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Autore: Ljn    09/10/2014    4 recensioni
Stava andando tutto male.
Perché stava andando così? Perché? Qualcuno glielo sapeva spiegare? Un secondo prima era intento a bisticciare con quel Teme silenzioso che infestava la sua vita da un’eternità, l’attimo dopo stavano fuggendo. Fuggendo! Loro!!
Loro, che erano i più forti in assoluto!
Non esisteva. Assolutamente! Non poteva! Si erano allenati fino a sputare sangue, avevano sacrificato … un sacco, per arrivare dove erano. Un ENORME sacco. Un sacco così grande che avrebbe potuto starci dentro tutta la famiglia di Choji. E stava parlando mentafornica … metafarica … metaforonicamente – annuì a se stesso, soddisfatto – perché era ovvio che nella realtà il sacco sarebbe stato un sacco più grande.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
Capitoli:
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Tre.

Si svegliò al buio, con il corpo che doleva come un’unica, enorme ferita e l’impressione di avere un sacco di patate da venti chili bello fisso sopra la testa.

Che era successo?

Alzò una mano tremante, l’unica che riusciva a muovere in qualche modo, per portarsela al capo e spostare i pesanti tuberi, cercando di ricordare e sperando fosse ancora attaccato al solito posto e non si fosse trasformato in patata schiacciata pure lui, perché davvero sentiva troppo male per riuscire a distinguere una singola parte del proprio corpo dal resto. Quando era stata l’ultima volta che si era sentito così di merda?

… Bendata. La sua testa pareva essere stata avvolta nella stoffa, e riempita allo stesso modo.

Trasse un sospiro di sollievo. Ecco spiegato il buio e la pesantezza, almeno.

Si passò lentamente la mano addosso, notando che la testa non era l’unica cosa coperta e che gli faceva un male cane se sfiorata: il torace, una spalla … ecco perché il braccio sinistro non lo riusciva ad alzare … toh, un tubo attaccato al braccio, dovevano avergli messo una flebo … il polso … ah, quello lo sentiva proprio gonfio, meno male che era dalla stessa parte della spalla … e la mano dopo il polso. Poi … eccheccavolo! Aah … cazzo. Sentiva una rigidità sospetta alla gamba sinistra, più in basso rispetto al fianco che riusciva a sfiorare con le dita della mano destra. Doveva proprio rompersi pure una gamba?! E la caviglia destra? Pure quella era rotta? Certo era rigida … Fantastico! Ovvio che si sentisse rotto! Era tutto rotto!

Sospirò stancamente … però se era bendato e aveva qualcosa che assomigliava ad un tubo inserito nel braccio, doveva essere stato soccorso, qualsiasi fosse la causa che lo aveva ridotto così. E se si sentiva così lento e goffo doveva avere in corpo delle medicine, il che spiegava lo scopo della flebo. Si complimentò con se stesso per lo sfoggio di logica, in barba a tutti quelli che non lo ritenevano capace di esercitarla.

Perciò … Ospedale? Inspirò più profondamente possibile, grato del fatto che almeno le costole non parevano essere rotte. Forse solo un po’ ammaccate, date le fasciature strette.

L’odore era quello che Sakura-chan aveva quando finiva un turno (meno il gelsomino del suo profumo preferito), e che aveva sentito così tante volte nel corso degli anni. Fece scivolare le dita sotto di sé, giusto per avere una conferma tattile alla sua supposizione olfattiva. Era disteso su un materasso. Ospedale.

Si sentiva una merda, ma almeno era al sicuro.

… Ma al sicuro da cosa?

Ricordava … oh. Era in missione. E poi c’erano … stelle? Che cavolo centravano le stelle con i ricordi?! Ah, no. Gioiello. Era un gioiello. Un gioiello che lui e la sua squadra dovevano recuperare assieme al ladro che lo aveva rubato.

Kami-sama quella missione … era stata un disastro dal primo secondo. E poi c’erano … fuochi artificiali? Choji e la sua enorme famiglia?? E perché aveva questo ricordo di essere stato man …

Sussultò quando un pensiero lo colpì a tradimento, scatenando una valanga di immagini e domande.

Sasuke!

