato estremo di me che recitare non fa che amplificare. L’ho capito dopo, ma ora lo so. Tu sei il mio equilibrio, Gin. Io ho bisogno di te»
«Lo dici per convincermi»
«Lo dico perché la vita che possiamo avere insieme può essere fatta di viaggi, di lavoro, di famiglia. Noi due insieme. Tu per me non sei un pacco che devo portarmi dietro. Io voglio il tuo consiglio e voglio che tu sia con me, ovunque andrò»
 
Sembra così sicuro.
E io…
 
Sposto il peso da una gamba all’altra e Ben dice:
«Parliamo di quello che vuoi tu, invece»
«Lo sai cosa voglio»
«Secondo me non lo sai più nemmeno tu, piccola. E non urlarmi contro, perché lo sai che ho ragione. Tu vuoi stare con me?»
Io esito, ma penso che mi si legga in faccia la risposta.
«Se vuoi stare con me, abbiamo due strade: o mi dici di sì e mi rendi l’uomo più felice del mondo, oppure prendi tempo e mi costringi a trasferirmi nel tuo cortile, con gli effetti che già sappiamo sui vicini»
Mi scappa un sorriso.
«Se mi dici di no, invece» insiste «Non me ne andrò comunque e sarò costretto a perseguitarti… Fino a quando ci ripenserai e mi dirai che vuoi stare con me»
Mi viene da ridere.
«Ben, io…»
«Tu hai paura. Lo so. Ce l’ho anche io, cosa credi? Ma, tra averti e stare senza di te mi fa decisamente più paura la seconda cosa»
Ci penso su.
«Ti amo, Gin» dice Ben «Ti prego, permettimi di renderti felice. Non sbaglierò più, lo prometto!»
Stavolta rido davvero.
«Non puoi farmi una promessa del genere, Ben! Come farai a mantenerla?»
«Sposami e vediamo!»
«Non è una sfida»
«Allora sposami e obbligami a mantenerla» scherza.
«Non ci penso nemmeno!»
«E allora… sposami perché lo vuoi anche tu?»
 
Un’emozione improvvisa mi stringe la gola e gli occhi mi si riempiono di lacrime.
 
«Certo che lo voglio… Ma…»
«Gin, ti prego. Un altro “ma” potrebbe uccidermi. Fidati di me, vuoi?»
 
Lo so, mi ero ripromessa di non farlo mai più.
Ma guardo Ben, i suoi occhi sinceri, pieni d’amore.
Per me.
E tutto quello che mi tratteneva, tutte le mie paure scivolano via di fronte a quella prospettiva.
Tra averti e non averti, mi fa più paura la seconda cosa.
Ho già sperimentato come sto senza di lui.
E, se io lo voglio e lui anche, perché non dovrei credere che siamo forti abbastanza da combattere insieme, stavolta?
 
Prendo tempo e mi asciugo gli occhi.
Ben mi fissa, speranzoso, ma non so se la mia risposta potrà andargli bene.
«Dimostramelo» gli dico «Dimostrami che mi ami e che posso fidarmi di te. Quello che ti prometto io, adesso, è che non avrò pregiudizi»
Lui si rilassa.
E mi sorride.
 
Si alza (con una gamba dei jeans completamente imbrattata di fango) e viene verso di me.
Io faccio un passo indietro, ma lui mi prende la mano.
«Non azzardarti ad allontanarti da me» scherza, ma solo in parte.
«Non ho detto sì» rispondo io, guardinga.
Ben mi prende tra le braccia.
«Lo so» risponde, accarezzandomi il viso «Ma io sono un uomo fiducioso»
 
E mi bacia, impedendomi altre proteste.
 
  
 
***
Buongiorno!
Dico solo... meno uno!!
Vi ricordo che mi trovate qui: 
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E qui: http://dreamerjoy.blogspot.it/
Grazie di tutto, solo questo!
Buona lettura,
Joy

   
 
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