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Autore: Rosalie97    08/10/2014    3 recensioni
[IN REVISIONE]
Sono passati quattro anni da quando è scoppiato il caos, da quando il destino della razza umana ha subito una drastica svolta. Niente è più lo stesso, soprattutto negli Stati Uniti e nel Canada, regnati dal Governatore, una creatura spietata e priva di compassione.
Dakota conosce bene quell'uomo, e prova immenso disgusto verso di lui. Vuole vendicarsi per ciò che le ha fatto, per ciò che la ha costretta a passare.
Nel suo cuore non alberga altro che odio, ed è decisa ad ucciderlo. Ma cosa succederà, quando finalmente le si presenterà l'occasione di eliminarlo?
Cosa farà quando verrà a scoprire il più oscuro segreto del suo nemico? Riuscirà finalmente ad attuare la sua vendetta o il destino le giocherà un brutto scherzo e la farà sprofondare nel buio vortice dell'amore?
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Questo è il sequel di The Bad Boy, e narra le vicende che accadono ai superstiti di Total Drama quattro anni dopo l'arrivo del ciclone. (Non è necessario leggere il prequel, ma lo consiglio per capire meglio gli avvenimenti).
Genere: Guerra, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Chris McLean, Dakota, Jasmine, Max, Scarlett | Coppie: Alejandro/Heather
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
Capitoli:
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4.Goodbye, Paceful





Un mese dopo

 
La ragazza alzò gli occhi verso il cielo, che in quel preciso momento pareva un’infinita distesa azzurra striata di nuvole bianche ed impalpabili. Con una mano dalla pelle pallida e sudata, scostò una grande foglia della pianta rampicante che in quel luogo cresceva ovunque e si fondeva con i tronchi degli alti alberi la cui corteccia era marrone scuro e dura come l’acciaio. Inspirò a fondo, respirando quell’aria pulita.
“Forse” pensava spesso, “la fine del mondo come lo conoscevamo non è stata una cosa così negativa”.
Dopotutto, ora per lei la vita era tranquilla, non c’erano più l’inquinamento luminoso e quello acustico ed ovunque non c’erano nemmeno più i rifiuti che tempo addietro la gente era solita ammassare qua e là. E certo, ovviamente non era tutto rosa e fiori, lo ammetteva, soprattutto ora che era arrivato quello straniero.
Che cosa voleva da lei?
<< Vieni spesso qui >> disse la voce di lui, ed il giovane comparve da dietro il fogliame. Lei sospirò.
<< Sì può sapere che vuoi? >>
<< La prossima volta cammina meno veloce, è difficile starti dietro, sai? >>
<< Non ti è passata per la mente l’idea che forse io non volevo che tu mi seguissi? >> replicò lei acidamente, con un tono che le ricordò una ragazza che non vedeva da molto tempo, che era quasi stata sua amica.
<< Ah >> disse lui, << quel tono… Non lo sentivo da molto tempo… Mi ricorda Heather. >>
<< Non è una cosa molto gentile da dire a qualcuno. >>
<< E tu la conosci bene, Heather >> José sorrise in quel suo modo, simile a quello del fratello, tra il compiaciuto ed il malizioso.
<< Già, la conoscevo. >>
<< Sta bene, ed è felice… O almeno, era sana fisicamente e sentimentalmente stabile quando l’ho lasciata a Toronto >> disse lui. << In quanto a sanità mentale… beh, quella non possiamo dire che la nostra cara asiatica ne sia mai stata in possesso. >> Si guardarono per qualche istante per poi scoppiare entrambi a ridere.
<< Non è una cosa bella da dire >> lei rise ancora.
<< Soprattutto se riferito alla propria migliore amica, ma con Heather è così >> José abbassò gli occhi a terra. << Non mi hai ancora detto perché sei sola. >>
José era giunto a quel bosco da ben una settimana, e ciò che aveva trovato, oltre a tanti alberi e a tanta vegetazione, era stata solamente una casa di legno persa tra il verde nella quale viveva quella giovane ragazza che già in passato aveva conosciuto: Gwen. Era sola, ma lui sapeva, grazie ad Heather, che in precedenza era stata in compagnia di quel punk che aveva partecipato insieme a lei a quel reality: Duncan.
<< Perché mai dovrei dirtelo? >>
<< Perché te l’ho chiesto >> rispose lui, e lei, dopo essere rimasta immobile per qualche istante, sorrise.
<< Duncan… Non lo vedo più da molto tempo. >>
<< Cosa gli è successo? >>
Improvvisamente, Gwen si rabbuiò, lasciò la presa dal ramo accanto alla propria testa e che spuntava dal tronco di un albero e si voltò. Senza dir nulla, cominciò ad allontanarsi tra il fogliame. José sospirò, per poi apprestarsi a seguirla. Aveva intenzione di scoprire ad ogni costo cosa fosse successo di così terribile.

