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Autore: Evee    14/10/2014    1 recensioni
Mira, dopo la morte dei suoi genitori, si è dovuta trasferire a Domino da suo cugino Yugi. Ma la vita con lui non si rivelerà affatto tranquilla, perché ben presto verranno invitati, assieme a Seto Kaiba, ad un esclusivo torneo di Magic and Wizards in Egitto... Ma niente è come sembra e nulla andrà come previsto. Li aspetta un'avventura mozzafiato, d'amore e d'amicizia, legata inesorabilmente ad un passato di ben 3000 anni fa...
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Wingweaver director's cut

 

Salve a tutti, chiunque voi siate.

Innanzitutto i miei più sinceri complimenti se siete riusciti a trovare la forza di leggere questo scempio fino a qui. Davvero, siete i miei eroi. A me è salita la voglia di tagliarmi le vene solo già dopo la prima riga, ma purtroppo mi sono ritrovato intrappolato contro la mia volontà in questa storia dall'inizio alla fine. Pare che nemmeno io possa nulla contro certe autrici invasate.

Non mi presento nemmeno, tanto sapete benissimo chi sono e se non lo sapete... No, ma che sto dicendo. Questo è impossibile. Comunque, dopo tante sofferenze ed umiliazioni, finalmente è arrivato il mio momento: stavolta parlo solo io, non quella banda di miserabili perdenti. Ancora non capisco perché non è stato così sin dal primo capitolo, credevo di essere il protagonista!

Come sarebbe, “taglia”?!? Ma non avevo il diritto di parlare un po', prima?

Questa storia dei tempi narrativi è una vera seccatura. Vabbeh, andiamo dritti al punto: come avrete avuto l'accortezza di notare, nell'epilogo di questo crimine contro l'umanità chiamato fanfiction sono stato impunemente ignorato fino alla fine. Oh, certo, a parte le ultime due pagine... E pensavate davvero che IO mi potessi accontentare di quelle? Cosa sarebbe, il premio di consolazione?!? E non venitemi a tirare in ballo l'effetto sorpresa, o la mancanza di spazio. Balle. Esigo che mi sia dato il diritto di controbattere all'immagine assolutamente infedele di me medesimo che ne è risultata, neanche si trattasse di uno shojo manga di infima categoria. Ho uno spessore emotivo io, una mia evoluzione psicologica ecchediamine. Pertanto, esercito il mio sacrosanto diritto al contraddittorio e vi racconto la mia, di versione. Anche se, a rileggere il tutto, mi rendo conto che forse certe mie frasi risultino un po' equivocabili... Ma capitemi, ero appena tornato da un viaggio infinito nel posto più inospitale del pianeta, insieme alla peggiore delle compagnie, circondato da dei egizi, spiriti, oggetti esoterici ed assurdità varie. Ho persino scoperto di avere una doppia identità... E' normale che dopo tutto questo avessi un po' di confusione, e poi tornare a dirigere una società come la mia è stressante, talvolta non ragiono come dovrei e mi metto a straparlare...

Ok, passo ai saluti, quella folle dell'Autrice mi sta minacciando di farmi ancora più OOC di quanto già non sia se non concludo subito. Che sia maledetta, avrà notizie dai miei avvocati molto presto.

S. K.

 

I - “Lontana dagli occhi, troppo vicina al cuore”

 

Lunedì mattina.

Il peggior giorno della settimana, dove si accumulavano sempre gli appuntamenti, le telefonate e le riunioni inevitabilmente slittate a causa del weekend precedente. Da parte mia ne avrei fatto volentieri a meno pur di poter distribuire meglio i miei impegni sull'agenda, ma se avessi tolto al personale altri giorni di ferie avrei seriamente rischiato uno sciopero, se non svariate dimissioni. Dunque dovevo rassegnarmi, e puntare quantomeno ad arrivare in ufficio il prima possibile per mettermi subito al lavoro. Anche perché, a causa di quel dannato viaggio in Egitto, avevo accumulato più arretrati del previsto, che ancora dopo una settimana non ero riuscito a smaltire del tutto e che sapevo già mi stavano aspettando sulla scrivania. Per cui credo che il mio nervosismo in quel giorno fosse quanto mai giustificato.

Comodamente seduto sul retro della mia limousine, in rigoroso silenzio, presi a sorseggiare il mio abituale caffè amaro, sfogliando rapidamente il giornale fresco di stampa in cerca delle notizie economico-finanziarie. Quello probabilmente sarebbe stato ciò che di più somigliante ad un momento di relax avrei avuto in quel giorno, pertanto fui comprensibilmente seccato dall'essere interrotto dalla voce di Isono, seduto al posto di guida.

-Signore?- mi chiamò cautamente.

-Che c'è?- risposi secco, senza alzare gli occhi dalle quotazioni Nikkei e augurandogli che avesse davvero un buon motivo per disturbarmi.

