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Autore: indiceindaco    14/10/2014    3 recensioni
Quando cala il sipario, ed il pubblico abbandona le poltroncine in velluto rosso, ed il brusio della gente si fa fioco, sempre più fioco, cosa succede dietro le quinte? Ad ormai quattro anni dall'uscita dell'ultimo libro, dall'ultima pagina voltata con emozione, aspettativa, malinconia, da quell'ultima frase che ha commosso tutti, nel bene e nel male. Il sipario è calato, il teatro è già stato ripulito, eppure no, non è finita qui.
Harry, Ron ed Hermione, ancora insieme si trovano ad affrontare la vita, quella vera, quella oltre le quinte di scena. E tanti cambiamenti si prospettano all'orizzonte. Scelte da prendere, scelte da rimandare, scelte in cui perdersi.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Slash | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter, Un po' tutti | Coppie: Draco/Harry, Remus/Sirius, Ron/Hermione
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo, Più contesti
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XXIV Giusto
 
 “The great moments of your life won’t necessarily be the things You do. They’ll also be the things that happen to you.
Now, I’m not saying you can’t take action to affect the outcome of Your life, you have to take action, and you will.
 
But never forget that on any day, you can step out the front door And your whole life can change forever.
You see, the Universe has a plan, Kids.
And that plan is always in motion.
 A butterfly flaps its wings, and it starts to rain.
 
It’s a scary thought but it’s also kind of wonderful.
All these little parts of the machine constantly working,
Making sure that you end up exactly where you’re supposed to be, Exactly when you’re supposed to be there.
 

The right place
At
The right time
.
 
T.Mosby,
How I Met Your Mother.
 
