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Autore: balakov    11/10/2008    6 recensioni
Un tizio che prende l'autobus ed osserva gli altri viaggiatori: emergono storie nascoste, personalità inaspettate e deliziosi quadretti di dolore e di gioia. E così lui diviene una scheggia delle loro anime, e viceversa. Come scoprire il sogno sotto la pesante corazza della quotidianità.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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VIAGGIO
(quando l’esistenza si ferma a guardare)


Riccardo Brevi. Uomo calcolato, immerso appieno nella folle frenesia del suo mondo, e del suo tempo. Mai un momento di riposo, una vita di corsa, di poche parole, poche quanto bastano. E c’è chi riesce ancora ad intravedere un cuore limpido, aperto, puro, dentro queste persone, che a favore della meccanizzazione della propria vita hanno perso tutto: famiglia, amore, tempo libero, la vita stessa (forse). O forse no.
Riccardo Brevi. Ogni mattina sempre lì, alla fermata dell’autobus, puntuale. Le otto meno dodici. Tra meno di venti minuti sarà a lavoro, al calduccio dietro la sua scrivania di “freddo” avvocato. In attesa delle solite facce, delle solite frasi, dei soliti fascicoli, delle solite scene di vita mediocre. Ora, intanto, sta qui, tra gente che come lui aspetta questo autobus che sembra non arrivare mai. Un minuto, due, di ritardo, possono voler dire tanto, troppo per un uomo come lui. E anche un minuto d’anticipo può voler dire tanto: un ottimo inizio, non c’è che dire.
Finalmente l’autobus è arrivato.
Sale per prima la signora Merli. Saluta, educatamente, l’autista. Lui no. Oblitera il suo biglietto, di corsa. Non vuole rubare tempo a quelli saliti con lui. Anche questa è educazione. Si siede. A quell’ora non sono tanti, e c’è da sedere per tutti, tutti meno uno. Vito, il giovane commesso alla pasticceria del centro, non siede. È sempre lì, immerso in se stesso, arruffato attorno al paletto, un tutt’uno con l’autobus, un tutt’uno con il sonno che lo tormenta. Ha fatto le ore piccole, come da suo solito.
Lì vicino siede il ragionier Reni: è buffo; alita come un bambino sui vetri appannati, sorride ingenuamente guardando fuori, scruta l’insondabile che c’è nei cuori dei passanti che attraversano la strada. Di fronte a lui la signorina Ricci: sulla quarantina (quarantacinque a non voler essere gentiluomini), sola, e si vede. Non s’è mai voluta sposare. Non l’ha mai cercato il suo amore. L’avrebbe potuto trovare. Era bella un tempo, bellissima. Ora gli anni l’hanno abbruttita, trascurata da se stessa e dagli altri, che non le hanno mai saputo dare quello di cui un’anima fragile come la sua aveva veramente bisogno.
Nel posto parallelo al suo siede Gianni. Tutti lo chiamano così. Dice d’essere un poeta, lui. Ma non ci crede nessuno. C’è gente che racconta di vederlo ogni mattina scendere da quell’autobus, e con la sua consueta aria intellettuale attraversare rapidamente la strada e perdersi in un piccolo bar senza nome. Il naso e le guance confermano in pieno.
Dietro di lui, con gli occhi chiusi, immersi in un sogno che è sempre più bello della cruda realtà, il vecchio Nanni; va a trovare ogni mattina la sua amorosa. Lui ottant’anni suonati, lei pochi meno. Tutti e due vedovi. Ma la morte non sa spegnere anche la passione, e l’amore che colora gli animi di tutti noi, anche di chi un giorno ha pensato di farla finita. Come Stefano, ventitré anni, seduto dietro al conducente. Lui l’amore l’ha perso; un amore di gioventù, tanto velleitario quanto intenso e straziante. Il suo amico più caro, Mario l’ha salvato, o meglio l’ha convinto che la vita che viviamo non è degna del suicidio.
