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Autore: Pretty_Liar    07/10/2014    6 recensioni
Barbara ha solo diciotto anni, ma ha deciso di sposarsi già con un giovane di Londra, l'affascinante Alan. Tutto sembra procedere a meraviglia, ma quando torna ad Holmes Chapel, per passare l'ultimo mese da ragazza libera prima del matrimonio, ogni cosa sembra precipitare. I suoi sentimenti per il futuro marito, sembrano scomparire alla vista di un vecchio nemico, Harry Styles, più grande di lei di ben sette anni. Il ragazzo ama le piante e tutto ciò che include la
natura, sospeso fra fantasia e realtà, con la spensieratezza che si addice a pochi ragazzi di venticinque anni. Barbara imparerà a conoscere il mondo in cui vive il suo nemico e capirà che infondo la loro non è solo una storia basata su un perenne scontro fra mente e cuore, logica e sentimenti, ma è semplicemente un misto di verità nascoste, un grande sentimento e tutto ciò che sta in mezzo.
~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~
«Comunque porgi gli auguri da parte mia allo sposo», continuò.
«Perché?», chiesi stupita.
«Beh, dovrà essere un santo per sopportarti... Acida come sei. Sembra che hai ogni giorno il ciclo. Sei abbastanza irritante!».
[MOMENTANEAMENTE SOSPESA]
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La bacio?
«È inutile, Luca. Si sposa. Continuandole a correre dietro non ci risolverò mai niente», sbuffai  mettendo in ordine il casino dentro il negozio di fiori, pieno di petali sparsi qua e là.
«Cosa? No! Harry se ti arrendi non ci risolverai mai niente! Combattente!», esclamò, dandomi un pugno sulla spalla, facendomi barcollare leggermente in avanti.
Mi massaggiai il punto colpito, fulminandolo con lo sguardo, prima di riprendere in mano la scopa e spazzare tutto quel terreno.
«Luca, forse non capisci: ama un altro. Lo ama così tanto da sposarlo... E poi che dovrei fare? Fare irruzione in casa sua e dirle Ehy Barbie, comunque ti amo! Immagina la faccia», sputai acido, pungendomi con una rosa che stavo togliendo da sotto il bancone.
Mi misi il pollice in bocca, imprecando mentalmente. Non sapevo se prendermela con il fiore o con quel deficiente di Luca.
«No, no, no ragazzo. Più romantico», disse scuotendo il capo rassegnato, parlando con quel suo dannatissimo accento italiano che mi irritava quasi quanto l'idea di vedere Barbara sposata con un deficiente londinese.
«Ti insegno io», sorrise, tirandomi per un braccio e spingendomi nel magazzino pieno di fiori che erano arrivati quella mattina.
Il forte odore di terreno e insetticida ci riempì le narici, facendoci lacrimare leggermente.
«Lu ma sei impazzito? Lasciami!», provai a scollarmelo di dosso, ma lui mi costrinse su una vecchia sedia di legno, che mi sfilacciò i jeans già rotti e consumati. «Dobbiamo lavorare, non fare stronzate», dissi imbronciato, incrociando le braccia davanti il petto muscoloso, sbuffando sonoramente per fargli capire quanto fossi incazzato.
Ancora stavo pensando alla figura di merda che avevo fatto all'università per colpa di Barbara e, nonostante stessi evitando il più possibile di incontrarla, non potevo impedire a me stesso di appostarmi fuori la porta-finestra del salotto tutte le mattine per vederla fare colazione. Era questa la mia maledizione: non riuscivo proprio ad odiare niente di lei, a parte il fatto che aveva rubato il mio cuore senza neanche saperlo.
«Questo è la chiave del successo!», esclamò Luca, facendomi sobbalzare e tornare alla realtà, mentre mi sventolava davanti gli occhi un telecomando rotto e dai pulsanti sbiaditi.
Inarcai un sopracciglio, guardandolo dal basso verso l'alto con la classica espressione stai-scherzando-vero?! 
«Che c'è?», mi chiese lui curioso, quasi come se stesse reggendo davanti a me un anello di diamanti o una di quelle cose per cui le ragazze impazziscono. 
Un telecomando! Okay Harry, così te lo getta proprio a presso!
«Lu mi prendi per il culo?!», sbraitai incazzato, con i nervi tesi a mille,«Che cazzo ci faccio con telecomando vecchio e logoro?».
Respirai velocemente, cercando di calmare i miei spiriti bollenti che mi inducevano a saltargli a dosso e dargli uno schiaffo per farlo rinsavire. Avevo il sangue che bolliva nelle vene e le orecchie rosse per la rabbia. Una marea di pensieri mi fluttuavano per la testa, tutte con un solo nome: Barbara; e lui che mi diceva che un telecomando era la chiave del mio successo!
Si, Harry, lo sarà se vuoi che ti cacci a calci in culo da casa sua!, pensai ironico, emettendo un ringhio dal fondo della gola.
«Telecomando vecchio e logoro? Harry questo ha permesso alle migliori colonne sonore di farmi scopare qui dentro, anche sulla sedia dove poggi il tuo culo», rise, strizzandomi l'occhio.
Io mi alzi di scatto, disgustato. Eh che cazzo, Lu! Ma fai schifo!! Dannazione.