-Non credo di poter arrivare alla Kaiba Corporation in tempo, signore. Pare ci sia stato un incidente.-

Questa volta il mio assistente riuscì ad attirare davvero la mia attenzione. In effetti, la limousine si stava muovendo fin troppo lentamente, ben più di quanto fosse accettabile anche in un orario di punta. E io non sopporto i contrattempi, men che meno il lunedì mattina.

-Devo arrivare in tempo. Alle 7 e mezza ho un incontro con i revisori contabili.- gli ricordai -Prendi delle vie laterali. Prendi anche delle multe, se necessario. Non mi interessa come, fallo e basta.-

-Va bene, farò il possibile.- mi rispose Isono, con un sospiro di rassegnazione.

La limousine avanzò ancora un po' nel traffico, e poi al primo incrocio svoltò, abbandonando la tangenziale per inoltrarsi su ben più strette e lente strade cittadine. Per quanto il mio autista cercasse di accelerare, anche su quel tragitto gli inconvenienti non mancavano di certo, tra semafori, autobus di linea e pedoni che sfortunatamente non potevano essere investiti. Abbandonai il giornale, troppo distratto dalla preoccupazione di non arrivare in orario, ed iniziai a tamburellare con impazienza le mani sul sedile di pelle scura, controllando fuori dal finestrino dove fossimo e soprattutto perché fossimo ancora lì anziché davanti alla sede della mia società. Mi bastò uno sguardo per capire perché Isono evitasse sempre quel tragitto, e che mi sarei dovuto rassegnare all'idea di dover fronteggiare dei revisori ben più indisposti del normale.

Isono svoltò bruscamente, giusto in tempo per evitare di fermarsi dietro ad una coda fin troppo lunga, per poi inserirsi in una strada che mi parve familiare. L'ennesimo semaforo ci costrinse a fermarci, e nel vedere lampeggiare un'insegna dall'altro lato della strada compresi subito perché avessi riconosciuto quella via. Conoscevo bene l'edificio su cui stava affissa, tinteggiato con un giallo limone davvero di cattivo gusto.

Il negozio del nonno di Yugi.

La casa dove abitava Yugi ma, cosa più importante, dove ora abitava anche lei.

All'improvviso il ricordo di Mira si insinuò prepotente tra i miei pensieri, nonostante in quei giorni avessi cercato il più possibile di tenerlo alla larga. Forse era anche per quello che mi stavo concentrando tanto sul lavoro, in continua ricerca di occupazioni che impedissero alla mia mente di indugiare su di lei. Non sempre mi riusciva bene, specialmente al momento del risveglio, dove troppo spesso il mio subconscio mi tradiva, facendomi credere di essere ancora in viaggio nel deserto. Poi aprivo gli occhi, e riconoscendo le tende del mio letto venivo subito riportato alla realtà. Non ero in Egitto, ero in Giappone. Non avrei trascorso la mia giornata in sua compagnia, ma nel chiuso nel mio ufficio. E nel realizzare tutto ciò venivo puntualmente sopraffatto da un senso di vuoto, lo stomaco che si stringeva pericolosamente alla sua mancanza. Ma avevo presto imparato a non lasciarmi andare a quella sensazione, perché la conseguenza era che sarebbe diventata il mio chiodo fisso per tutte le ore a venire, impedendomi di concentrarmi a dovere. Nient'altro che una seccante distrazione, ecco cos'era Mira Muto. Una distrazione da evitare ad ogni costo.

Ed invece quel lunedì mattina quella distrazione tornò con prepotenza a destabilizzare la mia giornata. Lei era lì, a poche centinaia di metri. Mi sarebbe bastato ordinare ad Isono di fermarsi, scendere dalla limousine e suonare il campanello per rivederla. Il battito del mio cuore iniziò ad accelerare, quasi a suggerirmi di sbrigarmi a farlo, mentre quel briciolo di razionalità che mai mi abbandonava mi tratteneva severo, ricordandomi che, se lo avessi fatto, poi non sarei più riuscito a tornare indietro. Sapevo che tutti i miei tentativi e i miei propositi per dimenticarla si sarebbero vanificati al primo sguardo, e non avrei più avuto la forza di farla uscire nuovamente dalla mia vita. Ma era mai uscita davvero dalla mia vita?

Ad un tratto una luce al piano superiore dell'edificio venne accesa, segno che qualcuno si era appena svegliato. Intravidi solo un profilo dietro le tende, nulla di più. Non seppi mai se fosse davvero il suo, perché prima che potesse aprirle, il semaforo diventò verde ed il mio troppo zelante autista pigiò il piede sull'acceleratore, ripartendo all'istante.

Quel giorno, seppur per poche ore, Isono venne licenziato.

 

***

 

Benché fosse quasi ora di pranzo e avessi davvero bisogno di mangiare qualcosa, anche quel giorno dovetti rimandare a più tardi. Ma, più probabilmente, sarei stato costretto a digiunare fino a cena. Era la fine del mese, periodo in cui con puntualità inesorabile ero costretto a presenziare ai consigli di amministrazione delle società ricomprese nel mio gruppo, incluse quelle di cui mi importava in realtà ben poco. Quel giorno era la volta del Kaiba Center, una delle poche strutture ereditate dal mio predecessore che avevo scelto di tenere in piedi, merito del fatto che un centro commerciale era forse ciò che di più innocuo Gozaburo Kaiba mi avesse lasciato. E, tutto sommato, dopo l'ampliamento che vi avevo apportato, si era rivelata una scelta redditizia.

