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Autore: hotaru    12/10/2008    2 recensioni
Nel pieno dell'estate, a Konoha, si festeggia l'O-bon, che celebra il ritorno a casa delle anime dei defunti... e se, per tre giorni, qualcuno tornasse davvero? Dedicata a Chary, che spero si faccia presto sentire e... ovviamente, Hyuuga centric!
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hinata Hyuuga, Altri, Neji Hyuuga
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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O-bon (*)

 

14 agosto

 

I mukaebi (**) scoppiettavano allegri nella notte estiva, e numerose lanterne erano state accese per dare il benvenuto alle anime dei morti tornate a casa per essere celebrate e ricordate nei giorni seguenti.

O, perlomeno, questo era ciò che raccontava la tradizione.

Prima di uscire, Hiashi aveva visto nell’ingresso il tradizionale cavallo fatto con un cetriolo, necessario a riaccogliere le anime a casa. Sicuramente dovevano averlo preparato i bambini, con l’aiuto di sua moglie. Nessun altro componente del Clan si sarebbe abbassato ad una simile bambinata, ma la tradizione era la tradizione, così questo compito veniva da qualche anno affidato ai piccoli Neji e Hinata, che lo prendevano come un gioco.

Dopo essersi recato all’accensione del sentiero di fiaccole, l’intero Clan Hyuga fece ritorno alla propria residenza, dove l’attendevano gli altari degli antenati e dei parenti defunti, precedentemente adornati con incensi e offerte.

Hiashi avrebbe, in realtà, volentieri fatto a meno di assistere a quello spettacolo, che di sobrio e commemorativo non aveva proprio nulla. D’accordo per le danze tradizionali, ma le bancarelle di dolci, giochi per bambini e palloncini pieni d’acqua erano decisamente volgari… per non parlare degli immancabili venditori ambulanti di ramen e saké. Persino gli Yamanaka, quell’anno, si erano aggiunti alla baraonda con il loro banchetto di fiori. Davvero disdicevole.

In verità Hiashi avrebbe di gran lunga preferito rimanere a casa, tranquillo di fronte agli altari, senza che nessuno lo disturbasse. Ma un Capo Clan ha dei doveri, e fra questi è contemplata anche la sola presenza a qualsiasi celebrazione di ogni festa tradizionale. O-bon compreso.

Tuttavia, se avesse potuto scegliere, il più illustre degli Hyuga avrebbe voluto- anche una volta soltanto, anche solo per quell’anno- rimanere nelle stanze della Villa, meglio se lasciato solo da tutti gli altri componenti del Clan. Almeno per una volta, avrebbe desiderato assistere al suo arrivo.

Ma forse ai mortali non è concesso vedere ciò che solo gli dei conoscono.        

D’altra parte, Hiashi sapeva anche ciò che lo attendeva una volta tornato a casa, e questo contribuiva a rendere il cammino di ritorno di quel giorno il più piacevole dell’intero anno.

Una volta rincasati, la moglie di occupava di mettere a letto la figlia e il nipote, mentre lui si univa al resto del Clan nella recitazione dei sutra tradizionali, di fronte agli altari.

E, come ogni anno, lui era lì ad aspettarlo.

Hiashi gli si sedette accanto, prendendo il proprio posto tra i componenti della Casata Principale, non prima di avergli lanciato una lunga occhiata. Naturalmente senza farsene accorgere.

 

 

15 agosto

 

Dato che quel giorno le varie famiglie che componevano il Clan erano impegnate nella visita alle tombe dei propri cari, il loro Capo poteva prendersi qualche momento in più per sé.

Certo, doveva pur sempre presenziare a pranzo, a cena e alle visite ai monumenti funebri degli antenati più illustri, ma la cosa finiva lì. Poteva considerarlo quasi un giorno “di vacanza”, il che gli permetteva di trascorrere un po’ di tempo col fratello.

La prima volta che Hizashi era apparso, nel corso della celebrazione del primo O-bon dopo la sua morte, Hiashi pensò di essere letteralmente ammattito. Tuttavia ebbe sufficiente autocontrollo da non rivelare a nessuno ciò che solo i suoi occhi potevano vedere, così non corse mai il rischio di venire preso sul serio per pazzo.