«Sentiamo, allora, che dovrei fare? Mettere una canzoncina strappalacrime e cimentarmi in un patetico discorso in cui le rivelo che la amo da quando aveva solo undici anni e io come bravo pedofilo ne avevo già diciotto?», chiesi con voce pacata, mentre dentro ero fumante di rabbia.
Il mio sorriso glaciale occupava l'intera faccia e volevo solo dare a pugni qualcuno. Ovviamente quel qualcuno si chiamava Luca!! Coincidenze? Io credo di no.
«Povero me!», disse teatralmente, battendosi una mano sulla fronte dalla pelle scura e leggermente rugosa,«Sono circondato da dilettanti! Bisogna creare.... L'atmosfera»
Sbuffò, mentre si avvicinava ad uno stereo stile anni cinquanta, con ancora le enormi casse ed un'antenna. Pigiò il bottone rosso sul telecomando, facendo diffondere una melodia provocante e bassa. La voce di un uomo, bassa e lontana, si diffuse per le quattro pareti, facendomi rabbrividire.
«Immagina...», disse Luca, chiudendo gli occhi, mentre io mi poggiavo ad un tavolo dietro di me, incrociando braccia e gambe, fissandolo spaesato. Sembrava rincoglionito.
«Lei ti è accanto. Se ne sta seduta lì», ed indicò un punto accanto a me,«Non sa cosa dire ma i suoi occhi ti parlano. Ma non servono le parole sai allora.... Baciala!».
«Cosa....?! No, no! È categorico....», mormorai velocemente, accorgendomi che stava ripetendo le stesse parole della canzone, cantante da quell'uomo dalla voce così roca e sensuale.
«Non ti amerà finché tu non la abbraccerai o bacerai! Stringila e baciala», continuò imperterrito, facendomi girare la testa.
Baciarla? Io.... Lei? E se mi avesse respinto! Luca si avvicinò a me, mettendomi una mano sulla spalla.
«Lu, non posso», deglutii a fatica, guardando altrove,«E se poi dovesse chiudermi fuori dalla sua vita.... Per sempre? Starei peggio di così!», brontolai, scollandomelo di dosso e cominciando a camminare per tutto il perimetro della stanza.
«Forse tu le piaci, ma anche lei non sa come dirlo», ipotizzò lui, mordicchiando l'unghia del suo indice sporco di terra.
Mi girai di scatto, sorpreso. E se avesse ragione? E se stessimo sprecando entrambi il nostro tempo perché ognuno aspettava il momento per dire la verità?
«Tu dici?», chiesi nervoso, mentre lui annuiva,«E... Come... Cioè cosa posso fare?».
«Baciala!», rispose con una scrollata di spalle, facendomi diventare rosso da capo a piedi. Solo che non sapevo se per la rabbia o la vergogna.
«Ma allora sei idiota?! Non posso baciarla», ripetei meccanicamente, dandogli uno schiaffo dietro la nuca.
«Ma perché?!», chiese lui impaziente, seguendomi fuori dalla stanza, dove già c'erano circa una ventina di clienti che aspettavano di pagare.
Grugnii, aprendo la cassa ed iniziando a servire una sfilza di clienti, fra cui ragazze che mi sorridevano timidamente, ma io non le guardavo neanche, troppo impegnato a pensare a due enormi occhi grigi.
«Allora? Perché non puoi baciarla?», mi incalzò Luca, sorridendo ad una biondina che stavo servendo, incartando i suoi fiori.
Lei mi guardò maliziosa, facendomi sgranare gli occhi. No, no! Che cazzo ha capito questa! Le misi velocemente i suoi fiori fra le mani, congedandola con un sorriso e la solita frase alla prossima.
«Perché.... Ho vergogna, okay?», dissi spazientito, mettendo in un vaso delle margherite che una signora sulla cinquantina d'anni mi aveva porto.
Mi sorrise dolcemente, facendomi abbassare il capo imbarazzato. Okay, figura di merda, vai Harry continua!, pensai, pestando un piede a Luca, che imprecò fra i denti.
«Di giovanotti come te ce ne sono davvero pochi», mi disse la donna, armeggiando con il suo borsellino,«Così timidi. Certo, le donne sono attratte dal pericolo, ma solo perché non riescono a capire quanto sia bello vedere un ragazzo arrossire per chiederti un bacio».
Voltai lentamente la testa verso Luca ed entrambi ci guardammo con gli occhi sgranati, imitando la scena di un film. Avevamo due enormi punti interrogativi stampati sulla fronte e se non scoppiai a ridere era solo per rispetto verso la donna.
«Mio marito era così timido. Dovetti baciarlo io al nostro primo appuntamento. Oh, ecco i soldi» continuò, porgendomi le sterline e, senza aspettare il resto, uscì velocemente dal negozio.
«Sentito? Le donne amano gli uomini timidi», mi sorrise Luca, dandomi una gomitata nello stomaco.
«Mi. Fai. Male», scandii ogni singola parola, picchiandogli una bottiglietta di insetticida sulla testa, facendogli spuntare un bernoccolo.
«Ahi, cazzo Hazza! Fa male», si lagnò, massaggiandosi la testa dolorante, con le lacrime agli occhi.
«Ecco, appunto.», gli sorrisi bastardamente, pulendomi le mani sul jeans e uscendo da dietro il bancone.
«Dove vai?», chiesi stupito Luca, mentre un uomo cercava di richiamare la sua attenzione,«Aspetti, non vede che è importante?», sputò acido.
