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Autore: KikiShadow93    15/10/2014    10 recensioni
Durante una tranquilla giornata di navigazione, Barbabianca e la sua famiglia trovano qualcosa di incredibile in mare: una bambina, di cui però ignorano la vera natura.
Decidono di tenerla, di crescerla in mezzo a loro, ovviamente inconsapevoli delle complicazioni che questa scelta porterà, in particolar modo per l'arrogante Fenice.
Genere: Generale, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ciurma di Barbabianca, Marco, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un'allegra combriccola di mostri.'
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Piccola premessa: la prima parte del capitolo avviene dopo 5 giorni dopo i precedenti avvenimenti, mentre la seconda (divisa da una serie di X, dove metterò anche i personaggi presenti) dopo due settimane. Ho deciso di fare due capitoli in uno in pratica, apportando questi salti temporali per abbreviare un po' la storia. So che sta venendo la storia infinita, e per questo mi scuso infinitamente, ma sono carica di idee e provo sempre ad inserirle tutte :( spero tanto che non vi stufiate di questo poema epico prima della fine :/
Comunque, in tutto, sono passati 51 giorni da quando Akemi ha lasciato la ciurma (tanto per essere insopportabilmente pignoli).
Ecco i personaggi originali della prima parte:
Buona lettura!

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Malgrado siano abituati a farlo da anni ormai, svegliarsi la mattina al sorgere del Sole è sempre un trauma per tutti quanti. Da quando poi hanno come ospiti un vampiro schizofrenico -e, da quello che hanno potuto constatare, pure alcolizzato e tossicodipendente- con al seguito le sue “aiutanti” affamate di sesso più che di sangue, la situazione è decisamente peggiorata.
Questa mattina, per citare l'evento più recente, Týr ha infatti avuto la brillante idea di indossare un grosso e morbido costume da coniglio bianco. Niente di male fino a qui, possono tranquillamente passarci sopra senza problemi. Il problema però insorge quando questo coniglio gigante e psicologicamente instabile ha allegramente deciso di servire lui stesso la colazione a Rakuyou.
È bastato davvero poco per creare il caos nella sala mensa: Týr, armato di vassoio con sopra una brocca di latte tiepido, fette biscottate e cereali vari, ha cominciato a saltellare da tutte le parti come impazzito, inzaccherando tutto e tutti. Ridacchiava pure mentre lo faceva, con una vocina stridula come quella di un cartone animato.
“Oh, oh! Mi sa che ho fatto un casino!” è stata la prima citazione, per poi fiondarsi tra le braccia del Settimo Comandante e urlandogli dritto nell'orecchio “Buongiorno Bubi!”.
Non ci sarebbe neanche da dire quanto il pirata si sia sentito profondamente umiliato da tale evento, soprattutto per le risate sguainate dei compagni. Alcuni pure cadevano a terra per il troppo ridere, e Barbabianca in persona ha battuto il cinque a quel coniglio pazzo.
Poi, per consolarlo, Vivian, meglio conosciuta come Tre, gli si è avvicinata e lo ha portato, sbattendo semplicemente le lunghe ciglia con aria civettuola, nella sua cabina e da quel momento non si sono più visti. Sono sicuri però che se la stia passando decisamente alla grande, considerate le urla di puro piacere che sentono provenire dalla cabina.
Adesso che il Sole splende sopra le loro teste e il vento fresco dà loro un po' di meritato sollievo, bivaccano quasi tutti sull'imponetene ponte principale della Moby, sotto la stretta sorveglianza del capitano, pronto ad intervenire nel caso in cui qualcuno osasse infastidire l'onorevole alleato. Perché Barbabianca si fida di lui. Non sa perché, non è capace di spiegarlo a nessuno, ma è così: si fida di Týr Lothbrook.
Il problema principale del prendersi un immortale a bordo di una nave è il fatto che questi si annoierà velocemente, costretto in uno spazio ristretto senza vie di fuga, ed è per questa ragione che adesso molti pirati osservano il vampiro millenario girottolare per il ponte della nave con aria concentrata, ripetendo parole per loro insensate.
«Amen. Male dal liberaci ma, tentazione in indurre ci non e-»
Ace lo guarda con sguardo allarmato da sotto al proprio cappello da cowboy e, dopo attenta riflessione, decide di chiedere direttamente il perché di tale comportamento.
«Ma che stai facendo?» biascica a mezza bocca, sogghignando divertito.
«Perché, non si capisce? Sto recitando il ‘Padre Nostro’ al contrario, con lo scopo di evocare il Diavolo!» risponde con entusiasmo crescente il vampiro, riaccendendo la candela e ricominciando a camminare all'indietro.
«Oh bene... per un momento ho pensato che stessi facendo qualcosa di veramente stupido!» commenta Fossa, decisamente adirato.
Due mattine prima, infatti, si è svegliato con una secchiata d'acqua gelida -con tanto di cubetti di ghiaccio- in piena faccia, e il vampiro si è giustificato che doveva trovare qualcosa da fare per passare il tempo.
«Mi annoio!» controbatte offeso l'immortale, ben deciso di portare a termine la propria missione «Amen. Male dal liberaci ma, tentazione in indurre ci non e-»
«BASTA!» urla Marco con tono furioso, arcistufo delle bravate del maledetto vampiro che ha inspiegabilmente deciso di unirsi a loro.
«Hai idea di quello che succederebbe se tu riuscissi ad evocare Satana?» tenta con un tono più soft Halta, cercando così di calmare gli animi che si stanno a mano a mano surriscaldando.
«No, per questo lo sto facendo.» risponde con un sorriso, dolce e sincero, come quello di un bambino. Ma poi quel sorriso scompare e torna la solita faccia arrogante da prendere a schiaffi dalla mattina alla sera.
«Amen. Male dal liberaci ma, tentazione in indurre ci non e-»
«BASTA, PORCA PUTTANA!» urla fuori di sé Marco, guardando con odio crescente il vampiro, la cui espressione sta mutando da allegra e spensierata a furiosa e omicida. Proprio come succedeva a lei.
Si allontana a grandi falcate da loro, respirando a fatica, vicino ad un crollo nervoso. Ha bisogno di aria, di spazio. Ha bisogno di non vederla più, di cancellarla dalla propria mente. E ci era riuscito, seppur in parte, con tutte quelle donne che si era portato a letto nelle ultime settimane, ma si sbagliava di grosso.
Gli manca da impazzire. Gli manca vederla sgattaiolare fuori dalla sua stanza prima che si svegliassero gli altri, gli mancano i loro momenti di pura passione consumati un po' ovunque.
Gli manca lei, il suo sorriso, la sua voce, la sua grazia pari a quella di un bufalo.
Gli mancano gli scherzetti durante la giornata.
Gli manca ogni volta che respira.
«Siete dei rompiballe!»
L'urlo furioso di Týr gli arriva nitidamente alle orecchie, ma non vi bada. La sua attenzione adesso è totalmente catturata da Ace, che ride per una battuta sicuramente squallida, accompagnata da Castity, meglio nota come numero Quattro.
Almeno qualcuno si diverte...” pensa rammaricato, domandandosi se, da qualche parte in un qualche mondo parallelo, la sua Akemi si stia trovando bene, pregando che non sia finita all'Inferno e che sia finalmente in pace. Certo, avrebbe tanto voluto far parte di quella pace, ma al Destino non si comanda.
Con passo quasi rassegnato se ne va nella sua cabina, più che determinato a prendersi almeno qualche minuto di pace per provare, seppur inutilmente, a cacciare nuovamente quei pensieri in un angolo remoto della sua mente. Inutile dire che le sue speranze sono decisamente vane.
«Non torturarti così, ragazzo.» sobbalza appena Marco nel sentire la sua voce, ma si ricompone immediatamente, giusto per non dargli anche questa vittoria.
«A questo ci penso io.» aggiunge subito dopo il vampiro, entrando nella cabina del Comandante come se fosse casa sua. Osserva tutto quanto con sguardo attento, ignorando deliberatamente lo sguardo assassino che l'uomo gli rivolge contro.
«Cosa vuoi?» ringhia a denti stretti la Fenice, prontissimo a dar guerra e testare se la sua è solamente scena. Perché questa eventualità non l'ha abbandonata neanche per un istante: potrebbe essere tutto un enorme bluff.
«Calmati, moccioso: non sono qui per accopparti, anche se la cosa mi renderebbe incredibilmente felice.» lo tranquillizza, seppur a modo suo, Týr «Sono qui per chiederti la fotografia che hai di mia figlia.»
Marco rimane completamente interdetto di fronte ad una simile richiesta e, malignamente, decide che per una volta può tenere lui il coltello dalla parte del manico.
«Non vorrai mica farmi credere di essere un sentimentale?» lo sfotte prontamente, sorridendo sornione.
Týr, completamente nuovo al mondo in cui niente gli è concesso senza tante domande, si altera immediatamente, snudando le zanne e avvicinando pericolosamente il volto pallido a quello ambrato del pirata.
«Testina di cazzo, per quanto sia strano pure per me, provo un forte attaccamento nei confronti di quella demente, più di quanto provi tu.» gli ringhia minacciosamente contro, stringendo con violenza i lati della camicia del pirata «Quindi, se non hai altre stronzate da dire, dammi quella fottuta fotografia!»
«Chiedilo con gentilezza.» sorride mentre lo dice, guardandolo con aria di superiorità. “Questo momento non lo dimenticherò mai!
«Mi prendi per il culo?» gli ringhia contro il vampiro, ormai ad un passo dall'attaccarsi alla gola del Primo Comandante e chi si è visto si è visto.
Quando poi l'uomo tira fuori dal comodino vicino al letto la fotografia, ben nascosta sotto ai pacchetti di sigarette, e accende una piccola fiammella vicino all'angolo quadrato dell'oggetto tanto desiderato, Týr si pietrifica di colpo «Non oseresti.»
«Ahhh, io oserei.» insiste il pirata, sogghignando con aria vittoriosa.
Týr trae un respiro profondo, concentrandosi con tutto sé stesso per non staccargli immediatamente la testa dal collo con un solo, micidiale gancio, e alla fine decide di cedere per quel piccolo eccezionale cimelio.
«Piccolo stronzetto, dammi immediatamente quella fottuta fotografia, per piacere.»
«Apprezzo lo sforzo.» ridacchia Marco, come non faceva da settimane, e finalmente gli porge la tanto agonizzata fotografia, quella che scattarono prima di quell'orrenda notte.
«Ti assomiglia molto.» commenta sovrappensiero Marco, accendendosi in tutta tranquillità una sigaretta.
«Io sono più bello.» controbatte prontamente il maggiore, osservando nel dettaglio la sua bambina, adesso donna. Si domanda se ha già affrontato la Luna di Sangue e, nel caso, se abbia passato il test. Si domanda anche se si sia scelta finalmente un compagno degno di lei, ma dovrò attendere prima di qualsiasi risposta: prima Peter Bàthory deve essere eliminato.
«Dovevi vederla appena nata... era piccola, piccola, con un sacco di capelli sparati in aria e gli occhi enormi pieni di allegria.» borbotta sovrappensiero Týr, continuando a fissare l'immagine immortalata della giovane e adorata figlia.
«Carina.» commenta Marco, che vorrebbe assolutamente chiudere questa imbarazzante conversazione.
«No, sembrava un gremlins.» controbatte Týr con tono serio, fissando il pirata con uno sguardo che va dal diabolico al furioso, per poi sciogliersi in un ampio e brillante sorriso «Scherzo, era bellissima.»
«Ti piace molto prenderla in giro, mh?» constata Marco, spegnendo la sigaretta e accendendone subito un'altra. Da quando ha dovuto affrontare la dura rottura con Akemi, ha aumentato il numero di sigarette ogni giorno, arrivando addirittura ad andare in bestia quando queste finiscono.
«È nella mia natura.» ammette tranquillamente il millenario, sorridendo con aria colpevole. Sorriso che però dura pochi instanti, dal momento che per Týr ormai l'interrogatorio, se così lo si può definire, è ormai giunto al termine «Senti... io so bene cosa lei provava per te... ma tu, cosa provavi?»
Marco lo fulmina con lo sguardo, quasi ringhiandogli contro. Non ha detto a lei cosa provava, figuriamoci se lo andrà a dire proprio a lui. E poi... cosa prova davvero? Nostalgia? Rabbia? Dolore? Il cuore fatto in mille pezzi che solo lei sarebbe capace di rimettere al proprio posto non lo sa con certezza.
«Non sono affari che ti riguardano.» risponde secco, riprendendosi la fotografia e nascondendola di nuovo dentro al cassetto della biancheria.
«Come sospettavo.» sogghigna Týr, e ciò non fa altro che innervosire ulteriormente il Comandante. Non fa però in tempo a porgli qualche domanda che il vampiro è già sulla porta, pronto ad andarsene «Vado a vedere come se la passano a prua!»
Attento uomo piccione, e sappi un paio di cose: primo, tu non mi piaci; secondo, io sono ovunque; terzo, falle del male e io ne farò cento volte a te; quarto, capirò subito se mentirai; quinto, lei è la mia principessa, non la tua puttana.” pensa con un punta di nervosismo a corrodergli il cervello annebbiato dalla gelosia che nutre nei confronti di tutti coloro che hanno avuto l'opportunità di godersela più di lui, ignorando deliberatamente tutti i pirati che lo guardano di sottecchi quando passa.
«Ehi! Týr!» l'urlo allegro di Ace però lo fa voltare, e si ritrova sorpreso nel vederlo sorridere proprio a lui. Lo guarda con attenzione, cercando di capire se ha qualche brutto tiro da lanciargli, ma quando poi nota una nave mercantile a non molta distanza comprende: vuole vederlo in azione, vuole metterlo alla prova.
«Ti accontento subito, ragazzino...» ghigna divertito ed eccitato, avvicinandosi con passo tranquillo verso il parapetto per osservare meglio il cargo, da cui sente provenire chiaramente l'inconfondibile odore di lupo mannaro «Vediamo se Peter ha ancora voglia di giocare...»
