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Autore: The_Grace_of_Undomiel    14/10/2014    3 recensioni
Sam è un ragazzo di sedici anni mezzo, che si è appena trasferito in una nuova città.
A causa del suo carattere un po' timido ed insicuro, il giovane non si era mai sentito accettato dai precedenti compagni di classe ed era spesso deriso o emarginato. In conseguenza a ciò, Sam vede nel trasferimento un'opportunità per incominciare una vita migliore della precedente ed è molto ansioso, oltre che timoroso, di iniziare la nuova scuola. Purtroppo però, le cose si mettono subito molto male per il ragazzo, diventando sin dal primo giorno il bersaglio dei più temuti bulli di tutto l'istituto, I Dark, e da quel momento in poi, la vita per lui diventa il suo incubo personale.
Ma col passare del tempo, imparerà che a volte non bisogna soffermarsi solo sulle apparenze e le che le cose, a volte, possono prendere una piega del tutto inaspettata...
Dal testo: "I Dark si stavano avvicinando sempre di più, ormai solo pochi metri li separavano da Sam e Daniel. Avanzavano uno vicino all’altro, formando una sorta di muraglia, tenendo al di fuori tutto quello che c’era dietro di loro"
Genere: Commedia, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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Si scapicollò giù dalle scale con talmente tanta foga che per poco non ruzzolò giù per la rampa. Quella corsa folle lo stava letteralmente sfinendo, ma il ricordo di Kyda che stringeva i pezzi di vetro, e vedere gocce di sangue sui gradini, gli davano la spinta necessaria per non fermarsi neanche un secondo.
Non appena la ragazza aveva iniziato quella discussione con la madre, Sam sapeva che le cose non avrebbero potuto non avere un risvolto negativo e infatti così era stato.
Tuttavia, non ci stava capendo davvero più niente. Perché Kyda si era ridotta in quello stato? E soprattutto come mai il rapporto tra lei ed Ines era così burrascoso? Che cosa nascondevano?
Lo sbattere di un portone lo riportò alla realtà. Kyda doveva essere uscita in strada.
Accelerò ancora di più e in breve anche lui fu fuori. Con il fiatone e con il cuore che palpitava a mille si guardò febbrilmente intorno nella speranza di individuarla, finché non la vide in lontananza; non si era fermata neanche una volta.
Riprese ad inseguirla, doveva assolutamente raggiungerla e bloccarla. Era in uno stato pietoso, completamente fuori di senno e piena di alcol, per non parlare della ferita alla mano.
Aumentò nuovamente l’andatura, anche col rischio di stramazzare, altrimenti non sarebbe mai riuscito ad affiancarla, Kyda era in netto vantaggio rispetto a lui.
Fortunatamente, a causa del mal tempo, dell’ora abbastanza tarda e delle temperature non proprio elevatissime, il marciapiede era praticamente deserto, ad eccezione di qualche passante che con aria interrogativa lo guardava correre.
Finalmente riuscì ad accorciare il distacco. Kyda doveva aver rallentato un po’, perché infatti, poco dopo, la vide bloccarsi all’improvviso. Il ragazzo non si lasciò sfuggire quell’occasione e ne approfittò per raggiungerla. Quando la vide, quasi non la riconobbe.
Respirava affannosamente, gli occhi erano spalancati e le sue labbra schiuse, mentre la treccia era praticamente sfatta. Stringeva i pugni spasmodicamente e quello destro continuava a perdere sangue, il quale gocciolava poi sul cemento.
-Perché mi hai seguita?- ansimò, senza guardarlo in volto. Aveva tentato di mantenere un tono tagliente e glaciale, ma il tremolio nella sua voce era troppo evidente.
-Ho dovuto farlo, non potevo lasciarti andare via in queste condizioni- rispose Sam.
-Sto benissimo-
-No, tu non stai affatto bene. Sei ubriaca, e sei ferita- ribatté, serio.
Lei scrollò le spalle seccata.
-L’ubriaco sarai tu- sputò la ragazza -E poi non sono affatto ferita, è solo un graffio, tutto qua-
-Davvero?- disse il giovane sarcastico. Anche se era sconvolta e fuori di sé, Kyda rimaneva comunque un osso duro e se voleva farla cedere, doveva stare al suo gioco –A me non sembra proprio. Scommetto che ti fa molto male-
-Bugiardo, non sento niente. Nulla può scalfirmi! Io sono forte, sono incrollabile. Il dolore è nulla per me- farneticò Kyda.
-Eppure stai soffrendo, è evidente- le fece notare con logica Sam. Odiava doversi comportare così, ma provocarla e “darle il colpo di grazia” era l’unico modo perché la ragazza lasciasse finalmente cadere quella spessa barriera che ormai da tempo si era costruita.
 –Taci!- sbraitò -Ti ripeto che questo è solo uno stupido, insignificante taglietto!-
-Se fosse un insignificante taglietto, come lo chiami tu, allora non continuerebbe a gocciolare sangue sul marciapiede-
Kyda lo guardò confusa, come se non comprendesse le sue parole, poi, quasi in trance, portò lo sguardo sulla sua mano ferita e al pavimento. Alla vista delle gocce di sangue per terra, sgranò ancora di più gli occhi e la sua bocca si spalancò in una smorfia terrorizzata.
Indietreggiò con uno scatto e sarebbe crollata a terra per lo shock, se Sam non avesse avuto i riflessi pronti per sorreggerla.
-Portami via, portami via...- lo supplicò tremante, stringendo convulsamente la sua felpa.
-Tranquilla... - le sussurrò serio -Adesso ti riporto a casa-

Trovarono l’appartamento completamente deserto, di Ines non vi era alcuna traccia.