Dietro alle palpebre serrate, vedeva il vorticare sommesso di fluorescenti puntini luminosi, che si inseguivano ad un ritmo sconnesso e predatorio, si scontravano in leggeri scintillii. Sentiva mancarsi la terra sotto i piedi, in quel campo gravitazionale illogico, scosceso, sospeso. Si aggrappava all’addome di Potter come fosse l’ultimo sprazzo di salvezza al quale potersi appellare. Scavava fra le sue labbra, dissetandosi di un sapore che credeva di conoscere da sempre, come un vizio dimenticato, ma che latente reclamava di essere soddisfatto. Dopo un attimo di confusa esitazione, anche Potter aveva approfondito il contatto, ribellandosi al possesso di Draco, solo per marcare il proprio territorio, facendo scivolare la lingua sul suo palato, succhiando le sottili labbra screpolate, come volesse trascinarlo con sé verso un baratro di placido nulla. E l’alcool era immediatamente evaporato, come spazzato via dall’irruenza con cui Potter rispondeva al bacio. Era più una lotta per la sopravvivenza, una sfida in apnea, dove a dominare era istinto e desiderio, che continuava a giocare a rimpiattino, a crescere, impetuoso come il fiume che dirompe, violando gli argini. Le mani di Potter erano serrate sui suoi polsi, in una morsa quasi dolorosa, possessiva. Quelle labbra soffici lo avevano magneticamente attratto e Draco non aveva intenzione di lasciarle andare. Una mano di Potter corse sulla sua nuca, nell’imperativo viscerale di approfondire il contatto. Draco si trovò a far combaciare il proprio petto su quello del ragazzo bloccato contro la porta, lasciando scivolare le mani sui suoi fianchi. Era come fatalmente attratto dal calore che emanava il torace di Potter, da quel cuore che batteva rassicurante, proprio sotto al proprio, ad un ritmo convulso ed esasperato.
Non aveva il minimo controllo delle proprie azioni e non sembrava preoccuparsene, quando, come nave che ritira l’ultima ancora, fece aderire il proprio bacino a quello di Potter, stando ben attento a non mostrarsi troppo entusiasta. Al minimo cenno di movimento, però Potter, altrettanto dimentico di se stesso, sembrò scattare automaticamente, imprimendogli come a fuoco il contorno della sua erezione sulla coscia.
Per l’ennesima volta Draco, vittima dell’eccitazione, si trovò ad un bivio, a compiere un’altra dannata scelta: la sua mano, dimenticata sul fianco di Potter, era così vicina. La disperazione di sentir il proprio palmo riempirsi con quel calore pulsante di desiderio, mentre baciava Potter in quella frenesia priva di qualsiasi autocontrollo, lo dilaniava, eppure…
-P-Potter…- ansimò, staccandosi a fatica da quelle labbra così invitanti. Ma il suo interlocutore era troppo concentrato sul un punto imprecisato del suo collo. La vistosa e prepotente erezione, lì contro la coscia di Draco, non rendeva il distacco più facile. Le mani di Potter cercavano di trattenerlo, strattonandogli la candida camicia ormai stropicciata, di attirarlo ancora di più a sé, mentre le sue labbra erano tornate su quelle di Draco, come a reclamare qualcosa che appartenesse loro di diritto.
Non sarebbe stato affatto indolore far esplodere la bolla di perfezione che si era creata intorno a loro, ma doveva farlo. Si scostò bruscamente, lasciando le labbra di Potter gonfie e dischiuse. Poi gli occhi del ragazzo lo investirono e dando il permesso a Draco di leggere un cameo sconnesso di emozioni travolgenti: imbarazzo, desiderio, frustrazione, vergogna.
-Potter, se non…se non mi fermo adesso...- tentò di dire, facendo fatica a riconoscere la sua voce.
Il ragazzo serrò la mascella abbassando lo sguardo sul cavallo dei propri pantaloni, e si lasciò sfuggire un’imprecazione a mezza voce, avvampando all’inverosimile, troppo confuso per poter realizzare di doversi scostare. Draco, per quanto paradossale e patetica fosse quella situazione, chissà per quale assurdo motivo, lo trovò ancora più eccitante e fuori controllo si avventò di nuovo su quelle labbra che erano diventate la sua personale benedizione.
Potter era rigido però, come paralizzato, a disagio. Mise le mani sul petto di Draco, esercitando una pressione irrisoria, ma adeguata a farlo retrocedere. Draco frugò ancora negli occhi di Potter, adesso velatamente lucidi, e di scatto, come terrorizzato si scostò, compiendo qualche repentino passo all’indietro. Trasse un profondo sospiro, il cuore non voleva saperne di rallentare la folle corsa contro se stesso. Poi Potter alzò di nuovo lo sguardo, imbarazzato come mai avrebbe potuto immaginarlo. E Draco ebbe improvvisamente freddo al petto.
La bolla s’era irrimediabilemente infranta.
 
***
 
Ginny osservava le due buste ingiallite tra le sue mani, circondata dagli sguardi curiosi degli ospiti della Guferia. Poteva sentire il peso delle due buste, l’ineluttabile differenza della consistenza delle pergamene. Ginny aveva sempre amato le lettere. Ricordava quando da piccola, seduta al tavolo della accogliente cucina, stava per ore a scarabbocchiare disegni colorati, da inviare a Charlie, in Romania, quel fratellone che le mancava. Era stata Molly a spingerla verso quella confortante abitudine: Quando ti manca qualcuno, prova a scrivergli una lettera, ti mancherà di meno poi! E così, sebbene la piccola Ginevra sapesse scrivere poco più del suo nome, rimaneva inchiodata al tavolo, a riempire fogli su fogli, che avrebbe poi inviato al fratello lontano. All’inizio si trattava di disegni, poi qualche riga, ma pian piano aveva preso a riempire rotoli e rotoli di pergamena. Racconti di quello che succedeva a casa, storie, sogni e preoccupazioni, tutti affidati alle mani di quel fratello lontano, che era il suo miglior confidente. Durante i suoi primi anni ad Hogwarts, più che mai. Ripensò al diario di Riddle e si diede ancora una volta della stupida. Era stato più forte di lei, scrivere la rassicurava, era un modo di non sentire la mancanza di qualcuno, le aveva insegnato Molly, era l’unico modo per non mancarsi. E così, fluidamente, come se fosse un’estensione del suo corpo, riusciva a mettersi a nudo di fronte alla pergamena. E nel penso di quelle due buste, nelle sue mani, Ginny poteva dolorosamente percepire il peso di se stessa, delle decisioni difficili ma necessarie che aveva dovuto prendere e incastrare tra l’inchiostro e la carta. Le riaprì, in cerca di rassicurazioni, di conferme, solo per riappropriarsi delle parole che aveva lasciato andare.
 