Sfogliai rapidamente l'ordine del giorno, rabbuiandomi sempre più nello scorrere questioni per cui non avevo il benché minimo interesse ma sulle quali avrei dovuto presto prendere delle decisioni, dopo lunghe ed inutili dissertazioni da parte degli altri amministratori. Tanto, per quante parole avessero speso, sarebbero riusciti a convincermi solo su quelle proposte su cui avessi concordato sin già dal principio.

Vedendo che era ormai giunto il momento di incamminarmi verso la sala riunioni, mi alzai dalla scrivania e metodicamente infilai la giacca, sistemai la cravatta, raccolsi le carte necessarie e mi diressi alla porta. Allungai una mano verso la maniglia, ma appena la appoggiai venni sopraffatto da un senso di déjà vu.

E nuovamente ripensai a lei.

Improvvisamente mi tornò alla mente il ricordo di quel giorno, in cui ci eravamo incontrati per la prima volta. O, meglio, in cui ci eravamo scontrati per la prima volta. Esattamente un mese prima, in quello stesso luogo in cui mi trovavo per le medesime ragioni, indossando perfino gli stessi vestiti. Avevo aperto quella porta, ed era entrata nella mia vita, cambiandola per sempre. Quella stupida ragazzina, che si arrabbiava tanto quando non la chiamavo per nome. Ma era così divertente, provocarla in quel modo. All'inizio lo facevo per senso di superiorità, poi per mantenere quelle distanze che sentivo lei stava tentando di accorciare, ed infine semplicemente perché era il solo modo che conoscessi per attirare la sua attenzione. Non so cosa avrei dato, in quel momento, per rivedere quella sua buffa espressione imbronciata che faceva ogni volta che la contrariavo...

Scossi il capo, cercando di scacciare quei pensieri e di ritornare coi piedi per terra. Mi stavano aspettando ad una riunione, non avevo certo il tempo per fantasticare. Con decisione uscii dal mio ufficio, e anche quella volta qualcuno mi urtò, cogliendomi di sorpresa.

-Oh!- esclamò Isono, improvvisamente impallidito e balbettante -Le... Le chiedo immensamente scusa, signore! Ero venuto a chiamarla per dirle che gli altri consiglieri sono già arrivati...-

Lo guardai per un attimo, stordito per la seconda volta dalla medesima, ma ancor più netta, sensazione di déjà vu. Lo avevo sperato a tal punto che, per un attimo, mi era davvero sembrato fosse stata Mira a venirmi addosso... Ma ovviamente non poteva essere lei, c'è un limite a tutto, persino alle coincidenze. Il che però mi indispose quanto mai, profondamente contrariato dal fatto che non solo non l'avevo rivista, ma che ora avrebbe di nuovo, inevitabilmente, tormentato i miei pensieri per il resto della giornata.

Anche quel giorno, stavolta fino a quello successivo, Isono venne licenziato.

 

***

 

Ronald Sutherland, fondatore ed attuale CEO della SuthGlobal, era un uomo d'affari tutto d'un pezzo, di quelli che si erano fatti da soli ai tempi degli anni d'oro di Wall Street e che avevano costruito un impero con le sole proprie forze. Lo sapevo perché ovviamente mi ero informato a lungo sulla sua carriera e sulla storia della sua società, divenuta leader nel settore informatico negli USA e che avevo tutta l'intenzione di acquisire per espandere il mercato della Kaiba Corporation anche in quel continente. Il problema era quello di convincerlo a concludere l'operazione di comune accordo, dimostrandogli che o firmava il progetto di fusione, oppure mi sarei visto costretto ad ingaggiare una concorrenza spietata contro di lui, fino a quando la quotazione delle partecipazioni della SuthGlobal non fossero crollate a tal punto da poterne tentare la scalata lanciando su di essa un'OPA ostile. Tuttavia, per quanto lo avessi ripetutamente minacciato in modo ben poco velato e fosse evidente la convenienza per entrambi di una composizione pacifica, non avevo tenuto conto di un dettaglio importante: Ronald Sutherland era un americano, e di quelli della peggior specie. Un arrogante ed avido nazionalista che mai avrebbe piegato il capo davanti ad uno straniero, tanto meno giapponese. Uno di quei rozzi yankee che si alzano la mattina facendo colazione con un bicchiere di whisky in una mano e un sigaro cubano nell'altra. Insomma, il genere di uomo d'affari che, per quanto con un patrimonio del tutto degno di rispetto, non poteva che disgustarmi.