Poi ci sono i fratelli Sartetti, che vanno ad aprire il loro negozio di sete preziose, e vicino a loro Cisti, fornaio che ritorna a casa e che a quell’ora profuma tutto di dolci; un brutto affare per la pancia di Riccardo Brevi, che anche stamattina, per la fretta, ha saltato la colazione. Anche il piccolo Andrea ha saltato qualcosa: la scuola. Grande “marinatore”, lui. Tredici anni e già una carriera da far invidia. Un giorno a scuola e tre a casa. Ah la cultura! Che peso! Come sarebbe molto più bello vivere nell’ignoranza. Come i cani: loro stanno lì, ci guardano e non capiscono. O forse non vogliono capire: e fanno bene. Voi immaginate un cane con tutte le preoccupazioni effimere ed insulse che affliggono un uomo. Non sarebbe più un cane. È come voler mettere a tutti i costi un gonna lunga a coprire le cosce di una puttana. Non s’è mai vista una cosa del genere. Chiedetelo un po’ alla Nelly, quella con le labbra che occupano un quinto del volto e le cosce belle sode coperte (si fa per dire) da un paio di calze a rete tutte smagliate e ricche di buchi un po’ qua e un po’ là, che vanno ad arrestarsi nervosamente lì dove inizia la gonna, la minigonna, più vicina alle tette che alle ginocchia. Nelly siede davanti a Riccardo Brevi. Lei pensa che lui sia carino. Lui, invece, vede in lei solo una troia.
Ed eccoci finalmente al nostro eroe moderno, il pensiero che doma la voglia di vivere fattosi carne, la ragione fredda che fa a pugni col caldo di un cuore destinato alla sconfitta prima ancora di iniziare il feroce duello. Né vincitori né vinti. O forse no. O forse c’è spazio anche per il cuore, talvolta. Per l’emozione, il ricordo, l’Amore. Non quello sessuale, non quello che lega due persone in un formale connubio chiamato matrimonio, quanto l’amore puro, lo slancio vitale, che si prova per le altre persone, qualunque sia il loro sesso, la loro storia e la loro condizione.
Sì: Riccardo Brevi sa Amare. È un amore privo di parole, dettato da sguardi taglienti, da un’attenzione fisiognomica, che scava nelle persone, a partire dai loro tratti somatici, dalle loro mani, dai loro occhi, per risalire alla loro essenza, alla loro purezza, per colpire di nascosto e cullare in un morbido abbraccio il loro fragile cuore. Pure questo è amore.
Riccardo Brevi non conosce i passeggeri che ogni mattina dividono con lui quel breve spazio di tempo; lui non conosce i suoi compagni di viaggio, ma è come se li conoscesse da sempre. Perché i suoi compagni di viaggio sono tutti quelli come lui, tutti gli uomini che un giorno, per bizzarria divina o per sfizio del dolore, sono comparsi su questa terra che hanno saputo sporcare e rendere ostile ai propri fratelli. Sono quelli nati con lui, prima di lui e pure dopo. Sono quelli che come lui non hanno ancora capito il senso della vita, e mai lo capiranno. Sono quelli che hanno saputo leggere nell’esistenza tante trame differenti fra loro, ma un’unica trama di fondo che non può essere in alcun modo cambiata. Ed è così che Riccardo Brevi partecipa alle loro emozioni, alle loro gioie, ai loro dolori. È diventato una scheggia della loro anima, e viceversa. Il breve viaggio che sta facendo, e che fa meccanicamente ogni mattina, è in realtà un viaggio ben più profondo ed esteso: è la sua vita. È per questo che Riccardo Brevi è anche Nelly, è anche i fratelli Sartetti, è anche il ragionier Reni, ma soprattutto è se stesso (o tutto o niente).
Il puzzle che ricompone con i suoi occhi penetranti, con il suo filosofeggiare limitato a questo breve ma intensissimo momento della sua giornata, è tanto grande quanto incompiuto. È l’armonia, la vera pace interiore. Ed è allora che i suoi occhi si lasciano sfuggire una fragile lacrima di cristallo ad ogni compagno di viaggio che scende alla propria fermata d’arrivo, come a voler sintetizzare l’emozione legata ad un doloroso addio. Ed è allora, proprio allora che lui prova a sforzarsi, a sentirsi un uomo migliore, realizzato con e negli altri; è proprio allora che può capire anche se non vuole, che può rompere le catene che lo inchiodano alle sue vuote ambizioni programmatiche affogate nella ruvida quotidianità; è proprio allora che può ma non deve, perché a qualcuno sta bene così.
Ma tutto questo si infrange al capolinea, i sogni svaniscono, volano via come falene al sorgere del sole. L’attimo purificatore ora è solo un ricordo annebbiato, prepotentemente scalzato dalla ferocia della routine.
L’uomo è ritornato nella sua condizione. Non si capisce bene se l’uomo vero è il sognatore di prima o l’ingranaggio di adesso. Fatto sta che ora Riccardo Brevi sta per entrare nel palazzo ottocentesco dove ha sede il suo ufficio. Guarda la grande facciata grigia, intaccata dallo smog. Riflette, anche se non gli è consentito. Ancora pochi istanti e poi entrerà, e l’uomo che è in lui si annienterà nuovamente del tutto. Ancora pochi istanti, giusto il tempo di ripensare a quel bel culo della Nelly.

  
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