Osserva con attenzione, incentrando la propria concentrazione soprattutto nell'udito e nell'olfatto, e qualcosa non quadra: un solo cuore batte su quella nave, giù, nella stiva, e un insopportabile odore di marciume impregna persino le ampie e candide vele.
«Ora ho capito come fa...» mormora tra sé e sé, ignorando volutamente le domande che gli vengono poste dai vari pirati che lo hanno accerchiato.
«Numero Sei, portami lo scudo e l'ascia.» ordina con tono severo, soffiando minacciosamente verso quella nave dall'aspetto ordinario, che in realtà custodisce una pericolosa malattia mortale.
Sei, veloce e scattante come sempre, nel giro di neanche un minuto lo affianca, tenendo ben stretto in una mano uno scudo nero e lucido, con i bordi rinforzati con dell'argento puro, e nell'altra una lunga e grossa ascia bipenne, dal manico in legno con intreccio in pelle ed elsa intagliata nel metallo d'argento.
«Tu davvero usi quella roba in battaglia?» lo sfotte ridendo forte Curiel, senza però scatenare alcun tipo di emozione nel vampiro. È troppo furioso in quel momento, tanto che le prese in giro di quel branco di piratucoli neanche lo sfiorano.
Tu, lurido cane bastardo... come hai potuto fare una cosa simile? Io non sono un Santo, questo è evidente, ma neanche io mi sono mai abbassato a tali sporchi giochetti in battaglia.” fa schioccare la lingua, assottigliando ulteriormente lo sguardo e stringendo maggiormente la presa sul manico dell'ascia “Contagiare un essere umano su un mercantile... lasciargli uno dei tuoi lupi di guardia per essere sicuro che il virus si diffonda nelle isole... Tsk! Sei davvero un codardo!
Con un unico e lungo salto riesce a montare sulla nave infetta, e lì attende l'arrivo degli affamati non-morti. Sono costretti in uno spazio ristretto da chissà quante settimane, senza avere la possibilità di nutrirsi; saranno rabbiosi e più aggressivi e, sempre ammesso che Týr non si sbagli di grosso, sicuramente saranno anche mutati. Perché è convintissimo, Týr, che Peter non abbia lasciato quel terribile virus al suo stadio originario: l'avrà modificato, incrociandolo con altri batteri compatibili, e sarà sicuramente riuscito a creare qualcosa di più grande e distruttivo. In fondo, è sempre stato il suo più grande sogno sbarazzarsi del genere umano.
«Pirati di Barbabianca!» urla a pieni polmoni, attirando pienamente la loro attenzioni «Copritevi la bocca con qualcosa e per nessuna ragione montate su questa nave. Sono stato chiaro?!»
Ace vorrebbe controbattere, mandarlo al diavolo e dirgli che nessuno, forse solo il suo caro capitano, ha il diritto di dirgli cosa deve o non deve fare, ma le mani fredde e forti di Castity lo costringono a voltarsi. C'è della preoccupazione nei suoi occhi di ghiaccio, e la cosa turba leggermente il giovane e temerario pirata.
«Cosa c'è su quella nave?» domanda con tono incerto, voltandosi di scatto quando sente uno strano gorgoglio, come di un animale ferito che si sta strozzando o soffocando con il proprio sangue. Guarda attentamente, e le budella gli si contorcono quando una creatura dai tratti grotteschi e putrefatti si mostra finalmente alla luce del Sole, allungando le deboli e insanguinate braccia verso il vampiro.
«Dove sono i tuoi amichetti, mh?» gli domanda strafottente, cominciando a sbattere con energia l'ascia contro il centro dello scudo, in modo tale da attirarli tutti quanti allo scoperto con il rumore.
E il trucco funziona. Altroché se funziona.
Bastano pochi secondi e centinaia di quei mostri morti escono come topi dai loro nascondigli, sbavando e lasciando scie di sangue al loro passaggio.
Puzzano indecentemente, di un odore così forte e penetrante che pure per un olfatto poco sviluppato come quello umano è assolutamente insopportabile.
Týr ghigna soddisfatto, notando dei piccoli dettagli che li rendono diversi dagli zombie che ha sempre visto nella sua lunga vita: sono più veloci, non si perdono i pezzi dietro e, cosa assai fastidiosa, hanno una mente impenetrabile pure per lui. È proprio quest'ultimo dettaglio a dargli particolarmente fastidio, a fargli provocare quel irritante formicolio alle mani, quella voglia di distruggere che da sempre tiene faticosamente a bada.
Malgrado la situazione sia piuttosto delicata, purtroppo per lui, non può ancora lasciare che tutta la sua vera potenza si scateni: darebbe troppo nell'occhio. Però può sempre divertirsi, farli a pezzi uno dopo l'altro, lasciandoli a terra a tentare inutilmente di attaccarlo, per poi passare al pezzo grosso, il mostro chiuso nella stiva che latra come impazzito nell'attesa di poterlo uccidere. O almeno di provarci.
Dall'alto della Moby Dick, dopo essersi ripresi dal momento di sconcerto, i vari pirati si concentrano totalmente sulla voce melodica e quasi supplichevole dell'antico vampiro, adesso piegato su un ginocchio con la testa china, come se quei mostri mangiatori di carne non lo stessero puntando come una succulenta bistecca.
«Hail den mektige Asa-Thor!
Jeg går i dag til å gjøre min plikt.
Jeg går nå å drikke store slurker av livet i Midgard.
Gå ved siden av meg, og en god venn av menn.
Gi meg sTýrke til å beseire alle jotnene i min sti,
enten de er gigantene i verden av sinnet eller hjertet.
Hjelp meg å gjøre det rette for mitt folk, som du gjør.*»
Alza di scatto gli occhi Týr, una frazione di secondo prima che il primo schifoso zombie provi a toccarlo. Lo separa da sé con l'aiuto del manico lungo dell'ascia, per poi alzarsi lentamente in piedi e alzare gli occhi al cielo, urlando «Hail Thor!!!»
Con queste ultime parole, Týr dà ufficialmente il via al massacro, dando così sfoggio di tutta la sua brutalità, della sua violenza e della completa mancanza di pietà nei confronti di coloro che si sono ribellati alla sua famiglia.
Con un colpo secco dello scudo riesce a liberarsi dall'orda di non-morti che lo stava accerchiando, creandosi così uno spazio sufficiente per muoversi come meglio crede.
Appiattisce il grosso e pesante scudo contro la parte sinistra del corpo, facendo volteggiare l'ascia a cui tanto è affezionato.
Li guarda uno alla volta, e un sorriso macabro e perverso gli increspa le labbra pennellate, lasciando intravedere le lunghe e candide zanne, perfette per strappare e dilaniare. Ma non ha intenzione di usarle, non ancora, non su di loro.
Dopo secondi che sembrano durare secoli, finalmente scatta, colpendo con incredibile ferocia uno dei veloci zombie che stupidamente stava provando a dargli addosso.
Il sangue marcio schizza in ogni direzione, gli arti vengono tagliati di netto con la lama d'argento; gomitate, calci e colpi di manico tramortiscono gli avversari, fracassandogli le casse toraciche e i crani ormai putridi.
Uno di loro osa troppo, toccandolo con la propria mano infetta e provando inutilmente a strappargli un lembo di carne dal bicipite; Týr lo fulmina con lo sguardo e lo calcia via, con un colpo preciso nel petto, che gli fracassa totalmente lo scheletro e danneggia i già morti organi interni, frantumandoli e riducendoli ad una poltiglia.
Volendo potrebbe ucciderli tutti in pochissimi secondi, senza dover spendere tutta l'energia che invece sta usando, ma la guerra per lui è troppo divertente: il sangue che scorre, le urla di dolore, la paura, la disperazione. Tutto questo per lui è dolce e appagante come un orgasmo, e non ha alcuna intenzione di trattenersi più del dovuto.
Peter voleva uno scontro? Voleva mettere in ginocchio la stirpe dei Lothbrook? Bene, che ci provi ancora e ancora: Týr non ne avrà mai abbastanza.
Chiunque di loro provi a caricarlo, viene sbalzato all'indietro grazie all'ausilio dello scudo, e subito dopo decapitato con un secco e violento colpo d'ascia.
Per quanti zombie fossero, per quanto fossero affamati, nessuno di loro era all'altezza del Re delle Tenebre, e adesso giacciono tutti quanti smembrati sul ponte di quell'innocente nave mercantile, che tra pochi minuti verrà data alle fiamme. Il batterio non potrà lasciare quella nave, o l'umanità correrebbe un rischio troppo grosso. Sia chiaro, Týr non lo combatte per proteggere gli umani, ma bensì per proteggere i propri interessi: senza esseri umani vivi, lui non potrebbe più cacciare, e la sua vita diverrebbe come vuota.
«Però, è davvero bravo!» afferma sorridendo Ace, mentre Castity, completamente a proprio agio, continua a lambirgli il collo e le spalle, carezzandogli languidamente gli addominali scolpiti, giù fino al basso ventre.
«Se lo ripeti ti ammazzo.» ringhia a denti stretti Marco, da poco tornato sul ponte per capire cosa avesse creato tanto trambusto. Vederlo combattere, vedere la sua precisione nel colpire l'avversario, la sua tattica sopraffina, il suo impareggiabile talento nell'uccidere, lo manda semplicemente in bestia.
«Tornate ai vostri compiti.» tuona il capitano, sorridendo sotto agli enormi baffi bianchi. Gli è piaciuto quello spettacolo, nella sua teatralità e crudeltà. Se prima considerava quel vampiro interessante, ora non può far altro che ritenerlo eccezionale.
Týr, al contrario dei pirati che si allontanano dal parapetto, rimane immobile in mezzo al ponte pieno di arti mozzati e organi ridotti in poltiglia, e attende. Attende che la bestia esca, che provi ad ucciderlo. Attende che il gioco inizi per davvero.
«Týr, ti muovi o no?» gli urla dall'alto dell'albero di trinchetto Vista, non del tutto contento della convivenza forzata con quell'essere. Certo, ha dato più volte la dimostrazione di meritare un briciolo di fiducia, ma lui stesso ha detto che non c'è mai da fidarsi di un vampiro, quindi preferisce di gran lunga tenerlo a distanza.
Týr volta un poco la testa per rispondergli, ma viene immediatamente attaccato a tradimento dal basso: due enormi zampe con le dita prensili sfondano il pavimento e lo afferrano per le caviglie, trascinandolo giù, nel buio più totale.
Le sue vampire cadono immediatamente nel panico, non avendo la più pallida idea di cosa fare in un corpo a corpo contro un licantropo, creatura fin'ora mai vista da loro, ma quando sentono la bestia guaire per il dolore smettono immediatamente di strillare e si immobilizzano, puntando ossessivamente quel buco nero in cui il loro amato signore è stato trascinato.
Tutti vorrebbero vedere cosa succede all'interno di quella nave, vedere di persona il mostro di cui hanno spesso sentito parlare negli ultimi tempi, ma purtroppo per loro non possono far altro che ascoltare il rumore secco dei pugni e i guaiti della bestia.
Poi, dopo pochi secondi, tutto tace e l'antico e potente vampiro esce da quel buco, con il torace sporco del sangue della bestia, indice che si è nutrito di lui; nella mano sinistra regge ascia e scudo, mentre della destra la testa del mostro, grossa all'incirca come quella del capitano. Lo sguardo è rabbioso, i canini insanguinati ancora in bella mostra e l'andatura decisa e veloce gli conferisce un'aura ancora più aggressiva del solito.
Quando rimonta sulla Moby Dick butta la testa del licantropo avversario tra le mani del Quarto Comandante, come una specie avvertimento: prova di nuovo a darmi contro, e farai la stessa fine.
Subito dopo se ne va sulla polena della nave, ad osservare il mare. Si domanda per quale ragione Peter, che da sempre ha dimostrato un'intelligenza fuori dal comune, abbia agito in maniera così sfrontata e quasi prevedibile. Non è nel suo stile, non è da lui lasciare le cose al caso. E questo fatto lo confonde terribilmente, tanto da riuscire pure ad intaccare il suo umore e spaventarlo.
Capirei se continuasse ad attaccare per uccidere Lilith, ma per quanto ne sa lei è morta... perché insistere? Perché continuare ad accanirsi tanto? È vero, Fenrir lo ha bandito... ma perché muoversi così stupidamente?
Si passa nervosamente le mani tra i capelli, abbassando la testa.
Cosa nasconde quel bastardo?
Ace, stranamente incuriosito dall'atteggiamento insolitamente taciturno e pacato dell'eccentrico vampiro, lo raggiunge e si siede vicino a lui, osservandolo attentamente.
In quel periodo di convivenza forzata i due hanno stretto una tiepida amicizia, tanto che il vampiro non prova più alcun istinto omicida nei suoi confronti. Certo, lo minaccia costantemente e lo prende in giro, ma in fondo, in un angolo del suo cuore che neanche pensava di avere, gli è affezionato.
Volta un poco la testa, Týr, fregandosene delle goccioline di sangue denso che gli colano sul viso, e sorride in modo impacciato al giovane pirata lentigginoso. Vede molto di suo padre in lui, e ancora non riesce a capire il perché lo disprezzi tanto.
«Sei stato davvero grande prima!» afferma con sincerità il Comandante, sfilandosi il cappello di testa e cominciando a rigirarselo tra le mani. Non sa spiegarsi il perché, ma avere i suoi occhi di ghiaccio addosso ancora lo mette un poco a disagio. È come se gli scavasse dentro, fino all'anima, e la studiasse con minuziosa attenzione.
Týr, per niente toccato dalle parole gentili che il pirata gli ha rivolto, gli sfila senza permesso il cappello dalle mani e comincia a rigirarselo tra le dita, osservandolo con attenzione, provando una strana fitta alla bocca dello stomaco.
Quello stupido e sgargiante copricapo gli ricorda di colpo le belle giornate spensierate trascorse con Fenrir qualche secolo prima, quando al tempo indossavano dei cappelli simili mentre cavalcavano sui migliori destrieri attraverso polverose distese ornate di cactus, oppure quando assistevano alla doma dei puledri o la marchiatura delle bestie. Ricorda i loro festini a quei tempi, a base di carne alla brace, tra la musica di qualche gruppo assoldato al momento, con chitarre, violini, trombe e tamburi, il denso fumo sapido di aromi, con gli amici a tracannare alcolici di vario genere.