Dall'altro lato del tavolo, il CEO della SuthGlobal mi stava fissando con aria ostile sotto le sue folte sopracciglia, probabilmente cercando di intimidirmi. Trattenni a stento un sorriso di scherno. Si vedeva che non aveva conosciuto il mio padre adottivo, perché altrimenti avrebbe saputo bene che non era certo così che avrebbe potuto incutermi timore. Pertanto lo ignorai con superiorità, preferendo ascoltare la presentazione che stava esponendo il suo segretario personale sui piani industriali della loro società, a cui evidentemente non volevano rinunciare e a cui altrettanto evidentemente non intendevo accondiscendere. Se mai fossimo giunti davvero a quella fusione, avrei concesso loro di tenersi le poltrone su cui sedevano, ma si sarebbe fatto a modo mio, questo era poco ma sicuro.

D'un tratto avvertii il mio smartphone iniziare a vibrare nella tasca interna della giacca. Lo estrassi con l'intento di rifiutare la telefonata e porre fine immediatamente a quel fastidio, ma cambiai idea non appena lessi sul display il nome della persona che mi stava chiamando.

-Sorry to interrupt you, but I really have to answer this call.- dissi nel mio inglese perfettamente fluido alle persone dall'altro lato del tavolo, alludendo al mio cellulare -I'll be right back in just a second.-

-Sure. Be my guest.- mi rispose freddo e scocciato Sutherland.

Come se avessi avuto bisogno del suo permesso. Mi alzai dalla poltrona ed uscii dalla stanza, rispondendo alla telefonata.

-Mokuba, che c'è?- domandai a mio fratello con tono un po' seccato -Sbrigati che sono in riunione.-

-Oh, ti chiedo scusa.- mi rispose lui, dall'altro lato del telefono e del pianeta -Ma c'è una cosa che penso tu debba sapere...-

Corrucciai le sopracciglia, non sapendo cosa aspettarmi ma con il presentimento che non si sarebbe trattato certo di una buona notizia. Altrimenti, Mokuba non mi avrebbe certo telefonato con tanta urgenza.

-Sarebbe?-

-Ecco... Domani sera ci sarà il saggio di fine anno, alla Domino High School.-

Rimasi un attimo interdetto, sicuro di non aver capito bene.

-Scusa, puoi ripetere?- gli chiesi, dopo una breve pausa -Deve esserci stata un'interferenza...-

-Domani sera. Saggio di fine anno. Domino High School. Passo.- replicò telegrafico mio fratello, chiaramente prendendosi gioco di me.

-Mokuba, spero tu stia scherzando.- sbottai -Non puoi avermi davvero disturbato per dirmi questo.-

-Pensavo solo che tu lo volessi sapere, dato che Mira è venuta appositamente a casa nostra per invitarti.-

Rimasi nuovamente interdetto, incapace di replicare alcunché.

-Ha detto anche che suonerà una sua canzone, per cui immagino ci tenesse a fartela sentire...- aggiunse rapidamente mio fratello, approfittando del mio silenzio.

Impiegai qualche secondo prima di metabolizzare la portata di quello che mi aveva appena detto, e quando ci riuscii ne fui così sopraffatto da sentirmi il viso andare in fiamme. Ciò che Mokuba andava insinuando con malizia era così ovvio che persino io riuscii a cogliere dove voleva andare a parare. Provai a formulare una replica adeguata che mettesse subito a tacere ogni sua possibile fantasia al riguardo, ma la sola cosa a cui riuscivo a pensare era che Mira era venuta a cercarmi. Allora nemmeno lei era riuscita a dimenticarmi...

-Ora non ho tempo per simili sciocchezze, Mokuba. Devo andare, ci sentiamo più tardi.- feci perentorio, troncando con vigliaccheria quella conversazione.

Rientrai nel salone e mi sedetti come in tranche sulla mia poltrona, senza dire una parola.

-Here you are, mister Kaiba.- mi accolse Sutherland con impazienza -We are all longing to know what you plan to do about this.-

A quella domanda lo guardai disorientato. Cosa pensavo di fare al riguardo? Non ne avevo la minima idea... Poi mi resi conto che ovviamente non si stava riferendo all'invito che avevo appena ricevuto, ma al suo progetto industriale di cui si stava discutendo solo cinque minuti prima. Solo cinque minuti, ma che erano bastati perché Mira tornasse di nuovo nei miei pensieri, anche a migliaia di chilometri di distanza. E stavolta sentivo che non sarei riuscito ad allontanarla facilmente.

Maledissi Mokuba con tutto me stesso. Purtroppo non potevo licenziare mio fratello, ma se si fosse trattato di chiunque altro l'avrei fatto all'istante, e questa volta senza ripensamenti.

 

***

 

Anche quella giornata le trattative si rivelarono quanto mai inconcludenti, fino a quando non decidemmo di rinviarle al giorno successivo, essendosi protratte ben oltre la metà del pomeriggio. Ormai non ero l'unico a faticare a mantenere la concentrazione.

-So, will I have the honour to see you at my party, tonight?- mi domandò Sutherland, poco prima di congedarsi.

