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Autore: earlgreytea68    12/10/2014    2 recensioni
Sherlock Holmes continua a scegliere dei coinquilini che si credono blogger.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John, Watson, Sherlock, Holmes
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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All’avvertimento di earlgrey sono rimasta tipo di sasso…
 
 
Note:
Importante –Mary e il bambino muoiono off-screen in questo capitolo, quindi… già.
 
 
 
 
Capitolo 5
 
 
Capitolo Cinque
 
22 Marzo, 2015
Giorno 58 dell’Operazione Oh-No-Aspetta-È-Successo-Qualcosa-di-MOLTO-Più-Importante
 
Allora, Shezza ha detto che dovevamo rimetterci in sella. In realtà, prima che faccia commenti a riguardo, Shezza non ha detto nulla su selle e cavalli. [1]
 
Ma abbiamo deciso di dare al pub un’altra occasione. Dopo la nostra lunga assenza, abbiamo deciso di andarci. E, in realtà, la pesca è stata fruttuosa. Intendo, un tipo davvero formidabile. Era focoso e divertente. Un dentista, Shezza ha detto che era proprio il tipo di carriera noiosa giusta per me. Mi stavo davvero godendo il mio tempo con lui.
 
E poi Shezza corse fuori dalla porta del pub, causando un sacco di confusione, e cosa avrei dovuto fare, *lasciarlo fare*? Voglio dire, sicuramente stava succedendo qualcosa, giusto?
 
Avevo ragione. Era successo che, mentre io ero impegnata a chiacchierare con lo straordinario dentista, Shezza aveva dedotto che uno degli avventori del pub aveva rapito una bambina. Allora cos’abbiamo fatto ieri sera? Già, abbiamo semplicemente salvato la vita di una bambina, niente di che.
 
Se sei il dentista con cui ho parlato, però, mi piacerebbe se lasciassi un commento.
 
***
 
Il dentista, pensò Sherlock, poteva essere un buon compromesso. Era un po’ insipido, ma Janine non era John: non era necessariamente in cerca di emozioni. Janine voleva trovare un tipo a posto e affidabile con cui sistemarsi, qualcuno divertente e gentile e che non si sarebbe scopato la sua migliore amica (e siccome, a quanto pareva, era lui il suo migliore amico, Sherlock pensò che le probabilità di trovare a Janine qualcuno che voleva scopare con lui fossero abbastanza basse). Janine aveva alti standard di bellezza —Sherlock sospettava che lei stessa fosse piuttosto carina, anche se il suo concetto di bellezza era spesso artificiale e quindi non poteva mai esserne sicuro— e questo era spesso l’ostacolo più grande nel gioco delle coppie a cui stavano giocando. Sherlock aveva trovato attraente una sola persona in tutta la sua vita: John Watson. Quindi giudicare il fascino degli uomini non era il suo forte ed era un campo in cui tendeva a sbagliare. Ma col dentista ci aveva apparentemente azzeccato, perché Janine spostava i capelli e sorrideva un po’ troppo, e lo faceva quando era sessualmente interessata a qualcuno, il che era buono, perché Sherlock pensava che il dentista fosse un buon compromesso sotto tutti i punti di vista.
 
Janine, per una volta, sembrava avere la situazione in pugno, così Sherlock si rilassò un poco e si guardò intorno nel pub. Era annoiato, ora che aveva finito le deduzioni per Janine, e si chiese quanto tempo avrebbe dovuto aspettare prima di poter definire un successo la serata ed andarsene. Tuttavia, Baker Street sembrava noiosa. Si chiese se Lestrade avesse un caso: la sua casella postale non era granché piena di suoi messaggi.
 
Il cellulare nella tasca squillò, e Sherlock guardò Janine, che si era sporta ancora di più verso il dentista. Chiaramente andava tutto bene e non gli stava scrivendo di nascosto.
 
Sherlock prese il suo cellulare, sperando fosse Lestrade, preoccupato fosse Mycroft.
 
Era John: Ti penso. Non so cosa fare. Succede qualcosa?
 
Il primo istinto di Sherlock fu di rispondergli immediatamente: Sono terribilmente annoiato. Facciamoci compagnia a vicenda. Incontriamoci a NSY e irritiamo Lestrade finché non ci darà qualcosa da fare. Sherlock rimase con le dita sullo schermo del suo cellulare, voleva così tanto passare una serata simile che poteva quasi già sentirla. Si ricordò di quando stava in piedi in un bagno con la cocaina nella tasca e provava la stessa sensazione, quasi tremante per l'attesa.
 