Ridacchiai, mettendomi gli occhiali da sole davanti gli occhi per il forte sole che c'era quella mattina.
«A baciarla», risposi con ovvietà e, prima di uscire definitivamente, sentii il mio amico urlare dalla gioia e saltare con un bambino, più eccitato di me.
«Ricorda: l'atmosfera giusta!!», mi urlò da dietro, mentre balzavo in macchina con un enorme sorriso stampato sulle labbra.
Parcheggiai distrattamente la macchina fuori il vialetto di casa sua, respirando profondamente.
Era tutto così maledettamente difficile, ma sembrava anche la cosa giusta da fare.... O almeno credevo.
Afferrai la rosa, che mi ero portato dietro, dal sedile, sistemandomi come uno sciocco ragazzino i capelli ricci, tirandoli indietro con la solita fascia avvolta intorno la fronte.
Sembri un barbone, mi suggerì la mia vocina interiore, facendomi alzare gli occhi al cielo con disappunto. 
Okay... E allora!? Se non la bacio non ci perdo solo io, ma anche tu stronza!, mi ritrovai a pensare da solo, facendo un animato dibattito con me stesso, pur di rimandare il più possibile il momento in cui avrei dovuto dirle la verità.
«Okay, okay! Sono pronto!», esclamai, battendo le mani fra di loro e mettendomi la rosa sotto il braccio per aprire la portiera.
Il cielo si era fatto più scuro e sembrava volesse piovere da un momento all'altro, cosa strana dato che aveva fatto una settimana di sole e caldo asfissiante. Holmes Chapel non era mai stata così bella.
Sorrisi fra me e me, iniziando a camminare nervosamente verso il giardino: da lì sarei entrato per la porta-finestra sempre aperta, prima di correre in casa sua e dirle che la amavo con tutto me stesso, che non le serviva a niente sposarsi con un mongoloide sudista del cazzo, che io potevo amarla anche più di lui, portarla via e...
«No, Harry, aspetta!», mormorai, bloccandomi sul posto e lisciando i bordi della maglietta sporca di terreno,«Devi pensare a un modo carino per dirglielo. Così la fai scappare».
Annuii fra me e me, continuando a camminare.
«Ciao Barbara, ti amo e ho deciso che da oggi in poi staremo insieme», dissi facendo finta che lei fosse davanti a me, protendendo la rosa davanti il mio petto.
Mi fermai nuovamente, sorridendo come un cretino all'aria che si stava rinfrescando.
«No, no», tornai in me, scuotendo energicamente il capo,«Così suona come un obbligo e io non voglio che si senta costretta. La nostra sarà la storia di amore più bella ed originale del mondo! Si», constatai a me stesso, riprendendo a camminare.
Ero quasi arrivato al giardino e ancora non sapevo come parlarle, così rallentai  muovendo lentamente i piedi sul vialetto.
«Barbara senti il giardino è quasi finito. Che te ne pare? Ah, comunque ti amo da quando avevi solo undici anni», dissi serio, aggrottando la fronte abbronzata.
Un leggero vento mi trapassò, facendomi rabbrividire tutto, da capo a piedi, mentre un enorme peso sullo stomaco sembrava tirarmi verso il basso.
«N-no», balbettai, cercando di scacciare quello strano nodo alla gola che provavo,«È patetico!».
Sbuffai, ero arrivato e dovevo decidermi. Ora o mai più. La amavo e Alabastro, o come cazzo si chiamava, non poteva portarmela via. Io la conoscevo da più tempo ed era mia da quando era nata. Ero stato io il primo a prenderla in braccio e io sarei stato il primo a sposarla e sarei stato l'unico padre dei suoi figli. Lei ne voleva tanti, o almeno così diceva quando era piccola. E li avrebbe avuti, ma da me. Sarebbero somigliati a lei, con i miei occhi però, così si sarebbe sempre ricordata quanto la amavo.
«Okay! Combattente!», saltellai sul posto, rievocando le parole del mio amico,«Dirò: ciao Barbara io.... No, ciao no, fa schifo!», dissi velocemente, iniziando a sudare freddo, anche se non sapevo bene per quale motivo. 
Girai la rosa sgualcita fra le mie dita e qualche petalo cadde ai miei piedi, facendomi venire voglia di piangere. 
No, Harry, che cazzo piangi? Le stai per chiedere di essere tua, dovresti essere felicissimo! 
Certo, ma allora perché sentivo il cuore fermarsi e battere a fatica?
«Barbara senti, le cose stanno così: ti amo e.... No! Come faccio?», sbuffai pesantemente.
Mi aggiustai la fascia, scostando qualche riccio ribelle dalla fronte.
«Basta, lascio tutto al caso!», esclamai convinto, sorridendo vittorioso per la mia scelta saggia.
Feci qualche passo avanti, sbucando finalmente nel giardino enorme e curato. Le piante che avevo sistemato sembravano fiorire bene.
La vidi. Stava correndo e il vento le scompigliava i capelli. Sorrisi teneramente, pronto ad afferrala, baciarla.
«Barbara senti io...», dissi abbassando sempre più la voce e fermando i miei piedi al suolo.
Grosse gocce d'acqua iniziarono a scendere dal cielo, bagnando i nostri corpi. 
Lei era lì, che stringeva le braccia al collo di un ragazzo che non ero io. Lui la sollevò da terra, facendole fare una giravolta in aria, con le labbra incollate alle sue.