Dove era Sasuke? Era stato con Sasuke dentro quella cazzo di montagna a forma di stomaco! E poi … e poi quelle maledette esplosioni e la sensazione di essere inghiottito! E il rosso davanti a sé e negli occhi! E KAMI dentro il naso! Non riusciva a respirare! E poi buio buio BUIO! E suoni lontani che si spegnevano e morivano e SAS’KE! Il sangue di Sas’ke!

Doveva trovare Sas’ke! Sas’ke era ferito!

Gemette di impazienza, cercando forsennatamente il pulsante di chiamata senza riuscire a trovarlo. Qualcuno doveva dirgli che ne era stato di Sas’ke! Qualcuno doveva …

Tutto di lui si arrestò improvvisamente: le ricerche frenetiche per un aiuto, i suoi pensieri, persino il suo respiro.

… Non aveva appena gemuto?

 E prima … prima, i suoi polmoni non si erano dilatati alla ricerca affannosa dell’aria? Ma allora perché il rumore … il rumore del suo respiro …

Aaaah. Che scemenze gli passavano per la testa? Liquidò la paranoia per quella che era, ovvero solo l’impressione stupida di un cervello agitato. Non aveva fatto caso al rumore. Tutto là.

E per il resto … tutto l’Ospedale era tremendamente silenzioso.

Doveva essere notte. Tutto là.

Di notte tutto era silenzioso, e lui si stava immaginando le cose per colpa di quelle stupide bende sugli occhi e il fatto che lo avevano probabilmente dovuto stendere con delle droghe per cavalli, come al solito. Era sempre un po’ confuso, quando Sakura-chan lo faceva.

Annuì, rassicurato dal proprio ragionamento. Poi lo colpì un altro pensiero, correlato al primo.

Però … se era notte … In quel caso, se avesse semplicemente chiamato, qualcuno lo avrebbe sentito, giusto? Al diavolo il pulsante codardo che si nascondeva da lui! Aveva bisogno di avere le sue risposte il prima possibile, e quindi avrebbe sfruttato il silenzio a suo vantaggio.

Rotolò goffamente sul fianco destro, cercando di fare meno movimenti possibili per alzarsi a sedere e ignorando gli stupidi scherzi che la sua mente offuscata gli stava tirando. Non voleva essere rimproverato da un’infermiera mentre era sdraiato sulla schiena come una tartaruga morente. Avrebbe affrontato la nemica di turno col mento bene in fuori e il petto in alto. O una cosa simile. Aveva un orgoglio da difendere, lui.

Diversi secoli dopo, una volta ottenuta una posizione da uomo, prese fiato e «C’è qualcuno?» chiese.

… Mmh?

«C’è … qualcuno?» ripeté invano. Strano … Perché le parole che pensava non avevano suono? Un conto era non sentire il proprio respiro, oppure immaginarsi un gemito che non aveva emesso quando il dolore offuscava tutte le percezioni uditive con le sue urla stridenti. Un altro …

«C’è qualcuno? C’è qualcuno? QUALCUNO!?» finì per urlare, ma nessun suono gli uscì dalla bocca.

Che stesse solo pensando di parlare? In fondo, gli era già successo che dopo troppi antidolorifici avesse difficoltà a distinguere la realtà dal sogno. E poi il colpo in testa poteva essere stato particolarmente duro. Gli era capitato di fare o pensare cose che una volta in salute non ricordava di aver detto o fatto, quando la sua testa aveva deciso di testare la propria durezza in passato. Gli era anche capitato di essere preso in giro, per quello che aveva detto, a volte. Quindi … magari era perché era agitato. La sua bocca si era dimenticata di muoversi, o il suo cervello si era dimenticato di inviare il segnale. Sì. Sas’ke diceva sempre, in fondo, che la sua bocca e il suo cervello viaggiavano su corsie parallele. Poteva essere una di quelle volte in cui uno correva più dell’altro, no?

Ridacchiò nervosamente, ma si zittì subito quando non sentì nessuna risata arrivargli ai timpani.

Si portò le dita tremanti alle labbra, per accertarsi che si muovessero. Qualsiasi fosse la spiegazione, non gli piaceva l’idea. Avrebbe preferito iniziare a pigolare. «Qualcuno» mormorò contro la propria mano. Il fiato usciva. Le parole muovevano le labbra.