Kyda aveva voluto fare le scale in completa autonomia, anche se spesso aveva arrancato e si era dovuta aggrappare a Sam per non cadere.
La ragazza vagò come uno spettro fino alla cucina e si abbandonò su una sedia. Tutto era rimasto come prima, il cartellone era ancora sul tavolo, ad eccezione del frammenti di vetro sul pavimento, della bottiglia e delle briciole, che erano scomparsi.
-Devo disinfettarti la mano e poi fasciarla- disse Sam raggiungendola -Dove tieni il kit di pronto soccorso?-
-Nel mobile in bagno- la sua voce fu pressappoco un mormorio. Non alzò nemmeno lo sguardo sull’interlocutore, ma rimase a fissarsi l’arto ferito.
Lui non se lo fece ripetere due volte e in breve tempo ritornò da Kyda con l’acqua ossigenata e delle bende.
-Potrebbe bruciare un po’- la avvertì cauto, accucciandosi di fronte a lei e imbevendo un batuffolo di cotone.
Ella non rispose e non accennò nemmeno una minima espressione di sofferenza quando lui le disinfettò i tagli, restò in silenzio, a guardare verso un punto indefinito con occhi vitrei. Al contrario, Sam sentiva di soffrire per lei.
Le fasciò con delicatezza la mano, non potendo fare a meno di pensare che, in quel breve arco di tempo, si era ritrovato a medicare già ben due persone.
-Ecco fatto- sorrise, restituendole indietro la mano -Sono riuscito a fermare l’emorragia, comunque poi sarà meglio che tu ti faccia vedere da un medico-
Kyda non disse di nuovo nulla e un opprimente silenzio scese nella stanza. Per lungo tempo entrambi tacquero, finché Sam non poté fare a meno di esprimersi . Non ce la faceva più a vederla in quello stato, senza poter fare niente per aiutarla e senza riuscire a capire perché stesse soffrendo in quel modo.
-Ascoltami Kyda, io, davvero, non so quale sia la cosa giusta da fare per farti sentire meglio -disse infine, preso coraggio –Ciò che voglio non è compartiti o commiserarti, cerco solo di aiutarti...-
La giovane sollevò stancamente lo sguardo su di lui; pareva che lo stesse ascoltando.
-Puoi fidarti di me!- affermò con forza - Io ti sono amico, perciò...insomma, se c’è qualcosa che posso fare per te, devi solo dirmelo- la guardò intensamente negli occhi, ma l’unica che vide fu il proprio riflesso. Nessuna emozione animava quello sguardo, c’era solo buio.
Sospirò sconfitto, guardandosi le mani. Anche in quel momento, era inutile e impotente, e le sue parole non avevano portato alcun conforto. Quando era stato lui a trovarsi in situazioni cupe, Kyda era sempre riuscita con poche frasi a risollevarlo e farlo riflettere, e  adesso, non poterle restituirle il favore, lo faceva sentire atterrato.
Ma inaspettatamente, la ragazza si alzò. Come un automa, prese Sam per il polso, facendolo alzare da terra. Lui la guardò confuso, ma non proferì parola, nemmeno quando ella lo condusse per il corridoio della casa, fino ad arrivare di fronte a quella misteriosa porta inaccessibile.
Kyda posò lentamente la mano sana sulla maniglia. Rimase in quella posizione per qualche istante, prima di socchiudere le palpebre e di decidersi ad aprire.
A prima vista poteva sembrare una comunissima camera da letto, ma, se ci si soffermava suoi particolari, ci si rendeva che quella in realtà era come una mistica dimensione.
Dal soffitto pendevano fili trasparenti a cui erano collegati milioni di piccoli pezzetti di vetro colorati, che riflettendo i raggi del sole, creavano giochi di luce spettacolari. Su una mensola vi erano tantissimi tipi di barattoli di varie dimensioni, contenenti gli oggetti più strani. In particolare il barattolo centrale era quello più grande di tutti, riempito fino a metà con delle cose che parevano essere coriandoli, ma dalla forma molto irregolare e dai colori strani. Sembravano quasi... foglie sbriciolate. Infine le pareti bianche erano tappezzate di fotografie. Molte ritraevano Kyda da bambina e da ragazzina, in altre c’erano Drew, Ines e il padre, ma in più c’era anche un’altra persona che Sam non aveva mai visto prima: si trattava di un ragazzo, aveva i capelli neri corvini e gli occhi di un blu limpido, esattamente uguali a quelli di Kyda.
Per poco al giovane non venne un colpo. Stessa forma del viso, stessa bocca, stesso naso...quello non poteva altri che essere...
-Mio fratello...- mormorò la ragazza, rimasta sulla soglia.
Si voltò verso di lei -Tu...tu hai un altro fratello!?-
-Sì. Lo avevo...-
Fu come essere trapassato da parte a parte da un lama tagliente. Bastarono quelle tre parole, perché Sam capisse finalmente ogni cosa. O almeno, una buona parte.
Sentì il cuore arrestarsi di colpo, mentre il respiro gli venne meno. Guardò Kyda con occhi spalancati, ma lei teneva il capo voltato altrove e non poté vederlo.
La ragazza avanzò nella camera, sfiorando il grande armadio bianco ad ogni passo.
-Mi assomigliava, vero?- sussurrò, dandogli gli spalle.
Sam non riuscì ad articolare nemmeno una sillaba.
-Dicevano tutti di sì, ma solo per l’aspetto fisico. Per il resto eravamo completamente diversi- riprese Kyda -Eppure, nonostante fossimo così opposti, eravamo inseparabili. Anzi, per la verità ero io a non separami mai da lui. Aveva la capacità di farmi divertire in ogni momento...Era sempre allegro, solare, spensierato, era bravissimo in tutto quello che faceva e per questo era il mio modello. Lo seguivo ovunque- abbozzò un sorriso triste –E lui si è sempre occupato di me...-

Roxvuld, nove anni fa.