Strinsi le labbra, per nulla attratto da quell'idea. Potevo immaginarmi benissimo come sarebbe stata quella festa, in una pacchiana villa di Beverly Hills riempita di gente altrettanto pacchiana. Ma sapevo anche che sarebbe stato quantomai inopportuno se non mi fossi presentato, sicuramente l'avrebbe presa come un'offesa personale ed avrei rischiato di mandare a rotoli tutti gli sforzi fatti finora... Per cui, a malincuore, accettai di prendere parte a quella sua stupida Fiera delle Vanità.

-Of course you will.- risposi a denti stretti.

-Well, I'm really pleased about it. You won't regret that, I promise...- mi disse con finta gentilezza -However, we should take the chance to know each other better... I've heard you like games, mister Kaiba. Me too. Maybe you would also join me to play poker for a while...-

A quelle parole, non potei fare a meno di irrigidirmi, intuendo subito le sue intenzioni. Non era affatto un invito di cortesia, ma un modo subdolo per potermi studiare e sondare il mio carattere, per verificare se fossi o meno degno della sua fiducia. Apprezzai quella proposta, benché non fossi esattamente un amante del poker. Non gioco mai d'azzardo, ma sempre per vincere.

-I like your idea, even I'm afraid you've chosen the wrong person to challenge...- gli risposi in tono provocatorio.

-Time will tell, mister Kaiba.- replicò con un sorriso, fin troppo sicuro di sé -So, see you later.-

Ci scambiammo una rapida quanto necessaria stretta di mano, e finalmente mi fece il favore di levarsi dalla mia vista. Abbandonai rapido la sede della SuthGlobal, un enorme grattacielo che si stagliava imponente sulla Silicon Valley. Non male, ma l'avrei preferito con un'altra insegna e con i miei Draghi Bianchi sull'ingresso.

Raggiunsi la Chevrolet Corvette che Ronald Sutherland mi aveva gentilmente messo a disposizione, e chiesi all'autista di riportarmi subito al Four Seasons, l'hotel a cinque stelle dove sempre il suddetto esibizionista mi aveva riservato una suite. Da parte mia avrei fatto scelte ben più funzionali, ma non me ne lamentai di certo. Era solo colpa della sua testardaggine se ero dovuto recarmi di persona a Los Angeles per farlo ragionare, quindi era il minimo che potesse fare per scusarsi di avermi costretto ad un simile disagio. Comunque, con il senno di poi potevo essergli grato di avermi impedito di commettere un'enorme stupidaggine: se fossi rimasto a Domino, il mio incontro con Mira sarebbe stato inevitabile e, probabilmente, avrei finito per mandare a monte tutti i miei buoni propositi. Era da quella mattina che non facevo altro che pensare a lei e a quell'occasione mancata, emotivamente scosso al punto da non saper più se in me prevalesse il rimpianto o il sollievo. Ero riuscito ad evitarla ancora, e nella circostanza più pericolosa di tutte... Non potevo sapere con certezza quali fossero state le sue intenzioni, se si era trattato solo di una visita di cortesia o di qualcosa di più, ma sperai davvero che il non essere riuscita a parlarmi l'avesse demoralizzata a sufficienza per farla desistere da ulteriori iniziative. Non dovevamo rivederci, per nessuna ragione. Eravamo stati destinati ad incontrarci, ma non per questo a rimanere insieme. Dovevamo solo pensare a ricacciare un dio egizio nell'oblio come avevano fatto i nostri predecessori, e l'avevamo fatto. Punto e fine.

“Io non sono Sethi, lei non è Raissa.”

A quelle parole, che tante volte mi ero ripetuto per convincermi che quello che provavo per lei non era nient'altro che una suggestione, per la prima volta diedi un altro significato. Era lei soltanto, Mira, che avevo conosciuto. L'unica di cui avevo dei ricordi, l'unica con cui avevo litigato così spesso, l'unica che avevo salvato quando si era persa, l'unica con cui avevo duellato fino alla fine, l'unica assieme alla quale ero rimasto a parlare fino all'alba, l'unica che mi aveva fatto sorridere. L'unica di cui sentivo la mancanza, l'unica che volevo al mio fianco. E mi conoscevo a sufficienza per sapere che, se volevo qualcosa, non mi sarei dato pace fino a quando non l'avrei avuta, a qualunque costo.

-I've change my mind.- annunciai repentino all'autista -Take me to the airport. Now.-

 

***

 

Raggiunsi di corsa il mio jet privato, salendo di persona al posto di guida. Allacciai le cinture, controllai che tutti i parametri sul cruscotto fossero a norma, accesi il motore e poi contattai la torre di controllo, chiedendo l'autorizzazione al decollo. O, meglio, ordinando l'autorizzazione al decollo.