Con fare sbrigativo gli restituisce il cappello e punta lo sguardo sulla distesa d'acqua che si perde davanti ai suoi occhi, sforzandosi di cacciare quei pensieri in una parte remota del proprio cervello. Fa male, troppo male. Vuole rivederlo, sentirlo urlare come un indemoniato perché ha tenuto nascosta la sua resurrezione; vuole sentire le sue braccia stringerlo fino a fargli male, vuole vedere il suo sorriso commosso.
Vuole rivedere Wulfric, il suo migliore amico da sempre, e sentirlo bestemmiare in tutte le lingue che conosce e farci la lotta come sempre.
Vuole rivedere Astrid, l'unica donna che è mai riuscita a tenergli testa in tutta la vita; vuole vederla andare su tutte le furie e poi scoppiare in lacrime per l'emozione come sempre.
Vuole rivedere sua figlia, la sua piccola Lilith, quell'incapace emotivamente instabile per cui ha dato volentieri la vita. Vuole stringerla, prenderla di nuovo in giro e prendersi di nuovo cura di lei.
Vuole tornare alla sua vita, vuole riavere tutto ciò che è suo.
La mano di Ace che armeggia con il ciondolo che gli pende dal collo lo riporta alla realtà, facendolo trasalire.
«Cosa c'è scritto?» gli domanda il pirata, notando un'incisione sul retro del medaglione.
«Skile de som ønsker å slavebinde oss; divoreremo coloro che desideravano schiavizzare noi. E non è tanto per dire.» spiega pacatamente il vampiro, osservandolo a sua volta. Lo disse suo fratello la prima volta che si trovarono di fronte ad un Dragone, e l'idea di usarlo come loro personale motto gli piacque troppo, così lo fece incidere dietro ai loro medaglioni.
«Da malati.» commenta ridacchiando Ace, mollando la presa dal gioiello. Gli sorride allegramente, senza mostrare neanche un briciolo di paura, e ciò sorprende notevolmente l'antico immortale, abituato da sempre a far tremare gli esseri umani con un solo sguardo.
«Tu sei strano.» afferma voltandosi stizzito, dirigendosi poi con estrema calma verso la comoda poltrona che ha messo di fianco al seggio del capitano. Non l'ha fatto perché è una posizione con una visuale particolare o ragioni simili, ma solo per mostrare a tutti quanti che lui, il grande Re delle Tenebre, non ha assolutamente paura di lui e che anzi potrebbe detronizzarlo quando vuole. Certo, a nessuno è fregato assolutamente niente di questa sua scelta e non hanno neanche chiesto spiegazioni, ma per Týr era un capriccio necessario.
Si butta a sedere svogliatamente, passando in rassegna tutti i pirati presenti. Se non fosse che l'adorata pargoletta li ha dichiarati tutti quanti come suoi, probabilmente li avrebbe già fatti fuori.
Si rigira distrattamente il medaglione tra le mani, fissando in cagnesco Marco, ignorando deliberatamente lo sguardo invadente del capitano. Perché Barbabianca è incuriosito dai suoi modi, dalla sua sfacciataggine e temerarietà, dalla sua vivacità e permalosità. Lo trova buffo e maledettamente interessante, anche più di quanto non fosse Akemi.
«Ti vedo pensieroso oggi, Týr.» afferma sovrappensiero, trovando strana pure l'occhiata che l'immortale gli rivolge. Non c'è arroganza o il solito desiderio di sangue, no: c'è malinconia e una punta di rabbia.
Il vampiro in tutta risposta alza il ciondolo verso di lui, distogliendo lo sguardo «Questo è uguale a quello di mio fratello. Li trovò durante un'incursione quando ancora eravamo umani, e me lo portò in dono.» si passa stancamente le mani sul viso, ricordando il momento in cui il maggiore, al tempo diciassettenne, rientrò in casa con la faccia ricucita alla meglio e il medaglione ben stretto in mano «E il caso vuole che oggi è lo stesso giorno in cui me lo donò.» sorride amaramente mentre lo dice, maledicendo tutto e tutti, in particolar modo Pugno di Fuoco. Se avesse tenuto le mani a posto, se si fosse fatto gli affari propri e non glielo avesse ricordato, adesso non si sentirebbe tanto male.
«Com'è tuo fratello?» gli domanda con interesse l'Imperatore, osservandolo con attenzione: i lineamenti del suo viso si rilassano, gli occhi si socchiudono appena e gli angoli della bocca si tendono in un sorriso nostalgico. Un'espressione umana come non credeva di potergli vedere, un sentimento vero e puro.
«Formale e freddo con chiunque non rientri nella sua cerchia, capace di gesti impulsivi e spontanei, incredibilmente teneri, con tutti gli altri. Ricordo che a volte veniva a cercarmi per poi andare da qualche parte, senza che ci dicessimo una parola, solo per il gusto di stare insieme. Ed erano momenti bellissimi, in cui anch'io assaporavo la vita, e mi commuovevo per un tramonto, o una canzone, libero per una volta da quella stupida necessità dell'essere un leader, di dover sempre prendere la decisione giusta.» mentre parla la sua mente si allontana, tornando ai momenti in cui erano felici insieme, come quando, da umani, il maggiore gli insegnò la nobile arte della spada o a tirare con l'arco; quando lo portò per la prima volta in uno dei villaggi vicini, facendogli così conoscere una minuscola parte di mondo; quando leccò via il sangue dal suo viso quando, appena vampirizzato, massacrò l'intero villaggio natio senza volerlo.
«Gli sei davvero affezionato, vero?»
Affezionato, dici?

 

Il grosso e tozzo muso dell'animale appena riemerso dalla grotta picchia debolmente contro la spalla del giovane ed inesperto vampiro per attirarne l'attenzione. Il grosso e feroce occhio vermiglio lo osserva tristemente. Forti e dolorosi guaiti rompono il silenzio, costringendo il ragazzo a voltarsi. Non c'è dolore per le perdite subite, non gli importa se sua moglie e i suoi figli sono stati sventrati e dissanguati perché lui ha stupidamente perso il controllo, no: c'è la paura di perderlo, di doversi separare.
«Mi resterai sempre vicino, fratello mio?» supplica mentre lacrime scarlatte gli solcano le guance incredibilmente pallide e magre. Ha appena ucciso tutti: uomini, donne, vecchi e bambini. Nessuno è riuscito a sottrarsi alla sua ferocia, alla sua incommensurabile forza. Non lo ha fatto a posta, non voleva. Era andato a cercare qualcosa da mangiare per il fratello deformato dalla maledizione, bloccato nel corpo dell'enorme lupo nero, ed era convinto di poterlo trovare nel loro vecchio villaggio... ma si sbagliava. Gli è bastato vederli per perdere il lume della ragione e divorarli.
Le sue mani già sporche di sangue adesso bruciano e sgorgano tutto il male e il dolore che ha perpetuato in quel momento di follia, e il cuore morto gli si gela. Non sa come fare, come andare avanti... non sa più chi è e cosa sarà una volta che l'adorato fratello deciderà di abbandonarlo, di allontanarsi dal male che porta dentro.
Quando però l'enorme bestia comincia a leccargli via il sangue dal viso, dolcemente, una nuova speranza si accende in lui. E gli basta guardare quel muso animalesco che lo fissa intensamente per capire che no, mai e poi mai, Fenrir lo abbandonerà. Lo proteggerà, lo guiderà nell'oscurità, ne farà parte con lui
«Ti prometto, Fenrir, che ti farò tornare come prima. Chiaro? Tornerai umano e dominerai questo fottuto mondo che ti spetta di diritto. E io ti aiuterò a prenderlo.» gli allaccia le braccia muscolose attorno all'enorme collo, immergendo il viso nella folta e calda pelliccia «Per sempre noi, per sempre insieme.»


Ricorda bene il loro giuramento. Ricorda bene quanto quella lingua ruvida e calda sul viso gli aprì il cuore e gli diede la forza per alzarsi di nuovo, per affrontare quel nuovo mondo che apparentemente assomigliava tanto a quello in cui era cresciuto.
Ricorda tutto, e il cuore morto si scioglie nel suo petto.
«Lo amo con tutto me stesso.» risponde semplicemente, senza neanche guardarlo in faccia. Rimane con lo sguardo fisso sull'orizzonte, attento al possibile ritorno di Munnin. E, nel frattempo, si lascia trasportare dai ricordi...