«Io... Vedi Barbara... Io penso che...», deglutii a fatica, mentre lasciavo cadere la rosa ai miei piedi, provocando un rumore sordo.
Li vidi ridere quando una goccia di pioggia colpì il volto di lei. Aveva quel sorriso che a me non avrebbe mai rivolto; lo stomaco sembrava una poltiglia e la lingua annodata mi impediva persino di respirare. Il mio cuore era così rotto che dubitavo si sarebbe ricomposto ancora una volta.
Deglutivo a vuoto come un totale cretino e, anche se avevo promesso che mai l'avrei fatto per lei, a causa sua, piansi e le lacrime salate si confondevano con la pioggia che scendeva più fitta.
Lui le afferrò la mano e, insieme, corsero in casa, sparendo dalla mia visuale.
«Ciao Barbara, vedi mi hai spezzato il cuore ancora di più. Ma non preoccuparti, ci sono abituato», scrollai le spalle, facendo fatica a parlare fra i singhiozzi.
Mi avvicinai maggiormente alla porta finestra, vedendoli parlare e sorridere gioiosamente, come se avessero aspettato tanto solo per guardare uno negli occhi dell'altro.
«Ah, comunque volevo dirti che ti amo, così tanto che non mi importa se mi fai del male ogni giorno di più, cioè.... Tanto il mio cuore è tuo e puoi giocarci ancora un po', perché penso che qualche frammento da calpestare ci sia rimasto».
I capelli iniziarono a bagnarsi ed attaccarsi alla nuca, procurandomi fastidio. Sapevo che mi sarei beccato una febbre a quarantatré, ma proprio non riuscivo ad andarmene.
«Non preoccuparti per me. Davvero, sto bene. Se solo potessi svegliarmi lontano da qui e pensare che tutto questo sia un sogno, iniziare da capo, non mi vedresti più qui a piangere e non ti direi che preferirei svegliarmi con un'amnesia e dimenticarmi di tutti quei piccoli tocchi o sguardi che mi hanno fatto innamorare di te», singhiozzai forte, mordendomi un labbro per non sembrare troppo patetico.
Un tuono mi fece sobbalzare e strinsi le braccia intorno il mio busto, come se volessi tenermi attaccato ed evitare di crollare a pezzi su quel fottuto terreno bagnato. Cosa c'era che in me non andava? Perché non poteva amarmi come amava lui?
«Posso dirti la verità Barbie?», dissi ancora ad alta voce, perché mi sentivo bene parlandole oltre quel vetro, nonostante lei non mi notasse e continuasse a fissare lui come se fosse la cosa più importante del mondo.
«Okay», sospirai sorridendo a fatica,«La verità è che non sto affatto bene. L'università, tu.... Sembrate sfuggirmi dalle mani».
Calpestai la rosa, pentendomene subito. Non era colpa sua, ma mia. Ero io difettoso, sempre troppo immaturo ed intrappolato nelle mie fantasie.
«Bene piccolina, adesso penso sia meglio andare. Ti amo e avrei dovuto baciarti, ma evidentemente le nostre labbra non si toccheranno più e si accontenteranno del ricordo di quel banale sfioramento, che mi ha fatto saltare il cuore in aria. Ah, ti prego, a lui, il mio cuore, trattalo bene. Non sembra, lo so, ma è davvero debole e», un singhiozzo forte mi fece bloccare, mentre una lacrima più salata e pesante del solito rigava la mia guancia,«E non riesce a incassare ogni colpo».
Mi dondolai per un po' sui piedi, come un bambino a cui è stato negato di salire sull'altalena. Poi, allungai una mano verso la sua figura lontana, come se fossi capace di afferrarla.
«Bene. Ciao Nanetta», sussurrai, pulendomi il naso gocciolante con la mano zuppa. Il vento iniziò a soffiare più forte e dovetti correre nella mia macchina per evitare la polmonite.
Fissai per un po' la strada davanti a me, prima di partire verso casa, sperando che mia madre fosse uscita. Non mi andava che mi vedesse ancora una volta in quelle pessime condizioni.
Le uniche persone a sapere quello che provavo per Barbara erano lei, Lily e mia sorella Gemma che, sfortunatamente, non sarebbe tornata dall'America prima di due settimane.
Meglio, pensai, non mi va di parlare con nessuno, ne di essere consolato.
E, con questi pensieri, mi chiusi nella mia stanza per tutto il resto della giornata, piangendo persino la mia anima lacerata.
Nota Autrice:
Saaaalve! Ecco il capitolo di cui vi ho parlato la scorsa volta. È stato leggermente difficile scriverlo, perché non è semplice far capire quanto si senta a pezzi una persona nel momento in cui vede il suo amore fra le braccia di uno che non è lui. Però allo stesso tempo per me è stato anche uno sfogo la stesura del capitolo, perché tutto ciò che prova Harry l'ho provato io con un ragazzo sabato sera, quando siamo usciti e lui abbracciava tutte le ragazze che conosceva, con le maglie attillate e i rossetti rossi. Ho pianto più di Harry, ma mio padre (che io adoro) mi ha detto una cosa fondamentale: è semplice amare qualcuno che a sua volta ci ama, mentre ci vuole coraggio nel perseguire a sperare in un amore distruttivo.

