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Autore: Silen    12/10/2008    4 recensioni
Ovvero: i rimedi 'della nonna' sono sempre i migliori!
[Scritta per la "FIRST-AID KIT Challenge!"]
Genere: Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'e'
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CT OneShot

Questa breve storia partecipa alla FIRST-AID KIT Challenge!
Prompt 17# Sciroppo per la tosse

Stesso anno, qualche mese prima, ma sempre nel Giappone di Inseguire un sogno, afferrare il destino


Tipsy little angel

Nankatsu – Marzo 1979

Scese dalla limousine e meditò se accendersi una sigaretta ~ No, dannazione! ~ con il ragazzino tra i piedi doveva limitarsi, oppure sua moglie lo avrebbe assillato con la solfa del “pessimo esempio che sei per tuo figlio”. Che, come al suo solito, lo aveva tormentato per una mezz’ora buona per portarlo con sé a Nankatsu: ogni palleggio che faceva con la sua stramaledettissima sfera di cuoio accompagnava un motivo logico per cui lui doveva… E, alla fine, come sempre, il bastardino aveva vinto.

Genzō trotterellò fuori dall’auto e, strano a dirsi, calciò il pallone, che rimbalzò contro il muro di cinta e tornò indietro, per poi finire, immancabilmente, di nuovo tra i piedi. – Se, quando siamo dentro, lo tieni in mano, magari è meglio… –

– Sì, papà! – trattenne la palla nell’incavo del gomito, poi lesse sull’insegna di ottone – Shutetsu… – si voltò e chiese – Si chiama così la nuova scuola? – Rispose annuendo compiaciuto: il moccioso sapeva già leggere un buon numero di kanji, pur non avendo ancora sei anni! – Ma, c’è la squadra di calcio, vero papà? – domandò, per l’ennesima volta, e, di nuovo, con quell’espressione leggermente ansiosa. Così lo afferrò da sotto le ascelle, sospirando, e lo depositò in piedi sul muretto.

Aggrappato all’inferriata, sbirciò il campo da allenamento approvando con un sorriso finalmente rilassato. – Beh, ora sei convinto? – Il bastardino annuì, soddisfatto, poi, senza preavviso, si lanciò in braccio per scendere.

– Kamisama, Genzō! Non hai più tre anni… – si lamentò, sogghignando, – Pesi, sai? – Saltò giù ridacchiando, poi, con passo deciso, e sempre tenendo il suo amico sferico sottobraccio, andò a suonare il campanello, che raggiunse con un saltello, dato che, anche se era già piuttosto alto rispetto alla media dei coetanei, ancora non ci arrivava, ma non avrebbe mai chiesto a papone di farlo al posto suo.

Aveva deciso di venire proprio nel periodo di pausa che intercorreva tra fine e inizio di anno scolastico, per sbrigare le formalità burocratiche dell’iscrizione, quindi era ancora chiusa, e praticamente deserta a parte il personale; mentre i numerosi club sportivi brulicavano ugualmente di mocciosi chiassosi. Neanche cinque minuti, e l’impazienza di suo figlio era già parecchio evidente, così gli suggerì di andare al campo per fare conoscenza con i futuri compagni di squadra, e lui schizzò via alla velocità di uno Shinkansen, ben contento di poter uscire all’aperto.

Altrimenti, entro altri cinque minuti al massimo, avrebbe ricominciato a palleggiare persino dentro l’ufficio del Preside. L’ometto servile dagli occhietti porcini e le maniere affettate lo trattenne anche più del necessario. L’inetto aveva comunque fiutato odore di yen, e, di conseguenza, si era abbondantemente sperticato in iperboliche quanto superflue illustrazioni di tutti i vantaggi che il suo istituto privato poteva offrire a un ragazzo dotato, ma, soprattutto, di buona famiglia.

~ Che leccaculo… ~ e gli voltò maleducatamente le spalle, apposta, sbirciando Genzō dalla finestra, felice come un orsacchiotto che ha appena trovato un alveare.