Caro Harry,
 
Questa è la lettera più difficile che io abbia mai scritto, ma sento che non avrei potuto far a meno di scriverla. Credo anche che molto di quello che voglio dirti rimarrà in sospeso, e forse è meglio così.
Non ho idea di cosa sia accaduto, di quando sia successo, ma so di averti perso. Non ce ne accorgiamo mai, vero? Quando qualcosa cambia, inevitabilmente, siamo investiti dal processo, troppo ciechi per rendercene conto. E quando finalmente sembriamo riacquistare coscienza è ormai troppo tardi. Quando due persone si allontanano, non si tratta di trovare un colpevole ed una vittima. Semplicemente succede: un momento prima senti di essere legato a quella persona da un filo indissolubile, il momento dopo quel filo si spezza, lasciandoti il dubbio sia mai esistito. Forse me lo sono immaginato, forse doveva solo andare così. So cosa stai pensando. No, non è un periodo. Ma non voglio pensare ai perché, ai come, ai quando. E non voglio che sia tu a farlo.
Sento che questa è la decisione giusta, e so che in fondo anche tu lo pensi. Mi hanno insegnato che l’amore è più forte di tutto, tu stesso ne sei la prova vivente, che è la luce che illumina i tuoi passi quando ormai non credi più a nulla, che nessuna prova può farlo vacillare. Allora perché al primo soffio di vento quella fiamma sembra essersi irrimediabilmente spenta? Sono solo una ragazzina, e la risposta è nelle parole che non dico, Harry. Ma confido che lo sapessimo già. Ho deciso semplicemente di smettere di ignorarlo.
 
Ti voglio bene Harry, forse non sai neanche quanto. Ma adesso è tempo di voler bene anche a me stessa, è tempo di smettere di mancarmi.
Con affetto,
Ginny.

Le parole sotto ai suoi occhi scorrevano talmente velocemente da non lasciare spazio a delle lacrime che Ginny si sentiva in dovere di versare. Risoluta ripose la pergamena nella busta, e sorpresa da se stessa, senza alcuno sforzo la abbandonò tra le zampe di un gufo grigio, che la guardava con i suoi profondi occhi gialli.
Poi aprì la seconda busta, le mani leggermente tremanti:
 
Cara Hermione,
 
Ho lasciato Harry.
Per favore, non fare domande. Non sono ancora in grado di parlarne, ma sto bene, perché ti assicuro che non è stata una scelta sofferta. Harry non mi ha ferito, sono io che ho finalmente capito. Quindi Herm, sul serio, non preoccuparti e non dar in escandescenze. Non piombare a casa di Harry, ti assicuro che anche lui starà bene. Vedila come se fosse una decisione comune, solo che… uno di noi doveva trovare il coraggio di dire come stavano davvero le cose. E quel coraggio l’ho trovato io per prima, come sempre. Credimi quando ti dico che è giusto così e cerca, se puoi, di farlo entrare anche nella testaccia dura di mio fratello.
 
Spero che voi due piccioncini stiate bene, e che passiate il vostro tempo in modi migliori che battibeccare.
Ti scrivo presto, promesso.
Con affetto,
Ginny.
 