 

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Da tempo immemore è risaputo che la notte non è fatta per dormire. È fatta per pensare alla propria vita, ai propri errori, alle scelte future. E questo è proprio quello che ha deciso di fare Akemi nelle ultime due settimane, rintanandosi sulla scogliera vicina alla Villa delle Anime e al mattatoio.
Si è totalmente isolata dal resto dell'isola, chiudendosi nuovamente nella solitudine e nel silenzio.
Si è ritrovata a pensare a tutto e niente in tutto questo lasso di tempo. Si è domandata più volte come stanno andando le cose fuori dall'isola, come stanno i propri compagni; si è domandata se Peter è ancora sulle sue tracce, se sta cercando di varcare la solida soglia che li divide; si è domandata come sta la madre, come procede la gravidanza, se i suoi fratellini o sorelline stanno crescendo in salute. Perché in realtà, dopo averci pensato a mente fredda, è felice di questa notizia, ma non ha la più che vaga idea su come fare per poterla di nuovo avvicinare.
Si volta di scatto quando qualcosa le cozza violentemente addosso, trovandosi faccia a faccia con un non-morto. Il viso è pieno di piaghe, la pelle incartapecorita, la mascella spaccata e da un orecchio escono innumerevoli vermi. Sono schifosi e disgustosi da guardare, e portano il fetore della morte ovunque vadano, ma come compagnia le vanno bene. Non sono invadenti, non fanno commenti cattivi, non ridono alle tue spalle. Semplicemente ti guardano con degli enormi occhi a palla completamente vuoti e aspettano buoni, buoni che tu gli dia da mangiare.
Sono rare le volte in cui realmente bada alla loro presenza, in realtà; generalmente lancia loro un trancio di carne e ascolta disinteressatamente i loro gorgoglii mentre se lo sbranano.
Adesso, però, vittima di un forte attacco di solitudine, le viene voglia di toccarlo. E lo fa, eccome se lo fa: con delicatezza passa una mano sullo zigomo tumefatto della creatura, che a sua volta la guarda senza neanche vederla realmente. Rimangono poi immobili a fissarsi, così incredibilmente diversi ma vagamente simili.
«Il mondo non accetta neanche te, mh?» domanda sorridendo debolmente al morto che, in tutta risposta, si volta a guardare l'orizzonte. Lo fanno spesso quelli come lui, di incantarsi a fissare il niente, rimanendo immobili per ore e ore.
«Da adesso in poi, però, io ti accetterò, ok? Ti proteggerò, credimi... Ron!»
Si dà della stupida da sola in questo momento. Parlare con uno zombie... dargli anche un nome! Roba da mentecatti proprio!
Però non sa davvero a chi altri rivolgersi. Certo, Silly e Mimì le hanno detto chiaramente che se volesse sfogarsi loro la ascolterebbero e le darebbero consigli, ma non vuole metterle ulteriormente nei guai, non dopo il rischio che la lupa ha corso per un suo capriccio.
Di andare da Freki non se ne parla neanche: dopo che ha saltato l'allenamento la prima volta il giorno dopo la lite, non le ha neanche più rivolto la parola. Anzi, ha proprio smesso di considerarla! Ma da un tipo permaloso come lui c'era da aspettarselo in fondo, per questo riesce a passarci sopra e a non avercela con lui.
In realtà, esclusa Freya, non ce l'ha proprio con nessuno: solo con sé stessa.
Ha capito di aver esagerato a rigirarsi così contro la madre, che doveva discuterci civilmente come più volte le dicevano sulla Moby Dick, e invece ha perso stupidamente le staffe e le ha dato contro per una cosa di cui in realtà è addirittura lieta.
Sono una stupida... sono una stupida viziata, incapace di tenere a freno la lingua e le emozioni...
Afferra un sassolino al proprio fianco e lo lancia con quanta più cattiveria può nel mare. Lo guarda andare a fondo, sempre più giù, e non può far altro che pensare che lei è esattamente come quel sassolino: sta affondando sempre più giù in un'oscurità dalla quale non riesce a liberarsi.
Si lascia scivolare sulla pietra fredda, volgendo così lo sguardo alle innumerevoli stelle che brillano alte.
Tutto è silenzioso e tacito, nessun movimento arriva alle sensibili orecchie della ragazza. Solo una solitudine soffocante, senza risposte che la possano rincuorare, nella libertà più assoluta.

Voltando un poco la testa, dall'alto della sua postazione, riesce ad intravedere le strade illuminate del villaggio. Vede alcuni degli abitanti ancora svegli passeggiare tranquilli: coppie innamorate, vecchi amici che scherzano tra loro, bambini che corrono senza regole e senza freni, felici della vita che vivono. E Akemi non può che restare incantata di fronte alla prospettiva di poter far parte di quella vita sul serio, di vivere con loro. Fin'ora è rimasta con loro contro la propria volontà, pur provando a convincersi di trovarsi a casa, ma adesso... adesso lo vorrebbe davvero. E l'idea di diventare davvero una parte di loro, di essere come loro, le fa provare un insolito calore nel petto.
Un fruscio tra la vegetazione però la riporta con i piedi per terra. Un rumore fuori luogo, non provocato dai morti viventi che girottolano attorno a lei, attira completamente la sua attenzione.
«Mh...?»
Voltando un poco la testa riesce a vedere un lieve luccichio attraverso la vegetazione e, grazie agli allenamenti che riteneva infruttuosi con Freki, riesce ad evitare per un pelo l'ascia che le è stata lanciata contro.
Si appiattisce al suolo, fissando con paura il fitto della vegetazione da cui è partita l'arma.

«La paura all'uomo non frutta niente: tira fuori le palle e combatti, sempre!»

Le parole di Freki le martellano improvvisamente in testa e, decisa a prendere il proprio posto nel proprio mondo, snuda istintivamente le zanne.
È sicura di sé, sente finalmente di potercela fare, di poter sconfiggere l'avversario, ma quando l'odore familiare dell'aggressore le arriva alle narici, sente come una voragine aprirsi sotto ai piedi.
«Raccogli l'arma, forza!»
Sgrana gli occhi, immobile, fissando con sorpresa Fenrir che esce dalla vegetazione, cupo in volto, con quel minaccioso occhio vermiglio che la fissa con astio.
«Ma cosa-?» non fa in tempo a finire la frase che il lupo scatta verso di lei, costringendola a spostarsi velocemente di lato.
«Ti credi sufficientemente forte da poter stare per i fatti tuoi e magari pure per andartene per la tua strada? Bene: DIMOSTRAMELO!»
Veloce, troppo veloce.
Akemi non è neanche capace di veder arrivare il colpo diretto al proprio stomaco, figuriamoci se è capace di evitarlo. Però riesce a rimanere in piedi, annaspando in cerca d'aria, costringendosi a mantenere alto lo sguardo per poter vedere il feroce licantropo che le gira attorno.
Gli zombie che fino a poco prima le tenevano compagnia si sono ritirati, incespicando nei propri piedi, scappando in maniera sorprendentemente veloce nel proprio alloggio.
«Forza, superdonna! Fammi vedere come ti difenderesti là fuori!»
Non le dà neanche il tempo di metabolizzare la frase che le molla un gancio sinistro dritto in faccia, facendola cadere a terra.
Non voleva arrivare a tanto Fenrir. Non voleva arrivare a picchiarla, a tirarle un calcio nella schiena come ha appena fatto, a vederla annaspare in cerca d'aria mentre agonizza al suolo, davvero non voleva. Ma, dopo due settimane di atteggiamenti ostili nei confronti di tutti loro, o lo faceva o strangolava qualcuno a caso per il nervoso. Pure con Týr doveva fare così, massacrarlo di botte finché non imparava la lezione, anche se c'è da specificare che con lui ci andava molto più pesante. Se adesso provasse ad usare la stessa forza e violenza con cui picchiava il fratello, probabilmente la ucciderebbe sul serio in neanche cinque minuti.
Akemi striscia per terra, incapace di rialzarsi, e alla fine decide di provare il tutto per tutto provando a lanciargli contro una pietra, lanciando in seguito una sonora bestemmia quando il colpo va a vuoto. Non che si aspettasse davvero di colpirlo, ma l'idea di non essere proprio più capace di colpire un avversario lanciandogli un oggetto la manda completamente in bestia.
Si rimette a fatica in piedi, snudando istintivamente le zanne e tentando nuovamente di colpirlo, usando stavolta gli artigli. Fenrir però le blocca il polso e le sferra un nuovo, poderoso pugno in volto, spaccandole il labbro superiore.
Cade a terra, la guancia premuta sulla roccia fredda, il rumore del respiro pesante del lupo alle spalle. Non vuole più combattere, non ce la fa. Era convinta di poter tener testa a qualcuno se si fosse impegnata, se avesse di nuovo tirato fuori la propria grinta, ma si sbagliava: è ancora ben lontana dal potersi difendere da sola contro un altro immortale.
Fenrir, conscio di essere riuscito nel proprio intento, trae un respiro profondo, imponendosi di calmarsi all'istante come è abituato a fare da secoli, e senza dire nulla si siede di fianco alla nipote, estraendo dalla tasca dei jeans sdruciti un pacchetto di sigarette.
«Ne vuoi una?» le domanda gentilmente, come se non l'avesse appena pestata come un tamburo.
Akemi volta a fatica la testa, guardandolo in cagnesco e grugnendo un flebile “no” in risposta, facendolo sorridere.
Rimangono così, fermi, l'uno di fianco all'altra, immersi ognuno nei fatti propri. Lei si domanda il perché di tanta violenza gratuita, lui pensa a come riappropriarsi della propria parte di letto, ormai invasa dalla compagna.
«Capisci che non possiamo lasciarti andare, vero?» le domanda dopo qualche minuto, buttando nel vento la cenere. Una leggera nuvola di fumo si disperde davanti ai suoi occhi, disegnando nella completa oscurità della notte delle linee armoniose. Da ragazzini, lui e Týr si divertivano a vedere immagini reali in quelle linee senza senso, e adesso gli manca da morire.
«Non voglio più andare via...» ammette Akemi, sforzandosi di mettersi seduta al suo fianco. La schiena le fa un male da cani, così come il labbro che lentamente si sta rimarginando. Era convinta che le botte di Freki fossero micidiali, e che niente al mondo potesse batterle, ma si sbagliava alla grande.
«Lo dicevi anche l'ultima volta.»
«Questa volta ne sono completamente convinta, zio.» controbatte prontamente, puntando gli occhi in quello adesso color dell'oceano dell'uomo.
«Quello che ero prima di arrivare qui... è morto.» ammette con tristezza, passandosi una mano tra i capelli arruffati «Loro hanno voltato pagina... e così devo fare io. Per questo voglio riuscire ad integrarmi sul serio... diventare parte di questa comunità... di questa famiglia
Fenrir le sorride dolcemente, passandole un braccio attorno alle spalle e tirandola verso di sé. Un abbraccio caldo, rassicurante e protettivo, di quelli che ti fanno dimenticare per quale motivo eri triste fino a pochi secondi prima, di quelli che ti riempiono il cuore di speranza e ti fanno incredibilmente sentire nel posto giusto.
«Penso che pure tua madre vorrebbe sentirtelo dire...» le sussurra all'orecchio, dandole poi un bacio sulla tempia.
Per quanto possa apparire freddo e spietato, Fenrir è sempre stato un uomo affettuoso, attaccato alla propria famiglia, devoto e protettivo. Ogni volta che uno dei suoi figli adottivi aveva un problema o era giù di corda, lui era sempre lì, pronto a strappargli un sorriso e ridargli la forza per rialzarsi. E vedere adesso la sua piccola Lilith che gli sorride dolcemente come faceva suo fratello, lo fa sciogliere come neve al Sole.
«Forza, andiamo: ti insegno la nobile arte della sfangata!»