Nessun rumore gli arrivava però alle orecchie.

Il cuore iniziò ad accelerargli. No.

Nooooo … Premette più forte le dita sulla bocca, il panico che ruggiva solo nella sua testa e nel suo petto, mentre invece il resto del suo essere era zitto. Zitto. Zitto. Zitto.

Zitto come ... «C’è qualcuno?»

No no no no no no no. No!

«Baa-chan?»

Non voleva il silenzio! Che lo facessero miagolare come un gatto! Abbaiare! O un qualsiasi suono imbarazzante a caso, bastava fosse un rumore. Non QUEL silenzio!!

«Sakura-chan?»

No!

Afferrò le bende attorno alla propria testa, cercando di usare anche la mano sinistra, che però non rispondeva al suo ordine. Perché?! Doveva vedere! Almeno quello! Se avesse visto, allora avrebbe potuto uscire da quel … nulla! Avrebbe saputo che cosa stava succedendo! Sì. Il quel modo, avrebbe potuto trovare qualcuno che gli dicesse perché nella sua testa non c’era alcun suono.

Strattonò le medicazioni in preda al panico, riuscendo solo a stringersele dolorosamente attorno al capo. Il respiro si affrettava affannosamente fuori dai suoi polmoni, eppure lui non sentiva nessun sussurro strozzato che gli confermasse che stava respirando, e non solo immaginando di farlo.

Doveva sentire qualcosa! Doveva assicurarsi un suono! Uno qualunque! Uno che gli potesse confermare …

Kurama!

Già! Giusto! Rise di se stesso, sforzandosi di ignorare il fatto che non sentì nessuna risata farlo con lui. Che sciocco. Si preoccupava per una idiozia! Kurama doveva sapere cosa stava succedendo. Kurama gli avrebbe saputo dire anche dove era Sasuke. Bastava che si calmasse e andasse a chiederglielo. Giusto.

Non era solo. Non era mai davvero solo. Sì.

Ridacchiò ancora, poi inspirò piano e sbuffò, per calmarsi.

°Kurama°, pensò.

… Più convinto. Sì. Doveva pensare in modo più convinto. °Kurama.° …

Calmo. Calmo. Respira. Calmo.

Si sforzò di accedere al luogo della sua anima abitato dal demone, ma non ci riuscì.

«Kurama.» Disse senza produrre alcun suono nella realtà.

Calmo, calmo, caaaaaaaaalmoooooo … doveva stare calmo.

Intorno a lui, il buio silenzioso si chiudeva sempre di più, stritolando se stesso con il silenzio.

«Kurama!»

Rimase in attesa che qualcuno … qualcosa gli rispondesse. Niente. Neppure il suo terrore rideva di lui!

Riprese a lavorare freneticamente sulle bende attorno alla testa, che stringevano, stringevano!, imprigionandolo e ferendogli gli occhi, invece di allentarsi e lasciarlo libero di riappropriarsi del mondo che lo circondava. Il panico gli galoppava nelle vene, rendendo impacciati i suoi movimenti e facendogli tremare le dita, ma lui ignorò il dolore che gli strisciava addosso come un pitone gigante, concentrato nella lotta per la libertà che stava combattendo.

La libertà! Doveva ritrovare la sua ... «S ... Sas’ke!» urlò silenzioso, e continuò a strillare il suo nome senza suono (OhKkkkami!), ancora e ancora, sempre più spaventato dal silenzio che lo aveva inghiottito in quella montagna.

«Sas …» Si interruppe. Giusto! Doveva essere così!

Dovevano essere ancora in quei maledetti cunicoli, e quello doveva essere solo un incubo!

PensapensaPENSA! Che era successo esattamente? Ricordava che stavano correndo. Dovevano essere stati separati. Forse … forse era ferito! Già. Giusto! Doveva essere … doveva essere rimasto ferito! E stava avendo … stava avendo … un’allucinazione! Sì! Allucinazione! Perciò se fosse riuscito a trovare Sas’ke, allora sarebbe riuscito ad uscirne. Perché il Teme era il re delle allucinazioni, beh, illusioni, ma andava bene lo stesso! Il suo cervello non era mai stato schizzinoso con le specifiche. Quindi la sua testa, che evidentemente stava vaneggiando perché aveva subito un colpo più duro del solito, sarebbe potuta uscire da quell’orrendo silenzio quando Sas’ke fosse stato là.