 
Urla spaventate e agitate rimbombavano per le vie della cittadina, mentre di qua e di là bambini piangevano, madri inveivano tenendoli stretti al petto e uomini di ogni età litigavano. Il sindaco ed i suoi sottoposti, in piedi sopra un palco di legno tentavano di tranquillizzare la situazione, ma ogni tentativo era vano.
<< Basta! >> urlò la voce della ragazza che tutti temevano, ed il silenzio calò come il sipario alla fine di uno spettacolo, improvvisamente.
<< Courtney… >> sussurrò qualcuno, in modo spaventato.
<< L’avete finita di fare tutto questo chiasso?! >> urlò. Era in piedi accanto alla fila destra di sedie poste davanti al palco, ed al suo fianco c’era Scott.
<< Ma Courtney, come puoi pretendere che… >> cominciò una giovane madre scattando in piedi. Doveva avere sì e no due o tre anni più di lei, aveva lunghi e lucenti capelli castani color cioccolato fondente ed indossava un lungo vestito rosa. La sua pelle era diafana e priva di imperfezioni. Aveva cominciato a parlare, ma non appena aveva incontrato lo sguardo torvo di Courtney, era taciuta di colpo, deglutendo a fatica per la paura. Erano amiche, ma nessuno poteva sfidare l’ispanica.
Courtney si era limitata a guardarla male, il resto era venuto da sé.
<< Non possiamo farci prendere dal panico >> intervenne Scott con voce molto più calma, tentando di calmare le acque, cosa molto insolita per un tipo come lui, che amava il caos e metter zizzania tra la gente.
<< Sì, Scott ha ragione >> replicò Courtney.
<< Ma siamo in estremo pericolo! >> Urlò una donna, << Come faremo? Non ci pensate ai bambini? >>
Courtney era alquanto stanca della situazione, Paceful era in estremo pericolo, come giustamente aveva detto Lauren, ma non potevano farsi prendere in quel modo dal panico. Il caos non fa che portare ad altro caos, dovevano calmarsi e ragionare, solamente così sarebbero giunti ad una soluzione sensata.
Sospirando, raggiunse il palco, con la sua andatura ancheggiante, e salì senza un minimo di fatica. Da lì in cima, poteva vedere tutti i presenti, i loro volti spaventati, le lacrime che scendevano sui visi ancora innocenti dei bambini, i loro occhi che non avevano mai visto il dolore e la morte.
<< Sentite >> disse, << quegli uomini stanno venendo qui, e saranno a Paceful molto presto… >> fu interrotta dalle voce degli uomini, che urlarono: << Stanotte saranno già qui! >>
<< Lo so >> riprese lei, tentando di trattenersi dal non attaccare tutti coloro che l’avevano interrotta. << Ma siamo qui, e se continuiamo ad urlare gli uni contro gli altri, a starnazzare come un gruppo di oche non finiremo da nessuna parte, è solamente una perdita di tempo. Invece, ciò che dobbiamo fare, è pensare ad un piano che possa salvarci tutti, e possibilmente anche la nostra città. >>
<< Possibilmente? >> disse un uomo, protestando contro ciò che Courtney aveva insinuato, ed altri fecero dei versi di assenso.
<< Sì. Dovete prendere questa possibilità in considerazione. >>
<< Ma Paceful è la nostra città! La nostra casa! >> Intervenne Lauren. << Se la abbandoniamo, dove andremo?! >>
Un branco molto pericoloso di cacciatori di taglie, famosi per la loro sete di sangue, che saziavano con il radere al suolo ogni cittadina che incontravano nel loro cammino, si stava dirigendo verso Paceful. Avevano poco tempo, e solo una possibilità di salvarsi su cento.
<< Dannazione! >> Urlò Courtney allora, facendo tacere tutti. << Quegli uomini sono pericolosi! Nemmeno io potrei fermarli, sono troppi! >>
<< Ma non possiamo lasciare Paceful! Che casa daremmo poi ai nostri figli?! >> Gridò Mercy, una donna sui cinquant’anni che Courtney odiava con tutta se stessa. Mercy si trovava sempre in disaccordo con ciò che sosteneva lei e, puntualmente, gli assensi per la maggior parte erano sempre contro Court.
<< Preferite stare qui a morire?! >>
<< Courtney, questa è la nostra città! >> Gridò Crystal, la giovane madre di prima.
<< Quindi volete restare a morire >> constatò.
<< No, combatteremo >> disse Ruth, una vecchia torva e gobba, una tra i fondatori di Paceful. Si alzò in piedi e guardò male Courtney, che era completamente sconvolta.
La giovane ispanica abbassò il capo, rivolgendo il volto verso il terreno. Scoppiò a ridere piano, amaramente. Quando alzò di nuovo la testa, buttando indietro i capelli, esclamò: << E allora restate a morire! >>
Con un salto scese dal palco e atterrò sul terreno arido e pieno di crepe. L’aria era afosa, in quel deserto che si era creato dal nulla.