Da ben 17 minuti e 23 secondi, Fenrir e Akemi rimangono immobili di fronte all'imponente porta che conduce dritto nella tana del lupo. Anzi, diciamola meglio: nella tana della lupa incinta con frequentissimi sbalzi di umore nati da un niente di fatto.
«Forza, vai a parlarle.» la spinge con delicatezza dandole qualche lieve botta sulla schiena tremante.
Sei uguale a lui: prima la combini grossa e poi non sai come chiedere scusa.
«Non vieni con me?» pigola la minore, la cui grinta e determinazione hanno momentaneamente deciso di prendersi un periodo di ferie.
Fenrir si lascia scappare una lieve risata, per poi poggiarle entrambe le mani sulle spalle e spingerla in avanti «Io vado a mangiare qualcosa, così nel mentre prendo pure qualcosa che la distragga per potermi riappropriare del mio letto.» detto ciò le si allontana di qualche passo, guardandola con aria derisoria «Cos'è, hai paura che ti mangi?»
«E se non volesse vedermi?» mormora con un filo di voce la corvina, sorprendendolo: questo lato tenero, timido e umano è assolutamente da Astrid, non da Týr!
Un bel mix, non c'è che dire...
«Credimi: muore dalla voglia di vederti.» afferma sicuro prima di sparire nel niente, non dandole neanche il tempo di ringraziarlo.
Bussa piano alla porta, Akemi, ricevendo in risposta un mugolio ambiguo, come di un animaletto morente misto ad un gemito di piacere. Ma, alla fin fine, decide di passarci semplicemente sopra ed entra, cercando di sfoggiare il sorriso più dolce e caldo del proprio repertorio.
«Mamma?» pigola imbarazzata, trovandola con i capelli arruffati in ogni direzione, il trucco colato e gli occhi rossi per il pianto.
«Lilith...» la voce della sovrana è come un sussurro leggero, di quelli che riesci a sentire proprio se ti concentri.
Astrid, seppur a fatica, si alza dal proprio letto e si dirige a grandi falcate verso la figlia, sfoggiando inevitabilmente il pancione in continuo aumento «Scusami... sono stata una madre orribile! Non so davvero come-»
«Non dirlo neanche, mamma. Sono io che mi sono comportata da pazza. Sono felicissima per te e Fenrir, sono felice che vi amiate così tanto, che abbiate la possibilità di mettere su famiglia e, ti prego di credermi, sono felice di diventare una sorella maggiore!» parla tutto in un fiato Akemi, stringendo con forza la donna tremante tra le sue braccia.
«Amore mio...» singhiozza la bionda, carezzandole lentamente la schiena pallida e tiepida.
«Non piangere...» le mormora contro l'orecchio, tirando un sospiro di sollievo quando la licantropa decide di mollare la presa.
«Scusa.» si affretta a dire Astrid, ricomponendosi alla meglio «Sono gli ormoni in eccesso. Mi viene costantemente da piangere o, in alternativa, di spaccare tutto ciò che mi circonda.»
«Mi spiace di non esserti stata vicina...» mormora realmente dispiaciuta la minore, prendendole delicatamente una mano tra le sue «Come ti senti?»
«Come un'elefantessa incinta che ha ingoiato un divano.»
Le due donne scoppiano inevitabilmente a ridere come due ragazzine. Akemi è però la prima a riprendersi, non riuscendo a staccare gli occhi dall'evidente pancia della donna.
«A proposito, come mai la pancia è già così grossa? Da quanto sei incinta?»
«Quasi un mese.» ammette con un certi imbarazzo Astrid, passandosi soprappensiero le mani sul ventre rigonfio.
«Penso che tu debba spiegarmi qualcosa. E devi farlo pure alla svelta, perché sono convinta che zio vorrà dormire quando sarà di ritorno.»
«Le lupe mannare hanno un tempo di gestazione come quello dei lupi: due mesi.» una spiegazione semplice che lascia soddisfatta la curiosità della minore. «La cosa brutta è che cresceranno molto alla svelta anche una volta venuti al mondo.» borbotta contrariata Astrid, che seriamente vorrebbe avere una famiglia normale, con i bambini piccoli che crescono lentamente in modo da potersi godere quell'età adorabile, e solo dopo diversi anni dover affrontare tutti i loro problemi legati all'adolescenza e, dopo ancora più anni, il distacco.
«E romperanno le palle per l'eternità!» la voce tonante e allegra di Fenrir le fa tornare di colpo alla realtà. Sorride soddisfatto, tenendo ben stretto tra le mani un enorme barattolo di gelato alla vaniglia e alla fragola, i gusti preferiti della rompiballe che porta in grembo i suoi figli.
«Tu sì che hai un forte istinto paterno!» commenta ironicamente Akemi, incrociando le braccia sotto seno.
«Sta' zitta, ragazzina, o ti do un'altra scarica di botte.» risponde semplicemente il grande lupo, poggiando sul tavolo da fumo al centro della stanza il barattolo che fa tanta gola alla Regina, che subito prende d'assalto.
Senza farsi vedere, Fenrir lancia un fugace occhiolino alla nipote, sciogliendosi dentro non appena la vede sorridere grata.
«Vi lascio soli.» fa per andarsene, Akemi, ma la voce acuta della madre la costringe a bloccarsi.
«Domani mattina parleremo dei limiti che vuoi che m'imponga, ok?» biascica con la bocca piena la donna, guardando la figlia con occhi sognanti, lasciandola assai interdetta.
«Co-»
«Voglio che il nostro rapporto funzioni sul serio, Lilith. Voglio essere davvero una buona madre per te... e per loro.» quelle parole, dette con così tanta sincerità e amore incondizionato, altro non fanno che sciogliere il cuore di ghiaccio della giovane immortale. Quando poi la vede passarsi le mani sul ventre e guardarlo con un amore infinito, ringrazia ogni divinità esistente che ci sia la porta al suo fianco ad evitarle un'imbarazzante caduta.
«Sei decisamente sulla buona strada.»
«Vai a dormire ragazzina, sembra che tu ne abbia davvero bisogno.» l'ammonisce Ferir, contento sotto le proprie coperte. Sa bene che non appena il gelato sarà finito si ritroverà a dormire per metà sul comodino, ma questa piccola e momentanea vittoria lo rende comunque felice.
«Tra dieci minuti, prima voglio chiarirmi anche con un'altra persona.» i due licantropi ridacchiano appena mentre la vedono sfrecciare per i corridoi della villa, abbastanza sicuri di quale sia li luogo predestinato.
Astrid fa per alzarsi per fermarla, consapevole della possibile piega che il loro incontro potrebbe prendere, ma Fenrir le lancia addosso la sveglia come ammonimento, facendole poi un cenno col capo di non intervenire, di lasciarla fare da sola ed imparare a reggersi sulle proprie zampe, come avevano precedentemente deciso di fare, ed Astrid, dopo aver roteato gli occhi ed imprecato a mezza bocca, si ritrova a guardarlo dolcemente.
«Non avrò commesso un errore a sposare un uomo più saggio di me?» gli domanda divertita, infilandosi sotto le coperte al suo fianco e lasciando che il braccio possente del compagno l'avvolga totalmente. Lei e i loro piccoli.
«Non siamo ancora sposati, puoi sempre ripensarci.» sfotte con la bocca mezza impastata dal sonno il grande lupo, fingendo pure di volerla cacciare dal proprio letto.
«Quanto sei scemo!» prima di andare a dormire con il proprio amato, in genere ci sono frasi dolci, baci... NO! Con Astrid e Fenrir non c'è tempo per questo genere di smancerie, sono guerrieri dalla nascita: il loro amore è fatto di gesti passionali, di insulti, giochi e rispetto.
«Buona notte, futura moglie rompiballe...» sorride come un bambino Fenrir nel sentire i cuori della sua famiglia battere con regolarità, e quando poggia una grande mano sul suo ventre sente dei forti calcetti contro il palmo, gesto che lo fa quasi commuovere «...anche a voi, piccoli terremoti.»