 

«È inutile, Luca. Si sposa. Continuandole a correre dietro non ci risolverò mai niente», sbuffai  mettendo in ordine il casino dentro il negozio di fiori, pieno di petali sparsi qua e là.

«Cosa? No! Harry se ti arrendi non ci risolverai mai niente! Combattente!», esclamò, dandomi un pugno sulla spalla, facendomi barcollare leggermente in avanti.

Mi massaggiai il punto colpito, fulminandolo con lo sguardo, prima di riprendere in mano la scopa e spazzare tutto quel terreno.

«Luca, forse non capisci: ama un altro. Lo ama così tanto da sposarlo... E poi che dovrei fare? Fare irruzione in casa sua e dirle Ehy Barbie, comunque ti amo! Immagina la faccia», sputai acido, pungendomi con una rosa che stavo togliendo da sotto il bancone.

Mi misi il pollice in bocca, imprecando mentalmente. Non sapevo se prendermela con il fiore o con quel deficiente di Luca.

«No, no, no ragazzo. Più romantico», disse scuotendo il capo rassegnato, parlando con quel suo dannatissimo accento italiano che mi irritava quasi quanto l'idea di vedere Barbara sposata con un deficiente londinese. «Ti insegno io», sorrise, tirandomi per un braccio e spingendomi nel magazzino pieno di fiori che erano arrivati quella mattina.

Il forte odore di terreno e insetticida ci riempì le narici, facendoci lacrimare leggermente.

«Lu ma sei impazzito? Lasciami!», provai a scollarmelo di dosso, ma lui mi costrinse su una vecchia sedia di legno, che mi sfilacciò i jeans già rotti e consumati. «Dobbiamo lavorare, non fare stronzate», dissi imbronciato, incrociando le braccia davanti il petto muscoloso, sbuffando sonoramente per fargli capire quanto fossi incazzato.

Ancora stavo pensando alla figura di merda che avevo fatto all'università per colpa di Barbara e, nonostante stessi evitando il più possibile di incontrarla, non potevo impedire a me stesso di appostarmi fuori la porta-finestra del salotto tutte le mattine per vederla fare colazione. Era questa la mia maledizione: non riuscivo proprio ad odiare niente di lei, a parte il fatto che aveva rubato il mio cuore senza neanche saperlo.

«Questo è la chiave del successo!», esclamò Luca, facendomi sobbalzare e tornare alla realtà, mentre mi sventolava davanti gli occhi un telecomando rotto e dai pulsanti sbiaditi. Inarcai un sopracciglio, guardandolo dal basso verso l'alto con la classica espressione stai-scherzando-vero?! 

«Che c'è?», mi chiese lui curioso, quasi come se stesse reggendo davanti a me un anello di diamanti o una di quelle cose per cui le ragazze impazziscono. 

Un telecomando! Okay Harry, così te lo getta proprio a presso!

 «Lu mi prendi per il culo?!», sbraitai incazzato, con i nervi tesi a mille,«Che cazzo ci faccio con telecomando vecchio e logoro?».

Respirai velocemente, cercando di calmare i miei spiriti bollenti che mi inducevano a saltargli a dosso e dargli uno schiaffo per farlo rinsavire. Avevo il sangue che bolliva nelle vene e le orecchie rosse per la rabbia. Una marea di pensieri mi fluttuavano per la testa, tutte con un solo nome: Barbara; e lui che mi diceva che un telecomando era la chiave del mio successo! Si, Harry, lo sarà se vuoi che ti cacci a calci in culo da casa sua!, pensai ironico, emettendo un ringhio dal fondo della gola.

«Telecomando vecchio e logoro? Harry questo ha permesso alle migliori colonne sonore di farmi scopare qui dentro, anche sulla sedia dove poggi il tuo culo», rise, strizzandomi l'occhio.

Io mi alzi di scatto, disgustato. Eh che cazzo, Lu! Ma fai schifo!! Dannazione. «Sentiamo, allora, che dovrei fare? Mettere una canzoncina strappalacrime e cimentarmi in un patetico discorso in cui le rivelo che la amo da quando aveva solo undici anni e io come bravo pedofilo ne avevo già diciotto?», chiesi con voce pacata, mentre dentro ero fumante di rabbia.

Il mio sorriso glaciale occupava l'intera faccia e volevo solo dare a pugni qualcuno. Ovviamente quel qualcuno si chiamava Luca!! Coincidenze? Io credo di no.

 «Povero me!», disse teatralmente, battendosi una mano sulla fronte dalla pelle scura e leggermente rugosa,«Sono circondato da dilettanti! Bisogna creare.... L'atmosfera».

Sbuffò, mentre si avvicinava ad uno stereo stile anni cinquanta, con ancora le enormi casse ed un'antenna. Pigiò il bottone rosso sul telecomando, facendo diffondere una melodia provocante e bassa. La voce di un uomo, bassa e lontana, si diffuse per le quattro pareti, facendomi rabbrividire.

«Immagina...», disse Luca, chiudendo gli occhi, mentre io mi poggiavo ad un tavolo dietro di me, incrociando braccia e gambe, fissandolo spaesato. Sembrava rincoglionito.«Lei ti è accanto. Se ne sta seduta lì», ed indicò un punto accanto a me,«Non sa cosa dire ma i suoi occhi ti parlano. Ma non servono le parole sai allora.... Baciala!».

«Cosa....?! No, no! È categorico....», mormorai velocemente, accorgendomi che stava ripetendo le stesse parole della canzone, cantante da quell'uomo dalla voce così roca e sensuale.

«Non ti amerà finché tu non la abbraccerai o bacerai! Stringila e baciala», continuò imperterrito, facendomi girare la testa.

Baciarla? Io.... Lei? E se mi avesse respinto? 

 Luca si avvicinò a me, mettendomi una mano sulla spalla.

«Lu, non posso», deglutii a fatica, guardando altrove,«E se poi dovesse chiudermi fuori dalla sua vita.... Per sempre? Starei peggio di così!», brontolai, scollandomelo di dosso e cominciando a camminare per tutto il perimetro della stanza.