Janine rise, dall’altra parte del bar, e Sherlock la sentì e alzò lo sguardo verso di lei. Janine gli aveva chiesto di mettere un po’ di distanza da John, e Sherlock si era offeso, ma forse, con riluttanza, Sherlock aveva ammesso, pensando allo spettro della cocaina nella sua tasca, che Janine aveva ragione. L’effetto della droga inevitabilmente svaniva e poi venivi lasciato in case disgustose piene di sporcizia e parassiti, su materassi che non erano tuoi. O semplicemente a Baker Street, senza John Watson.
 
E sarebbe inevitabilmente finita in quel modo. John non sapeva cosa fare quella sera, così gli aveva scritto. John non gli aveva scritto per dirgli, Mi manchi con tutte le mie forze. Non posso sopportare di stare lontano da te, puoi per favore architettare un modo per vederci? John aveva detto Sei temporaneamente meno noioso rispetto alle altre cose che potrei fare. Sherlock riconosceva l’ironia nel subire una cosa simile in un rapporto. E, l’ingegno della punizione abbattutasi su di lui lo fece quasi credere in Dio.
 
Sherlock chiuse gli occhi e lasciò che la tentazione di John si allontanasse da lui, perse l'emozione che gli vibrava nel sangue, fece profondi respiri per rallentare il battito cardiaco. Non ne valeva la pena, pensò.
 
Rimise il cellulare in tasca, senza rispondere al messaggio di John, e si guardò attorno nel pub con occhi nuovi. Qualcosa da fare, pensò. Aveva disperatamente bisogno di qualcosa da fare.
 
Per un momento pensò di star immaginando tutto quando vide un uomo dall’aspetto furtivo entrare nel pub. Sherlock lo guardò ordinare una pinta, scambiando convenevoli con alcune delle persone nel pub. Un cliente abituale, entrato per la sua pinta quotidiana. Ma questa era sicuramente una giornata fuori del  comune. Ordinò un tipo di birra differente —il barista, confuso, lo corresse— e gli diede un importo errato. Parlò con le persone attorno a lui con allegria forzata, ma la sua mente era chiaramente da un’altra parte. Era ovvio, no? Sherlock aggrottò la fronte. Perché nessun altro vedeva queste cose?
 
Sherlock si alzò dal suo tavolo e si avvicinò al bar. L’uomo aveva un unico lungo ricciolo biondo attaccato al cappotto. Una donna, pensò Sherlock. Aveva appena incontrato una donna? Veniva da un appuntamento? Era quella la ragione del suo nervosismo? Aveva appena scopato la moglie di qualcuno?
 
Sherlock gettò lo sguardo sulla gente con cui l’uomo aveva parlato, scartando tale possibilità.
 
“Hai intenzione di ordinare qualcosa?” gli chiese il barista.
 
“Smettila di infastidirmi.” gli disse Sherlock, e si voltò a guardare l’uomo in questione. Non aveva notato Sherlock. Era perso nel suo piccolo mondo. Continuava a sorridere, sembrando stranamente colpevole a riguardo. E aveva la mano in tasca. Perché la sua mano era in tasca?
 
Sherlock gli si avvicinò, assumendo il suo miglior atteggiamento casuale. “Mi dispiace disturbarla,” disse “Ma avrebbe da cambiarmi venti?” Sherlock gli tese una banconota da venti sterline.
 
“No.” disse l’uomo, secco, e lo fissò.
 
“Guarda, non mi serve nemmeno che me li cambi tutti. Ti darò questi venti se mi darai semplicemente un paio di sterline. Sono in un vicolo cieco e ho davvero bisogno di un cambio.”
 
Era una storiella debole, ma Sherlock aveva imparato che non serviva costruirne di migliori quando si offriva alla gente dei soldi. L’uomo sospirò, ma tirò fuori la mano dalla tasca, assieme al suo portafoglio, e Sherlock ebbe modo di vedere ciò con cui stava giocando in tasca, perché tirò quasi fuori pure quello: un nastro rosa.
 
Gli occhi di Sherlock si ghiacciarono sul lungo ricciolo biondo sul cappotto dell’uomo. Non una donna, pensò Sherlock. Un bambina che portava ancora i nastri per capelli.
 