Akemi, nel frattempo, continua ad imboccare corridoi sbagliati, alla ricerca quasi disperata di quello che la condurrà davanti alla sua porta.
Si sente indecentemente stupida in quel momento: dopo tutto il tempo passato a girare per quell'imponente villa, ancora non riesce a ricordarsi quale sia la strada giusta!
Poi, dopo quella che le pare un'eternità, in cui ha pensato e ripensato a cosa dire per farsi perdonare, a come poterla sfangare, come dice Fenrir, arriva finalmente di fronte a quella maledetta porta.
Non è del tutto convinta che sia il caso di entrare, che poi sarà capace di uscirne viva, ma sa di doverlo fare. Perché, anche se per lei stessa è difficile da ammettere nella propria testa, le manca molto la compagnia di quell'irascibile licantropo dai modi violenti.
Le manca avere il suo appoggio, vederlo mentre le sorride o anche solo le sue prese in giro.
Le manca vederlo la mattina in cucina con i pantaloni della tuta addosso e i capelli scompigliati, quasi grugnendo quando si mette seduto a tavola e puntualmente crollare con la faccia sul tavolo a causa del sonno.
Le mancano anche i suoi battibecchi con Killian, che non perde mai l'occasione di punzecchiarlo.
Semplicemente le manca Freki, ed è per questa ragione che bussa con decisione alla porta, con il cuore che le batte all'impazzata nel petto.
Pur non ricevendo alcuna risposta, cosa che in realtà non si aspettava, decide di entrare, ritrovandosi in una stanza incredibilmente grande, dai muri azzurri e i mobili neri e lucidi. Non era mai stata nella sua camera, per questo si guarda intorno con attenzione, riuscendo a vedere perfettamente anche al buio: il suo letto è grandissimo, con coperte morbide e voluminose dallo stile moderno e sofisticato, le tende nere e argento lasciate aperte permettono di vedere il mare. L'arredamento è semplice: una toletta con uno specchio ovale, un armadio a quattro ante, un camino spento, sul quale troneggia un dipinto raffigurante un paesaggio invernale. Sparpagliati per la stanza ci sono diversi lumi ad olio, tutti spenti, L'unica luce presente è quella del chiarore lunare che filtra attraverso l'ampia finestra.
Il respiro calmo e regolare del lupo la fa tornare con i piedi per terra, ricordandole per quale ragione si è trascinata fino alla sua stanza.
«Freki?» pigola imbarazzata, azzardando ad addentrarsi maggiormente in quella camera così dispersiva «Freki, sei sveglio?»
«Adesso sì...» grugnisce il maggiore, raggomitolandosi maggiormente nelle coperte, tanto da far sparire ogni traccia di sé. Era convinto che trasferendosi nella villa sarebbe riuscito ad evitare di essere svegliato nel cuore della notte, ma a quanto pare si sbagliava di grosso.
Questa è la punizione divina per tutti i miei peccati, ne sono sicuro.
«Possiamo parlare?» non aspetta neanche una risposta, ben consapevole che sarebbe negativa, e quindi si dirige immediatamente verso il letto su cui s'inginocchia, rigirandosi nervosamente tra le dita una treccina bianca e nera.
«Sparisci.» ringhia Freki, trattenendosi con tutte le sue forze per non spaccarle la faccia. Perché nessuno, neanche la leggendaria Principessa dei Morti Lilith Lothbrook, può osare bidonarlo. Che poi si tratti di un appuntamento galante, di un caffè o di un allenamento non fa alcuna differenza per lui.
Oltretutto, poi, ha pure osato ignorarlo, cosa che non è mai riuscito a sopportare in più di settemila anni. In questo lasso di tempo ha ucciso per molto meno!
«Senti, mi spiace di essermi comportata come una ragazzina, ma prova a capirmi-»
«Smettila di frignare, cazzo...» biascica a mezza bocca il lupo, passandosi stancamente una mano sul volto assonnato e costringendosi a mettersi a sedere. I capelli castani sono sparati in tutte le direzioni, gli occhi, a causa del forte fastidio che prova, sono di un luminoso color oro e i canini spuntano minacciosamente dalle labbra pennellate «Tu sei solo una testa di cazzo viziata; fai la vittima sempre, fottendotene costantemente degli altri. È vero, il comportamento di tua madre non è stato dei migliori, ma, porca puttana, occorreva fare una tragedia simile?!» le urla contro tutto in un fiato, fissandola con un non indifferente astio.
Akemi si zittisce, abbassando lo sguardo con timore, pronta a scusarsi e a ripiegare con la coda tra le gambe. Poi, come un fulmine a ciel sereno, ritrova tutta la grinta da troppo soppressa e, senza neanche rifletterci, si lascia andare ad un ringhio profondo e minaccioso, scattando fulminea contro la figura massiccia del licantropo.
Gli blocca i polsi ai lati della testa, sfidandolo con lo sguardo a tirare fuori il peggio di sé, dando così sfoggio di tutta la propria follia ereditata dal padre.
«Sono venuta a chiederti scusa, stronzo! Quindi vedi di abbassare la cresta e di fartelo andare bene, perché non lo dirò un'altra volta!» gli ringhia contro, convinta di riuscire a spaventarlo.
Pessima pensata...
Freki, veloce come pochi, riesce addirittura a farla alzare e ad inchiodarla contro la parete, lontani dal letto, e la fronteggia con aria minacciosa.
Indossa solamente un paio di pantaloni di cotone a vita bassa, lasciando così scoperto il torace scolpito in bella mostra. Il Marchio di appartenenza alla stirpe di Fenrir svetta minacciosamente sulla sua pelle ambrata, facendole venire la pelle d'oca.
«Hai finito di fare la spaccona?» la sfotte prontamente Freki, ghignando divertito. Ha sempre adorato mettere a disagio le persone, spaventarle, far capire loro quanto lui è nettamente superiore in quanto a forza fisica.
Akemi lo guarda con attenzione, rendendosi conto di una verità che era sempre stata sotto ai suoi occhi: Freki è spudoratamente bello. Ha qualcosa del cervo, con quei suoi grandi occhi verdi ornati da ciglia che farebbero invidia a una donna, e quei muscoli nervosi che crescono sotto la pelle dorata. I suoi capelli castani e ribelli ricordano invece le chiome selvagge dei leoni, ed il suo naso lungo e sottile è dannatamente aristocratico, perfetto per quel viso.
Preme le mani sul suo petto possente per tenerlo a distanza, saggiando quei muscoli d'acciaio che fremono sotto la pelle ambrata.
È... perfetto.
Si lasciai sfuggire un gemito, sospirando e lasciando scivolare le mani sull'addome scolpito, cosa a cui il lupo non bada. Per quanto ne sa potrebbe semplicemente essere troppo spaventata o anche sotto l'effetto di qualche acido.
Akemi continua a fissare quegli occhi dorati. Ipnotici, troppo brillanti per essere ammirati, quasi più brillanti della luce del Sole.
Sfiora le sue braccia muscolose, poi risale lungo le spalle. Poi, come se non fosse neanche lei a muoversi, si trascina lentamente in avanti e gli sfiora le labbra con le proprie, timorosa ed incerta, lasciandolo completamente di sasso. Era convinto di essere riuscito ad inquadrarla perfettamente, di essere capace di prevedere le sue mosse, ma anche questa volta si sbagliava.
Quando Freki cerca di respingerla, Akemi intreccia le dita nei suoi capelli, approfondendo quel contatto sorprendentemente piacevole senza lasciargli via di scampo.
È un bacio breve, che però li lascia senza fiato, pietrificati... ed incredibilmente eccitati. Si scansa un poco con la testa, Freki, senza però costringerla a togliere le mani dai suoi capelli, cercando razionalmente di capire cosa sta succedendo, ma già irrazionalmente rapito dai gesti di quella mocciosa che fino a pochi istanti prima voleva decapitare.
«Ti tiri indietro?»
Torna per un attimo lucido, si allontana da Akemi per chiedergli con gli occhi che cosa sta succedendo, cosa le passi per la mente. La risposta della giovane è un bacio, stavolta più profondo e passionale. Freki cerca un contatto con la sua lingua per accertarsi del fatto che Akemi non sia frutto di un'allucinazione dovuta alle poche ore di sonno.
No, Akemi è lì. Con lui.
Non si era mai resa conto, Akemi, di trovarlo attraente, di provare attrazione fisica per lui, di voler entrare nel suo letto, ma questa verità è diventata improvvisamente chiara nella sua mente dal momento in cui l'ha sbattuta contro il muro.
Il fruscio dei pantaloni che scendono giù per le gambe è leggerissimo, ma Akemi, in quel silenzio che li circonda, riesce a percepirlo perfettamente, pur tra gli ansimi di piacere. Le mani di Freki che si poggiano sui suoi seni le fanno quasi girare la testa. Svelta gli sfila i boxer per poi accarezzargli il sesso parzialmente eretto, incapace di abbandonare le sue labbra.
Perché Akemi non lo sa, nessuno gliel'ha mai detto, ma i licantropi sono probabilmente le creature più impulsive presenti sulla faccia della terra: sono creature con la miccia corta, pronte ad esplodere al minimo tocco e dare sfogo a tutta la passione che li anima. E questo, ovviamente, vale anche per loro due, che inconsciamente hanno sempre provato attrazione l'uno verso il corpo dell'altra.
«Che diavolo...»
Metterle una mano fra i capelli impedirle di potersi sottrarre alle sue attenzioni gli viene spontaneo, così come condurla maldestramente verso l'ampio letto alle proprie spalle, tenendo sempre gli occhi chiusi, con i pensieri concentrati sul corpo di quella ragazza che sta ampiamente contribuendo a fargli perdere ogni capacità cognitiva.
«Voglio scoparti.» mormora con voce roca contro le sue labbra, mentre le sfila frettolosamente i vestiti di dosso che finiscono abbandonati sul pavimento.
«Scopami.» è la risposta, seguita dai loro corpi che ricadono sul letto.
Non c'è alcuna traccia d'amore nei loro movimenti, nel modo in cui si toccano o baciano. C'è solo passione, voglia di sesso, di appartenenza.
Il ritmo delle spinte aumenta gradualmente, mentre le bocche si cercano voraci. Niente deve spezzare quel silenzio fatto solo di ansimi; non vogliono pensare a nulla, se non al piacere che riescono a donarsi reciprocamente in quest'amplesso selvaggio.
L'orgasmo è un'ondata di calore intenso, che scuote loro le membra e gli fa perdere l'ultimo barlume di lucidità rimasta. Freki geme più forte mentre raggiunge il culmine del piacere, ricadendo poi sul materasso accanto alla ragazza, entrambi sudati e ansimanti.
«Vuoi scoparmi ancora?» la domanda arriva diretta, tanto da lasciarlo a bocca aperta.
«Che vuoi dire?»
«Avanti, hai capito benissimo. Ci teniamo compagnia quando ne abbiamo voglia, senza nessun coinvolgimento emotivo o rimpianto.»
La proposta è quanto di più fuori dall'ordinario potrebbe esserci per entrambi. Freki non si aspettava assolutamente una proposta del genere, non da lei, la mocciosa incapace di reggersi sulle proprie zampe, intimidita anche dalla propria ombra; Akemi non pensava di essere capace neanche di concepire una cosa simile, figuriamoci di proporla a qualcuno. Ma ormai ha preso la propria decisione: vuole lasciarsi la sua breve, intensa e vecchia vita alle spalle e godersi la sua immortalità in ogni sfaccettatura, proprio come le suggeriva il padre.
«Non ne saresti capace.» è la risposta di Freki, che sembra aver recuperato la sua aria smaliziata, voltando un poco il capo per poter vedere lo sguardo vuoto ma allo stesso tempo determinato della giovane amante.
Semplicemente si alza dal letto, senza fretta, mostrandosi a lui senza vergogna, e recupera dal pavimento i propri vestiti che indossa lentamente. «Fammi sapere se cambi idea.» afferma con tono indifferente e poi esce dalla stanza, lasciandolo da solo.
Freki è ancora incredulo: si passa una mano fra i capelli spettinati e poi va a fare una doccia, cercando di riordinare le idee. Non lascerà che succeda ancora, non sarebbe professionale, non sarebbe giusto nei confronti del suo Signore scopare con quella ragazzina emotivamente instabile.
Eppure... le mani di Akemi.
I suoi capelli.
Lo sguardo malizioso.
Il modo in cui si lecca le labbra dopo averti baciato.
Tutto gli torna in mente chiaro e vivido, senza che nemmeno lui faccia davvero qualcosa per scacciarlo.
Lasciarsi scivolare Akemi sulla pelle senza preoccuparsi troppo delle conseguenze, che ovviamente arriveranno, sembra un'impresa impossibile, ma ogni tanto, forse, una follia può pure concedersela. In fondo, non si tratta che di sesso.
Speriamo solo che Fenrir non la prenda troppo male...



Angolo dell'autrice1:
Eccomi di nuovo qui! :D
Vi chiedo umilmente perdono per questo incredibile ritardo, ma sono stata a Parigi la settimana scorsa per l'anniversario e questa settimana dovevo, mio malgrado, recuperare le lezioni perse. Vedrò di essere più veloce, giuro!
Ma adesso, parliamo un pochino di quanto è appena successo: Tyr si è ambientato benissimo sulla Moby, mh? Bellino lui :3
Non sapete quanto è stato strano scrivere delle scene in cui lui, quel pazzo schizofrenico, è malinconico e nostalgico! Giuro, è stata una sudata!
Marco è indecisissimo, poverino. Mi fa una tenerezza! Ma non temete: manca davvero poco! :D
Poi...mhhh... ah, sì: Akemi ha completamente accettato di vivere sull'isola, abbandonando l'idea di poter fuggire. Anzi, dire abbandonata è errato: ha proprio scelto di eliminarla, preferendo abbracciare le strane usanze di quelle creature che l'hanno accolta senza esitazioni e, soprattutto, abbracciando la propria famiglia. Immaginate come si sentirà quando arriveranno al porto di Helheimr i suoi cari pirati! :D
Poi, beh... ha ben pensato di cominciare a darsi da fare con Freki. Scema la ragazza, eh? ;) Beh, come si suol dire: occhio per occhio!
Tranquilli: la coppia alla fine tornerà insieme (neanche a dirlo), non senza dover affrontare prima qualche problema! (sennò il divertimento dov'è?!)
Nel prossimo capitolo mi divertirò parecchio >:] Tornerà fuori tutta la mia stupidità! E ci sarà pure una OneShot, un missing moment con protagonista... no, non ve lo voglio dire. :3

Ci tengo a ringraziare di tutto cuore Lucyvanplet93, Yellow Canadair, Aliaaara, Chie_Haruka, Shot93, KuRaMa KIUUBY, Okami D Anima, ankoku, Keyea Hanako D Hono, Nakurami e Monkey_D_Alyce per le bellissime recensioni che mi avete lasciato nello scorso capitolo! Siete davvero troppo gentili.


*Angolo traduzione e spiegazione:
Dopo alcune ricerche, ho trovato questa preghiera al Dio Thor, e mi è sembrata una cosa carina metterla prima della battaglia di Týr, ovviamente nella sua lingua. Non so, magari a voi come scelta farà schifo, ma per me ci stava molto :)
Hail den mektige Asa-Thor!
Jeg går i dag til å gjøre min plikt.
Jeg går nå å drikke store slurker av livet i Midgard.
Gå ved siden av meg, og en god venn av menn.
Gi meg sTýrke til å beseire alle jotnene i min sti,
enten de er gigantene i verden av sinnet eller hjertet.
Hjelp meg å gjøre det rette for mitt folk, som du gjør.
Hail Thor!

(TRADUZIONE)
Hail possente Asa-Thor!
Vado avanti oggi per fare il mio dovere.
Vado avanti oggi per bere grandi sorsate della vita a Midgard.
Cammina al mio fianco, o grande amico degli uomini.
Donami la tua forza per sconfiggere tutti i jotuns nel mio cammino,
siano essi giganti del mondo, della mente o del cuore.
Aiutami a fare il giusto per la mia gente, come tu fai.
Hail Thor!

Infine, un piccolo avvertimento: lo special che state per leggere ha un contenuto fortemente violento, tanto che lo considero come un raiting rosso. Di conseguenza, per chi non legge questo genere di cose per la minore età o comunque non gli piace il genere, sconsiglio vivamente il proseguimento.