Una bambina dai  corti capelli neri correva a perdifiato giù per le scale di palazzo. Era arrabbiata, incredula e soprattutto delusa. Come aveva fatto Lui a dimenticarsene? Quel giorno era il suo compleanno, compiva otto anni, stava diventando grande, e suo fratello non le aveva  comprato nemmeno un piccolo regalo e si era pure dimenticato di farle gli auguri!
Continuò a correre, finché non raggiunse la cantina. Un’altra bambina avrebbe avuto paura di quel luogo buio e umido, ma lei no, a lei piaceva andare lì.
Avanzò un po’ a tentoni, seguendo una fonte di luce in lontananza, finché non arrivò davanti ad una porta aperta. Dentro la stanza c’era un ragazzo, che stava trafficando assorto.
-Non ti perdonerò mai- esordì la bimba, accigliata.
Il ragazzo alzò lo sguardo su di lei e sorrise divertito –Sentiamo, che cosa ho fatto questa volta?-
-Ah, ma allora proprio non ti ricordi!- sbottò lei, aggrottando le sopracciglia -Sono offesa, Jonsi!-
-Ormai il mio Alzheimer è incombente, cara Kyda- disse il fratello, rimettendosi ad armeggiare come se nulla fosse -Perciò è già tanto che io mi ricordi che cosa ho mangiato a pranzo. Anzi, cosa abbiamo mangiato a pranzo?-
-Non prendermi in giro! Tu non soffri di Alzheimer, sei solo svampito!- si infervorò Kyda –Comunque, sai che c’è? Oggi è il mio compleanno!-
-Davvero?- si sorprese Jonsi (il cui vero nome era John), cadendo dalle nuvole –Beh, auguri allora. Ciao ciao!- e la salutò con la mano, invitandola ad andarsene.
Lei rimase piantonata sulla porta, con la bocca spalancata fino a terra, quando il ragazzo scoppiò a ridere di cuore.
-Che hai da ridere!?- strepitò la bambina.
-Ma dai, ci hai creduto sul serio?- sghignazzò –Pensavi davvero che mi fossi dimenticato il giorno del tuo compleanno?-
-Ma allora ti ricordi! Perché non mi hai fatto subito gli auguri?-
-Perché volevo vedere la tua reazione, che come previsto è stata a dir poco esilarante! Dai, vieni qui...- sorrise, facendole un cenno col capo.
Kyda non se lo fece ripetere due volte e lo raggiunse immediatamente. Lo guardò con impazienza, mentre lui cercava qualcosa nella tasca dei jeans.
-Ecco qua!- esclamò Jonsi, mettendo in mano alla sorellina il suo regalo -Buon Compleanno, Kid-
Si trattava di un piccolo borsellino rosa, semplicissimo, ma tastandolo, la bambina si rese conto che dentro c’era qualcosa. Lanciò un’occhiata emozionata al fratello, che la incitò ad aprire il portamonete. Al suo interno, vi trovò una penna glitterata verde, aromatizzata al pino.
-Oh, Jonsi! È bellissima!- esultò Kyda, saltando al collo del fratello.
-Sono felice che ti piaccia, so che l’avevi vista nel negozio di Hugh e così ho pensato di...-
-Grazie, grazie!- lo interruppe -Vado subito a scriverci! Tu si che sai sempre quello che mi piace!-
-Modestamente...- si atteggiò lui.
-Comunque, non so se ti perdono. Anzi, si, lo farò, ma solo se mi porti al parco!-
-Come, adesso?- chiese Jonsi, inarcando un sopracciglio.
-Sì!-
-Da quando sei diventata capricciosa?-
-Non sono capricciosa, regolo solo i conti. Allora ci stai?-
Il fratello sorriso rassegnato -Ma sì, in fondo ho bisogno di un po’ d’aria-

-Ti ho già detto che l’autunno è la mia stagione preferita?-
-Almeno una decina di volte!-
-E ti ho già spiegato il perché?-
-No, dimmelo ora- sorrise Jonsi, sorvolando sul fatto che la sorellina glielo avesse detto solo ieri.
-Beh- iniziò la bambina, guardando verso l’alto –In Autunno piove spesso e il cielo è quasi sempre nuvoloso e a me piace il tempo così-
-Io preferisco il sole- commentò il fratello.
-Io no; ma soprattutto adoro i mucchi di foglie secche, hanno dei colori stupendi!- si chinò a raccogliere una grossa foglia gialla.
-Hai mai pensato di collezionarle?-
Kyda si voltò verso il ragazzo inarcando un sopracciglio –No, non l’ho mai fatto-
-Potresti iniziare allora- sorrise Jonsi.
-Mh, intendi raccoglierle in un album? È una cosa troppo banale! E poi l’ho fa già Chanel-
-Chi è Chanel?- s’incuriosì il fratello.
Kyda assunse un’espressione cupa  -Un’insopportabile bambina, riccona, viziata con la puzza sotto il naso. Raccoglie le foglie in uno stupido album di velluto e poi le fa vedere a 
tutti-
Jonsi si sfiorò il mento pensieroso e disse –Allora ci vuole qualcosa di più originale...- sorrise furbescamente e, presa la foglia dalla mano della sorella, si mise a strapparla in piccoli pezzi.
-Ma che fai!?- esclamò Kyda confusa.
-Guarda qua- le mostrò i frammenti –Potremmo farlo con tutte le foglie che troviamo e poi metterle in quel barattolone gigante che abbiamo nello sgabuzzino-
-A quale scopo?-
-Saranno come dei coriandoli colorati e faranno un figurone nel contenitore! Ogni foglia ha moltissime sfumature diverse, sarà spettacolare! E il nostro scopo sarà quello di riempirlo fino all’orlo-
Kyda rimase per un po’ in silenzio, indecisa.