Nel pieno della primavera, gli acquazzoni improvvisi erano piuttosto frequenti; infatti, si sentirono giusto un paio di tuoni ravvicinati, poi la pioggia scrosciò, ma i ragazzini continuarono a giocare incuranti. Così, quando andò a riprenderlo, era completamente fradicio e ricoperto di fango dalla testa ai piedi.

~ Che senso ha buttarsi nelle pozzanghere per prendere un pallone? ~ e sogghignò: nemmeno Mikami, in tanti anni, era mai riuscito a fornirgli una spiegazione che per lui fosse logica e razionale, e il moccioso, ora, stava seguendo le sue orme.

Avrebbero alloggiato presso un Minshuku, dato che in quel buco di cittadina la parola “albergo” non era ancora conosciuta, che si trovava proprio di fronte al bagno pubblico, cosa di cui il bastardino adesso aveva proprio bisogno.

L’indomani mattina sarebbero andati a vedere la casa, quindi avrebbero trascorso la notte a Nankatsu, perché fare avanti e indietro in macchina da Tōkyō, due volte in due giorni, era un’ovvia quanto inutile perdita di tempo.

* * *

La grande villa soddisfece pienamente le sue aspettative ed esigenze: in giardino c’era spazio in abbondanza tanto da poterci installare un campo da calcetto; così, il Numero Uno in formato tascabile avrebbe potuto allenarsi, dove poteva vederlo.

E, mentre lui entrava e usciva da innumerevoli quanto superflue stanze, dietro ad un ometto basso dalla faccia sudaticcia e il sorriso falso di chi ha adocchiato la vacca grassa da mungere, Genzō era andato a perlustrare l’esterno.

Irritato da quel continuo chiacchiericcio, si accese una sigaretta, così l’inetto dovette allontanarsi per recuperare un posacenere, e, nel frattempo, era riuscito a seminarlo; da una finestra al piano superiore scorse in lontananza il cappellino rosso che si muoveva veloce e, scontato, palla al piede.

Il tempo era cambiato da nuvoloso a sereno più volte, quella mattina, mentre adesso splendeva un bel sole, e la temperatura era anche piuttosto calda per la stagione; così, il moccioso, alla fine della visita, riapparve accaldato e sudato come un cammello.

Dopo aver pranzato fuori, i due uomini (o quasi) Wakabayashi fecero un giro turistico di Nankatsu, (totalmente inutile anche quello, e per giunta a piedi, e tutto, solo perché il bastardino aveva insistito per un’altra buona mezz’ora), che si rivelò assolutamente perfetta: una piccola cittadina di provincia, tranquilla, sicuramente noiosa per lui, ma decisamente adatta per crescere un bambino.

La sera, a cena, Genzō spiluccò svogliatamente nel piatto; strano, di solito divorava tutto in meno di cinque minuti con appetito famelico, e sembrava anche un po' pallido. – Non ti senti bene? – Lui fece spallucce – Sono solo stanco. – Gli passò una mano sotto il mento, sentendo che era leggermente caldo. – Va' a farti una bella dormita, allora, vorrà dire che rientreremo a Tōkyō domani. – Lui annuì e si ritirò in bagno. Forse aveva sudato troppo, oggi, e dopo essersi inzuppato per bene ieri, considerò.

I proprietari del Minshuku, sentito il cognome altisonante, avevano addirittura messo a disposizione la loro parte di casa, trasferendosi in una delle camere per gli ospiti, quindi stavano in un vero e proprio alloggio indipendente, e isolato dagli altri. Una parte veniva utilizzata per mangiare e dormire, l’altra invece fungeva da ufficio del gestore, perciò era dotata di scrivania, e persino di un piccolo divano all’occidentale, per fare accomodare i clienti in attesa di essere ricevuti.