<< Avanti, Scott >> disse, rivolgendosi al giovane dai capelli color carota. Tutti li guardavano, chi in modo stupito, chi in modo torvo.
<< “Avanti” cosa? >> Chiese lui.
<< Avanti ce ne andiamo >> e detto questo, Courtney lo superò allontanandosi dalla piazza, per raggiungere casa sua.
* * *
Scott aprì la porta d’entrata della casa che divideva con Courtney e questa si schiantò rumorosamente contro la parete di legno. Il giovane si precipitò dentro e raggiunse la sua futura sposa in camera da letto. Appena una settimana prima stavano facendo tutti i preparativi per il matrimonio, ma li avevano dovuti lasciare in sospeso per gli eventi dell’ultimo giorno appena passato.
<< Cosa hai intenzione di fare? >> disse, mentre lei stava già preparando gli zaini che avrebbero portato con sé.
<< Te l’ho detto. Ce ne andiamo. >>
<< E hai intenzione di lasciare Paceful così, senza protezione? Hai intenzione di abbandonare tutti i nostri amici? >>
Lei alzò lo sguardo e puntò i propri occhi nero ossidiana in quelli grigi di Scott. Era vestita diversamente dal solito. Si era cambiata non appena giunta a casa, vestendosi con abiti comodi per il viaggio che avrebbe subito iniziato al fianco del fidanzato, sempre che lui non ci ripensasse e la lasciasse sola. La larga maglia grigia, dal tessuto sottile e pieno di buchi, era posta sopra ad una canotta bianca, ed i jeans corti e sfilacciati le lasciavano scoperte le gambe. Ai piedi portava degli scarponcini neri che le arrivavano appena sopra le caviglie.
<< Loro >> sottolineò bene la parola, << hanno deciso di restare a morire. Io so per certo che non hanno speranza, nemmeno io avrei speranza contro quegli uomini. Cosa ti fa pensare che ne possano avere loro? >>
<< Magari con te al comando… >>
<< No >> replicò lei interrompendolo. << Non c’è speranza e basta. >>
<< E allora la soluzione è quella di andarsene? >>
<< Vuoi restare a morire?! >> urlò lei, guardandolo fisso negli occhi. Lui non rispose. << Hai solo una scelta da compiere, ora. O vieni con me e ti salvi la vita, o resti qui per essere brutalmente ucciso. >> Nelle iridi nere dell’ispanica passò un’ombra fulminea, << Non hai idea di cosa fanno ai cadaveri, quegli scellerati. >>
Ora la sua voce era più compassionevole, preoccupata. Sul volto di Scott si poteva vedere chiaramente la vera paura.
<< Ti sto offrendo di salvarti, non essere stupido. >>
<< Pensi che riusciremo a salvarci? >>
<< Sì >> disse lei, << se verrai con me riuscirai a salvarti. Ma se resterai qui… >> non finì la frase, lasciandola in sospeso, e facendo chiaramente capire cosa sarebbe altrimenti accaduto.
<< Va bene… Ma… Non pensi agli altri cittadini? >>
<< Vai in piazza. Sali sul palco e comincia ad urlare. Di quello che ti ho detto io, offri loro la salvezza. Dì che chi vuole avere salva la vita ci aspetti al grande cartellone >> parlava del grande cartello di legno che recitava la scritta “Paceful”, posto davanti all’entrata della città.
Scott, senza fiatare, uscì di corsa dalla casa, e Courtney, silenziosamente, riprese a fare quel che stava facendo in precedenza. Sperava che i suoi concittadini fossero più svegli di quel che pareva, e che ad aspettarla avrebbe trovato una gran folla di persone.
* * *
 Ad aspettarla c’erano solamente un ragazzo ed una ragazza. Lei era alta, aveva corti capelli biondi che le arrivavano alle spalle ed il viso era ricoperto di lentiggini, come il suo e quello di Scott. I suoi occhi erano piccoli e azzurri, ed aveva labbra carnose. Indossava una corta maglia nera con stampato l’immagine di un gruppo musicale che l’ispanica non conosceva, dei corti jeans strappati e sfilacciati ed in spalla aveva uno zaino dall’aria pesante. Doveva avere sì e no diciotto anni, e la cacciatrice di teste non aveva idea di chi fosse.
Il ragazzo era alto anche lui, aveva una catasta di riccioli castani che non arrivavano appena oltre il collo, la pelle liscia e priva di imperfezioni, seppur lucida per via del sudore. I suoi occhi erano grandi e verdi, le belle labbra dal taglio serio. Indossava una camicia rosa le cui maniche erano ripiegate, e sotto di essa portava una canotta bianca. I jeans blu che indossava erano stati strappati appena sopra le ginocchia, ed erano sbiaditi. Anche lui aveva con sé uno zaino dall’aria pesante, e pareva avere la stessa età della ragazza.