Sarebbe riuscito a ritrovare il giusto suono che il silenzio doveva avere! L’unico che gli era necessario, l’unico che non lo faceva sentire così disperatamente … Al diavolo l’infermiera che non arrivava perché non esisteva! Sarebbe andato tutto a posto, se avesse trovato «Sasuke!»

«Sas’ke! Sasuke! Teme! Tem …!» si interruppe quando qualcosa si chiuse sulla sua bocca e attorno alle dita della sua mano destra, allontanandole bruscamente dalle bende e dai capelli che si stava strappando nel tentativo di liberarsi. Che cos’erano? Dita? Mani?

Erano dita? Erano mani quelle, vero? Non potevano essere altro, vero? Non erano qualche sorta di spaventosa allucinazione che lo avrebbe perseguitato negli incubi fino alla fine dei tempi, vero?

Le mani, erano mani erano mani erano mani!, riportarono la sua lungo il fianco con un gesto impaziente lasciandogli contemporaneamente la bocca, e cercarono di allontanarsi.

«NO!»

Strinse le dita fasciate attorno a quelle della persona a cui appartenevano. Erano mani. Era una persona, non un incubo! Era reale, anche se era una allucinazione! Afferrò il polso della mano che stava cercando di liberare le dita dalla sua presa ferrea. Non poteva permettere all’unica conferma della realtà di andarsene e abbandonarlo!

Chi era? Chi era il proprietario di quella realtà? °Rifletti. Rifletti!° Era carne. Calda. Impaziente di essere lasciata libera. Le dita erano lunghe, affusolate. Eleganti. «Sakura?» chiese incerto. °Kami-sama, fate che sia a Konoha. Se non è un sogno, fate che sia a Konoha. E se è un sogno allora fate che trovi Sake in fretta. Fate …°

Le dita che erano state inerti e docili nella sua presa spaventata, gli si negarono bruscamente, e una presenza improvvisamente gli alitò della menta calda vicino alla bocca. Quindi anche quella scomparve.

Nooo!

Allungò tentativamente la mano in avanti, cercando di nuovo quello scampolo di “altro” che gli si era negato. Che fosse un sogno oppure la realtà, aveva bisogno di quelle dita! Senza qualcosa con cui rapportarsi, a cui aggrapparsi, non aveva nulla che gli dimostrasse la propria esistenza, qualcosa che lo aiutasse a collocarsi nello spazio, nel tempo, nel vuoto, qualcosa che gli impedisse di affogare nel silenzio opprimente della propria mente.

Perché? Perché gli aveva portato via quel pezzo di realtà! Erano un pericolo? Era per quello? Quella realtà, quelle dita, erano un nemico? Aveva sbagliato? Non era a Konoha? Non era un sogno? Era stato catturato? Chi erano quelle mani? «Chi?» Dove era? «Perché non sento nulla?» Perché?

Non riusciva a distinguere le domande che stava pensando da quelle che aveva fatto ad alta voce! La sua voce non aveva suono! I suoi pensieri non avevano suono. La REALTÀ non aveva alcun suono! E se non aveva suono, e non aveva colore né forma, come poteva avere senso?! Come poteva essere vera?

Come doveva comportarsi quando tutti i parametri che aveva sempre usato per giudicare le minacce non gli erano più accessibili?

Annaspò a caso nel buio, cercando di nuovo la mano che lo aveva lasciato, senza trovarla. Lo avevano lasciato solo? Lo avevano lasciato di nuovo solo?! Era meglio così?

Il fatto quindi che quelle dita si fossero staccate dalle sue … era una buona cosa? Gli avrebbe permesso di giudicare autonomamente, dato che non era più dipendente da quella realtà? Era disinteresse? Ignoranza? Non sapeva, quella persona, che lui non sentiva? Non capiva che aveva bisogno di lei?