“Mi spiace.” disse l’uomo. “Non ho da cambiare.” Guardò nuovamente Sherlock mentre rimetteva a posto il portafoglio.
 
“Valeva la pena provare.” disse Sherlock, con un piccolo sorriso, poi tornò al suo tavolo. Janine era ancora al bar, chiacchierava ancora col dentista. Sherlock la guardò, poi rifletté. Rapimento? Poteva essere un rapimento? Si sentiva semplicemente tanto annoiato e irrequieto da vedere cose dove non c’era nulla da vedere?
 
E poi l’uomo confermò che c’era assolutamente qualcosa di cui preoccuparsi, perché continuò a guardare verso di lui, come se fosse preoccupato. Sherlock prese il suo cellulare dalla tasca e compose il numero di Lestrade, tenendo d’occhio l’uomo di nascosto mentre lo faceva.
 
“Lestrade.”
 
“Ciao.” disse Sherlock, con un ampio sorriso, come se fosse stato pienamente preso dalla conversazione più casuale di sempre. “Penso che potrei essere in un pub con qualcuno d’interessante.”
 
“Cosa?” fece Lestrade, assente, e Sherlock guardò l’uomo che, dopo aver gettato un altro sguardo  per assicurarsi che Sherlock fosse ancora assorto nella conversazione al cellulare, scattò fuori dal pub.
 
“Devo andare.” disse Sherlock, gettò il telefono in tasca e si alzò talmente in fretta da rovesciare la sedia, ma non aveva importanza, perché doveva uscire dal pub il più velocemente possibile per tenere d’occhio l’uomo. Si fece largo tra la folla che all'improvviso sembrava essere tutta in mezzo ai piedi e finalmente arrivò in strada e guardò a destra e a sinistra.
 
“Sherlock,” disse Janine. “Cosa—”
 
“Oh,” disse Sherlock, “Saresti dovuta rimanere col dentista noioso.” E poi individuò l’uomo che si muoveva ancora furtivamente, il ché lo rese più evidente. Si guardò alle spalle e Sherlock si voltò e prese il viso di Janine e la baciò. Beh. Premette appena le labbra chiuse contro le sue, ma dalla distanza in cui il rapitore si trovava avrebbe dovuto essere convincente.
 
Sherlock contò fino a tre, poi si allontanò da Janine e si guardò indietro. Prevedibilmente, il rapitore camminava più tranquillo ora, convinto che Sherlock non lo seguisse più. Idiota, pensò Sherlock
 
“Che diavolo era quello?” chiese Janine, suonando scioccata.
 
“Vieni con me,” disse Sherlock, prendendo la mano di Janine e trascinandola con sé. “E sorridimi come fossi estremamente affascinante e tu fossi molto innamorata di me.”
 
“Perché?” chiese Janine, ma gli obbedì comunque, sbattendo le ciglia verso di lui.
 
“Perché stiamo per catturare un rapitore,” disse Sherlock, guardando davanti a loro per essere sicuro di starlo ancora seguendo.
 
“Noi cosa?” disse Janine, anche se la sua espressione facciale non cambiò.
 
Era brava a farlo, pensò Sherlock, e poi si chiese perché ne fosse sorpreso.
 
Seguirono l’uomo per diversi isolati. Janine non smise di parlare di cose senza senso così che sembrassero impegnati in una conversazione.
 
“Potresti essere un po’ più convincente da parte tua.” disse lei, a un certo punto.
 
“Sembro esattamente come un ragazzo: annoiato mentre sto pensando ai risultati di calcio.” replicò Sherlock, guardando l’uomo scivolare attraverso una porta in una vecchia casa a schiera fatiscente che era chiaramente stata suddivisa in appartamenti.
 
Sherlock lasciò la mano di Janine e aumentò il ritmo cominciando a correre, guardando verso l’edificio mentre si avvicinava.
 
“Il posto è questo.” disse Sherlock a Janine e fece un passo indietro, telefonando a Lestrade. “La terrebbe nella parte frontale dell’appartamento, però? Potrebbe esserci un’entrata posteriore. Dovrò fare il giro— Lestrade. Ti ho catturato un rapitore. Janine sta per darti l’indirizzo.” Sherlock lanciò il suo cellulare e Janine lo prese d’istinto. “Dì a Lestrade dove siamo e rimani qui.”
 