Tirò fuori i suoi papiri dalla ventiquattrore e si mise a lavorare, tanto valeva sfruttare quel tempo in modo produttivo. Dopo neanche un quarto d’ora, il bastardino spuntò da uno spiraglio di fusuma: sembrava ancora più pallido, ed era tutto stropicciato e avvolto nella coperta; tossì – Mi fa male la gola, papà… – lo raggiunse e si accoccolò come un cucciolo nascondendo il musetto nell’incavo della spalla.

E ora era anche più caldo di prima, costatò accarezzandogli la fronte; così lo spedì a letto e andò dai proprietari per farsi mandare un medico. E, chissenefrega, se erano fuori orario di visita, aveva risposto, seccato, alle pur giuste obiezioni dell’uomo, perché, decisamente no, Genzō non poteva aspettare fino a domani mattina.

* * *

Più tardi… – Bronchite! – esclamò da seduto sulla scrivania, con le suole delle scarpe che comunque puntellavano il tatami, poi sbuffò – Inoltre, quell’inetto del dottore ha prescritto soltanto un inutile sciroppo per la tosse, nemmeno un dannato antibiotico a largo spettro… – Silenzio. – No, ma io dico, – continuò allora, – in questo modo ero capace anch’io a fare la diagnosi: tosse! – Un’altra pausa silenziosa.

Poi, dall’altra parte della linea telefonica, a Tōkyō, si sentì una risatina femminile – Già, dimenticavo: tu non sei soltanto tuttologo, e onnisciente, ma hai anche una laurea in otorinolaringoiatria! – Yūta bofonchiò infastidito.

– Ha soltanto qualche linea di febbre, suvvia! – rispose Mitsuki con un tono sorridente, – In un paio di giorni, passa, e intanto domani io vi raggiungo a Nankatsu. – Al che, suo marito parve tranquillizzato, o meglio, rassegnato, e riattaccò.

Posò la cornetta e sospirò, frustrato di dover restare ancora in quell’insulsa cittadina, e in casa d’altri, per giunta; poi scorse Genzō, di nuovo imbacuccato “a bruco” nella sua coperta, che lo guardava dal fusuma comunicante aperto parzialmente.

– Fila subito a letto, che prendi freddo – abbaiò. – Ma papà, mi annoio di là da solo… – protestò timidamente con un filo di voce roca. Rivolse lo sguardo al soffitto e si arrese – E va bene! – aprì le braccia e il cucciolo ci si rannicchiò, lo sollevò come un sacco di patate e lo sistemò sul divanetto, coprendolo per bene; poi riprese a lavorare.

La padrona venne a portargli la sua cena, stavolta frugale, perché l’appetito lupesco si era tramandato geneticamente, ma per linea materna; Genzō aveva dormicchiato, nel frattempo, sebbene ogni tanto il mucchietto di coperte avesse sussultato a causa della tosse. Così lo svegliò per fargli prendere lo sciroppo e un po' di brodo caldo, e lo spedì nel futon, intimandogli di rimanerci, stavolta; poi tornò alle sue scartoffie.

* * *

Durante la notte fu destato di soprassalto da un insistente attacco di tosse; mise su lo yukata, prese bottiglietta e cucchiaino, e tutto tornò alla normalità, per un’oretta, o anche meno… Poi, di nuovo, la stessa solfa di prima. ~ Ma non serve proprio ad un emerito accidente, allora, questo dannatissimo, inutile sciroppo! ~

Così, andò in cucina, perché, quando lui e i suoi fratelli, da piccoli, avevano le malattie da raffreddamento, Megumi Tendō preparava sempre una bella tazza di latte caldo col miele, decisamente più efficace. Infatti, stavolta l’effetto calmante durò molto di più, ma dovette alzarsi per la terza volta, pensando che il moccioso non fosse mai stato così fastidioso, nemmeno quando aveva messo i denti.