O era un pessimo segno? Significava che quella persona non era chi sperava che fosse, e che lui era in mano nemica, e che stava facendo una pietosa figura per un ninja e che avrebbe ceduto ad un eventuale interrogatorio solo per aver di nuovo una conferma del mondo? Aveva appena rivelato al nemico la sua debolezza?

Quale delle due?

Era davvero una allucinazione? Importava? Quelle mani erano l’unica sua certezza, in quel momento. L’unico modo che aveva per rimettere a posto le cose.

«Ehi?» si allungò di più nella direzione in cui pensava fossero le dita di prima, cercando nello stesso tempo di scendere dal letto. Doveva raggiungerle! Doveva uscire da quell’incubo e recuperare i suoi rassicuranti rumori! Doveva …

Le gambe gli cedettero non appena vi appoggiò il peso. «Ah!»

Una superficie ferma gli si avvolse intorno, dandogli contro il petto la sensazione come di una coperta calda e solida. Sulla sua schiena invece aveva una forma allungata e sottile, sottile, sempre più sottile che si separava in diverse alte e che lo teneva saldamente premuto contro di sé.

Con un certo sforzo, avvolse le braccia a quella sicurezza che lo aveva preso prima che colpisse terra. Strinse le dita sulla stoffa cedevole. Appoggiò la guancia sulla spalla forte. Conosceva quella forza. «Sas’ke …»

Era Sas’ke. Non era un estraneo qualsiasi che era accorso al suo richiamo. Non era un nemico. Era Sasuke.

Il torace contro il suo si mosse in un respiro profondo. Le mani sulla sua schiena, in una carezza stranamente gentile. La testa dritta posò il mento contro la sua e annuì, prima di rialzarsi.

Sasuke lo sollevò di peso, e lo ridistese sul letto. Senza però protestare, questa volta, quando le sue dita spaventate gli si aggrapparono addosso. Invece, Naruto sentì un cedimento del materasso, e un corpo caldo gli premette sul fianco destro.

Gli si accoccolò intorno per quanto gli fu possibile. Non sapeva cosa stesse succedendo, ma se Sasuke era là, allucinazione oppure no, allora andava bene, giusto? Non era solo, giusto?

Non importava che il silenzio della sua infanzia fosse tornato a mordergli le dita. «Sas’ke.» mormorò, ottenendo in risposta una piccola stretta alla mano. Aaah … lo aveva detto davvero, non solo pensato.

Quando qualcosa gli sfiorò i capelli, però, sussultò. Certo quello non era Sasuke! Il pensiero solo del Teme che faceva qualcosa di così dolce … era folle. E lui, nonostante il buio e il silenzio, non era folle. O almeno non lo sarebbe diventato se Sasuke fosse stato lì.

Una mano estranea prese quella che non era aggrappata a Sas’ke e la portò a contatto con un viso morbido, facendo estrema attenzione a non alzargli il braccio.

Oh.

Cedette compiacente alla richiesta di quella persona che muoveva le sue dita per metà coperte su e giù lungo la propria guancia, e ne esplorò i tratti con i polpastrelli per riconoscerla.

Pelle liscia.

Lineamenti sottili.

Capelli morbidi e lunghi, tra le sue dita fasciate.

Una bocca gentile che gli premette contro il palmo bendato della mano un bacio.

Occhi che versarono una lacrima per lui.

«Sakura-chan?» Sakura annuì contro la sua mano, poi la sua bocca si mosse senza produrre suono.

«Non ti sento. Perché non ti sento, Sakura-chan? Sas’ke?»

I suoi compagni strinsero piano le sue dita.

«Ah …. Vero.»

Vero.

Non potevano dirglielo.

Il silenzio si fece più spesso. Opprimente, nonostante la loro presenza.

Non poteva raggiungerli. Era esiliato in quel mondo orribile da cui era riuscito a fuggire con così tanti sforzi da piccolo.

Gemette, pensando di farlo solo tra sé, ma le dita di Sakura andarono a coccolargli i capelli in un moto consolatorio. Partecipe.

Ma Sakura non poteva partecipare al suo buio. Perché non lo sentiva e l’incertezza di quello stato era una barriera più che sufficiente per isolarlo da lei.