-D’accordo, mi hai convinta! Mettiamoci subito a cercarne altre!- e corse dentro ai giardinetti.
Passarono la maggior parte del tempo a racimolare foglie finché la bambina, stanca di quel continuo chinarsi, volle andare sull’altalena. Purtroppo però, erano tutte occupate da altri bambini.
-Che disdetta!- esclamò scocciata.
-Non arrabbiarti. Stai certa che oggi ci andrai sull’altalena- disse Jonsi con un sorriso enigmatico. Prese Kyda per mano e si misero a correre.
-Dove mi porti?-
-Nella cantina di casa!-
-E perché??-
-Lo vedrai!-

Kyda scoprì finalmente cosa fosse quel famoso “progetto” a cui suo fratello stava lavorando: si trattava di un’altalena, di quelle che si legavano agli alberi.
Jonsi la prese e se la mise sotto braccio.
-Perfetto, possiamo andare- annuì soddisfatto.
-Ma...è stupenda! Perché non me lo hai mai detto?- domandò.
-Semplice, perché tu non dovevi saperlo. Doveva essere il regalo per la tua promozione e non per il compleanno. Ma c’è stato un cambio di programma. Ora torniamo al parco!-
Una volta giunti,  la bimba si guardò intorno allarmata e disse –Non possiamo legarla ad uno di questi alberi, gli altri bambini ci saliranno!-
-Lo so, infatti ho già pensato a tutto, seguimi-
La portò in una zona isolata e ombrosa del parco. Ma, per Kyda, il posto più bello in cui non fosse mai stata. Non c’era nessuno a parte loro, nessun schiamazzo e nessun ciarlare. Solo calma e quiete.
Il fratello si avvicinò ad un grande albero e fissò le corde dell’altalena al ramo più basso.
-Fatto, dovrebbe reggere- si compiacque -Coraggio, salta su!-
In meno di mezzo secondo, Kyda si sedette e Jonsi prese spingerla. La faceva volare in alto, quasi riusciva a sfiorare le foglie dell’albero. Scoppiò a ridere, si stava divertendo un mondo, e le sue risa coinvolsero anche il fratello.
-Più in alto! Spingimi più in alto!- gridò.
-Molto bene, l’hai voluto tu!-
Passarono la rimanente ora così, finché non fu il momento di tornare a casa.
-Forza, adesso dobbiamo andare via-
-Cosa!? Ma io non voglio!- sbottò la sorella.
-Niente “ma”. Ho detto che si va a casa. Tra un po’ sarà ora di cena e ho fame-
Kyda incrociò le braccia al petto e girò da testa dall’altra parte, dicendo –No. Non scendo, rimango qui-
-Ok, testona che non sei altro. Tu resta pure qua, io vado a magnare- le diede le spalle e si incamminò. La bambina rimase completamente sola.
“Mpf, se ne ho voglia rimarrò qui fino a domani mattina!” si disse determinata, ma bastò uno scricchiolio sinistro e sospetto perché balzasse subito in piedi. Cos’era stato? Lo senti di nuovo. A quel punto, la bambina si mise a correre come una scheggia. Quella non era la serata adatta per fare la ribelle. In poco tempo raggiunse il fratello.
-Ti è venuta strizza?- la provocò con un sorriso irritante.
-No, mi è solo venuta fame...-


Kyda sfiorò con la punta delle dita il grosso barattolo di vetro, ormai quasi pieno.
-Jonsi aveva sempre un sacco di idee alternative, non so da dove le tirasse fuori- mormorò appena, spostando lo sguardo sui vetri colorati che pendevano dal soffitto –Ma la cosa di cui sono certa, è che erano a dir poco magiche. Nessuno sapeva stupirmi come lui, ne rendermi così tanto felice...-

Roxvuld, 7 anni fa

-Posso entrare?- chiese la ragazzina aprendo la porta della stanza con nonchalance.
-Mah, vedi un po’ tu- rispose sarcasticamente il fratello, infastidito. Se ne stava seduto a gambe incrociate sul letto, intento a litigare ferocemente con una scatola di cartone. 
-Che cos’è quella roba?- domandò curiosa Kyda.
-Un… ghngh...pacco appena arrivato- rispose Jonsi -Che ovviamente non riesco ad aprire-
La ragazzina si avvicinò.
 -Dai qua...- sorrise sorniona.
Lui la guardò scettico, poi  con un sospiro le consegnò il pacco. In meno di trenta secondi fu aperto e Kyda glielo restituì compiaciuta.
-E fu così che una ragazzina di dieci anni aiutò il fratello maggiore impedito- sogghignò.
-Però...I miei complimenti- disse il ragazzo con un sorriso sbilenco -Ma sul fatto dell’essere impedito ho da ridire- soggiunse serio. Si mise a frugare nella scatola e tirò fuori un cappello da baseball nero.
-Oh, finalmente!- esultò, alzandolo verso l’alto.
-Cos’ha di così speciale?- chiese lei inclinando la testa - È solo uno stupidissimo cappello!-
-Una mocciosetta come te non può capire- disse Jonsi assumendo un’espressione altezzosa –Questo cappello va di modissima, farò strage di cuori andondoci in giro!- fece per metterselo in testa, ma si rese conto di non riuscire a infilarlo. Era troppo stretto.
-NO, dannazione!- imprecò -Ho sbagliato la taglia!-
Kyda ridacchiò divertita.
-Mi spiace, ma a quanto pare non farai nessuna strage di cuori!-
Il fratello sbuffò e mugugnò qualcosa. Poi fece un sorrisetto e cacciò il cappello in testa alla sorellina.