Detto questo, per coloro che vogliono leggere un ulteriore assaggio di violenza gratuita da parte di Peter (che, pur essendo un cattivo, comincio ad avere in simpatia), auguro una buona lettura! Spero tanto che vi piaccia :D



 

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Tutto è dominato dal silenzio e il buio riempie ogni cosa. Neanche la Luna è apparsa in cielo, forse perché troppo spaventata da lui.
Tutto tace. Tutto giace. E tutto trema.
Fa freddo. Fa più che freddo. È quel freddo che ti attraversa la pelle, che ti entra nella carne, ti gela il sangue e ti paralizza le ossa. È quel freddo che sa di morte. Tutto sa di morte in quel luogo: la terra arida, senza vita; il cielo fosco, senza luce. Quell'estenuante quiete, senza tranquillità.
Gli alberi cupi si chiudono sul ragazzino che incerto si aggira per la foresta. I loro rami arsi e secchi sembrano volerlo afferrare; le foglie scure, prive di sfumature allegre, segno che il Sole non riesce a baciarle con i suoi caldi raggi, scricchiolano come se urlassero per il dolore quando le calpesta, mentre i cespugli ai lati si muovono mossi da quel poco vento che entra, facendolo rabbrividire.
Dellinger non ha idea di come abbia fatto a finire in un luogo tanto tetro. Ricorda di essersi sentito poco bene dopo cena, di essersi sentito come abbattuto, e per questo si è ritirato nella sua stanza per riposare. Poi, come per magia, si è svegliato nel fango, al freddo.
Ha provato a chiamare aiuto in un primo momento, ma nessuno dei suoi compagni gli ha risposto.
Non gli ci è voluto poi molto per capire che nessuno di loro si trovasse nei paraggi, che nessuno sarebbe soccorso in suo aiuto, che se la sarebbe dovuta cavare da solo.
Ora non può far altro che domandarsi come sia potuto succedere, come i suoi sequestratori siano riusciti a non farsi scoprire da Doflamingo, a passarla liscia; ma, più di ogni altra cosa, si domanda perché. Perché lui? Perché rapirlo e gettarlo nel fango in mezzo ai vermi, con il viso schifosamente vicino ad un teschio? Perché torturarlo psicologicamente facendolo girare in tondo per quella foresta? Ha fatto tante cose orrende nella sua vita, senza ombra di dubbio, e di certo non se ne pente o vergogna, solo che gli sembra assurdo che abbiano deciso di prendere proprio lui.
Un ululato, uno solo, tanto potente da far vibrare gli antichi tronchi che lo circondano. Così forte che qualsiasi creatura che avesse deciso di passare la notte nascosta in qualche pertugio decide di scappare, di cercare un nascondiglio migliore, consapevole però che è solo una mera speranza.
Dellinger cammina tremando, tenendosi le braccia ben strette attorno al corpo per infondersi un minimo di calore, in cerca di quella strada che lo porterà alla salvezza, lontano da quei mostri che ha visto vicino alle capanne al centro dell'isola. Perché lui li ha visti quei mostri intenti a divorare carcasse umane; ha sentito le urla delle vittime che imploravano pietà, che chiedevano aiuto. Lui ha visto e sentito, nascosto sulla cima di un albero, e ora non riesce più a toglierselo dalla testa: uomini morti che mangiano i vivi.
Lo stomaco si aggroviglia per l'ennesima volta, e per l'ennesima volta non riesce a trattenere un conato di vomito.
Un bambino mangiava la faccia di un uomo adulto... com'è possibile?!
Un fruscio alla sua destra, troppo vicino per i suoi gusti, lo fa sobbalzare come un gatto. Ha paura, Dellinger, e non lo nega.
Altri fruscii, troppi. Come se un branco di animali selvatici lo stessero accerchiando, come se stessero giocando con lui. Ma a Dellinger questo gioco non piace per niente. È convinto che sia solamente un brutto sogno, e che presto si sveglierà a Dressrosa insieme alla sua famiglia e potrà farsi una bella risata su tutte queste stranezze.
Quando però qualcosa cozza violentemente contro la sua testa, si rende definitivamente conto che non è un sogno. La foresta, il freddo che ti entra nelle ossa, l'osso di un femore umano che è stato lanciato contro la sua testa... sono tutti veri.
Lui è lì per davvero, ormai lo ha capito, e qualcosa lo sta braccando.
«In che razza di posto sono finito?» mormora tra sé e sé, osservando con sguardo attento tutto ciò che lo circonda. Non c'è niente di niente, solo cespugli secchi e foglie cadute a terra.
Ma questo è errato, profondamente errato. C'è qualcuno in mezzo alla vegetazione; qualcuno addestrato ad uccidere, a muoversi come un fantasma, silenzioso e difficile da localizzare.
Anche Dellinger alla fine se ne rende conto. Perché mai dei topi dovrebbero correre all'impazzata nella direzione opposta alla sua? Con quelle creature mangiatrici di uomini non lo facevano.
«Chi c'è...?» pigola incerto, indietreggiando lentamente.
Le foglie scricchiolano assordanti. Ma non sono solo quelle che calpesta lui a produrre quel tetro rumore, no. Ci sono altri passi, proprio davanti a lui. C'è qualcosa che si avvicina lentamente, che lo osserva con attenzione. E Dellinger ha paura davvero. Sente l'odore della morte, sente il freddo farsi ancora più forte che gli penetra nelle ossa e lo fa rabbrividire ancora di più.
Doflamingo, dove sei?! Ho bisogno del tuo aiuto, ti supplico!
Una figura scura, eretta e perfettamente composta lentamente comincia ad avvicinarsi, fissandolo con due magnetici e infernali occhi color del sangue. Occhi cattivi, famelici. E guardano lui, con una tale intensità da costringerlo ad indietreggiare ancora una volta, sempre più velocemente.
Quando però riesce a scorgere in tutta quell'oscurità un sorriso bianco, perverso e vittorioso, è troppo tardi per lui: un ultimo passo alla cieca per distanziarlo, un rumore secco e le foglie che si spostano velocemente. Poi, solo dolore...
«Attento, ragazzo.»
Urla con tutta l'aria che ha nei polmoni, Dellinger, mentre prova ad aprire la micidiale trappola per orsi che per poco non sega in due la gamba. Ci prova e ci riprova, ma i meccanismi sembrano essere stati modificati, e ogni tentativo risulta vano.
«Chi diavolo sei?!» urla spaventato, provando maldestramente a rimettersi in piedi per potersi difendere. Purtroppo per lui, però, questo movimento dettato da un folle istinto di sopravvivenza, altro non fa che peggiorare la situazione: la gamba si spezza ulteriormente, pochi legamenti riescono a tenere ancora l'arto insieme.
Si accascia di nuovo a terra a corto di fiato e, dopo pochi secondi, un paio di scarpe nere e lucide si parano di fronte ai suoi occhi.
«Pare impossibile che un uomo del calibro di Doflamingo si circondi di nullità come te.» lo sfotte aspramente lo sconosciuto, tirandogli pure un calcio in pieno volto che lo fa ribaltare dall'altra parte.
Dellinger si tiene una mano sul naso per bloccare l'abbondante emorragia, sputando a terra qui incisivi superiori, che adesso galleggiano nel suo stesso sangue. Alza lo sguardo, furioso, e finalmente vede il suo aggressore: è un uomo alto e slanciato, dalla pelle bianca come il latte e i capelli neri come la notte, le cui punte sono state tinte di un acceso rosso sangue; indossa una maschera da Oni nera, da cui si vedono solamente gli occhi di un vermiglio intenso; veste con un'elegante giacca nera e un paio di pantaloni a sigaretta del medesimo colore; appeso al collo, dondola un ciondolo tribale di mirabile fattura.
«Inoltre, mi pare impossibile che un uomo temuto come lui, considerato come uno dei più pericolosi pirati in circolazione, non si sia neanche reso conto che gli ho sottratto uno dei suoi preziosi sottoposti, proprio sotto al suo tetto...» insiste l'aggressore, mangiucchiandosi distrattamente un'unghia.
Dellinger, furioso oltre che spaventato, afferra l'osso che gli è stato lanciato contro e prova a tirarglielo, non riuscendo però a colpirlo. La cosa lo lascia assai perplesso in realtà: un attimo prima è davanti a lui, un attimo dopo non c'è più. “Com'è possibile?
«Non si lanciano le cose, non a me.»
Seduto sulla sua schiena, con un piede poggiato sulla sua testa, l'aggressore fiuta l'aria in cerca di un possibile nemico stupidamente entrato in quello che, da adesso, è il suo territorio, non percependo altro che morte e sangue. Morte, sangue, e odore di menta e sudore.
Sente la sua paura, percepisce il suo cuore battere all'impazzata e, sorprendentemente, nutre un certo rispetto nei confronti di questo moccioso che, pur sapendo di essere in pericolo di vita, non osa chiedere aiuto. Non capisce se lo fa perché ormai ha abbracciato l'idea di essere solo, abbandonato alle sue sole ed inutili capacità, o se lo fa per proteggere coloro che ama, che per sua fortuna -o sfortuna?- si trovano su tutt'altra isola.
«Ti starai sicuramente chiedendo perché ti ho portato qui, ragazzino.» afferma con tono indifferente, osservandolo da sotto la propria maschera. Vede solo un'espressione di dolore dovuta alla gamba ormai da amputare, nulla di più, e la cosa un poco lo offende.
Storce la bocca, fa schioccare la lingua e si sistema alla meglio i capelli ribelli.
«Sei qui perché mi annoiavo.» continua, afferrando un ramo spezzato poco distante da sé e cominciando a pungolare la ferita sanguinolenta del ragazzo «Dressrosa è una città poco interessante. Non si trovano più isole degne di attenzione negli ultimi due secoli.» abbassa di nuovo lo sguardo e lo fissa: non lo ascolta, lo ignora totalmente.
Un ringhio basso gli squarcia la gola e, preda di una forte rabbia, lo afferra saldamente per la collottola e lo trascina dentro al bosco.
Dellinger riconosce il sentiero, da lui stesso percorso che lo ha condotto in quel villaggio dei morti viventi, e automaticamente comincia a dimenarsi per poter fuggire in qualche modo, ma è tutto inutile. La sua presa è troppo forte, i pugni che gli tira alle mani sono come carezze per lui.
Calde lacrime gli rigano le guance, lentamente. Vorrebbe essere a casa sua, con la sua famiglia, protetto e circondato dal loro bizzarro affetto.
«Doflamingo ti ucciderà... sei un uomo morto!» gli urla contro nel vago tentativo di intimorirlo. In fondo tutti tremano solo sentendo quel nome, quindi perché non provare?
«Mi spiace contraddirti, ragazzo, ma il tuo padrone non potrà fare niente per vendicarti.» risponde con voce piatta, mentre nella sua mente cerca di mantenere la calma: una mossa falsa e rischia di rivelare troppo, e sa bene che le spie di Fenrir sono sparse un po' ovunque negli ultimi tempi.
Alza Dellinger senza sforzo e lo butta sopra una pietra liscia ricoperta di calce viva, ordinando con un solo schiocco di dita che venga immobilizzato per le braccia e per le gambe.
I suoi fedeli, veloci ed obbedienti, eseguono l'ordine, avendo inoltre la premuta di liberarlo dalla trappola per orsi, che ha completamente maciullato l'arto del giovane pirata, e di privarlo di ogni suo indumento, in modo tale che la calce precedentemente messa sulla pietra ustioni la candida pelle del giovane.
«Che maleducato che sono...» afferma ridacchiando l'aguzzino, avvicinandosi di nuovo al ragazzo immobilizzato che continua a dimenarsi per provare a scappare.
«Ti ho portato fin qui e nemmeno mi sono presentato! È davvero imperdonabile.» insiste, sfiorandogli uno zigomo con la punta delle dita affusolate, per poi sfilarsi dal viso l'oscura maschera, mostrandosi in tutto il suo tetro splendore «Mi chiamo Peter.»
Dellinger lo guarda senza capire. Perché mostrarsi? Perché rivelargli il suo nome? Ma la domanda che gli martella di più in testa è sicuramente: a cosa diavolo gli servono tutti quegli strumenti?
Peter, infatti, ha poggiato vicino al volto del ragazzo una piccola sacca di pelle marrone, assai rovinata dal tempo, contenente svariati attrezzi chirurgici, più o meno arrugginiti. Ci passa sopra le dita, ricordando tutte le volte in cui li ha usati, e un macabro sorriso gli piega le labbra sottili.
Presto, miei cari, avrete l'onore di sventrare un Lothbrook.
«Lasciami andare, bastardo!» gli urla contro il biondino, agitandosi sempre di più «Doflamingo ti farà a pezzi non appena verrà a saperlo!»
Peter scoppia semplicemente a ridere, avvolgendosi l'addome con un braccio. I suoi seguaci lo imitano immediatamente, sfottendo maggiormente il giovane e confuso pirata, che adesso li guarda con ancor più paura.
«Ohhh, Dellinger. Povero piccolo idiota... il tuo padrone non muoverà un dito per vendicarti, quante volte te lo devo ripetere? Non si sarà neanche reso conto che sei scomparso. Quando lo farà, poi, sarà troppo tardi.» sorride mentre lo dice, avvicinando pericolosamente il viso a quello imperlato di sudore e sporco di polvere e fango del ragazzo «Esattamente come me, tu sparirai nel niente, Dellinger. Verrai dimenticato
Si porta di nuovo in posizione eretta, passandogli una mano tra i capelli color dell'oro prima di allontanarsi dal suo campo visivo.
Dellinger lo sente parlare con qualcuno in una strana lingua che non riesce a capire e, non appena Peter torna nel suo campo visivo, sente il cuore fargli una capriola nel petto: in mano stringe una siringa, contenente un liquido trasparente.
«Cosa vuoi fare...?» mormora con un filo di voce, provando ad allontanare la testa quando il nemico gli avvicina l'ago al collo.
«La tubocurarina...» afferma ghignando mentre inietta il pericoloso liquido nell'organismo della giovane vittima «...blocca i recettori nicotinici muscolari dell'acetilcolina, bloccando così la trasmissione dell'impulso nervoso dal nervo al muscolo, che quindi resta paralizzato. Purtroppo per te, però, non inibisce minimamente il dolore.»
Ed è vero. Dannazione se lo è! Più passano i secondi, più Dellinger si rende conto che non riesce a muovere neanche un dito, continuando comunque a sentire il freddo lacerante attorno a sé.
Peter, intanto, armeggia tranquillamente con i vari oggetti, osservandoli con attenzione, finché la sua attenzione non viene totalmente attirata da un paio di vecchie pinze arrugginite, perfette per il suo obiettivo.
Alza di nuovo lo sguardo su Dellinger e comincia a giragli attorno, sorridendo in modo perverso. Con un dito pallido sfiora la sua pelle nuda, facendolo fremere. Il suo istinto primario, quello da predatore assetato di sangue, quello del lupo, gli urla a gran voce di saltargli addosso e di sbranarlo, di divorare le sue interiora, di godersi le sue urla piene di agonia fino al momento del trapasso. Ma non vuole, Peter: vuole dargli una morte lenta, dolorosa, divertente.
Si schiarisce la gola nervosamente, Dellinger, provando nuovamente a liberarsi dalla ferrea presa di quelle catene, inutilmente.
«A cosa serve quello?»
Lui sorride ancora. Ha un aspetto teso, da predatore. Il suo è il sorriso del lupo poco prima di chiudere le sue fauci affamate sul coniglio in trappola.
«Le tue unghie sono poco curate...» gli afferra con delicatezza una mano e gli stende le dita, afferrando con decisione l'unghia dell'indice con le pinze precedentemente scelte «Ora le sistemo io.»
Improvvisamente, il mondo di Dellinger diventa un film al rallentatore. Ogni secondo sembra un minuto. Lo guarda con gli occhi ricolmi di angoscia, come se fosse una creatura di un incubo, come se l’atmosfera fosse improvvisamente diventata densa come sciroppo, e urla con tutta l'aria che ha nei polmoni quando l'unghia viene strappata via. Urla ad ogni strappo, senza avere la possibilità di ribellarsi.
Le unghie, una dopo l'altra, vengono lentamente asportate. Le ripone tutte in una piccola scatoletta azzurra, Peter, deciso ad usarle per decorare qualcosa. Così come è deciso a creare dei piccoli centrotavola di pelle.
Lo guarda ora, ridendo della sua disperazione e del suo dolore. Gode della sua angoscia, l'assimila e se ne nutre avidamente.
«Basta! Ti prego! IO VOGLIO VIVERE»
Vita... morte... ormai questi concetti non hanno più significato per lui.
Hanno perso ogni attrattiva nel momento esatto in cui Killian, il più caro amico che avesse al mondo, lo tradì, dicendo all'Imperatore cosa faceva nel tempo libero.
“È solo un gioco, a voi non farei mai del male!” e ci credeva sul serio mentre lo diceva. Lui era serissimo, puro nel cuore e pieno d'amore nei loro confronti. Ma non gli hanno creduto. Non gli hanno creduto e lui, l'uomo per il quale avrebbe sacrificato volentieri la sua preziosa vita, lo ha esiliato, condannandolo alla morte.
Ma non è morto. È rimasto chiuso in sé stesso per almeno un secolo, cibandosi di roditori e rettili di piccole dimensioni, domandandosi dove avesse sbagliato, perché il suo adorato creatore lo avesse ripudiato in quel modo. Ma poi ha capito! Eccome se ha capito: Fenrir preferiva Killian, tutto il branco e gli alleati lo preferivano, e lui era diventato solo un peso, un ostacolo che non permetteva a quel lupo prodigio di splendere come doveva.
È da quel momento, da quell'illuminazione, che ha cominciato ad escogitare un modo per vendicarsi. Doveva essere qualcosa di glorioso, tanto crudele da mettere in ginocchio qualsiasi creatura si fosse chiamata fuori dallo scontro; così magnifico, da renderlo il nuovo e assoluto Imperatore.
«Bisturi!» afferma ridacchiando maniacalmente, facendo ridere di gusto pure i presenti. Una delle sue accompagnatrici, muovendosi lentamente e sensualmente, gli porge un coltello rovente e Peter, senza mai abbandonare il contatto visivo con quei magnifici e seducenti occhi piene di promesse, mozza di netto la lingua al ragazzo, che dal canto suo prova ad urlare per il dolore che tale mutilazione gli provoca, rischiando di soffocare con il proprio sangue.
Peter abbassa gli occhi su di lui, ridacchiando perversamente mentre lo guarda e gli sventola davanti al viso il muscolo mozzato «Prima mi dava molto fastidio il suono della tua voce, spero che non me ne vorrai.»
Dellinger non lo ascolta neanche più. Perché mai dovrebbe? Ormai ha ben capito che la sua fine è sempre più vicina, quindi non può far altro che piangere e pregare che il folle masochista che adesso tiene in mano un affilato rasoio ponga velocemente fine alle sue pene.
Questo suo atteggiamento passivo, però, non piace per niente al violento sociopatico che lo sovrasta, ed è per questa ragione che, senza aggiungere altro, comincia a spellare la gamba ancora sana del pirata, stavolta ignorando le sue urla. È un lavoro delicato quello dello spellamento: un solo movimento sbagliato e tutto va ricominciato da capo.
Taglia minuziosamente dalla caviglia fino al ginocchio, sorridendo all'idea che a breve, non appena la pelle sarà stata adeguatamente lavorata, potrà finalmente avere i centrotavola che tanto desiderava.
Per una pelle così bella e vellutata dovrò farmi pure un adeguato servizio da tè.” pensa osservando la pelle stesa di fronte ai propri occhi. La guarda con attenzione, cercando un qualsiasi difetto che però non trova, e un allegro sorriso gli illumina il viso sempre tetro.
«Scioglieteli, io ho finito.»
Una creatura come Dellinger, secondo i pareri di Peter, non è degna di finire negli stomaci delicati dei suoi sottoposti. Una carne marcia come la sua, corrosa da tutte le menzogne che girano per le strade di Dressrosa, non merita di essere digerita da una creatura tanto nobile. È degna però di essere sbrindellata ed ingerita da creature che sono già marce, che non hanno una volontà propria, ed è per questo che fa liberare gli zombie, prima tenuti alla catena dalle sue donne.
I morti viventi si incamminano goffamente verso il ragazzo mezzo morto per dissanguamento. Li guarda con angoscia crescente, ma ormai non prova neanche più a ribellarsi. Non ha alcuna voglia di continuare a vivere dopo un evento del genere, e non ha neanche le forze per poterlo mandare al diavolo.
Non appena sente i primi denti marci affondare nel suo pallido collo, semplicemente chiude gli occhi, salutando per un'ultima volta la sua famiglia. Li vede tutti, dal primo all'ultimo, e spera con tutto il cuore che a loro non capiti la stessa sorte.
Peter guarda con distacco il macabro spettacolo che gli si presenta, sogghignando quando due non-morti si azzuffano tra loro per un organo interno già divorato per metà.
Si volta con calma, incamminandosi verso il fiordo in cui hanno ormeggiato la nave, lontani da occhi indiscreti.
I suoi seguaci si apprestano a seguirlo, rimanendo sempre un paio di passi dietro di lui, discutendo animatamente tra loro su chi sarà colui che ucciderà più traditori nell'imminente guerra.
Peter non li ascolta, troppo preso dalle proprie preoccupazioni. Quando però la sua bionda accompagnatrice lo affianca, si trova costretto a dover dar voce a tali preoccupazioni.
«Quel povero scemo come se la passa?» domanda con tono infastidito a causa della loro vicinanza. Si era infatti raccomandato più volte di non essere avvicinato tanto se non su richiesta, ma la bionda licantropa pare non capirlo. Per sua enorme fortuna, però, è talmente bella che ucciderla sarebbe un peccato pure per Peter.
«Due metri e ventisette di altezza per centoquattro chili. Il suo organismo reagisce ottimamente al trattamento, tanto che ogni ferita mortale che gli è stata inflitta con armi d'argento risultano totalmente inutili. Il frutto che gli avete donato, inoltre, è un Paramisha molto utile.» gli risponde con un amplio sorriso la ragazza, sognando ad occhi aperti il giorno in cui potranno finalmente liberare il soggetto e distruggere il mondo intero «In definitiva: l'esperimento sta riuscendo magnificamente
Peter sorride soddisfatto, passandosi una mano tra i capelli e allungando il passo. Se il ragazzo da lui scelto non fosse riuscito ad assimilare così bene i virus da lui creato sarebbe stato un bel problema. Avrebbe dovuto ricominciare tutto da capo, sprecando così tempo prezioso che invece vuole impiegare per fortificare il proprio esercito.
«Bene, conducetemi al suo nascondiglio.» ordina con tono duro, voltandosi per un breve istante verso la ragazza e sorridendole con aria enigmatica «È giunto il momento che anche lui mi adori.»