«Forse tu le piaci, ma anche lei non sa come dirlo», ipotizzò lui, mordicchiando l'unghia del suo indice sporco di terra.

Mi girai di scatto, sorpreso. E se avesse ragione? E se stessimo sprecando entrambi il nostro tempo perché ognuno aspettava il momento per dire la verità?

«Tu dici?», chiesi nervoso, mentre lui annuiva,«E... Come... Cioè cosa posso fare?».«Baciala!», rispose con una scrollata di spalle, facendomi diventare rosso da capo a piedi.

Solo che non sapevo se per la rabbia o la vergogna.«Ma allora sei idiota?! Non posso baciarla», ripetei meccanicamente, dandogli uno schiaffo dietro la nuca.

«Ma perché?!», chiese lui impaziente, seguendomi fuori dalla stanza, dove già c'erano circa una ventina di clienti che aspettavano di pagare. Grugnii, aprendo la cassa ed iniziando a servire una sfilza di clienti, fra cui ragazze che mi sorridevano timidamente, ma io non le guardavo neanche, troppo impegnato a pensare a due enormi occhi grigi.

«Allora? Perché non puoi baciarla?», mi incalzò Luca, sorridendo ad una biondina che stavo servendo, incartando i suoi fiori.

Lei mi guardò maliziosa, facendomi sgranare gli occhi. No, no! Che cazzo ha capito questa!

Le misi velocemente i suoi fiori fra le mani, congedandola con un sorriso e la solita frase alla prossima.

«Perché.... Ho vergogna, okay?», dissi spazientito, mettendo in un vaso delle margherite che una signora sulla cinquantina d'anni mi aveva porto.

Mi sorrise dolcemente, facendomi abbassare il capo imbarazzato. Okay, figura di merda, vai Harry continua!, pensai, pestando un piede a Luca, che imprecò fra i denti.

«Di giovanotti come te ce ne sono davvero pochi», mi disse la donna, armeggiando con il suo borsellino,«Così timidi. Certo, le donne sono attratte dal pericolo, ma solo perché non riescono a capire quanto sia bello vedere un ragazzo arrossire per chiederti un bacio».

Voltai lentamente la testa verso Luca ed entrambi ci guardammo con gli occhi sgranati, imitando la scena di un film. Avevamo due enormi punti interrogativi stampati sulla fronte e se non scoppiai a ridere era solo per rispetto verso la donna.

«Mio marito era così timido. Dovetti baciarlo io al nostro primo appuntamento. Oh, ecco i soldi» continuò, porgendomi le sterline e, senza aspettare il resto, uscì velocemente dal negozio.

«Sentito? Le donne amano gli uomini timidi», mi sorrise Luca, dandomi una gomitata nello stomaco.«

Mi. Fai. Male», scandii ogni singola parola, picchiandogli una bottiglietta di insetticida sulla testa, facendogli spuntare un bernoccolo.

«Ahi, cazzo Hazza! Fa male», si lagnò, massaggiandosi la testa dolorante, con le lacrime agli occhi.

«Ecco, appunto.», gli sorrisi bastardamente, pulendomi le mani sul jeans e uscendo da dietro il bancone.

«Dove vai?», chiesi stupito Luca, mentre un uomo cercava di richiamare la sua attenzione,«Aspetti, non vede che è importante?», sputò acido.

Ridacchiai, mettendomi gli occhiali da sole davanti gli occhi per il forte sole che c'era quella mattina.«A baciarla», risposi con ovvietà e, prima di uscire definitivamente, sentii il mio amico urlare dalla gioia e saltare con un bambino, più eccitato di me.

«Ricorda: l'atmosfera giusta!!», mi urlò da dietro, mentre balzavo in macchina con un enorme sorriso stampato sulle labbra.

 

 

Parcheggiai distrattamente la macchina fuori il vialetto di casa sua, respirando profondamente. Era tutto così maledettamente difficile, ma sembrava anche la cosa giusta da fare.... O almeno credevo.

Afferrai la rosa, che mi ero portato dietro, dal sedile, sistemandomi come uno sciocco ragazzino i capelli ricci, tirandoli indietro con la solita fascia avvolta intorno la fronte.

Sembri un barbone, mi suggerì la mia vocina interiore, facendomi alzare gli occhi al cielo con disappunto. Okay... E allora!? Se non la bacio non ci perdo solo io, ma anche tu stronza!, mi ritrovai a pensare da solo, facendo un animato dibattito con me stesso, pur di rimandare il più possibile il momento in cui avrei dovuto dirle la verità.

«Okay, okay! Sono pronto!», esclamai, battendo le mani fra di loro e mettendomi la rosa sotto il braccio per aprire la portiera.

Il cielo si era fatto più scuro e sembrava volesse piovere da un momento all'altro, cosa strana dato che aveva fatto una settimana di sole e caldo asfissiante. Holmes Chapel non era mai stata così bella. Sorrisi fra me e me, iniziando a camminare nervosamente verso il giardino: da lì sarei entrato per la porta-finestra sempre aperta, prima di correre in casa sua e dirle che la amavo con tutto me stesso, che non le serviva a niente sposarsi con un mongoloide del cazzo, che io potevo amarla anche più di lui, portarla via e...«

No, Harry, aspetta!», mormorai, bloccandomi sul posto e lisciando i bordi della maglietta sporca di terreno,«Devi pensare a un modo carino per dirglielo. Così la fai scappare».