-Ehy, ti è perfetto. Ho deciso, te lo do in eredità!-
-Ma che dici!?- borbottò lei, sollevandosi la visiera che le arrivava fino al mento –Mi è gigante! Anche stringendolo al massimo-
-Se non lo vuoi lo prendo io!- s’intromise Drew, arrivato in quel momento.
-Scordatelo!- sbottò Kyda con un’occhiataccia –Jonsi l’ha regalato a me!- e gli fece una linguaccia.
-Su, non litigate. Comunque sono sicuro che tra qualche anno ti andrà bene, potresti aspettare e poi portarlo più avanti, eh?- ghignò il fratello.
Kyda si strinse il cappello a petto –Sì, farò esattamente così. Inoltre è perfetto...è nero!-
-Un  momento...da quando ti piace il nero!?-


-Ma non era solo il suo essere imprevedibile a renderlo il fratello migliore del mondo. Lui... era capace di sollevarmi il morale anche nei momenti più bui e oscuri. Ed è anche colui che mi ha insegnato a pesare le parole...-

-Basta, lo odio!- sbraitò la tredicenne, sbattendo con violenza la porta della sua stanza. Venne aperta poco dopo, e la testa del fratello maggiore spuntò da dietro. Già sua madre aveva provato a calmare la giovane, ma senza grandi risultati. Ora toccava a lui provarci.
-Kyda, si può sapere che ti prende?-
-Vattene via- ringhiò la sorella.
-No, non credo proprio- disse lui serio, socchiudendo la porta e avvicinandosi. La costrinse a voltarsi e a guardarlo negli occhi.
-Allora?- insistette, posato -Con chi ce l’hai?-
Lei dapprima oppose resistenza e si rifiutò di rispondere, ma non passò nemmeno qualche secondo, che cedette. Con Jonsi le era impossibile mostrarsi scostante per più di un tot di tempo.
-Con Drew...- sibilò.
-Che ha fatto?-
-Mi ha strappato tutti i compiti di matematica! Ci ho messo una vita per farli! Non lo tollero un comportamento del genere, ha undici anni, non due! Quel bastardo-
-Piano con le parole!- esclamò lui –Capisco che tu sia arrabbiata, ma è pur sempre nostro fratello!-
-Me ne frego se è mio fratello, io lo odio! Lo detesto, non lo sopporto!- continuò rabbiosa –Non fa altro che rovinare tutto quello che faccio e mi fa dispetti dalla mattina alla sera! Maledetto! Io non lo volevo neanche un altro fratello, non l’ho mai voluto, quel...quel...-
-KYDA!- la voce alterata di Jonsi la zittì. La ragazzina sostenne il suo sguardo, ma si morse nervosamente il labbro fino a farlo sanguinare. Non le piaceva avere scontri con suo fratello.
-Come puoi dire una cosa del genere?- ora non sbraitava più, il suo tono era profondo, ma molto amareggiato. Forse per Kyda era anche peggio.
-Spesso sia tu che Drew mi fate diventare matto, ma non mi è mai passato nemmeno per l’anticamera del cervello di dire una cosa simile- proseguì serio –Ti rendi conto di quello che hai detto? Vorresti forse che Drew non fosse mai nato?-
Kyda non rispose e serrò le palpebre. A quel punto Jonsi sorrise pacato e la obbligò nuovamente a guardarlo negli occhi.
-Adesso sei ancora una ragazzina e ti risulta difficile capire, ma ti assicuro che avere un fratello o una sorella minore è una cosa bellissima. Ti senti il più grande, il maggiore del situazione, un modello da essere seguito. E poi...non ti senti mai solo-
-Però io non sono sola, ho te- mormorò la sorella.
-Lo so, però pensa a questo: è probabile che io prima o poi me ne vada di casa, di conseguenza non sarò sempre insieme a te come adesso, ma un pochino meno. Però...ci sarà Drew a tenerti compagnia- spiegò con tono caldo –Inoltre, non sai che il tre è il numero perfetto?- ammiccò.
La ragazzina annuì, col capo chino –Hai ragione, come sempre del resto. Non avrei dovuto dire quelle cose-
Lui le poggiò affettuosamente una mano sulla spalla –L’importante è che tu l’abbia capito. Ricorda, tutte le parole hanno un loro peso-


Kyda cessò bruscamente di raccontare. Strinse con forza i pugni, macchiando la fasciatura di sangue, mentre il labbro inferiore prese a tremare.
Sam la guardò grave. Per tutto il tempo aveva ascoltato attento e in assoluto silenzio, accorgendosi che più continuava il racconto, più il respiro di lei si faceva affannato.
Aveva scoperto l’origine del portafoglio rosa, delle foglie sbriciolate e dell’inseparabile cappello da baseball nero; aveva capito che per Kyda il fratello era stato come modello, la persona a cui era più legata al mondo. Ma ora era arrivato il momento di terminare il racconto, il momento per la ragazza più doloroso: il rivivere la morte del fratello.
Kyda si allontanò di colpo di qualche passo, come per volersi allontanare ancora di più da Sam.
-Insomma, come avrai capito, Jonsi non era solo un fratello per me. Era il mio faro, la mia guida, il mio migliore amico- riprese la ragazza -E non sarei riuscita a sopportare che per qualche motivo me lo portassero via...-

Roxvuld, 2 anni fa.
Kyda si lasciò cadere sfinita sul letto della sua camera, non curandosi dei libri si scuola che vi erano ammassati sopra. Quel giorno aveva esagerato, aveva passato quasi tutto il pomeriggio alla Coast Ramp per allenarsi in un nuovi Trick con lo skateboard, rimediandosi dolori in tutte le parti del corpo. Eppure era soddisfatta, perché finalmente, dopo tanti sforzi e tentavi, era riuscita ad eseguire quella famosa evoluzione.