Sherlock la lasciò lì e s’infilò nella parte posteriore della casa a schiera. Sì, entrata posteriore, che si apriva su un vicolo, e due figure uscirono di lì: l’uomo che Sherlock aveva visto e un bambino, infagottato in anonimi abiti grigi, indossando un cappuccio su quelli che Sherlock credeva fossero dei riccioli biondi. Il bambino stava inciampando, ma non faceva davvero resistenza. Drogato, pensò Sherlock. E non c’era niente da fare. L’uomo si sarebbe accorto subito di essere seguito. Il vicolo non offriva alcuna copertura, e non c’erano motivi per cui un uomo dalla silhouette di Sherlock sarebbe dovuto essere lì. Sherlock non ha desiderato molto spesso di non aver indossato il suo cappotto, ma lo desiderò in quel momento, e poi pensò, Oh, che cazzo e iniziò a correre il più velocemente possibile.
 
L’uomo, sentendo i passi, esitò nel guardarsi indietro, un errore fatale che permise a Sherlock di ottenere un prezioso vantaggio su di lui. Poi l’uomo si mise a correre, ma si stava trascinando dietro la bambina (il cappuccio cadde, sì, lunghi riccioli biondi) e così Sherlock lo affrontò, tentando di evitare di tirare giù la bambina con loro. L’uomo, fortunatamente, la lasciò andare subito, e poi lo attaccò con un coltello. Sherlock doveva aspettarsi che fosse armato ma non così. Il coltello passò attraverso il cappotto e sul suo avambraccio, e Sherlock onestamente era più infastidito per lo squarcio sul suo cappotto che della ferita superficiale.  Sherlock  rotolò istintivamente lontano da lui, dando stupidamente modo all’uomo di salirgli sopra, e Sherlock, infastidito, era in procinto di levarselo di dosso quando l’uomo si afflosciò su di lui.
 
Sorpreso, Sherlock lottò sotto il corpo per vedere Janine, inorridita, con in mano un pezzo di legno
 
“L’ho ucciso?” chiese, suonando un po’ nel panico.
 
Dal momento che il respiro aspro dell’uomo era adesso in pieno viso di Sherlock, Sherlock lo spinse via e disse, “No, l’hai fatto svenire.” Sherlock si voltò verso la bambina, ma Janine lo batté sul tempo.
 
Era rannicchiata come una pallina sul marciapiede, singhiozzando. I suoi occhi non erano del tutto concentrati, ma non erano nemmeno fuori di sé. Qualunque droga fosse stata, stava svanendo.
 
“Non preoccuparti,” le disse Janine, la sollevò facilmente e la bambina si aggrappò a lei. “Non preoccuparti, la polizia sta arrivando.”
 
E in effetti era così, il primo di loro arrivò nel vicolo.
 
Cure mediche furono date alla bambina, e il criminale, rianimato, venne portato via in manette, e Sherlock finì la sua dichiarazione a Lestrade e si voltò verso Janine che lo stava aspettando.
 
L’attenzione di Sherlock era sulla fastidiosa macchia di sangue sulla sua manica, così quando disse “Saresti dovuta—” Janine riuscì a prenderlo di sorpresa quando gli colpì la gamba con lo stesso pezzo di legno che aveva usato per mettere fuori combattimento il rapitore. “Ow!” esclamò Sherlock, saltando di parte.
 
“Whoa,” disse Lestrade, facendo un passo in avanti.
 
“Oh, è tutto a posto.” sbottò Janine e lasciò cadere il legno. “Non ho intenzione di fargli davvero male. Solo. Cosa diavolo. Era quello?” puntualizzò con degli spintoni le sue piccole frasi.
 
Sherlock fece retromarcia, provando a togliersi dalla sua traiettoria. Lestrade guardava, apparentemente troppo stupito per intervenire.
 
“Era—” Sherlock iniziò.
 
“Come hai osato correre qui e prendere tutto da solo un pericoloso criminale?” Janine gridò. “Cosa pensavi di fare? Avevo il cuore in gola.”
 
Sherlock era sgradevolmente consapevole del fatto che tutta l’attenzione del vicolo fosse rivolta a loro. “Shh,” tentò di dire Sherlock, quando realizzò che lei lo aveva costretto contro il muro e lui non poteva retrocedere ancora.
 