Quando anche la seconda lettera, impigliata nel becco di un barbagianni bianco, si allontanò, Ginny si concesse un sospiro di sollievo. Si appoggiò ai margini della grande finestra e indugiò nell’osservare il grigio cielo di novembre.
Improvvisa, come la più inattesa delle primavere, sbocciò dentro di lei una pacifica sensazione di esattezza. E così sorrise. Per la prima volta, dopo tanto tempo, sentiva di aver fatto la cosa giusta per se stessa: sentiva di mancarsi già un po’ di meno.
 
***
 
Erano l’uno di fronte all’altro adesso, entrambi alla ricerca di uno scampolo di lucidità che li portasse a regolarizzare il respiro spezzato, quel fiatone dopo la folle corsa che li aveva fatalmente investiti e travolti, l’uno sull’altro, a divorarsi.
Harry era confuso, smarrito, incapace di rialzare lo sguardo, sentiva l’eccitazione invaderlo intermittente, troppo imbarazzato per riuscire a scacciarla, troppo colpevole per far i conti con l’evidenza pulsante di un desiderio che non voleva neanche riconoscere come proprio. Sapeva che Malfoy era lì di fronte a lui, invaso da pensieri non poi tanto diversi, a combattere la stessa battaglia. Harry sentì di detestarlo, per essere piombato in casa sua, sulle sue labbra, sul suo corpo e aver reclamato qualcosa che razionalmente Harry sapeva di dover disprezzare. Lo detestava, perché stava fermo lì, come inceppato, senza dire una parola, con il fiato corto. Lo detestava per aver lasciato spazio alla razionalità, per essersi fermato. Il pensiero gli dava i brividi. Eppure, allo stesso tempo, sentiva di aver bisogno di quel suo tocco così aggressivo, per calmarsi, per sentirsi al sicuro. Harry combattuto, finalmente, sembrò ritrovare la temerarietà per parlare, ma dalla sua gola uscì solo una voce roca ed incerta:
-Malfoy…
E percepì chiaramente quanto il bisogno di scappare dell’altro stesse impregnando l’aria. Per un attimo pensò di lasciarlo fare, di nuovo, di lasciare che se ne andasse, di ignorare l’accaduto. Una morsa allo stomaco reclamava spiegazioni, reclamava risposte: era la parte di lui che voleva tornare ad un attimo prima, quella che desiderava che Malfoy non si fosse fermato. Una parte che Harry non conosceva, di cui ebbe paura. Così alzò lo sguardo, cercando quella stessa paura in quegli occhi grigi, che erano diventati la sua persecuzione. Malfoy guardava per terra, in un punto imprecisato, ma Harry poteva percepire i suoi pensieri che giravano a vuoto, aggrovigliandosi su loro stessi. Lo chiamò di nuovo, con più convinzione questa volta, e portò quegli occhi dentro i suoi. Senza un’apparente motivazione logica gli mancò il respiro.
-Non dovrei essere qui. Io non…- il sussurro era flebile, colmo di senzo di colpa, come parlasse a se stesso, rimproverandosi.
Cosa lo portò a mettere una mano sulla spalla di Malfoy, Harry non se lo chiese, ma in quel momento sapeva di doverlo fare, per sistemare quell’assurdo mescolarsi di eventi, per rassicurare l’altro. Sentiva di dover calmare l’altro più di se stesso. Finalmente Malfoy lo guardò in viso, sconvolto quasi quanto lui. Harry commise l’errore di scappare al contatto visivo, lasciando scivolare lo sguardo sulle labbra di Malfoy, e di nuovo, più forte di prima, se ne sentì attratto, in un disperato bisogno.
Vide la mano di Malfoy tremare, mentre raggiungeva la bacchetta, nella tasca interna della giacca. Il tremito si fece più intenso quando, sotto lo sguardo smarrito di Harry, il ragazzo fece poggiare la punta della bacchetta contro la propria tempia. Per un attimo gli prese il panico, un’angoscia silenziosa.