Sorrise sarcastica. Non appena gli fosse capitato a tiro Jonsi, lo avrebbe subito messo al corrente della sua conquista, così la prossima volta ci avrebbe pensato due volte prima di prenderla in giro e dirle che non ci sarebbe mai riuscita.
Non aveva neppure finito di formulare quel pensiero che il suddetto fratello fece capolino dalla porta.
-Ohi Kid...- la salutò.
Lei scattò a sedere e disse rivolgendogli un sorrisetto ironico –To’ guarda! Stavo giusto per venirti a cercare! Devo dirti una cosa importante-
-Ossia?-
-Si tratta di una buona notizia per me ed una cattiva per te. Anzi, due notizie buone per me- proseguì la ragazza con un sorriso sadico –Sono orgogliosa di informarti che sono riuscita ad eseguire quel Trick con lo skateboard, perciò... caccia fuori la grana!- tese una mano.
-Oh, dannazione! Lo sapevo che non avrei dovuto scommettere con te- borbottò, prendendo il portafoglio e buttandole in mano qualche banconota.
Lei le sventolò a mo’ di ventaglio -Ah, lo sfrusciare della vittoria, quale bel suono. Comunque, te l’avevo detto che non avresti dovuto dubitare di me!-
-Va bene, va bene, lo ammetto!- sbottò scocciato -Hai vinto- poi un sorriso sincero increspò il suo viso -Però, sono contento che tu ce l’abbia fatta-
-Uffa, però così non è più divertente- considerò Kyda con il broncio –E io che speravo di vederti imprecare ad oltranza per la tua sconfitta!-
-Mi dispiace per te!-
Stettero qualche minuto in silenzio. Kyda guardava il soffitto, mentre Jonsi aveva spostato lo sguardo sul pavimento. Era nervoso. La ragazza se n’era accorta, nonostante non potesse vederlo in volto, percepiva che c’era qualcosa di diverso in lui quel giorno.
-Senti Kid...Ti va se andiamo a farci un giro?- chiese il fratello poco dopo.
-Mh, d’accordo-
Giusto il tempo per Kyda di alzarsi dal letto, che i due furono in strada. Il cielo si era già imbrunito e una leggera pioggerellina riempiva l’aria, tuttavia i due non si erano portati dietro l’ombrello. Camminavano l’uno di fianco all’altra.
-Vedo  che lo indossi sempre ora che ti va bene...- disse Jonsi, lanciando uno sguardo al cappello da baseball sul capo della sorella.
-Sì, è molto bello. Specialmente ora che ho iniziato a fare la skater, è la morte sua un berretto con la visiera- spiegò con un sorriso.
Continuarono a camminare, senza seguire una direzione precisa. Parlarono e scherzarono, finché il tono del fratello divenne d’un tratto serio.
-Ricordi quando papà è venuto a trovarci a Natale?- domandò.
-Certo che me lo ricordo. Ma cosa c’entra adesso?-
-E ti ricordi anche quando mi ha chiamato un attimo da parte?- proseguì.
Lei ci rifletté un attimo, poi rispose -Sì, rammento anche quello. Non ho mai capito perché volesse parlare in privato solo con te. Che vi siete detti?-
-Appunto per questo ho iniziato il discorso- rispose, piano -Quel giorno papà mi ha fatto una proposta...-
Kyda si fece attenta.
-Mi ha proposto di andare a lavorare con lui, di raggiungerlo –
-Cosa!? Tu gli hai detto di no, giusto?- esclamò lei, voltandosi di scatto.
-Gli  ho risposto che ci avrei pensato e lui ha detto che la decisone spettava solo a me. Ci ho riflettuto molto in questi mesi e sono arrivato alla conclusione che sia un’occasione da non perdere! Insomma, lo sai anche tu, fin da piccolo ho sognato di poter fare un giorno il suo stesso lavoro e ora potrò finalmente realizzare il mio sogno! Certo, sarò molto lontano da casa; però...non è fantastico!? Papà verrà a prendermi domani, è già in viaggio- sorrise realizzato.
Kyda inchiodò bruscamente e Jonsi si voltò a guardarla con blanda sorpresa.
-No, no che non è fantastico!- ringhiò lei, stringendo i pugni –Hai forse la più pallida idea di quanto sia distante?-
-Lo so, ma ne vale la pena! Ne vale il mio futuro- rispose il ragazzo.
-E alla mamma non pensi!?- iniziò a scaldarsi Kyda.
-Lei ne è già al corrente-
-Che significa!?- 
-La mamma lo sa già e ha detto che per lei va bene-
-Quindi mi stai dicendo che l’unica idiota a non saperlo ero io!?- urlò la sorella. Aveva cercato in ogni modo di contenersi, ma infine le emozioni erano straripate tutte insieme, e niente avrebbe potuto placarle.
-Volevo aspettare appunto perché sapevo che sarebbe stata questa la tua reazione- replicò Jonsi incrociando le braccia -Anche se, ad essere sincero, avrei voluto vedere più entusiasmo da parte tua-
-Entusiasmo,  entusiasmo!?- farfugliò fuori di sé –Come potrei esserne entusiasta! Passerai dal vivere sotto il nostro stesso tetto al venire a trovarci sì e no due volte l’anno! Ti rendi conto? E ti sorprendi ancora che sia contrariata?-
-Devo pensare anche al mio futuro, dannazione! Non essere egoista, Kyda!- la rimproverò duramente. Anche lui aveva alzato la voce.