<< Chi siete? >> chiese. I due si guardarono, chiaramente preoccupati. Nemmeno loro davano l’impressione di conoscersi, ma la cosa non era strana. Paceful era una piccola cittadina dispersa nel deserto, ma le anime che ci vivevano erano oltre centoventi. Non tutti si conoscevano, e le voci non giravano come in qualunque altro luogo. Ognuno si faceva per lo più gli affari propri e non perdeva tempo a stringere amicizia con altra gente quando aveva del lavoro da fare.
<< Io sono Natasha >> disse la giovane bionda, guardando gli altri tre presenti. << Ho diciotto anni, compiuti da poco. >> Dopo che ebbe finito di parlare, il silenzio tornò a regnare.
<< E tu sei? >> Intervenne Courtney guardando il ragazzo.
<< Io sono Nathan >> rispose lui.
<< Siete soli? >> chiese Court dopo aver annuito.
<< Sì, sono orfana >> disse Natasha, nel momento stesso in cui Nathan disse: << Sono orfano. >>
<< Niente fratelli? >>
<< Sto aspettando mio fratello >> disse la giovane, ed appena ebbe finito di parlare, un ragazzino arrivò da loro correndo. Aveva il fiatone ed in spalla teneva uno zainetto blu.
<< Scusate >> poggiò le mani sulle ginocchia, chinandosi in avanti per riprendere fiato. << Mi ero scordato di portare con me una… cosa… >> inspirava forte, ma a fatica. Quando si fu ripreso, si erse in tutta la sua bassa statura e sorrise. << Io sono Alexander. >> Gli mancava un dente, e quella finestrella gli dava qualcosa di buffo. I suoi capelli riccioluti tendevano al castano, al contrario di quelli della sorella, ma gli occhi azzurri erano inconfondibilmente uguali in tutto e per tutto.
<< Oh, tranquillo >> disse Courtney con un sorriso gentile. Dopodiché gli poggiò una mano sulla testa, accarezzandogli i capelli. Pensare a quanti bambini sarebbero rimasti lì a morire per una scelta sbagliata dei genitori la faceva arrabbiare, ed al tempo stesso la rendeva molto, molto triste.
<< Non c’è nessun’altro? >> Chiese Scott, come se i due giovani potessero saperlo. Né Nathan né Natasha risposero, si limitarono a scambiarsi un’occhiata interrogativa, per poi riportare lo sguardo su Scott. << Cosa facciamo, Court? >> Chiese allora lui, << Aspettiamo? >>
Lei si guardò attorno, vide gente correre di qua e di là, ma nessuno con uno zaino in spalla dirigersi da loro.
<< Attendiamo qualche minuto. Se tra dieci minuti nessuno si farà vivo, ce ne andremo. >>
 
 
Stavano camminando da qualche tempo imprecisato, Natasha non sapeva dire con certezza da quanto, ma la città di Paceful, il luogo in cui aveva vissuto negli ultimi due anni era scomparsa alle loro spalle da un bel pezzo. Tutto ciò che riuscivano a vedere, era un’immensa distesa di deserto. L’afa era insopportabile, li rendeva stanchi, e si vedevano costretti a bere spesso l’acqua dalle borracce che si erano portati. Speravano di non finirla troppo presto.
Il terreno, sotto i suoi scarponcini era duro e compatto, pieno di quelle strane crepe. Le gambe le facevano male, ed ogni tanto inciampava, rischiando di cadere a terra. Riusciva a non piantare il viso contro il terreno solamente grazie all’aiuto di Nathan, che era lì al suo fianco. I due diciottenni se ne stavano alla fine della fila, capitanata da Courtney e Scott. Al centro c’era Alexander, che era intento ad ascoltare la sua musica con il suo vecchio modello di mp3. Si erano fatti una grande scorta di batterie, quando erano fuggiti da Seattle. Lei e il fratello, soli in quel mondo sconosciuto e ostile erano scappati di fretta e furia dalla città, e così erano scampati alla prima ondata degli scheletri.
Per qualche giorno avevano vagato, e poi si erano rifugiati in un magazzino, insieme ad un gruppo di cinque persone, tra cui c’erano stati un ragazzo e una ragazza. Erano diventati subito amici. Il giovane si chiamava Riccardo, era di origini italiane, e si era trasferito a Seattle da solo quattro anni, assieme alla famiglia. Tra i due era nato inizialmente un rapporto di amicizia, ed in seguito di amore, ma quando erano fuggiti da quel magazzino, per colpa dell’attacco degli scheletri, lei lo aveva visto morire davanti ai propri occhi. Danielle, la sua amica, non l’aveva lasciata rimanere, e l’aveva portata via con sé.