“E non provare mai —mai più— a lanciarmi un cellulare in mano e farmi sedere in disparte come fossi troppo delicata per catturare criminali insieme a te!”
 
“Quello non era—” tentò Sherlock.
 
“Potevi venir ucciso. Ho salvato quella tua vita del cazzo.”
 
“Sto bene—”
 
Janine alzò la sua manica insanguinata. “Ti ha accoltellato.”
 
Sherlock strattonò il braccio dalla sua presa, consapevole di sé. “È solo un graffio.”
 
“Dì ‘grazie’.” pretese Janine.
 
Sherlock sbatté le palpebre. “Cosa?”
 
“Dì ‘Grazie, Janine, per essere venuta in mio aiuto.”
 
Sherlock la fissò. Janine lo fissò di rimando, sembrando furiosa. Sherlock era consapevole di tutti gli altri che li stavano fissando. Non aveva idea di cosa fare. Era per metà preoccupato che se avesse semplicemente provato ad andarsene, Janine lo avrebbe colpito di nuovo col pezzo di legno. Così disse, tirandolo fuori a fatica, “Grazie, Janine, per essere venuta in mio aiuto.”
 
“Così va meglio.” Janine sembrava soddisfatta, e poi lo sorprese ancora di più sporgendosi in avanti e soffocandolo in un abbraccio stretto.
 
Sherlock, sorpreso, catturò lo sguardo divertito di Lestrade prima di chiudere gli occhi per evitare ulteriori umiliazioni.
 
Janine lo lasciò e fece un passo indietro, sembrando incredibilmente più calma. “Grazie per aver preso il rapitore di quella bambina. Hai fatto una cosa molto buona. Ora andiamo a casa e mi prenderò cura di quel graffio per te.”
 
Janine, con tutta la sua dignità intatta, marciò fuori dal vicolo come se ne fosse la regina.
 
Lestrade guardò Sherlock e Sherlock ebbe l’impressione che fosse vicino a cadere nello sforzo di sopprimere la sua risata. “È divertente, no?” disse Lestrade.
 
“La farò andare via di casa domani.” brontolò Sherlock.
 
***
 
22 marzo, 2015
 
Aggiunta al Mio Post Precedente
 
Ho sentito il dentista! Ho un appuntamento! Shezza ha detto che mi darà dei suggerimenti così che io non rovini quest’occasione.
 
***
 
Sherlock era seduto in salotto e guardava Janine pulire il graffio sul braccio in modo del tutto sproporzionato alla gravità della ferita. Era davvero diverso dall’avere John a prendersi cura delle sue ferite. John curava le sue ferite con la praticità di un dottore: efficiente, con minimo sforzo e movimento. Janine non era affatto così. Janine era eccessivamente meticolosa, spendeva troppo tempo per tutta la situazione, avrebbe dovuto finire molto tempo prima. Ma era stranamente bello essere medicati. Era stranamente bello avere qualcuno che gli venisse in aiuto, doveva ammetterlo. Per lungo tempo, Sherlock era convinto che solo John avrebbe potuto ricoprire quel ruolo, che aveva perso tutto quello nel momento in cui aveva perso John. Janine era diventata un elemento nuovo, ed era grato per la quantità eccessiva di tempo che lei aveva speso preoccupata per un piccolo graffio, dandogli così tempo per risolvere questo elemento nuovo che la riguardava.
 
“Ecco.” disse Janine, sedendosi finalmente. Aveva ammucchiato la garza sopra la ferita. Sembrava assolutamente ridicolo. Sherlock dubitava che sarebbe entrato nel cappotto. Se il suo cappotto era ancora indossabile.
 
“Questo è davvero… meticoloso.” disse Sherlock, dopo un momento di scettico silenzio.
 
“Sta zitto.” disse Janine, e lo spinse scherzosamente, poi si sedette a terra vicino la sua sedia, appoggiandosi contro di lui. “Mi hai spaventata oggi.”
 
Sherlock guardò la parte superiore della sua testa perché non poteva vedere altro di lei. “Ti è piaciuto?”
 
“Mi è piaciuto?  Pensare che stessi per essere ucciso proprio davanti a me? No, non mi è piaciuto.”
 
“Giusto, ma a parte questo.”
 
“A parte questo, cosa?” Janine rovesciò il viso all’indietro cosicché potesse vederlo.
 
E lui poté vedere lei, ed era grato per questo. “Oltre a questo, ti è piaciuto?”
 