Neppure Kurama era là con lui!

Alla ricerca di una ulteriore rassicurazione, strinse affannosamente le dita attorno a quelle di Sasuke, fino a che lui gliele tolse dalla presa. La mano di Sakura era ancora tra i suoi capelli. Ma l’assenza di Sasuke era comunque spaventosa. Se ne sarebbe andato? Lo avrebbe lasciato là? Da solo? Lo avrebbe abbandonato al buio?

Sakura era importante, certo! Ma  … Ma il Teme!

Sussultò per un secondo di paura, quando sentì il materasso sollevarsi lentamente sotto di lui fino a quando non si fermò in una posizione a metà tra il disteso e il seduto, poi delle dita ferme gli afferrarono delicatamente i polsi e posizionarono le sue mani a formare un piccolo incavo, sopra il suo stomaco.

Premettero, fino a che lui non mantenne la posizione, disorientato, e poi, lentamente … fecero scivolare nello spazio ricavato una mano che iniziò a muoversi. Piano, ripetutamente, fino a che lui non capì cosa stava succedendo, «Oh.» e allora la mano procedette a formare la prima parola. Si concentrò sui gesti silenziosi che di solito vedeva solo durante le missioni.

TU. «Tu.» Lesse la posizione, e la mano tra le sue iniziò la faticosa strada per il concetto successivo.

Colpito. «… Colpito?»

Nemico.

Ci fu una pausa. Naruto suppose non fosse così facile spiegare un evento con i pochi, laconici segni che venivano usati in missione per comunicare in silenzio radio.

Caduto.

Due. «… Due?»

Trappola. Vuoto. «… Eh?»

Una mano lo colpì al fianco destro. «Ahio, Teme!»

Cercò di massaggiarsi la parte lesa, imbronciandosi, ma le mani gli vennero riposizionate con fare brusco in posizione. Sbuffò.

Carta bomba. Ah. Beh, questo spiegava perché si sentisse tutto rotto.

Le dita non passarono al prossimo segno. Naruto aggrottò la fronte, poi capì. Non lo aveva detto a voce alta, stavolta. E Sas’ke non avrebbe proceduto fino a quando non fosse stato certo che lui avesse compreso.

«Carta bomba.» Disse obbedientemente.

La mano riprese a muoversi. Collina.

Collina? Ah. Ok. «La montagna?» Indovinò.

Caduto. «Cad … Oh, intendi che sono caduto da una montagna?»

Altra pausa. No. Fermo. Sopra.

Si sforzò di interpretare il significato di quel discorso, ma Sasuke continuò.

Tu. Carta bomba. Sotto. Collina. Caduto. Silenzio. Niente luci.

Poi si fermò in attesa.

Naruto rifletté su quelle parole, cercando di dare un senso a ciò che non dicevano. °Oh …° disse alla fine. Era stato colpito dalle carte bomba ed era caduto dalla montagna. O la montagna era caduta sopra di lui? Silenzio. Niente luci … Era per quello che non sentiva e aveva delle bende sugli occhi?

«E Kurama? Perché non sento neppure Kurama? Perché non mi ha curato? Tu sei stato ferito? Sei guarito, vero? Da quanto tempo sono così? Che è successo poi? Perché sono ancora COSÌ?»

Ci fu un’altra esitazione, poi le dita fecero un lento conto alla rovescia. «Tempo?»

Molti nemici. Aggrottò la fronte. Molti nemici? Che c’entrava? Che significava?

Tempo. Collina. Nemici. Un altro conteggio. Crescente, questa volta.

Naruto staccò le mani da quelle dita più criptiche del loro padrone, e portò quella destra alla testa che aveva iniziato a pulsargli di nuovo. Cominciava a risentire la gola stretta dall’angoscia. Se era un incubo, allora era il più strano e spaventoso che avesse mai avuto, e non credeva che il suo cervello potesse contenere abbastanza immaginazione per auto spaventarsi in quel modo. E non vedeva motivo per cui un nemico avrebbe potuto volerlo ficcare in uno stupido genjutsu come quello. C’erano modi più facili per giocarlo e guadagnarsi la sua fiducia. Cavolo! Sas’ke diceva sempre che si sarebbe fidato anche dei sassi, se gli avessero sorriso! Perciò doveva essere la realtà, il che significava che la cosa era ancora più spaventosa. Il silenzio che si era mosso per mano delle dita di Sasuke stava tornando ad essere piatto e inquietante. Era condannato ad affogare in quel terribile mare per sempre?