Ora, lei e Alexander, erano gli unici sopravvissuti di quel gruppo. Suo fratello aveva solamente dodici anni, e spesso, nel pieno della notte, si svegliava e cominciava a piangere, dopo aver visto nuovamente quei mostri nei propri incubi.
<< Com’è che non ci siamo mai visti? >> disse Nathan interrompendo il silenzio. Guardò Natasha, che sorrise in risposta al sorriso amichevole di lui.
<< Non saprei, io passo… cioè, passavo… la maggior parte del mio tempo a casa, oppure a svolgere il mio lavoro. >>
<< Che cosa facevi? >>
<< Mi occupavo degli anziani >> disse lei annuendo come a rispondere affermativamente ad una domanda non posta.
<< Oh, io dei campi artificiali del sindaco. >>
<< Davvero? >> chiese lei quasi incredula.
<< Sì >> rispose lui scoppiando a ridere.
<< Un lavoro importante >> constatò, e lui alzò le spalle con noncuranza.
<< Era un lavoro come un altro, per riuscire a ricavare quello che mi serviva per vivere. >>
<< Non tutti se lo possono aggiudicare >> commentò lei.
<< In passato li avevo già aiutati, il sindaco ha pensato che avrei potuto aiutarli di nuovo. >> Alzò una spalla con fare tranquillo e lei annuì. Il silenzio ricalò, come un manto. I due, che erano rimasti un po’ indietro rispetto agli altri tre membri del piccolo gruppo, affrettarono il passo.
Davanti a loro, in lontananza, si vedeva la catena di montagne, che ora, parevano ancora più grandi. Le nuvole bianche creavano un cerchio attorno alle vette innevate, e la vista era incredibile, qualcosa che non aveva nulla a che fare con quel paesaggio desertico. La catena montuosa stonava con il deserto secco, ma era la loro meta, il luogo in cui si sarebbero rifugiati. Le vette erano bianche per via della neve, ma Courtney, che aveva viaggiato, dato il lavoro che faceva, sapeva per certo che a meno di cinque chilometri dalle montagne il deserto si diradava e cominciava a comparire il primo segno di verde. Lì, si poteva vivere.
<< Spero di raggiungerle presto, quelle montagne >> disse Natasha.
<< Lo spero anche io, i miei poveri piedi stanno protestando >> disse scherzoso Nathan, facendo un’espressione che tentava di essere sofferente ma che risultò buffa.
<< Lo so, nemmeno a me va benissimo >> si morse il labbro inferiore e alzò lo gamba davanti a sé, cercando di non colpire né intralciare il piccolo Alexander.
Nathan rise, annuendo. << Almeno abbiamo una meta da raggiungere. >>
<< Già, questo spinge la gente a continuare e a non fermarsi >> intervenne il ragazzino, voltandosi a guardare il giovane uomo. Alexander indossava un capellino che gli copriva la fronte e gli occhi, in modo che il forte sole non gli desse fastidio, e alle orecchie non portava più le cuffie connesse al vecchio mp3, che aveva riposto nello zainetto.
<< Esattamente >> disse Nathan con un sorriso.
Natasha sospirò, << Già, presto imparerai che Alexander è molto più intelligente di quel che sembra >> carezzò la testa del fratellino.
<< Beh, lo spero, spero passeremo molto tempo assieme >> rispose il ragazzo.
Intanto, a capo della fila, Courtney fissava davanti a sé, cercando di non ascoltare le parole che i tre si scambiavano. Al suo fianco c’era Scott, che la guardava con un sorriso a metà tra il gentile e il preoccupato.
<< Tutto okay? >> In quegli anni, la personalità di Courtney era peggiorata, faceva fatica a mantenere il controllo della rabbia, e ciò le era servito per il suo lavoro, quello di cacciatrice di teste. Il denaro che ne ricavava era persino troppo e spesso lo aveva donato in beneficienza alla sua città, Paceful.
<< No, vorrei il silenzio >> disse a denti stretti ed in modo tagliente.
<< Vuoi che chieda loro di tacere? >> Si offrì Scott, ma lei sospirò, scuotendo la testa
<< No, hanno appena lasciato la loro casa, stanno solo facendo amicizia, cercano di adattarsi. >> I due mantenevano un tono basso, per non farsi udire dagli altri tre, che ridevano e scherzavano tra loro.
Natasha intanto, alla fine della fila, si voltò verso Nathan, e gli sorrise. A Paceful non conosceva molta gente, i suoi amici erano pochi, ma lei, nel suo gruppo, era considerata la più “in”. Tutti la cercavano, tutti andavano da lei a confidarsi, tutti tenevano tantissimo a lei. E lei li aveva abbandonati. Ma loro non volevano partire, non avevano voluto darle ascolto, quell’unica volta, e Natasha aveva dovuto fare una scelta. O i suoi amici o suo fratello. E chiaramente, aveva preferito tenere in vita Alexander, piuttosto che restare lì a Paceful a morire.