-Ah, sarei io l’egoista, adesso? Sei tu quello che se ne andrà dall’altra parte del mondo fottendosene altamente della sua famiglia!-
-Sei una sciocca a parlare in questo modo; ciò che dici non ha alcun senso! Mi sorprende che tu mi reputi così menefreghista- 
-Allora perché te ne vai, lasciandoci soli? Lasciandomi sola! La verità è che non te ne importa niente di me. Vai,  allora, vattene pure a rincorrere i tuoi sogni, se è quello che vuoi!-
Scappò via, veloce, senza dargli il tempo di ribattere. Il vento e la pioggia le sferzavano il viso, mentre amare lacrime le rigavano il volto.
“Perché, perché, perché!” continuava a chiedersi, triste, rabbiosa e ferita.
Sentiva dietro di lei Jonsi che la rincorreva e che la chiamava. Accelerò ancora, ignorando i suoi richiami. Non poteva permettersi di essere raggiunta. Continuò a correre, non guardando nemmeno dove le gambe la stessero portando. Aveva bisogno di stare e sola e di riflettere. Jonsi non poteva andarsene. Come avrebbe fatto a sopravvivere senza il suo pilastro, senza il suo migliore amico? Non ce l’avrebbe fatta. Sarebbe crollata sotto il peso della malinconia e della solitudine.
Il fratello la chiamava incessantemente, ma lei continuava ad ignorarlo.
-KYDA! KYDA! FERMATI!- ora la sua voce era diversa, era spaventata, quasi...angosciata.
Lei aggrottò confusa le sopracciglia, ma nuovamente non si fermò.
-KYDA!- l’urlo rimbombò nell’aria -IL CAMION!-
“Quale camion?” 
La ragazza si bloccò all’improvviso; l’unica cosa che vide, i fanali, che quasi l’accecarono . L’unica cosa che sentì,  uno strombazzare incessante. Poi una spinta.  Forte, violenta, che la catapultò direttamente dall’altro lato del marciapiede. Nell’impatto sbatté la testa. Cercò di tirarsi su, nonostante quasi non capisse più dove fosse, per cercare vedere cosa fosse successo. Quello che scorse, fu un grosso camion rosso sfuocato, fermo, e due persone che si precipitavano giù dall’abitacolo. Urla terrorizzate le arrivarono ovattate alle orecchie. Poi spostò lo sguardo sulla strada di fronte a sé. Sangue, c’era sangue ovunque.
Percepì le gambe farsi improvvisamente di carta velina e il tutto roteare all’incontrario. Infine, il buio.

Non seppe nemmeno come e chi l’avesse portate all’ospedale. L’unica cosa che sapeva era che si trovava in un letto e che l’aria era pregna di naftalina. Si tirò su lentamente, intontita, e si portò una mano alla testa che le doleva da impazzire. Era bendata.
Si guardò intorno spaesata, finché non scorse una figura a lei famigliare.
-Papà!- esclamò, senza parole. L’uomo si trovava su una poltrona e, al richiamo, si precipitò da lei.
-Kyda...Tesoro, stai bene- mormorò, passandole una mano sulla guancia.
-Sì, credo, io...- farfugliò. Si sentiva terribilmente confusa e disorientata -Ma...tu non dovresti essere qui. E...dove, dove siamo...? Dove mi trovo?-
-Sei all’ospedale- rispose il padre. La sua voce era ridotta a un doloroso sussurro.
-All’ospedale? Perché? Che ore sono?-
-C’è stato un incidente, per poco non venivi investita, hai sbattuto la testa sul marciapiede. Sono le dieci di mattina...-
-Dove sono la mamma e Drew?- riprese Kyda, sorda alla risposta del padre.
-Sono qui fuori-
La ragazza prese a guardarsi febbrilmente intorno, poi il suo sguardo ritornò fisso sull’uomo seduto di fronte a lei.
-Dov’è Jonsi?-
Il padre non riuscì a sostenere i suoi occhi e abbassò il capo. Prese la mano della figlia tra le sue e la strinse forte.
-Kyda...- alzò finalmente lo sguardo sul viso di lei, mentre dai propri occhi, rossi di pianto, scese una lacrima.
La ragazza trattene il fiato.
-Jonsi è morto...-


Un silenzio gelido e dolente scese di colpo nella stanza, come un ghigliottina. Kyda aveva finito di raccontare e questa volta definitivamente. Aggiungere altro sarebbe stato effimero, se non ad aumentare ancora il dolore.
Sam si era come cristallizzato su posto, mentre qualcosa dentro di lui si era frantumato. Non riusciva ad ordinare nessun pensiero, né a formulare qualche parola di conforto. Ma quale conforto avrebbe potuto dare lui? Nessuno. Il fratello le era morto davanti agli occhi, e si era sacrificato per salvarla. Non sarebbe bastate le sue parole per aiutarla, eppure, voleva, anzi, doveva assolutamente fare qualcosa.
Fece per muovere qualche passo verso di lei, ma la ragazza riprese d’un tratto a parlare.
-Non ho pianto, quando ho saputo che Jonsi era morto, ma ho sentito letteralmente un freddo devastante dentro di me- si portò una mano al petto –Un freddo capace di gelarmi il cuore. Non sentivo...più nulla. Da quel momento in poi sono diventata apatica, imperturbabile, niente suscitava in me emozioni. Infatti, non so ormai da quant’è che non verso una lacrima...-
Si strinse nelle braccia, inclinando la testa di lato -Dopo la sua morte, ho cercato ti tenerlo vicino a me in ogni modo, ho anche ricominciato a raccogliere le foglie per riempire quel barattolo mai finito, ma...- la voce le cedette bruscamente, come se qualcuno gliela avesse strappata a forza –Mi sono resa conto che non serve, tenermi vicino le sue cose non me lo riporterà indietro!- si voltò di scatto e gli occhi verdi di Sam incontrarono le iridi blu di lei, velate di lacrime.