Janine considerò la cosa, poi si strinse nelle spalle.
 
“Sei stata brava.” disse Sherlock.
 
Lentamente, Janine cambiò posizione abbastanza da poterlo vedere veramente.  “Ho l’impressione che tu non lo dica molto spesso.”
 
“Il giorno in cui ci siamo incontrati, lo sai come mi hai chiesto se avevo un posto libero per un assistente con cui risolvere i crimini?” disse Sherlock.
 
***
 
23 Marzo, 2015
 
Come ho detto prima, Shezza è un detective. Mi ha chiesto se volessi iniziare ad accompagnarlo sulle scene del crimine, e ho pensato avesse perso la testa, ma, in realtà, ho deciso di andare con lui oggi ed è stato dannatamente interessante. Forse sono nata per risolvere crimini.
 
(Oh, e l’appuntamento col dentista è andato bene )
 
***
 
Janine insisté sullo champagne.
 
Sherlock disse che tutto quello che avevano fatto era stato risolvere un crimine, e lui risolveva crimini quasi tutti i giorni, ma Janine lasciò volare il tappo di sughero contro la parete e poi urlò verso il fondo delle scale. “Non si preoccupi signora Hudson, stiamo solo festeggiando!”
 
“Divertitevi, cari!” rispose la signora Hudson, e Janine versò lo champagne nelle tazze da tè perché erano pulite, erano lì, e gliene porse una.
 
“Il mio primo caso.” esclamò, eccitata al massimo.
 
“Hai aiutato a risolvere quel sequestro la scorsa settimana.” puntualizzò Sherlock.
 
Janine scosse la testa. “Quello era tutto tuo. Ti ho solo accompagnato.”
 
“Mi hai solo accompagnato anche in questo.”
 
“Giusto, ma sapevo che ti avrei seguito fin dall’inizio. L’ultimo mi aveva colto di sorpresa. E non ho quasi dovuto uccidere nessuno, questa volta.”
 
“Quelli con gli ufficiali di polizia coinvolti possono essere meno eccitanti di così.” disse Sherlock.
 
Janine prese un sorso di champagne e disse, “Sai cosa dovremmo fare?” si chinò e giocherellò con il suo portatile finché non ne uscì a tutto volume della salsa. “Dovremmo esercitarci col ballo!”
 
Il cellulare di Sherlock vibrò nella sua tasca. Scosse la testa mentre lo prese fuori dalla giacca. “Oh, no. Sai che ho detto che non avremmo fatto pratica mentre sei ubriaca.” Aggrottò la fronte verso il cellulare. Era John. Che lo stava chiamando. Lui non chiamava mai. Sherlock silenziò il cellulare e lo poggiò alla scrivania, voltandosi verso Janine.
 
Janine disse, “Ho preso due sorsi di champagne, non sono ubriaca. Chi ti sta chiamando?”
 
“Non ha importanza.” disse Sherlock, perché era di buon umore. Sulla scena del crimine era andata bene, era stato bello avere un alleato che fossi lì solo per lui, e non voleva rovinare tutto ricordandosi ancora una volta che quel qualcuno non era John. Si volse verso Janine e disse, “Va bene. Una lezione.”
 
***
 
Stavano ancora ballando quando John arrivò alla loro porta. Sherlock non lo notò finché non fece un passo che mise la porta nella sua prospettiva, e poi esitò nel suo passo, cosa che Janine notò, seguendo il suo esempio e interrompendo il ballo.
 
“John.” disse Sherlock, e si chinò per spegnere il volume della musica.
 
“Ciao John.” disse Janine, raggiante. “Champagne?” sollevò la bottiglia quasi vuota.
 
Sherlock studiò John che sembrava… intontito. John non lo era mai sembrato. Sembrava come se non potesse processare cosa gli stava accadendo davanti. Fissava lo champagne in mano a Janine senza riconoscerlo.
 
“Non ascoltarla.” Sherlock disse, veloce, chiedendosi quanto John fosse sotto shock per essere andato lì e averlo visto ballare con questa donna. “Stavamo solo… non ascoltarla—”
 
“Mary è morta.” disse John, i suoi occhi ancora sulla bottiglia di champagne.
 
Tutto nell’appartamento sembrò diventare di una calma innaturale. Sherlock fissò John, sicuro di non aver sentito male.
 
“Cosa?” chiese.
 