Non appena il carrello di atterraggio si staccò al suolo, presi coscienza di aver preso una decisione quanto mai azzardata. Le cinque del pomeriggio erano passate da un pezzo e, per quanto il mio velivolo fosse rapido e per quanta velocità gli potessi imprimere, il fuso orario mi era avverso: non sarei riuscito a tornare a Domino prima della sera del giorno dopo. Rischiavo seriamente di non arrivare in tempo per l'esibizione di Mira e, soprattutto, non sapevo se sarei riuscito a tornare indietro a Los Angeles per presenziare al party di Sutherland. C'era il serio pericolo che tutti i miei sforzi fossero destinati al fallimento. Ma, comunque, non la consideravo la peggiore delle ipotesi.

La peggiore delle ipotesi sarebbe stata non tentare affatto.

 

***

 

Atterrai all'aeroporto di Domino alle ore 21, 23 minuti e 15 secondi del 5 di giugno.

Lasciai che fosse il personale in servizio ad occuparsi di riporre il mio velivolo nel rispettivo hangar, ansioso di uscire al più presto da lì e salire sul primo taxi che avessi incontrato. Battei sul tempo una coppietta troppo indecisa e mi sedetti sul sedile posteriore, esigendo che il tassista mi portasse alla Domino High School nel più breve tempo possibile. Il fatto che mi avesse riconosciuto e che gli avessi allungato in anticipo un compenso ben superiore al dovuto fu un incentivo sufficiente a darsi da fare per soddisfare la mia richiesta.

A quel punto, costretto a subire il corso degli eventi sul retro di un taxi della peggior specie, mi resi conto di due cose. Primo, era da quella mattina che indossavo ancora lo stesso completo blu scuro. Ma decisi che era sufficientemente adatto per l'occasione, e anche se non lo fosse stato non avrei comunque avuto modo di cambiarmi prima. Secondo, questione ben meno trascurabile, non avevo assolutamente idea di quando il saggio sarebbe dovuto iniziare. Ma, data l'ora, probabilmente era già iniziato e dubitavo che sarei riuscito a trovare ancora posto nel ridotto auditorium di cui disponeva la mia vecchia scuola.

Estrassi il mio cellulare, digitando con agilità un sms.

'Sto arrivando. Sono ancora in tempo?'

Tempo un paio di minuti, e un trillo mi annunciò l'arrivo della pronta risposta di mio fratello.

'Sì tranquillo, è l'ultima. Avvisami quando sei qui, così ti vengo incontro!'

Sospirai sollevato, rilassando i muscoli finora irrigiditi per la tensione. In compenso, sentii il cuore iniziare ad accelerare il battito, preso da un'eccitazione febbrile. Non avevo davvero idea di quello che avrei fatto o detto quando l'avessi finalmente rivista, e decisi di non pensarci: non avevo messo a repentaglio un affare milionario e attraversato in volo migliaia di chilometri per cadere di nuovo nei miei stessi errori. Se ne avessi avuta l'occasione, sarei stato sincero, con lei e prima ancora con me stesso.

 

***

 

Arrivai davanti alla Domino High School alle ore 21, 57 minuti e 3 secondi.

Scesi rapido dal taxi senza perdermi in inutili chiacchiere, e mi incamminai con passo sostenuto verso l'auditorium. Anche se non avessi ricordato dove fosse, cosa per me francamente improbabile, non avrei certo fatto fatica a trovarlo. Mi bastò seguire il chiasso assordante delle persone che ne erano appena uscite: il segno inequivocabile che ero arrivato proprio nel bel mezzo dell'intervallo. Alcuni ragazzi mi passarono a lato, probabilmente dirette ai servizi o all'esterno per fumarsi una sigaretta, chi distrattamente chi, riconosciutomi, guardandomi con insistenza, di certo chiedendosi cosa diamine ci facessi di nuovo in quella scuola. Se avessero saputo la ragione, di certo la loro espressione sarebbe stata ancora più attonita.

-Seto! Sono qui!-

Vagai un attimo con lo sguardo tra la folla, fino a quando non vidi finalmente mio fratello venirmi incontro con un sorriso compiaciuto stampato sulle labbra.

-Ciao, Mokuba.- lo salutai, cercando di mantenere il mio tono il più possibile neutrale.

-Ti sei deciso a venire, alla fine.- osservò lui, incapace di astenersi dal rinfacciarmelo.

Incrociai le braccia, guardandolo con disappunto.

-Oh, finiscila. Mi sento già abbastanza ridicolo senza che ti ci metta anche tu, grazie.-

-Ok, ok.- disse lui in tono di scusa, ma senza abbandonare quel suo sorrisino -Comunque volevo dirti che i posti a sedere sono esauriti, ma puoi prendere il mio, se vuoi. Per me non è un problema...-

-Ah. Ti ringrazio.- gli risposi, piacevolmente colpito dalla sua premura -Dove sarebbe di preciso?-

-Là, terza fila sulla destra.- mi disse Mokuba, indicandomela -Proprio di fianco a Yugi.-

Gli rivolsi un'occhiataccia.