-Malfoy…c-che hai intenzione di fare?- disse a pochi centimetri dal viso dell’altro, la bacchetta di Malfoy puntata ancora addosso. Non aveva dubitato nemmeno un’istante, non temeva potesse fargli del male, ma l’incertezza lo lacerava. Non capiva davvero cosa stesse succedendo, forse perché tutto sembrava così irreale da essere impossibile.
-Obliviazione.- disse Malfoy, piatto, col tono di chi avesse trovato una soluzione a tutti i propri problemi. Ad Harry mancò un battito quando capì l’intento dell’altro: voleva dimenticasse. Scappava ancora una volta. Fece scivolare la mano dalla spalla di Malfoy, solo per serrarla sul suo polso, facendo appello a tutto il coraggio e la convinzione di cui era a disposizione. No, non gli avrebbe permesso di voltare le spalle a quello che aveva, che avevano, fatto.
-Un incantesimo di memoria?- disse Harry dissimulando la tensione, cercando di suonare divertito, -Seriamente, Malfoy. Un incantesimo di memoria per un…- gli mancarono per un attimo le parole, ma sapeva di non dover esitare, di dover tranquillizzare l’altro, prima che la cosa degenerasse.
-Cancellerò fino a prima del mio arrivo, Potter. È meglio così.- disse Malfoy, sfuggendo ancora una volta al suo sguardo, abbassando il capo.
Harry, impulsivamente gli prese il mento tra l’indice ed il pollice, costringendolo a guardarlo negli occhi.
-No, che non è meglio Malfoy. Dio, mi faresti un incantesimo di memoria per un fottuto bacio?- sbottò Harry, in preda ad una rabbia cieca, ignorando da dove venisse né contro chi era diretta. Si sentiva frustrato per quell’atteggiamento infantile, e forse scuotere Malfoy sarebbe servito ad alleggerire il peso che sentiva, e l’erezione ancora insistente nei suoi pantaloni. Si odiava, in quel momento, stentava quasi a riconoscersi, ma sapeva di dover agire in fretta, di dover aggredire Malfoy con le parole, per portarlo a ragionare. Era quello di cui entrambi avevano bisogno, Harry lo sapeva. Parlarne avrebbe aiutato, ne era certo.
-Potter, senti…- cercò di dire stancamente Malfoy.
-No, Malfoy, senti tu per una volta. E ascoltami bene.- con il dorso della mano, Harry scostò la bacchetta di Malfoy, facendola cadere rovinosamente a terra. – Era un bacio. Non voglio spiegazioni che non puoi o non sai darmi. È successo e…Neanche io, in questo momento, saprei spiegarmi molto. Ma, quel che voglio dirti è che… Era solo un bacio e va bene! Non è il caso di colpevolizzarsi, di lanciare fottuti incantesimi a casaccio, o di farsi prendere dal panico. È evidentemente stata una cosa…ehm, condivisa. Se non avessi voluto…insomma sei ancora qui no? Sei stato tu ad allontanarti e... voglio dire, io non ti avrei allontanato e…Ok, non è quello il punto, il punto è che va tutto bene. Era un bacio. Solo un bacio! Non hai ucciso nessuno!
Ed Harry proprio non capì cosa di sbagliato avesse detto, perché era convinto stesse andando così bene con quel suo discorso sconclusionato, ma Malfoy fece una smorfia di dolore, e gli occhi si fecero lucidi. Prima ancora che realizzasse che Malfoy stava per piangere, Harry si ritrovò a stringerlo a sé. Malfoy fece resistenza, per un attimo, per poi abbandonarsi e nascondere il viso, contratto per trattenere le lacrime.
-Ehi…Ehi, va tutto bene, davvero. Malfoy, va tutto bene.- sussurrò Harry dolcemente. L’altro senza far rumore, con un movimento fluido e privo di sbavature, avvolse le sue braccia intorno al corpo di Harry, stringendoselo addosso, come a voler ricevere un po’ di calore, in una richiesta disperata. E Harry smise di farsi domande, e di cercare risposte, stando immobile, lì ad abbracciarlo.
-Va tutto bene…- ripeteva, di tanto in tanto.
 