Annuii fra me e me, continuando a camminare.«Ciao Barbara, ti amo e ho deciso che da oggi in poi staremo insieme», dissi facendo finta che lei fosse davanti a me, protendendo la rosa davanti il mio petto.

Mi fermai nuovamente, sorridendo come un cretino all'aria che si stava rinfrescando.«No, no», tornai in me, scuotendo energicamente il capo,«Così suona come un obbligo e io non voglio che si senta costretta. La nostra sarà la storia di amore più bella ed originale del mondo! Si», constatai a me stesso, riprendendo a camminare.

Ero quasi arrivato al giardino e ancora non sapevo come parlarle, così rallentai  muovendo lentamente i piedi sul vialetto. «Barbara senti il giardino è quasi finito. Che te ne pare? Ah, comunque ti amo da quando avevi solo undici anni», dissi serio, aggrottando la fronte abbronzata.

Un leggero vento mi trapassò, facendomi rabbrividire tutto, da capo a piedi, mentre un enorme peso sullo stomaco sembrava tirarmi verso il basso.

«N-no», balbettai, cercando di scacciare quello strano nodo alla gola che provavo,«È patetico!».

Sbuffai, ero arrivato e dovevo decidermi. Ora o mai più. La amavo e Alabastro, o come cazzo si chiamava, non poteva portarmela via. Io la conoscevo da più tempo ed era mia da quando era nata. Ero stato io il primo a prenderla in braccio e io sarei stato il primo a sposarla e sarei stato l'unico padre dei suoi figli. Lei ne voleva tanti, o almeno così diceva quando era piccola. E li avrebbe avuti, ma da me. Sarebbero somigliati a lei, con i miei occhi però, così si sarebbe sempre ricordata quanto la amavo.

«Okay! Combattente!», saltellai sul posto, rievocando le parole del mio amico,«Dirò: ciao Barbara io.... No, ciao no, fa schifo!», dissi velocemente, iniziando a sudare freddo, anche se non sapevo bene per quale motivo. 

Girai la rosa sgualcita fra le mie dita e qualche petalo cadde ai miei piedi, facendomi venire voglia di piangere.

 No, Harry, che cazzo piangi? Le stai per chiedere di essere tua, dovresti essere felicissimo! Certo, ma allora perché sentivo il cuore fermarsi e battere a fatica?

«Barbara senti, le cose stanno così: ti amo e.... No! Come faccio?», sbuffai pesantemente.

Mi aggiustai la fascia, scostando qualche riccio ribelle dalla fronte.

«Basta, lascio tutto al caso!», esclamai convinto, sorridendo vittorioso per la mia scelta saggia.

Feci qualche passo avanti, sbucando finalmente nel giardino enorme e curato. Le piante che avevo sistemato sembravano fiorire bene.La vidi. Stava correndo e il vento le scompigliava i capelli. Sorrisi teneramente, pronto ad afferrala, baciarla.

«Barbara senti io...», dissi abbassando sempre più la voce e fermando i miei piedi al suolo.

Grosse gocce d'acqua iniziarono a scendere dal cielo, bagnando i nostri corpi. Lei era lì, che stringeva le braccia al collo di un ragazzo che non ero io. Lui la sollevò da terra, facendole fare una giravolta in aria, con le labbra incollate alle sue.

«Io... Vedi Barbara... Io penso che...», deglutii a fatica, mentre lasciavo cadere la rosa ai miei piedi, provocando un rumore sordo.

Li vidi ridere quando una goccia di pioggia colpì il volto di lei. Aveva quel sorriso che a me non avrebbe mai rivolto; lo stomaco sembrava una poltiglia e la lingua annodata mi impediva persino di respirare. Il mio cuore era così rotto che dubitavo si sarebbe ricomposto ancora una volta. Deglutivo a vuoto come un totale cretino e, anche se avevo promesso che mai l'avrei fatto per lei, a causa sua, piansi e le lacrime salate si confondevano con la pioggia che scendeva più fitta. Lui le afferrò la mano e, insieme, corsero in casa, sparendo dalla mia visuale.

«Ciao Barbara, vedi mi hai spezzato il cuore ancora di più. Ma non preoccuparti, ci sono abituato», scrollai le spalle, facendo fatica a parlare fra i singhiozzi.

Mi avvicinai maggiormente alla porta finestra, vedendoli parlare e sorridere gioiosamente, come se avessero aspettato tanto solo per guardare uno negli occhi dell'altro.

«Ah, comunque volevo dirti che ti amo, così tanto che non mi importa se mi fai del male ogni giorno di più, cioè.... Tanto il mio cuore è tuo e puoi giocarci ancora un po', perché penso che qualche frammento da calpestare ci sia rimasto».

I capelli iniziarono a bagnarsi ed attaccarsi alla nuca, procurandomi fastidio. Sapevo che mi sarei beccato una febbre a quarantatré, ma proprio non riuscivo ad andarmene.

«Non preoccuparti per me. Davvero, sto bene. Se solo potessi svegliarmi lontano da qui e pensare che tutto questo sia un sogno, iniziare da capo, non mi vedresti più qui a piangere e non ti direi che preferirei svegliarmi con un'amnesia e dimenticarmi di tutti quei piccoli tocchi o sguardi che mi hanno fatto innamorare di te», singhiozzai forte, mordendomi un labbro per non sembrare troppo patetico.