-Non potrò mai scordarmi l’espressione di mia madre quando trovai la forza di raccontarle ciò che era successo! Di dirle che suo figlio era morto per causa mia, per il mio egoismo!- urlò, mentre una goccia le rigava una guancia –Lei mi odia, perché sa che sono io la causa di tutto! Ha sempre avuto una preferenza per Jonsi, ma io non ci soffrivo molto, perché vedevo che voleva bene anche a me. Eppure io SO che vorrebbe che i nostri posti fossero stati scambiati, e ha ragione! Io dovevo morire, io dovevo essere travolta dal quel camion!- gridò disperata. Si accasciò a terra, sopraffatta dal dolore e dalle lacrime. Fece per coprirsi il bel viso con le mani, ma qualcuno glielo impedì.
Sam stava di fronte e le stringeva con impeto i polsi, bloccandoli. Lei alzò lo sguardo stravolto dalle lacrime su di lui.
-Questo non dirlo mai, mai- le disse, guardandola con intensità –Tua madre ti vuole un bene dell’anima, di questo sono sicuro, e non sopporterebbe l’idea che potesse accaderti del male . Lei non vorrebbe mai una cosa del genere! Guardami...- le poggiò una mano sul viso –Jonsi si è sacrificato per salvarti, perché ti amava, perché voleva che tu vivessi e sono certo che non avrebbe esitato a farlo una seconda volta se fosse stato necessario. Che senso ha essere vivi se non si vive la propria vita? Questo me lo hai detto tu, ricordi? Ed è ciò che devi fare, perché è quello che anche tu fratello vorrebbe-
Kyda ricambiò il suo sguardo, sembrava aver ascoltato le sue parole. Respirava affannosamente, mentre  stille di luce continuavano a scenderle copiose lungo tutto il viso, bagnandole i ciuffi di capelli che le ricadevano sul volto. Sam non poté resistere oltre, la tirò a sé e la strinse in un fortissimo abbraccio. Voleva farle sentire che le era vicino, farle capire che non era sola, che adesso c’era lui a supportarla. La ragazza non oppose nessun tipo di resistenza; si aggrappò alla felpa di Sam e appoggiò la testa sul suo petto, ricominciando a piangere con forti singhiozzi.
E il giovane la lasciò sfogare, piangere tutte quelle lacrime che per due anni non era riuscita a versare. Kyda continuava a tenere la sua maglia stretta tra le dita e lui di tanto in tanto le sfiorava appena i capelli, sentendo un calore propagarsi in tutto il petto con ogni volta che la toccava. Stettero in quella posizione per molto tempo, fino a quando Kyda, una volta calmatasi, decise di sciogliere l’abbraccio. Sam la lasciò andare a malincuore, ma sollevato di vederla un po’ ripresa.
La ragazza si asciugò con la manica le restanti lacrime, poi trasse un lungo respiro.
-Dio... Sto di merda...- gorgogliò , passandosi una mano sulla fronte –Mi viene da vomitare-
-Ci credo, con tutta la roba che ti sei bevuta!-
Kyda si alzò lentamente e lo stesso fece Sam.
-Ho bisogno di stendermi da qualche parte...- disse, con aria sofferente.
 Il ragazzo si avvicinò -Ok, dimmi dove ti devo portare-
Ella lo guardò stranita, barcollando un po’, e rispose –Vorresti forse portarmi in braccio? Ce la fa..faccio da s..sola, e poi intanto non riusciresti tirarmi su, sei troppo smin...-
Lui la sollevò con estrema facilità, era leggerissima, troncandole la parola sul nascere.
-Non sono uno sminchio! Allora, dove ti porto?- sorrise.
Lei lo guardò frastornata, quasi stupefatta -Sul divano...-
-Agli ordini!- raggiunse il salottino e l’adagiò delicatamente sul sofà.
-Devo già scendere? Peccato, mi sembrava di volare- sussurrò la ragazza, con sguardo perso.
Perfetto, aveva ricominciato a delirare. Le prese una soffice coperta e gliela distese addosso.
-Blah, mi gira tutto-  mugugnò.
-Immagino, ora però cerca di riposare, ne hai bisogno-
-Hai gli occhi verdissimi-
-Sì, lo so. Me lo hai già detto- sorrise lievemente –Adesso lascia andare i pensieri e stai tranquilla-
-Dov’è mia madre?- chiese di botto.
-Lei...è uscita, ma dovrebbe tornare a momenti. Tu adesso stai buona qui, mentre io vado a prendere il cartellone e i colori. Non preoccuparti, lo finirò da solo a casa-
Kyda non rispose, si era assopita. Sam si diresse in cucina e, con sua enorme sorpresa, trovò Ines in persona seduta su una sedia.
-Da quanto è qui!?- gli sfuggì, stupefatto. 
 -Da un po’...- mormorò la donna, levandosi in piedi.
-Kyda la stava cercando. Credo che abbia bisogno di lei- rispose Sam, con un lungo sguardo.
Ines annuì debolmente, capendo ogni cosa. Si allontanò da lui per andare da sua figlia, ma prima si voltò un’ultima volta -Grazie...- disse un soffio. Una semplice parola, quasi faticosa, ma che stava significare molte cose.
Sam capì che era giunto il momento di togliere il disturbo. Raccattò silenzioso le sue cose e altrettanto taciturno uscì da quella casa.
Fuori era già buio, si era fatto tardi. Si avviò per tornare a casa e, mentre camminava, realizzò che qualcosa dentro di lui era cambiato. Ora possedeva una nuova consapevolezza: da quel momento in poi, Kyda non sarebbe stata mai più sola, perché ci sarebbe stato lui al suo fianco; aveva deciso. Ormai quella giovane così forte, coraggiosa e imperturbabile, ma anche  fragile e delicata, era diventata troppo importante.

  
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