La prima volta, Hizashi aveva sette anni. Una delle cose che il Capo Clan non comprendeva, era perché mai il suo subconscio dovesse mostrargli il fratello con le fattezze di quand’era bambino, e non come un adulto. Aveva pensato che fosse un modo per esprimere e liberare il proprio senso di colpa. Ma quella “proiezione del suo pensiero” aveva rivelato di avere un carattere.

Parlava, si muoveva, correva e scivolava lungo i corridoi della Villa che gli erano stati preclusi un tempo. Era l’Hizashi del passato, ma con un pizzico di vita in più, il che aveva fatto intuire a Hiashi di non trovarsi di fronte ad una semplice emanazione del proprio inconscio che prendeva forma dai ricordi più nascosti.

Forse era un fantasma, forse no.

Forse era lo spirito del gemello, i cui frammenti di anima erano rimasti conficcati come schegge nelle pareti della vecchia casa, e in quei precisi giorni dell’anno riuscivano a riunirsi fino a riformarne la figura per intero.   

Forse. Forse…

O forse l’O-bon costituiva davvero il momento del ritorno delle anime dei propri cari defunti, e naturalmente non seguiva alcun criterio razionale.

Stavolta Hizashi aveva dodici anni. Hiashi ne era certo, perché aveva riconosciuto, intorno al suo braccio, la benda che una volta l’aveva fasciato per giorni e giorni, dopo essersi accidentalmente ferito durante una delle prime missioni assegnate al suo Team. E, se non ricordava male, avevano esattamente dodici anni.

Non appena Hizashi l’aveva visto, la sera prima, gli aveva rivolto uno di quei sorrisi complici che a quell’età si scambiavano spesso di nascosto. Naturalmente il fratello non aveva potuto rispondere, non con tutto il resto del Clan presente. Aveva quindi mantenuto un atteggiamento composto e impassibile, riuscendo a non tradire alcuna emozione. Ma lo Hiashi dodicenne nascosto dentro di lui aveva sogghignato.  

Quel giorno avevano quindi gironzolato tutto il tempo per i boschi di Konoha, lontani da chiunque, ma la sera, pregato dalla moglie di passare un po’ di tempo con la figlia e- perché no?- anche con il nipote, Hiashi aveva accettato di accompagnarli in una passeggiata notturna lungo le rive del lago, ad osservare chi si stava impegnando nell’antico passatempo della “caccia alle lucciole”.

Agli insetti non veniva fatto alcun male: venivano soltanto catturati, con estrema delicatezza, e infilati in una lanterna di carta.

Uno Hyuga della Casata Cadetta aveva donato la propria al Capo Clan, cedendo con essa le sette lucciole imprigionate con tanta fatica.

Hinata e Neji la tennero in mano a turno, illuminando il sentiero che portava verso casa, mentre dietro di loro camminavano Hiashi e la propria consorte. Lo spirito di Hizashi camminava ora a fianco del figlio ora a fianco della nipote, in base a chi dei due portasse in quel momento la lanterna, incantato dal movimento delle lucciole, che dietro la carta di riso danzavano come in un sogno.

Apparentemente Hiashi puntava lo sguardo dritto avanti a sé, fiero, rivolto alla strada. In realtà, non perdeva d’occhio un istante il fratello, che ogni tanto si voltava a fargli un cenno.

La moglie, vedendolo così assorto, scelse proprio quel momento di pace assoluta per stringergli un po’ il braccio e avvicinarsi al suo orecchio, mormorandogli dolcemente qualcosa.

Il Capo del Clan Hyuga si arrestò, distogliendo per la prima volta lo sguardo dallo spirito dodicenne che continuava imperterrito a proseguire, seguendo i due bambini.     

Si voltò verso la moglie guardandola in viso, mentre lei gli sorrideva affettuosamente.

Poi i suoi occhi si posarono per un istante sul ventre di lei, prima di accorgersi che Neji e Hinata si erano fermati pazientemente ad aspettarli, e di riprendere immediatamente il cammino.

Stavolta con due persone al proprio fianco.

 

 

16 agosto

 

Gli okuribi (***) divampano sulle rive del fiume, le fiamme guizzanti come mani che salutavano le anime in procinto di ripartire. Vedendo tutta la gente di Konoha radunata là, Hiashi si chiese quanti di loro stessero effettivamente salutando un’anima, come stava facendo lui.