Si sforzò di pensare lucidamente. Non poteva lasciarsi cogliere dal panico. Aveva passato di peggio, in fondo. Giusto? E ora … Non sapeva ancora nulla! E poi … poi là con lui c’erano Sasuke e Sakura. E da qualche parte c’era baa-chan. E Kakashi-sensei. E i suoi amici. Non era solo.

Anche se non li vedeva, e non li sentiva … non era solo. No. Non più. Era solo un’illusione cattiva dettata dai ricordi del passato, e lui sapeva perfettamente che il passato non ritorna. Non poteva fargli del male, perché era PASSATO. Lui aveva un presente, a cui pensare. Se si fosse concentrato su questa certezza, sarebbe andato tutto bene. Sì. Tutto.

«Intendi che non è per un solo motivo?» si costrinse a riprendere la conversazione a senso unico.

Quando non ci fu risposta, allungò la mano a caso, fino a che non venne raggiunta e stretta in una presa callosa e ferma. Sasuke. Già il fatto di poter mantenere un contatto così minimo con lui, lo rassicurava ad un livello imbarazzante da ammettere. Patetico …

«Quanto? Un giorno? Tre? Una settimana? Di più?» Si fece forza, deglutì e alla fine fece la domanda che più lo spaventava «… Per … sempre?»

La mano venne scostata, quindi gli venne premuto contro il palmo un dito. Poi due. «Giorni?» chiese speranzoso.

No. «Settimane, allora?» Il pugno venne scosso di nuovo, poi si fermò, quindi un altro conteggio, che pareva casuale. Non ne era sicuro. Sasuke non ne era sicuro! Oh, Kami!

Decise di ignorare l’incertezza e rimanere con la precedente affermazione. «Settimane, quindi.» mormorò sperando che la sua voce non avesse tremato come temeva. Sarebbe riuscito a sopportare settimane di esilio dal mondo più totale? Sì. Sì, ce l’avrebbe fatta. Aveva superato di peggio, no? Ce l’avrebbe fatta. Ne era … sicuro …?

Le dita di Sakura gli accarezzarono i capelli. Quelle di Sasuke rimasero in attesa di altre domande. Doveva riprendere il controllo. Sorrise piano, allontanando le sue lentamente.

Non era il caso che iniziasse a pesare su di loro.

Se la sarebbe cavata, in qualche modo, ma avrebbe fatto meglio ad abituarsi il prima possibile alla sensazione di isolamento, perché avrebbe dovuto conviverci a lungo, in quella stanza d’ospedale.

«Beh, non è per sempre almeno!» affermò con tono leggero e sicuro. Sperava suonasse sicuro, almeno.

«Sarà un buon allenamento!» scoppiò a ridere, nel tentativo di apparire allegro e senza un pensiero al mondo. E venne colpito. «Ahia!»

Poi qualcosa di … delicato, senza esserlo troppo da passare inosservato dallo strato di bende che la fasciava, lo colpì anche sulla fronte, disorientandolo per un istante. Fino a che un ricordo dolce e delicato gli si affacciò alla memoria. Oh … riconosceva quel gesto …

La mano callosa prese brusca la sua, stringendola fermamente. Poi si rilassò leggermente, quindi si irrigidì, poi dondolò. Si alzò, portandosi dietro la sua, quindi si abbassò. Il corpo seduto sul materasso alla sua destra si mosse leggermente, sistemandosi e premendo un … ginocchio? … contro la sua coscia.

Sasuke stava discutendo con Sakura.

Oh …

Sasuke era là con lui.

Il silenzio solitario e spaventoso si riempì di nuovo di musica, la musica che l’anima di Sasuke era sempre riuscita a comunicargli anche attraverso il suo silenzio e il suo buio.


Ora iniziate a capire "perchè" ho intitolato la storia "The sound of silence"?
   
 
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