Un tuono mi fece sobbalzare e strinsi le braccia intorno il mio busto, come se volessi tenermi attaccato ed evitare di crollare a pezzi su quel fottuto terreno bagnato. Cosa c'era che in me non andava? Perché non poteva amarmi come amava lui?

«Posso dirti la verità Barbie?», dissi ancora ad alta voce, perché mi sentivo bene parlandole oltre quel vetro, nonostante lei non mi notasse e continuasse a fissare lui come se fosse la cosa più importante del mondo.

«Okay», sospirai sorridendo a fatica,«La verità è che non sto affatto bene. L'università, tu.... Sembrate sfuggirmi dalle mani».

Calpestai la rosa, pentendomene subito. Non era colpa sua, ma mia. Ero io difettoso, sempre troppo immaturo ed intrappolato nelle mie fantasie.

«Bene piccolina, adesso penso sia meglio andare. Ti amo e avrei dovuto baciarti, ma evidentemente le nostre labbra non si toccheranno più e si accontenteranno del ricordo di quel banale sfioramento, che mi ha fatto saltare il cuore in aria. Ah, ti prego, a lui, il mio cuore, trattalo bene. Non sembra, lo so, ma è davvero debole e», un singhiozzo forte mi fece bloccare, mentre una lacrima più salata e pesante del solito rigava la mia guancia,«E non riesce a incassare ogni colpo».

Mi dondolai per un po' sui piedi, come un bambino a cui è stato negato di salire sull'altalena. Poi, allungai una mano verso la sua figura lontana, come se fossi capace di afferrarla.

«Bene. Ciao Nanetta», sussurrai, pulendomi il naso gocciolante con la mano zuppa.

Il vento iniziò a soffiare più forte e dovetti correre nella mia macchina per evitare la polmonite.

Fissai per un po' la strada davanti a me, prima di partire verso casa, sperando che mia madre fosse uscita. Non mi andava che mi vedesse ancora una volta in quelle pessime condizioni. Le uniche persone a sapere quello che provavo per Barbara erano lei, Lily e mia sorella Gemma che, sfortunatamente, non sarebbe tornata dall'America prima di due settimane. Meglio, pensai, non mi va di parlare con nessuno, ne di essere consolato.E, con questi pensieri, mi chiusi nella mia stanza per tutto il resto della giornata, piangendo persino la mia anima lacerata.

 

Nota Autrice:

Saaaalve! Ecco il capitolo di cui vi ho parlato la scorsa volta. È stato leggermente difficile scriverlo, perché non è semplice far capire quanto si senta a pezzi una persona nel momento in cui vede il suo amore fra le braccia di uno che non è lui. 
Comunque.... Scusate se vi faccio aspettare tanto, ma la scuola mi tiene davvero impegnata. Spero che il capitolo vi piaccia e vi prometto che cercherò di aggiornare presto.

vi lascio una piccola anticipazione del prossimo capitolo: 

 

«Guarda che sono capace di camminare su dei tacchi», sputai acida, muovendo nervosamente i piedi nudi e penzolanti, sfiorando involontariamente le sue gambe fasciate dai jeans. 

Arrossii.

«Oh, certo, non ne dubito», sghignazzò e, fissandomi intensamente negli occhi, si piegò sul pavimento, inginocchiandosi davanti a me.

Sfiorò con i polpastrelli delle dita affusolate la mia caviglia, facendomi trasalire quando la strinse e la portò dolcemente verso di se, osservando il mio piccolo piede.

Mossi convulsamente le dita, irrequieta, vedendolo alzare maggiormente l'angolo destra della bocca, in un sorriso malinconico.

«Harry?», lo richiamai dubbiosa, ma lui mi ignorò, posando le labbra sul dorso del piede sinistro, facendomi battere il cuore all'impazzata.

Il sangue fluì più velocemente nelle vene, colorandomi le orecchie di un fastidioso ed orrendo rosso porpora. Alzò lentamente gli occhi verso di me, facendomi affogare in quel verde così chiaro.

Poi, con un gesto dolce e studiato, infilò la scarpa al mio piede, sorridendo nuovamente. 

«Adesso è un po' come Cenerentola.... No?», disse semplicemente, scrollando le spalle.

Era la cosa più dolce che un ragazzo mi avesse mai detto. Neanche Alan si era mai inginocchiato per allacciarmi una scarpa per strada e Harry mi conosceva così bene da sapere anche che Cenerentola era l'unico cartone Disney che mi fosse piaciuto davvero da bambina.

«Io... Si, Harry, credo di si», ridacchiai, guardando estasiata il modo in cui la scarpa fasciava il mio piede sinistro.

«Adesso però dovrei portarti a palazzo. Fuori c'è la tua zucca marcia», mi prese in giro, dalla sua posizione.

La caviglia era ancora stretta fra le sue mani calde e grandi e non accennava a lasciarla.

Mi piegai verso di lui con il busto, mettendo le mani aperte sul materasso occupato dalla gonna del vestito, sentendo il suo respiro sulle labbra.

«Guarda che la zucca era una carrozza fantastica», dissi altezzosa, inclinando leggermente la testa di lato, facendo sfiorare i nostri nasi.

Deglutii a fatica, mentre le gambe diventavano molli e la caviglia bruciava sotto il tocco del riccio, che continuò ad avvicinare le nostre labbra.

Vidi le sue palpebre abbassarsi, finché non chiuse definitivamente gli occhi, respirando affannosamente, con la testa leggermente alzata ed inclinata per arrivare alla mia bocca.

 

 

  
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