<< Ti mancherà, Paceful? >> chiese, e Nathan rimase in silenzio per qualche istante, grattandosi la fronte e rivolgendo lo sguardo verso il cielo azzurrissimo che stava sopra di loro, striato di inconsistenti nuvole bianche che si sfilacciavano e si riformavano.
<< Non saprei… Era la mia casa, avevo un lavoro, ma ero solo. Non avevo né amici né famiglia, e passavo la maggior parte del mio tempo ad occuparmi degli averi del sindaco. >> Fece una pausa, << E a te? >>
<< A me?... Non saprei… >> Natasha abbassò lo sguardo a terra, pensando a ciò che poteva dire. << Beh, sì, mi mancheranno i miei amici. >>
<< Oh giusto, perché nemmeno tu hai… >> lasciò la frase in sospeso.
<< Già, nemmeno io ho una famiglia, a parte Alexander. >>
<< Posso chiederti cosa è successo? >>
Lei rimase in silenzio. Si allontanarono di qualche passo dal resto del gruppo, per non far udire la loro conversazione ad Alexander. << I miei genitori sono morti molto tempo fa. Al momento dell’inizio di… tutto questo >> sospirò, << io ed Alexander ci trovavamo a casa nostra, a Seattle. Abitavamo con nostra zia, che in quei giorni era andata a fare un viaggio… Io sono originaria del Kansas, e quindi so riconoscere quando una tempesta bella e buona è in arrivo, così come con i tornado >> spiegò. << Appena me ne sono accorta, ho preparato degli zaini e delle valigie con cibo, bevande e qualche vestito e sono andata dalla mia migliore amica, che al tempo aveva diciassette anni. Siamo partiti tutti insieme, allontanandoci da Seattle il più in fretta possibile. Pure lei era orfana di madre, si chiamava Aura. >>
<< Chiamava? >>
<< Sì >> ammise lei.
<< Quindi è… è morta? >>
<< Ad un certo punto abbiamo dovuto abbandonare l’auto, ci siamo trovati nel caos più totale. L’autostrada era un completo disastro, il traffico era troppo, si udivano solamente urla e suoni di clacson. E sopra di noi… c’era quella tempesta, quel ciclone. >>
<< Cosa avete fatto? >>
<< Siamo scesi dall’auto e tutti e quattro siamo corsi via, con la nostra roba in spalla. Per molto tempo abbiamo vagato, cercando un luogo in cui ripararci, mentre intorno a noi scoppiava il caos di quel ciclone… Per colpa di quella tempesta, il padre della mia migliore amica si è disperso… e poi anche lei. L’ho persa di vista, urlavo il suo nome ma la mia voce non superava il frastuono dei tuoni, e cercavo di scorgerla, ma la pioggia era troppo fitta. >>
Il modo in cui raccontava quella storia spaventosa e triste aveva un che di poetico, che ammaliò Nathan. << E poi cosa avete fatto? >>
<< Ci siamo rifugiati in un magazzino, una famiglia italiana ci ha dato alloggio. Anche loro si trovavano lì abusivamente, era il primo luogo sicuro in cui si erano imbattuti. Con noi c’era anche una ragazza spagnola, Danielle, eravamo diventate molto amiche, e tra me e l’unico altro ragazzo della mia età che era presente, Riccardo, era sbocciato qualcosa. Purtroppo… Sono tutti morti, io ed Alexander siamo gli unici sopravvissuti. >>
<< Come… Come sono morti? >> Chiese Nathan, anche se temeva di conoscere già la risposta.
<< Li hanno divorati gli scheletri >> commentò secca Natasha. Per molto tempo quei ricordi l’avevano tormentata, quando in tutti quegli anni se li era tenuti per sé, ma ora, che li raccontava a voce alta a quel ragazzo che non aveva mai conosciuto, le sembrava come se un peso le si fosse sollevato dal petto.
<< Mi dispiace. >>
<< Ho visto tanta gente morire, in questi ultimi anni >> replicò lei. << Tutto questo caos non sarebbe dovuto succedere. >>
Nathan non rispose, ma il suo silenzio valeva molto più che mille parole. << E tu? La tua storia? >>
Il ragazzo sorrise piano, << Oh, la mia storia è molto più lunga della tua… >>
<< Non me la vuoi raccontare? >>
<< Un giorno, >> disse lui, << quando saremo davanti ad un caldo fuoco e tu sarai seduta. >>
<< Seduta? >>
<< La mia è una storia spaventosa, che fa venire i brividi, ragazza. Non vorresti sentirla. >> Ciò che Nathan stava dicendo, era vero, la storia della sua vita, il suo passato, era stato un incubo. Ma lui era stato forte, aveva superato tutto il dolore, ed era rimasto una persona normale, sana di mente, non molti altri ci sarebbero riusciti.