-Ci avrei scommesso.- sbottai -Ti diverti tanto a farmi dannare, vero?-

Mio fratello per tutta risposta scoppiò a ridere, abusando anche troppo della sua immunità alla mia collera. Venne salvato dal fatto che in sala avevano iniziato a spegnere le luci, annunciando agli spettatori che lo spettacolo stava per ricominciare. Mokuba se la svignò con un rapido saluto, mentre le persone che fino a quel momento erano rimaste sull'ingresso iniziarono a premere alle mie spalle per rientrare. Con la rassegnazione di un condannato a morte, percorsi il corridoio laterale e raggiunsi il posto precedentemente occupato da mio fratello.

-Posso sedermi?- domandai, senza troppi preamboli.

Nonostante il buio Yugi ci mise un secondo per riconoscermi.

-Certo. Anzi, credo che questo posto sia proprio il tuo.- mi rispose con voce fin troppo maliziosa.

Mi sedetti al suo fianco, profondamente irritato. Grazie al cielo il resto della banda dei perdenti non si era accorta di nulla, ma era solo questione di tempo prima che le luci si riaccendessero e diventassi lo zimbello della situazione. Davvero grandioso.

-Posso chiederti...- mi sussurrò poco dopo Yugi, allungandosi verso di me.

-No, non puoi.- sibilai -Anzi, ti sarei grato se ti astenessi da qualsivoglia commento.-

 

***

 

Dopo una serie interminabile di esibizioni, che quando andava bene facevano quasi addormentare per la noia, quando andava male erano così imbarazzanti da togliere del tutto la voglia di vivere, finalmente la mia vecchia preside, di cui ricordavo a malapena la faccia, salì sul palco per annunciarci che era giunto il momento del numero finale.

-...ed è con mia grande soddisfazione annunciarvi che quest'anno potrete assistere ad un'esibizione davvero speciale!- affermò con enfasi -Avrete il piacere di ascoltare una ballata per pianoforte, scritta e composta da una nostra alunna ormai prossima al diploma. Signori e signore, un caloroso applauso per Mira Muto, che suonerà per noi la sua canzone intitolata “A sky full of stars”!-

Battei le mani assieme al resto del pubblico, dopo quella presentazione quantomai ansioso di sentirla. Mi aveva raccontato che quando era ad Osaka i suoi genitori l'avevano praticamente costretta a prendere lezioni di pianoforte, ma non che sapesse anche cantare... Da parte mia non sarei certo stato in grado di valutare se si sarebbe rivelata brava o meno, ma se avevano riservato la sua esibizione per il gran finale era probabile che lo fosse davvero. Quella ragazza non finiva mai di stupirmi.

Il sipario venne sollevato, svelando al centro del palcoscenico un pianoforte illuminato con luce soffusa. Poi, quasi magicamente, apparve lei. Probabilmente complice il fatto che erano mesi che non la vedevo e che indossava un lungo ed etereo abito da sera, la riconobbi a stento. La osservai colpito raggiungere il pianoforte e prendere posto con fluidità al rispettivo seggio. Tuttavia, anziché allungare le mani verso la tastiera ed iniziare a suonare, la vidi titubare, come presa dal panico. Voltò il viso verso il pubblico, vagando con lo sguardo sperduta, fino a raggiungere la terza fila. Fino ad incrociare il mio sguardo.

Anche se distanti, potei scorgere i suoi occhi spalancarsi increduli. Era così sorpresa di vedermi che era rimasta paralizzata, fissandomi come fossi un fantasma. D'altronde nemmeno io riuscivo a distogliere lo sguardo da lei, dopo così tanto tempo passato a desiderare di rivederla. Ma quello era proprio il momento meno opportuno per farlo, perché non c'ero solo io in quella sala che la stava guardando. Eravamo tutti in attesa che iniziasse a suonare.

“Perché non inizi a suonare, Mira? Che cavolo ti prende?!?”

Neanche mi avesse appena letto nel pensiero, Mira sbatté le palpebre e parve ritornare in sé. Appoggiò con delicatezza le mani sulla tastiera, e dopo un profondo respiro iniziò a suonare.

Come ho già detto, non ci capisco nulla di musica. Benché mi fosse più volte capitato di ascoltare delle canzoni, tutte mi erano sempre rimaste indifferenti, incapaci di suscitare in me il benché minimo sentimento. Ma non quella volta, forse perché era la prima che mi interessava ascoltare davvero. E dopo una lunga e struggente melodia iniziale, Mira cantò. Cantò parole semplici, a tratti banalmente poetiche, ma che mi andarono dritte al cuore. Perché quelle strofe erano rivolte a me, e solo io potevo capirle davvero. Solo io potevo sapere di quella notte nel deserto, iniziata con l'innocuo intento di guardare le stelle e conclusasi con la consapevolezza che mi ero unito a lei più di quanto volessi, e più di quanto potessi allora rendermi conto. E Mira mi aveva voluto lì ad ascoltarla, per farmi sapere quanto anche per lei fossero state importanti quelle ore trascorse insieme, e per aggiungere tutto ciò che allora aveva pensato ma non aveva osato dirmi.