John alzò gli occhi dalla bottiglia di champagne per portarli al viso di Sherlock, e Sherlock li riconobbe appena. Sembravano… morti. Completamente. Sherlock voleva raggiungerlo, ma non era sicuro di cosa avrebbe fatto una volta toccatolo. Pensò semplicemente che aveva bisogno di dare a John qualcosa di vivo così avrebbe smesso di sembrare così morto.
 
“Mary è morta.” disse John, e poi smise di parlare e prese un profondo respiro dal naso, nel modo in cui John faceva quando cercava di darsi un contegno. “E la bambina.” riuscì  a dire con voce incrinata.
 
“John.” disse Sherlock, scioccato, perché non sapeva che altro dire. Cosa doveva fare in queste circostanze? Non c’era niente da fare per lui, niente che potesse risolvere il problema, nessuno che potesse uccidere, o minacciare, o addirittura salvare, a questo punto. Perché era tutto finito, era accaduto tutto, a John Watson, e nessuno si era nemmeno preoccupato —Sherlock ricordò improvvisamente di aver ignorato la chiamata di John. Pensò al cellulare sulla scrivania, che aveva egoisticamente messo da parte perché aveva voluto godersi la serata, e si chiese come aveva potuto fare questo a John, quel John che lo aveva raggiunto e che lui aveva ignorato.
 
“Non ho potuto…” disse John. “Non sono riuscito— Non ho potuto—”
 
“Ovviamente.” disse Sherlock, senza fiato, cercando di pensare a cosa fare. Cosa facevano le persone in queste situazioni? In preda al panico, afferrò l’unica cosa a cui riusciva a pensare. “Tè.” gli uscì fuori, afferrando la parola come un àncora di salvezza. “Vuoi del tè?”
 
John lo fissò, e Sherlock pensò che era del tutto la cosa più sbagliata da dire. Stupido, stupido, stupido, si maledisse Sherlock.
 
E poi John quasi sorrise. Disse, “Sì. Sì, voglio del tè.”
 
***
 
John sedeva al tavolo della cucina. E Sherlock faceva il tè. Sherlock cercò di pensare se avesse mai fatto il tè a John prima. Pensò di averlo fatto, una o due volte, ma sembrava molto tempo fa e molto lontano.
 
Sherlock era grato di avere quell'attività da svolgere perché significava non dover trovare qualcosa da dire. Poi diede a John il suo tè e si sedette con la propria tazza di tè e continuò a non sapere cosa dire. John guardava il tavolo della cucina e Sherlock guardava il soffitto e beveva a sorsi regolari il suo tè. Quando ebbe finito, John non aveva ancora toccato il suo.
 
Sherlock voleva dire, mi dispiace, non ho risposto quando hai chiamato. Non posso credere di averti deluso in questo modo. Passerò il resto della nostra vita a farmi perdonare da te. Voleva dire, mi dispiace di averti dato lei solo per fartela perdere comunque. Voleva dire, mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace per non averti amato nel modo in cui meritavi di essere amato così da non andartene e trovarti qualcun altro e poi perdere questo qualcuno e così tutto questo, in un modo o nell’altro, è colpa mia.
 
Quello che disse fu, “Suonerò per te.”
 
John sbatté le palpebre e lo guardò, sembrando stupefatto di ritrovarsi nella cucina di Baker Street, come se si fosse dimenticato di essere andato lì. “Cosa?”
 
“Suonerò per te. Così potrai dormire.”
 
John fece un profondo respiro e poi lo lasciò andare, e Sherlock lo guardò processare che Sherlock aveva sempre saputo che suonare il violino lo aiutava con gli incubi. Sherlock non sapeva se ora fossero incubi diversi, incubi impenetrabili, ma John era stato sveglio per quasi quarantotto ore di fila e aveva bisogno di dormire. Sherlock aveva dedotto tutto quello che c’era da sapere su Mary e la bambina in quel momento: il travaglio andato male, la bambina in pericolo, Mary che insisteva che dovevano salvare la bambina a discapito di lei, e, alla fine, l’impossibilità di salvare entrambe. Mary si era rivelata non essere egoista, alla fine. Sherlock non sapeva se fosse felice di questo o meno. Se fosse stata egoista, alla fine avrebbe potuto sopravvivere.
 