Forse qualcuno. Forse nessuno.

Hizashi, nel pomeriggio, aveva osservato Neji e Hinata preparare la “mucca del commiato”, fatta con una melanzana. Seduto al loro stesso tavolo, li aveva guardati per tutto il tempo, finché non ebbero ricavato un abbozzo di bovino dall’ortaggio scuro.

Hiashi si era chiesto se il fratello conservasse qualche ricordo di quando era in vita, di quando anche loro, a quell’età, preparavano i tradizionali fantocci vegetali. Si era chiesto se lo spirito Hizashi si ricordasse che quel bambino dai lunghi capelli castani era suo figlio.

Che lo sapesse o no, il fantasma dodicenne aveva comunque letto con particolare interesse quello che il piccolo Neji aveva scritto sulla lanterna di carta dedicata al padre, mentre Hinata guardava affascinata quegli ideogrammi misteriosi, per lei ancora indecifrabili.

Quando, al tramonto, le lanterne erano state accese e lasciate andare sulle acque del fiume, Hizashi non aveva perso di vista le proprie: una scritta dal figlio, l’altra dal fratello.

Aveva salutato Hiashi con un sorriso spensierato- come fosse in procinto di uscire di casa per tornare entro un’ora- perdendosi poi tra la folla, per raggiungere velocemente le proprie lanterne e sfumare nella loro luce soffusa.

Quello spettacolo di lumi galleggianti, lasciati in balia della corrente del fiume per indicare agli spiriti la via del ritorno nell’aldilà, rendeva quella sera di fine estate davvero magica.

Persino i bambini, tutti i bambini di Konoha, non fiatavano pur di assistere all’incedere silenzioso di quelle lucciole guizzanti tra i singulti del fiume.

Nel silenzio surreale che si veniva a creare, era possibile distinguere anche il mormorio dell’acqua, un istante dopo sovrastato dal primo scoppio della serata, immediatamente seguito da un grande fiore di fuoco che sbocciava nel cielo.

Lo spettacolo pirotecnico, sebbene suggestivo, riportava comunque alla realtà l’intera folla, la quale  fra esclamazioni di ammirazione e sorpresa, non riusciva più a staccare gli occhi dalla volta celeste, trasformata in quei momenti un grande prato fiorito color pece.

Tutti i bambini di Konoha, per ammirare meglio i fuochi d’artificio, venivano fatti sedere sulle spalle dei propri padri. Tutti tranne i bambini del Clan Hyuga che, dalla loro posizione privilegiata sulla riva del fiume, potevano assistere allo spettacolo senza bisogno di inutili sforzi da parte degli adulti. Anche se nessuno aveva mai chiesto loro che cosa, in realtà, avrebbero preferito.

Hiashi non aveva mai sentito sulle proprie spalle il peso leggero della figlia, né tanto meno quello del nipote, e nemmeno poteva immaginare il dolce peso che stava in quel momento portando sua moglie in grembo. Un peso che l’avrebbe accompagnata per tutti gli otto mesi seguenti.

Ripensando allo sguardo di Hizashi di fronte alle fiammelle delle lanterne, e osservando le espressioni di stupore ed entusiasmo dipinte sui volti dei due bambini che gli stavano davanti, col naso per aria e gli occhi a tratti sgranati e a tratti stretti per la forte luce e il rumore, il Capo del Clan Hyuga decise come si sarebbe chiamato il bambino.

Se fosse stato una femmina.

 

 

 

(*) O-bon: è una festa buddista per commemorare i morti (14-16 agosto). Il 14 agosto, accolte da fiaccole che illuminano il loro cammino, le anime degli antenati si recano presso gli altari a loro dedicati nelle case, che in questa occasione sono guarniti da speciali offerte. L’ultimo giorno della festa, il 16 agosto, al tramonto, vengono accese e lasciate galleggiare sui fiumi delle lanterne su cui sono scritte delle preghiere, perché accompagnino gli spiriti nel loro ritorno all’aldilà.

 

(**) Mukaebi: fuochi di benvenuto

 

(***) Okuribi: fuochi di commiato

 

Nota finale: Hanabi, in giapponese, significa “fiori di fuoco” o “fuochi d’artificio”.

 

 

   
 
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