Angolo dell'autrice2:
La verità? Volevo andarci più pesante. Molto più pesante. Però non ci sono riuscita >.< Non sono proprio capace a scrivere scene di questo genere! Come diavolo farò quando ci sarà la guerra?! O, peggio ancora, come diavolo farò con il sequel, che sarà ben più pesante di questa storia?! Bah, troverò un modo... devo trovarlo!
Adesso, tralasciando tutti i miei vari lamenti, non posso davvero più trattenermi dallo sfogare tutto il mio disprezzo nei confronti di questo... coso.
[...]Perché lui? Perché rapirlo e gettarlo nel fango in mezzo ai vermi, con il viso schifosamente vicino ad un teschio? Perché torturarlo facendolo girare in tondo per quella foresta?[...] PERCHÈ STAI SUL CAZZO ALL'AUTRICE, STRONZETTO! >:] Non dovevi toccare Bellamy...
Non. Dovevi. Toccarlo!

Ok, ok. Mi calmo, basta. Non ucciderò più un personaggio creato da Oda-sensei se non ai fini della trama, lo prometto. (Però tu, piccola caccola bionda, sei morto! Morto che più morto non puoi essere! E non è altro che BENE!)
Ok, basta. Oggi chiudiamo così! :P

A presto, un bacione
Kiki ♥


PS: piccolo angolo di pubblicità: ho pubblicato qualche giorno fa un piccolo missing moment su Astrid, con protagonisti i fratelli Donquixote. Se a qualcuno potesse interessare... :3 ♥

  
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