***
 
-Dimmi che quello è il primo bicchiere, perché sono solo le tre del pomeriggio.
-Quinto…
Blaise, seduto nel piccolo salotto di casa propria, non poté fare a meno di sorridere amaramente, sentita la voce della sua migliore amica.
-Non sei andato a lezione.- constatò Pansy, affiancandolo, in piedi accanto alla poltrona, le mani sui fianchi, in una posa che cercava di sottolineare quanto fosse contrariata, ma che Blaise sapeva tradisse la sua preoccupazione.
-No.- disse semplicemente, con una voce incolore.
-Riassumendo: non sei andato a lezione, che per inciso, era di tirocinio. Sei al quinto bicchiere di Incendiario, alle tre del pomeriggio. Le alternative sono due: o finalmente la cattiva influenza di Draco ha sortito i suoi effetti o c’è qualcosa che non va.
Pansy si accovacciò, reggendosi sul bracciolo della poltrona in cui era sprofondato, guardandolo con un’espressione tesa. Blaise non amava parlare dei suoi problemi, ancor di meno rispondere alle domande, o trovarsi in situazioni in cui era costretto a chiedere aiuto. Così Pansy non chiese nulla, limitandosi a condividere il silenzio dell’amico, finché le gambe non le formicolarono e non fu costretta ad inginocchiarsi.
-Ho trovato una soluzione ai problemi finanziari di Draco. So dove si trova il fondo per le emergenze.- disse il ragazzo, portando lo sguardo su di lei. Pansy si limitò a guardarlo incuriosita, tenendo a freno la lingua, facendosi violenza per non investirlo con le sue solite mille domande curiose. Quando Blaise non proseguì nella spiegazione di quel suo stato d’animo, Pansy gentilmente lo spronò a continuare.
-E questo come ti ha portato a litigare con quella testa calda?- disse, cercando di sdrammatizzare, senza successo.
-Sono andato ad Azkaban, per parlare con Lucius, dato che l’avvocato non ha saputo dirmi molto.
Pansy, se possibile, era ancora più perplessa. Sì, sapeva quanto delicato fosse risolvere i problemi di una persona riservata come Draco, senza innervosire il ragazzo dal temperamento più suscettibile che conoscesse. Ma che quello fosse il motivo scatenante della lite, Pansy non lo credeva possibile. Non era la prima volta che Blaise lo tirava fuori dai guai, e che venisse a conoscenza di informazioni personali per farlo.
-Era l’unica soluzione. E l’ho trovata. Solo che…- Blaise si fermò, distogliendo lo sguardo, per fissarlo davanti a sé, verso il camino spento.
-Ho rivisto Theodore.
Pansy scosse lentamente la testa. Era più grave del previsto. Poi si alzò, richiamò a sé un bicchiere, recuperò quello dalle mani di Blaise, e versò quattro dita di Incendiario per entrambi.
-Cinque sono decisamente pochi.- disse asciutta porgendo il bicchiere.
-Sono le tre del pomeriggio.- rispose Blaise, sforzandosi di suonare divertito.
-Appunto…
 
***
 
-Granger, posta!
L’anziana signora alla reception la guardava torva, mentre la mano rugosa e volgarmente smaltata le porgeva sgarbatamente la lettera. Hermione, una volta firmato per il ritiro del tesserino, si affrettò a prenderla, con un sorriso timido e l’istinto di sopravvivenza che le intimava di scappare dalle grinfie della donna.
-Quante volte dobbiamo ancora dirvelo, eh? Niente posta sul lavoro!
La voce acida della vecchia receptionist che le urlava dietro, era più alta di un’ottava, mentre Hermione si apprestava ad allontanarsi il più velocemente possibile, con ampi cenni del capo e flebili “Mi scusi”, “Non succederà più”, “Deve essere un’emergenza”.
Svoltato il corridoio, Hermione poteva ancora sentirla sbraitare, ma non le prestava più attenzione: la lettera di Ginny, un po’ spiegazzata era stato un pugno allo stomaco.
 
