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Autore: ToscaSam    13/10/2014    1 recensioni
Questa è la storia di Elena da Travale, detta l’Incantatrice. Giovane donna realmente esistita, che visse in Toscana nel XV secolo. La fantasia vuole qui avviluppare quel che la storia ha lasciato a pezzi e bocconi, vuole ricucire una trama bucherellata dalla quale tuttavia si percepisce un disegno intrigante e misterioso.
Genere: Mistero, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Medioevo
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Foresta 1410
 
« Elena, che fai bambina? Vieni a salutare la vecchia Barbara. Che t’ha voluto bene!».
La ragazzina dai folti e ricci capelli rossi stava esaminando il terreno umido con le manine ora tutte annerite.
Una signora corpulenta dallo sguardo amabile l’attendeva a braccia aperte sul ciglio di un sentiero. Erano nella foresta aperta, ma abbastanza vicini al piccolo castello di Gerfalco. Qualche pellegrino era giunto a destinazione ed era il momento di dirsi addio.
« Un momento mamma cara, fammi trovare un regalo per te. Ecco, ecco mamma! Guarda, questa penna è una penna coraggiosa. Ora prendo un po’ d’acqua dalla borraccia e ce la tufo dentro. È un infuso di coraggio mamma Barbara, ti servirà a Querceto».
Mentre parlava –velocissima, quasi impercettibile da capire- Elena armeggiava con una piuma nera che aveva trovato per terra e nello stesso momento si sganciò una piccola borraccia di stomaco di cervo dalla cintura. Stava per creare il giocoso filtro, quando la buona Barbara, sorridendo, le prese con gentilezza di mano la penna di cornacchia.
« Per me va bene così. Mi basta questa, non farmi l’intruglio. C’e abbastanza coraggio qui» e si mise l’oggetto in seno, assicurandolo con una stretta dei lacci della maglia.
Elena rise di gioia mostrando i denti candidi come la sua pelle tutta macchiata di lentiggini scure.
« Non la perdere eh!»
« Giammai, piccola mia. E ora debbo andare. Sai che sono al sicuro con quest’amuleto. Abbi cura di te, stai sempre con Nanni e le altre mamme buone».
Dopo un lungo abbraccio quasi soffocante, Barbara prese una via diversa da quella dei pellegrini, che per il momento erano seduti a bivaccare attorno a qualche fuoco acceso.
Ci furono gli ultimi schiamazzi, le ultime mani alzate, poi chi si era allontanato sparì definitivamente dalla vista.
 