La ricetta dello “sciroppo” casalingo di sua madre prevedeva un terzo ingrediente da aggiungere in caso di necessità, e quella era davvero estrema, o ne sarebbe andata della sua sanità mentale, se si fosse dovuto svegliare una quarta volta. Aprì ogni anta, rovistando nei vari scomparti e fiutando il contenuto di tutte le bottiglie di vetro; poi, finalmente, eccolo, nascosto tra liquori occidentali e distillati fatti in casa: cognac!

Aveva quasi dubitato di poterlo trovare in quel Minshuku di provincia, infatti, arricciò il naso disgustato, era di qualità piuttosto scadente, ma sarebbe servito allo scopo, e sicuramente più efficientemente di quella sottospecie di medicinale, inetto quanto il dottore. Così, ne versò una bella cucchiaiata nel latte e miele del lupacchiotto, poi rifletté e optò per due dita in un bicchiere anche per sé, perché anche il Grande Lupo sempre all’erta aveva pur bisogno di dormire qualche ora, ogni tanto.

Subito, Genzō fu un po' riluttante a causa del gusto insolito e pungente della bevanda calda. – Dai, su, manda giù: tua nonna me lo faceva sempre, quando anch’io avevo la tosse… – lo esortò pazientemente; dopo qualche timido sorso, parve apprezzare, e si scolò in fretta l’intera tazza, e, alla fine, sospirò soddisfatto.

– Bravo campione! – gli scompigliò i capelli, lo avvolse nella coperta e, di nuovo, se lo caricò in spalla come un sacco di patate, per poi portarlo con sé di là nella zona ufficio e sistemarlo sul divanetto. Il bastardino si riaddormentò seduta stante, e lui si rimise a lavorare, perché tanto, ormai, aveva perso del tutto il sonno; non prima, però, di essere tornato in cucina e aver sequestrato la bottiglia di quel tremendo cognac da marciapiede. Casomai dovesse servire di nuovo a uno dei due Wakabayashi.

Anche se era comunque sicuro che il mucchietto di coperte, stavolta, avrebbe sognato il suo amico sferico, proprio come un angioletto, magari un po' brillo, ma senza più agitarsi per la tosse finché non fosse arrivata sua madre in mattinata.

Dopo un po' Morfeo venne a fargli visita, così si rimise in spalla il cucciolo dormiente per poi infilarlo dentro il suo futon, più spazioso e comodo, pensando che alla villa avrebbe fatto mettere dei letti veri, all’occidentale.

Prima di coricarsi anche lui, però, doveva fare un’ultima cosa: adocchiato lo sciroppo inetto, lo afferrò e, con un ghigno di sbieca soddisfazione, gli fece compiere un gran bel volo a parabola spedendolo dentro il cestino dei rifiuti.

Poi raggiunse Genzō sotto le coperte e si concesse il meritato riposo.



Shinkansen: il treno superveloce. Yen: la moneta giapponese.
Minshuku: come il ryokan, cioè il tipico albergo in stile giapponese, ma più economico,
più spesso una casa privata con camere per i turisti, una specie di 'Bed and Breakfast'.
Yukata: kimono informale di cotone solitamente usato come "vestito da casa" proprio negli alberghi tradizionali.
Fusuma: parete interna scorrevole che viene usata per suddividere le stanze oppure come pannello per gli armadi.
Tatami: pavimento tradizionale. Futon: letto tradizionale.

Tipsy: immagino si sia capito, comunque significa brillo.

* * *

In teoria questa shot avrebbe dovuto essere pubblicata per festeggiare le 50 candeline della mia storia, ma altri impegni mi hanno costretto a rimandare tale intento, poi, nel frattempo ne sono arrivate altre sei… Quindi, intanto grazie a tutte le commentatrici della panchina che fanno pure le gare a chi recensisce prima : eos75, agatha, OnlyHope nel solito ordine. Ma stavolta la dedico in particolare a Saretta1381 la piccola dei giardinetti virtuali che è tornata a scrivere, e finalmente!
Come sempre ringrazio l’ideatrice del contest :Mnemosyne: aka Reichan86, e la mater per tutti i latte caldo, miele e cognac.

  
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