<< No, voglio sentirla. Prometti che me la racconterai. >>
Lui alzò il braccio e con l’indice indicò le montagne. << Quando saremo giunti a destinazione. >>
<< Perfetto >> disse lei. Poi aggiunse: << Non puoi dirmi nulla ora come ora? >>
Nathan sospirò, << Prova a porre qualche domanda, vedrò se posso risponderti. >>
<< Okay… Il tuo passato è così orribile e oscuro? >>
Lui ci pensò su, << Sì >> ammise, << ma dipende dai punti di vista. >>
<< Okay… >> ripeté lei. << Da quanto tempo hai perso la tua famiglia? >>
<< Questa domanda devo saltarla, dovrei spiegarti molte, troppe, cose. >>
<< Hai un fratello o una sorella? >> Chiese subito Natasha, non rendendosi conto di aver usato il presente.
<< Sì, un fratello. Ma non so se sia ancora vivo. >>
<< In che senso non lo sai? >>
<< Non lo vedo dallo scoppio di questo caos. >>
Lei lo guardò per qualche istante. << Non sei andato a cercarlo? >>
<< Non sono riuscito a trovarlo. >>
Per qualche istante calò il silenzio, << Come… Quale… Il suo nome? >> Non voleva usare il passato, ma non poteva usare il tempo presente. Non sapeva se quel ragazzo fosse ancora vivo.
Nathan sorrise piano, ricordando il fratello a cui era stato molto legato. Non si vedevano da troppo tempo, e lui aveva rinunciato a cercarlo, dopo due interi anni a vagare per quel continente ora così estraneo.
Aprì la bocca per parlare, ma gli ci volle qualche secondo per riuscire a pronunciare le parole: << Mattew, il suo nome è Mattew. >>

 
<< Smettila! >> urlò Scarlett a Dakota. Era furiosa, e la bionda non faceva che darle ancora di più sull’ultimo dei suoi nervi sani.
<< No! >> urlò la bionda ridendo come una bambina, e la rossa cominciò a digrignare i denti.
<< Ti avverto che se non la pianti, stanotte verrò in camera tua e ti raperò a zero! >> Dakota smise improvvisamente di saltare sul letto di Scarlett, che rimase compiaciuta. << Bene, vedo che ti ho convinta >> disse chiudendo i pugni e mettendoli suoi fianchi.
<< I miei… I miei capelli >> disse Dakota con appena un filo di voce, prendendo una ciocca bionda e stringendola tra le dita.
<< Sì, esattamente, i tuoi capelli. >>
<< No… >> si alzò in piedi, tenendosi lontana da Scarlett, e giunta sulla soglia della stanza si voltò e corse via, dileguandosi. La rossa scoppiò piano a ridere, diretta verso il suo letto sfatto per colpa di quella pazza di Dakota.
<< Scusami >> sentì, e si voltò di scatto verso l’entrata della camera, priva di porta, pronta all’azione. Quando vide chi era, si rilassò, anche se non andava pazza per quel ragazzo. Non le stava particolarmente simpatico, non come a Dakota.
<< Che vuoi? >> disse brusca.
<< Non ho potuto fare a meno di notare come hai minacciato di rapare a zero Dakota… >> disse.
Lei cominciò ad arrabbiarsi. << Sì, e allora? >> la sua voce era tagliente, come si permetteva quel bamboccio di mettersi in mezzo?
<< Beh… Dovresti essere un po’ più gentile con lei, almeno riguardo al suo aspetto. Sappiamo tutti cosa ha dovuto sopportare. >>
Lei restò immobile per qualche istante, poi, sempre con i pugni poggiati ai fianchi, camminò ancheggiando fino a Brick, che mantenne lo sguardo fisso in quello di lei. Scarlett sorrise. << Tu non hai idea di cosa ho dovuto passare io, invece >> disse.
<< Hai ragione, è vero >> rispose il giovane ex soldato con un’espressione seria, << Ma non ti sei trasformata in Dakotazoid, non sei diventata un mostro come è successo a lei per colpa di Chris. >>
La rossa guardò il ragazzo per qualche istante, seria. << Questo è vero >> ammise. << Ma tutti noi abbiamo sofferto per colpa di Chris. Chi più, chi meno, ma tutti abbiamo in comune questo rancore nei suoi confronti. >>
Brick annuì, dandole ragione.
<< E nessuno ti ha detto che non si origlia? >> gli disse con un sorriso, poggiata contro la parete d’entrata, così come lo era lui. Erano molto vicini, ma nessuno dei due pareva essere in imbarazzo.
<< Lo so, la mia mamma me lo diceva sempre >> disse con un sorriso, e gli occhi di lui divennero lucidi, mentre un’ombra di dolore passò fulminea nelle sue iridi scure. Vederlo così in qualche modo fece stringere il cuore a Scarlett. Anche lei non vedeva la sua famiglia da molto molto tempo.