Cara Hermione,
Ho lasciato Harry.

Appoggiata contro il muro candido del reparto al quale era stata assegnata quel giorno Hermione lottava contro il bisogno di smaterializzarsi immediatamente da Harry, e il dovere di studentessa.
Quel “Non fare domande” la avrebbe perseguitata per il resto della giornata.
 
***
 
Era stato aggrappato al corpo di Potter talmente a lungo da non saper stabilire un preciso arco temporale. Sapeva di aver combinato l’ennesimo casino, sapeva di aver ingarbugliato ancora di più quel disastro di vita che si sforzava di far sembrare normale. Quel che peggio era che aveva trascinato Potter con sé, e che non sapeva nemmeno spiegarsi perché. Ma si sentiva al sicuro, si sentiva ripulito da qualsiasi senso di colpa, e sapeva che era merito di quell’abbraccio in cui Potter lo tratteneva, forse temendo di farlo andare in pezzi se lo avesse lasciato solo per un attimo. Forse era davvero così. Quando suo malgrado si scostò, fu perché si sentiva in dovere di spiegare, era così doloroso sapere di aver sottratto a Potter qualcosa, anche se non sapeva cosa o perché dovesse farlo sentire così inadeguato.
-Potter…puoi lasciarmi adesso.- disse, contro la spalla dell’altro.
-Giuri che non cercherai di uccidermi?- scherzò Potter, stringendolo solo un po’ più forte, come a mo’ di avvertimento. Poi senza attendere risposta sciolse l’abbraccio e cercò i suoi occhi, come non avesse nulla di meglio su cui poggiare lo sguardo.
-Non so cosa mi sia preso, io…
Potter sospirò profondamente, alzando gli occhi al cielo, con un’espressione un po’ buffa. Sembrava volerlo mettere a tutti i costi a suo agio, sdrammatizzando, e facendogli intendere che era tutto sotto controllo. Ma vedeva, sul fondo di quegli occhi verdi, rimestarsi il dubbio, la confusione, e qualcosa di molto simile all’angoscia. Per un attimo gli sembrò di leggere la paura di Potter, paura che quell’intenso momento non sarebbe più tornato. Paura di non aver più la possibilità di sentirlo di nuovo. Ma forse, si disse, lo stava solo immaginando. Pensò a che misero spettacolo dovesse essere, lì sotto gli occhi di Potter, pensò a quanto si fosse sconsideratamente esposto.
-Malfoy.- lo richiamò Potter, -Non lo so neanche io. So solo che va bene. Credo che…una parte di me lo aspettasse.
Quella ammissione così candida, senza sotterfugi, lo spiazzò ancora una volta. Perché diavolo Potter doveva essere sempre così sincero?
-Voglio dire…non è la prima volta e…ok, è stato diverso ma…Credo che da qualche parte, lo volessi. Volevo che succedesse. Non mi sono tirato indietro, Malfoy. E non so spiegarmelo diversamente.- stava dicendo Potter, distogliendo lo sguardo imbarazzato. Draco fece un passo indietro, schiaffeggiato da quella consapevolezza, talmente ben nascosta da poter essere facilmente aggirata.
Era stato lui a desiderare quel contatto, a innescare quel meccanismo, quasi senza averne coscienza e quella sera, in un momento puramente istintivo, in preda all’alcool ed alle debolezze, la prima persona ad aver cercato era stata Potter. Si era avventato su di lui, senza riflettere, senza pensar ad altro che a sentire il corpo ed il cuore di Potter contro di sé. Voleva dirsi che era stato solo per sentirsi meglio, per sfogare tutta la sua rabbia, per alleviare il dolore. Ma non era solo quello. Draco lo aveva ignorato, ma lo sapeva, e adesso era Potter a costringerlo a scendere a patti con se stesso, a parlarsi.