Dopo appena qualche minuto la canzone terminò, in uno scroscio di applausi. Solo io rimasi seduto, incurante di tutto se non di quella ragazza dai profondi occhi viola. Perché la sua voce e la sua musica continuavano a risuonare nel mio cuore, talmente conquistato da non osare interromperle.

 

***

 

Appena le luci si riaccesero mi alzai dalla poltrona, cercando di allontanarmi senza dare nell'occhio, prima che qualcun altro oltre a Yugi si accorgesse della mia presenza. Fuggii verso un angolo in fondo alla sala, indeciso sul da farsi. Sapevo che non avrei più avuto una simile occasione di parlare con Mira, ma la presenza di tutta quella gente intorno mi rendeva alquanto restio a sfruttarla.

Rimasi quindi fermo ad osservarla scendere dal palcoscenico assieme alla Mazaki e alle altre persone che si erano esibite quella serata, per raggiungere quel gruppetto che conoscevo bene e che era rimasto ad aspettarle per congratularsi con loro. Dopo qualche minuto, poco prima che la codardia prendesse il sopravvento e mi spingesse ad andarmene, vidi Mira incrociare il mio sguardo ed affrettarsi a congedarsi dai suoi interlocutori per raggiungermi.

Ecco, troppo tardi.

Mi si avvicinò inesorabile, con un portamento che notai essere ben più accorto del solito, probabilmente a causa dei tacchi a spillo che contribuivano a farle guadagnare qualche centimetro in più e a slanciare la sua figura. Non riuscii ad evitare di percorrerla con lo sguardo da capo a piedi, affascinato. Avevo conosciuto donne indubbiamente più attraenti e sensuali di lei, ma nessuna mi aveva mai catturato in quel modo. Forse era a causa di quell'abito così femminile, o forse del fatto che avevo finalmente chiarito con me stesso quello che provavo per lei, ma mi accorsi di non riuscire più a vederla come una sciocca ragazzina. Quello che vedevo era solo quanto fosse dannatamente bella, e lei nemmeno sembrava rendersene conto.

-Seto! Cosa ci fai qui?- mi domandò bruscamente Mira, rompendo l'incantesimo.

Inarcai un sopracciglio, indispettito.

-Mi sembra ovvio... Ma forse avrei fatto meglio a non venire, se era questo il benvenuto che mi aspettava.- replicai.

Mira si morse le labbra, mortificata.

-N-no, no! Scusa, non intendevo...- balbettò -E' che... Credevo fossi a Los Angeles!-

Mi diedi subito dello stupido per come le avevo risposto. Dannazione, dovevo cercare di riallacciare i rapporti con lei, non troncarli del tutto! Mi imposi di provare ad essere gentile, prima che Mira si indispettisse e decidesse di piantarmi in asso, o di prendermi a schiaffi. O, conoscendola, tutte e due le cose insieme.

-Infatti ero lì, fino a poche ore fa...- le spiegai -Ma poi mio fratello mi ha detto dell'invito, così sono tornato in Giappone. Avere un aereo privato ha i suoi vantaggi.-

-Ma... Non sarai mica venuto apposta solo per questo...!- protestò.

Abbozzai quello che nei progetti originali doveva essere un sorriso, ma che nella realizzazione si risolse in una smorfia imbarazzata.

-No, certo che no.- le risposi, traendo un profondo respiro per prepararmi ad una costosa e sofferta ammissione -Sono venuto apposta solo per te.-

Ecco, l'avevo detto. Addio per sempre, dignità.

-Co... come?!?- balbettò invece Mira, incredula.

-Sono venuto per te, zuccona che non sei altro.- ripetei con maggior veemenza, esasperato -Per sentire la tua canzone. Volevo...- feci una pausa, notando che la voce aveva iniziato a tremarmi -Avevo bisogno di rivederti, Mira...-

La guardai in attesa, aspettando la sua risposta. Pregando che fosse quella giusta.

-Anch'io volevo rivederti.- ammise infine -Dovevo... Devo dirti una cosa.-

Nell'udire quelle parole sentii il peso che mi opprimeva svanire di colpo, e questa volta riuscii a sorriderle. Mi avvicinai a lei fino a poter sentire il suo respiro, non riuscendo più a mantenere quelle distanze. Quindi con circospezione le presi il viso tra le mani, non sapendo bene quanto potesse essere sensibile al mio tocco, ma anche con avidità, quasi che solo allora mi fosse concesso ciò che mi era sempre spettato di diritto.

-Non è necessario. Mi hai già detto tutto quello che speravo...- le sussurrai.

Le sue labbra si allargarono in un sorriso, così morbide ed invitanti che non fui più in grado di opporre loro resistenza. Istintivamente mi piegai su di lei, chiusi gli occhi e le diedi un bacio. Non avevo idea se lo avessi fatto o meno correttamente, ma sentii Mira ricambiarmi con dolcezza e i brividi iniziare a scorrermi lungo la schiena per il piacere, per cui decisi che sì, dovevo averlo fatto nel modo giusto.

   
 
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