<< Coraggio >> disse sorridendogli gentilmente per la prima volta da quando Brick l’aveva conosciuta. << Non essere triste, sono sicura che stanno bene. >>
<< Lo pensi sul serio? >> Brick stava chiaramente per scoppiare a piangere. In qualche strano modo, le ricordava Max, ma non riusciva ad odiarlo, come invece odiava il giovane che l’aveva tradita nel peggior modo possibile: alleandosi con il nemico.
<< Sì >> mentì lei. << E ora, avanti, vieni con me >> lo prese a braccetto, << andiamo a berci un buon thè caldo. >>

 
La rossa alzò gli occhi verso il cielo azzurro nascosto dalle chiome degli altissimi alberi dal tronco duro come l’acciaio e troppo grande per appartenere ad un arbusto normale. Nell’aria si sentiva quel solito odore di fresco, di pulito, e non si udiva altro suono se non quello della natura che la circondava. Vivere lì era stupendo, in quel bosco che ormai era diventata la sua casa. In passato, aveva sofferto molto, aveva perso le persone che le erano state più care, ma ci aveva fatto l’abitudine, era riuscita a mettere il dolore da parte, a imparare a sopportarlo. E questo, anche grazie a lui, che non l’aveva lasciata sola un attimo, in tutti quegli anni.
Dallo scoppio dell’apocalisse erano passati tre anni, e quello in corso era il quarto. Forse, le estati, tutte le primavere e gli autunni che stava vivendo erano i migliori della sua vita. Certo, gli inverni erano difficili, ma si erano attrezzati bene per tutte le evenienze.
<< Sei di nuovo qui? >> Le disse lui comparendo dal nulla. In volto aveva dipinto un sorriso gentile e sincero, felice, ed i suoi occhi erano dolci. Nessuno che l’avesse conosciuto in passato avrebbe detto che Mal sarebbe stato capace di tali emozioni e sentimenti.
<< Ovviamente >> rispose Zoey, seduta su quel grande masso grigio. Era il suo luogo di pace prediletto. Si sedeva lì, su quel gruppo di grandi pietre, quando la tristezza e la malinconia prendevano il sopravvento o semplicemente quando aveva voglia di rilassarsi, e si guardava attorno. Quel posto riusciva a renderla meno malinconica, più di tutti gli altri, in quel bosco, grazie anche a quelle due parole incise sulla pietra su cui si sedeva.
Il taglio era fatto male, sembrava la scrittura di un bambino, ma quelle lettere erano state incise sulla pietra, ed era naturale che i bordi fossero frastagliati e la calligrafia risultasse quasi illeggibile. Era comunque qualcosa che la rendeva felice, seppur li avesse abbandonati e avesse litigato con loro.
Mal le si avvicinò, evitando di guardare le parole incise. Quando la ebbe raggiunta, le prese una mano e la guardò con un sorriso compassionevole e gentile. << Tutto bene? >>
Lei inspirò, prendendosi qualche secondo prima di rispondere. Dopodiché disse: << Sì, tutto bene. >>
<< Ti va allora di andare un po’ a caccia? Ti sei tranquillizzata abbastanza? >>
Lei sorrise. << Sì, certo. Tu vai, io ti raggiungo subito. >>
Mal, senza dire nulla, si chinò in avanti e posò le labbra su quelle di Zoey. Dopodiché si voltò e cominciò ad allontanarsi, sapendo che la ragazza avrebbe dovuto fare il solito rituale prima di lasciare quel luogo, come sempre.
La rossa attese che Mal se ne fosse andato, poi con un salto scese giù dal grande masso. Si allontanò di qualche passo, nella direzione dalla quale era venuta e il suo ragazzo se ne era andato. Dopodiché alzò il viso verso il cielo. Nella sua mente, cominciò a recitare le parole che conosceva a memoria, come un mantra o una poesia.
“Cameron, Magda, Sam” disse con la voce della mente, “riposate in pace, amici miei.” Dopodiché fece una pausa ed espirò, per poi inspirare ancora e riprendere: “Heather, Alejandro. Gwen, Duncan. Courtney, Scott. Izzy, Noah” sorrise, “spero stiate bene.” Poi, abbassò lo sguardo verso la pietra, e lesse i due nomi incisici sopra. “Dakota, Mattew.” Alzò nuovamente il viso verso il cielo che stava sopra di lei, “Mi mancate tutti, spero che ognuno di voi sia vivo e vegeto, che abbiate salva la vita. Siamo una cosa sola.” Dopodiché si voltò e si allontanò, dando le spalle all’ammasso di grandi rocce e all’incisione che l’aveva commossa la prima volta che i suoi occhi l’avevano vista: “Dakota + Mattew”.
  
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