-Ero…curioso, immagino- disse il ragazzo di fronte a lui, rompendo il silenzio, ancora una volta, come a sentirsi in dovere di alleviare quell’imbarazzo che aleggiava tra loro.
-Dopo quella volta, intendo…Ho cercato di non pensarci, ma alla fine…Ne avevo bisogno, ricordi? Sono stato anch’io ad ammetterlo. E forse si tratta solo di ricevere conforto o forse si tratta di un altro genere di bisogno insomma…Non lo so, mi sono talmente impegnato a non pensarci, che alla fine…Credo che se non fossi venuto qui, stasera, sarebbe comunque successo prima o poi. Come se fosse inevitabile…Voglio dire…-
Potter continuava a blaterare cose senza senso, come cercasse di pensare ad alta voce, per convincerlo che non c’era niente di sbagliato, che non Draco non aveva nessuna colpa.
-Potter, di che stai parlando?- lo interruppe Draco, ormai spazientito da quel chiacchierare frenetico.
Il ragazzo si zittì, guardandolo smarrito. Non aveva la minima idea di quello che stava dicendo, era evidente, era solo un modo per non lasciare che il silenzio li allontanasse, ognuno aggrovigliato nei propri pensieri. Era come se Potter cercasse di trattenerlo, come nell’abbraccio.
-Sto dicendo che…le cose succedono. E non c’è sempre un perché. A volte succedono e basta. A volte non possiamo controllarle. A volte sono indipendenti da noi, inevitabili.
-Niente di questo era inevitabile, Potter!- disse Draco, la voce carica di un rancore che non aveva potuto far a meno di celare, sebbene non sapesse spiegarsi da dove arrivasse.
-È successo. Fine della storia.- rispose Potter con un tono amaro, come in un’ammissione senza repliche. Draco lo guardò smarrito per un attimo, poi rivide negli occhi di Potter quel luccichio speranzoso e inarcò un sopracciglio. Sentiva di aver commesso l’ennesimo sbaglio, di aver oltrepassato l’ennesimo limite, di essersi macchiato dell’ennesima colpa. Aveva rimesso in discussione le certezze di Potter, senza rendersene conto, senza preoccuparsi delle conseguenze, magari giocando con la sua vita. E per cosa? Perché si sentiva troppo in colpa, perché voleva sentirsi meglio, credere di poter essere una persona migliore. Sapeva che se avesse dato voce ai suoi pensieri, in quel momento Potter lo avrebbe ascoltato senza riserve.
-Le cose succedono, eh? Senza un perché. Senza condizioni. Solo…succedono.- disse, nella voce l’ombra del solito scherno beffardo. Potter finalmente si concesse un timido sorriso.
-Beh, certo…bisogna trovarsi al posto giusto, nel momento giusto.- rispose Potter, senza guardarlo negli occhi.
-Cosa ti fa pensare che questo sia giusto?
La domanda, Draco ne era sicuro, si era conficcata in profondità, perché Potter spalancò gli occhi, schiudendo le labbra, mentre fingeva di trovare interessanti le assi di legno del pavimento. Draco sospirò e fece un passo avanti, per oltrepassarlo e raggiungere la porta, uscendo da quella casa, allontanandosi e scappando da quella situazione scomoda.
La mano di Potter si strinse sul suo braccio, bloccandolo, trattenendolo, e Draco fu investito dalle parole di Potter, inconsapevolmente intense ed esatte:
-Lo volevo quanto lo volevi tu. Come può non essere giusto? 
  
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