In ogni caso, Sherlock non aveva bisogno di sapere nulla di più di quello che già sapeva, ovvero che aveva rimesso insieme John Watson già una volta, quando era arrivato con una zoppia psicosomatica e  l’incapacità di sapere quello che gli serviva. E Sherlock era disposto a farlo di nuovo.
 
Sherlock si alzò e disse, sbrigativamente, pensando che John avesse bisogno che prendesse lui in mano la situazione, nel modo in cui aveva fatto nei primi giorni molto tempo addietro, alternando prepotenza e fascino per dare a John quello di cui aveva bisogno. “Puoi riavere la tua camera, naturalmente. È proprio come l’hai lasciata.”
 
John lo guardò. Disse, scuotendo leggermente la testa, “No. Devo—”
 
“Non c’è nulla che tu debba fare ora tranne riposare. Vai.”
 
“Non capisci.” disse John, apatico, guardando la sua tazza. “Non capisci quanto c’è da fare quando qualcuno muore improvvisamente. Ho già fatto queste cose prima. Ho già…” John lo guardò improvvisamente, e i suoi occhi non erano più spenti, erano splendenti con qualcosa di molto vicino alla furia. E Sherlock era quasi sollevato di vederlo. “Non hai idea.” disse John.
 
E Sherlock non ce l’aveva. Perché l’ultima volta che John aveva dovuto seppellire  inaspettatamente qualcuno, era lui.
 
Sherlock deglutì e disse, “Lo so. Ma questa volta sono qui, e così questa volta non dovrai farlo da solo. Ti aiuterò. Farò di tutto, se vuoi che lo faccia. Non te lo lascerò fare di nuovo da solo.”
 
John sostenne il suo sguardo per un lungo momento. E disse, “È colpa mia, non è vero?”
 
“No.” Sherlock disse subito, con fermezza.
 
“Perché queste cose accadono a me. È colpa mia.”
 
“No.” Sherlock si chinò su di lui, minaccioso, e John lo fissò. “Non è colpa tua. Non lo so perché è accaduto, perché non ha senso, perché tu meriti le cose più buone, tutte le cose migliori. Quindi non so perché è successo. Ma so che non è colpa tua. E io non sbaglio mai. Ho mai sbagliato?”
 
Dopo un momento, John quasi sorrise. “Non ti sbagli mai.”
 
Non era la verità, ed entrambi lo sapevano, ma Sherlock fu sollevato che lo disse. “Lasciami suonare per te. Vai a letto e dormi e domani mattina sarò qui e noi… tu non sarai solo.” disse, impotente, perché non sapeva che altro dire e sembrava fosse la cosa più importante da sapere per John al momento. Doveva sapere che non sarebbe stato solo, che Sherlock aveva fallito con lui quando lo aveva raggiunto ma che non lo avrebbe fatto di nuovo.
 
John annuì una volta e sembrò esausto. Si trascinò lungo le scale senza dire una sola parola, e Sherlock entrò in salotto per recuperare il suo violino e fu sorpreso di vedere lì Janine, in piedi accanto alla finestra, sembrando nervosa e affranta.
 
La sua vista lo confuse. Prese il suo violino e disse vagamente, “Ho dimenticato fossi qui.”
 
“Lo so. Cosa posso fare, Sherlock? Per aiutare?”
 
Sherlock tirò una corda. La accordò. Disse, “Dirmi cosa io dovrei fare.”
 
Janine gli rivolse un sorriso tremulo e disse, “Penso tu lo stia facendo.”
 
E Sherlock suonò.
 
 
 
 
NOTE:
[1] Devo ringraziare immensamente Ellipse per avermi dato una mano all’inizio perché non ne uscivo in alcuna maniera. °___° Cavalli °___° Ma °____° Quindi davvero, grazie! XD La frase è questa:
“So Shezza said we had to get back on the horse. Actually, Shezza didn’t say anything about horses, before he leaves a comment to that effect.”
 
Scusate l'immenso ritardo e mi dispiace anche dire che per il prossimo ci vorrà almeno un altro mese (devo tornare D: ) Marco ci ha messo tipo tre settimane per questo capitolo e quindi (finalmente) eccolo! XD Non vi dico quanto il capitolo l'abbia fatto “vomitare” li odia davvero tutti (poveri tutti e tre XD) quindi lo ringrazio ancora di più per betare anche se li odia. XD
 
Spero che il capitolo vi piaccia! Fatemi sapere! : )
   
 
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