« Lena, che fai, bambina?» .
La voce di Nanni fece sobbalzare Elena, che trafficava con una boccettina vuota.
Sentendosi chiamata in causa, fece finta di nulla e tappò la boccetta come se niente fosse.
Nanni la guardò alzando un sopracciglio: « Cosa c’hai messo dentro? »
« Niente»
« Su, vieni qui e raccontami che amuleto è questo …»
Nanni ridacchiò e si sedette su un telo dell’accampamento. Elena, che in realtà moriva dalla voglia di raccontare tutto, si precipitò dal suo padrone a dirgli che aveva catturato le proprie lacrime e che essendo lacrime di addio, possedevano una grande forza.
In tutto questo Nanni la guardava ed Elena non sapeva mai fino in fondo se la ascoltasse oppure no. Non sapeva nemmeno se Nanni le andasse a genio o meno. Era un tipo un po’ strano: certe volte amichevole e disponibile, altre sempliciotto e scontroso. A Elena non piaceva quando beveva fino ad ubriacarsi quel vino sudicio che comperavano dai briganti della foresta. Diventava incomprensibilmente irritabile o anche troppo amichevole.
In definitiva, le piaceva avere un punto di riferimento, ma come persona non le ispirava poi così tanta fiducia.
Dopo che ebbe raccontato a Nanni del suo nuovo portafortuna, vedendo che l’interesse che sperava non era stato riscosso proprio al massimo, decise di scendere dalle gambe del padrone, dove s’era acciambellata, e di andare da qualcuna delle sue altre mamme.
Sentì un po’ di tristezza nel constatare che Barbara non c’era più; era senza dubbio la sua mamma preferita. Sentendosi improvvisamente presa dallo sconforto si strinse a sé la boccetta contenente le lacrime. Si immaginò con fervida speranza l’energia magica che si irradiava dal piccolo contenitore e mestamente continuò la sua ricerca fra l’affollato gruppo.
Le mamme di Elena erano pellegrine molto buone e simpatiche, a detta della bambina, ma sarebbero state giudicate pezzenti, sudice e sgualdrine da un qualsiasi abitante di un  paese rispettabile.
Quella bimba un po’ speciale, era benvoluta in quel gruppo di pellegrini. Non le volevano male come sempre era stato nel paese da dove veniva. Perché? Erano tutti reietti e poveracci che camminavano verso una speranza di vita migliore. Non cedevano ancora al brigantaggio, anche se qualcuno dei viaggiatori non era poi molto raccomandabile.
Elena era cresciuta fuori dai pregiudizi e dalle maldicenze che possono avere le comari paesane; a dire il vero era parte integrante di una maldicenza e di un pregiudizio, quindi non poteva scindere da se stessa e odiare quel che era. Non sapeva nemmeno di essere amalgamata a quello strato sociale, per lei quelle erano persone buone e basta. Finché non si fosse sentita oppressa, i suoi occhi verdi avrebbero riflesso la sua tranquillità d’animo.
Non aveva la minima idea che un giorno sarebbe toccato anche a lei abbandonare quella vita. Di solito erano gli altri, come Barbara, che se ne andavano. Le si era come innescato il pensiero che lei e Nanni sarebbero rimasti gli ultimi, a vivere in eterno protetti dalle braccia degli alberi, una volta che gli altri pellegrini avessero raggiunto le loro destinazioni. Che destinazione avevano loro? Anzi, ne avevano una? Elena non si poneva queste domande. Tutto questo però contribuì a crearle un carattere schivo, riflessivo, e selvatico tanto che i suoi tratti felini si conformarono e aderirono sempre di più alla sua personcina.
Mentre girovagava in cerca di una qualche mamma, un gemito sguaiato seguito da una risata, fu il segnale che fece capire ad Elena di aver portato a termine la sua ricerca. Aveva trovato una mamma e con lei sarebbe rimasta per tutta la notte, perché per quel giorno ne aveva abbastanza di Nanni.
Si sedette ben lontana dalla tenda dalla quale si era levato il sospiro. Aveva imparato che quando sentiva quei rumori doveva rimanere a una certa distanza e poi, quando l’uomo fosse uscito, avrebbe potuto raggiungere la mamma.
Non le importava scoprire cosa accadesse dentro le tende. Ci aveva rinunciato dopo che un pellegrino l’aveva vista sbirciare ed era uscito per menarla ben bene.
L’istinto felino di Elena le suggerì dunque di infischiarsene anche stavolta e di aspettare seduta su un sasso. Sentì, come ogni volta, i gemiti crescere di intensità e poi il silenzio.
Aguzzò le orecchie e udì distintamente il rumore di qualcuno che si alzava e si faceva largo.
Felice che nessuno l’avesse notata (e tantomeno picchiata), Elena si intrufolò nella tenda dove aveva riconosciuto la voce di una sua mamma.
 
« Mamma Clorinda!»
Una donna sui trent’anni, con capelli biondo cenere tutti spettinati e guance rosse come il fuoco, stava sdraiata in mezzo al fieno che la tenda riparava. C’era uno strano odore di bagnato, sterco di animali e altre cose che Elena non si curò di identificare, ma che rendevano sgradevole lo star lì.
« Elena, amorino! Che ci fai qui?» Il tono di Clorinda era concitato ma comunque molto smielato, cosa che la rendeva particolarmente simpatica a Elena.
La bimba rispose con un’alzata di spalle e Clorinda allora le donò un largo sorriso, invitandola ad abbracciarla. Elena corse da lei e si tuffò in quel mare morbido che era il seno di quella sua affettuosa mamma.
« Vieni qui con la tua mamma, piccolo tesorino. Raccontami un po’ dove sei stata oggi, amore caro»
« Mamma Barbara è andata via, oggi»
« Oh, tesoro. Mi dispiace, ma devi sapere che ora lei andrà a vivere in un paese bello, con una casa vera! Ci sono sempre io qui con te, topolino! E tutte le altre … ti è dispiaciuto così tanto che Babara se ne sia andata?»
Elena annuì sentendosi riaffiorare i lucciconi. Queste lacrime però, sentiva che non erano preziose e poteva benissimo liberarsene.
Le affidò quindi al seno sudato di Clorinda, che la coccolò con amore.
  
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