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Autore: Giorgia Alfonso    15/10/2014    4 recensioni
"Lontano dagli occhi lontano dal cuore", un motto che potrebbe confermare Gemma Brizzi. Passare dalla piena felicità ad una voragine di sentimenti cupi, contrastanti e senso di perdita, ma non volersi arrendere nemmeno per un secondo. Nemmeno per un attimo di riposo. Eppure, colui che l'ha spinta dentro quel buco nero è l'uomo che un tempo avrebbe considerato la sua stessa vita. Tanti sacrifici buttati in aria, tanti viaggi affrontati solo per lui. E quel fato diabolico che sembra volerle dare un'altra possibilità, un'ultima partenza, un ultimo arrivo, un ultimo viaggio, un'ultima occasione ... per riprendersi quell'amore apparentemente perduto.
Seoul, la grande città coreana che di primo acchitò la spaventò tanto, giungendo lì per una vacanza che, in teoria, doveva essere semplice relax. Invece si era rivelata una manna ... per lo meno inizialmente. Ora invece, tornare a calpestare quel suolo potrebbe portarla alla rovina più completa o ad un nuovo inizio.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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8 Capitolo
 
 
 
 
Si diressero nella caffetteria dove Sarah Kim li stava aspettando pazientemente. Nell’attesa, quest’ultima, aveva ordinato un dolcetto, oltre al suo beverone al lampone con pezzi di tapioca che sguazzavano nel fondo. Seduta comodamente, con le ginocchia raccolte, era intenta a leggere tranquillamente un libro, quando notò l’arrivo dei due dalla vetrina.
Gemma davanti al chilometrico ragazzo, camminava velocemente e quella fretta faceva presagire che qualcosa doveva essere andato storto. La postura stessa rivelava ciò che non riusciva a celare l’espressione facciale: irritazione. Chiuse dunque il libro e si mise meglio composta, passando sotto osservazione anche il “principe” in completo elegante, che a sua volta stava avanzando.
«Tutti! Dico tutti, ma non lui!» Esclamò Gemma, ancora a qualche metro di distanza, «Poteva capitare chiunque, ma perché proprio un tipo come lui?» Indicò il coreano, che ormai l’aveva raggiunta. Fermo al suo fianco, aveva piegato le labbra in un becco sconsolato, fissando la ragazza con superiorità, dall’alto in basso. Insomma il sentimento era reciproco.
«Non lo voglio più vedere!»
Sarah ebbe tutto il tempo di prendere il bicchiere e fare un sorso dalla cannuccia, durante lo sfogo dell'amica. «Che è successo?» Si degnò a chiedere, sebbene sembrasse riluttante.
«Basta! Non voglio lui come partner, voglio trovarne un altro.» Riferì più chiaramente l’italiana.
Sarah spostò lo sguardo verso l’attore silenzioso, «lei può spiegare più chiaramente cos’è successo?»
Costui alzò le spalle. «L’improvvisazione era perfetta e ho fatto come voleva», avvertì lo sguardo furioso della straniera sulla nuca, ma nonostante questo continuò a parlare. «Ad ogni modo non devo giustificarmi con voi. Oltretutto doveva essere solo per questa sera … », fece presente alla stizzita, « dunque stia tranquilla, nemmeno io ho intenzione di rivederla tanto presto. Ma colga il consiglio di chi ha qualche annetto in più: se vuole davvero morire nel suo dolore e tornare con qualcuno che non le darà mai la sicurezza di cui ha bisogno come donna, lo faccia! Ma non giochi con i sentimenti, vada direttamente a parlare con quella persona.»
«Mi dispiace, ma da lei non voglio cogliere nulla.» Ribatté sempre più seccata. Cosa ne sapeva quel damerino di ciò che provava? Non conosceva i reali fatti e di come erano stati quegli anni di relazione con Yon U. Parlare di un possibile futuro era a dir poco ancor più ridicolo.
Vedendo la sfacciata determinazione della giovane donna, fece una smorfia di sopportazione e gettò la spugna: «Bene, faccia un po’ come le pare. Alla fine se vuole continuare così sono scelte sue. Mi chiedo solo: cambiando partner, non risulterà agli occhi di quel ragazzo …», si voltò in un gesto quasi studiato, la fissò, i loro nasi a pochi centimetri di distanza in segno di sfida, «… una donna facile?» Si scostò quasi immediatamente, «Non ci farà una bella figura. Ma ripeto: affari suoi.»
Prendere il bicchiere dell’amica e versare il contenuto sulla testa dello spilungone, fu in un primo momento un desiderio molto difficile da sopprimere.
«L’unica cosa di cui posso impicciarmi …», aggiunse prima di concludere definitivamente, « se avrete ancora intenzione di fare giochetti di questo tipo, è meglio per voi se rinunciate a cercare attori nella mia scuola.»
Entrambe le ragazze a quel punto ripeterono quasi all’unisono: «La sua scuola?»
Aveva già dato loro le spalle, ma in quell'istante tornò a guardarle. «Sono il direttore dell’Art Keukjang.»
Sarah con uno scatto drizzò la schiena, «oltre che bello ed elegante, è pure ricco?»
«Come prego?»
«Un uomo d’altri tempi che non mi deve sfuggire», sussurrò la coreana come se fosse sola in quella stanza. Tanto che lui dovette concentrarsi per capire cosa stesse dicendo quella pazza, socchiudendo gli occhi in una smorfia quasi sofferente e di certo irritato.
Poi però ci rinunciò. Con un gesto della mano manifestò la resa ad entrambe. Un movimento ideale per scacciare delle fastidiose mosche, o per mandare al diavolo le persone.
Se c’era un modo per trattenerlo ancora un po’, solo Sarah Kim poteva scoprirlo ed infatti in un lampo di genio si ricordò di una cosa estremamente importante, specie per l’attore: «Non se ne può andare! Non l’abbiamo ancora pagata! …  Abbiamo capito: non vuole più prestarsi a queste cose, ma in fondo lo aveva detto fin da subito che ci avrebbe dimostrato la sua bravura una sola volta.» Cercava di addolcirlo, mentre Gemma sbuffava e il direttore le lanciava occhiatacce, come se avessero ingaggiato ormai una lunga e infinita guerra. Più che guerrieri, potevano benissimo essere paragonati a bambini indispettiti. «Ma c’è stato un errore. Davvero! Noi non avevamo capito che lei era addirittura il direttore!. Ci scusiamo tanto per questo, pensavamo che fosse uno dei tanti ragazzi che si prestano a questa-»
Zittì Sarah avvicinandosi in modo quasi minaccioso, con una mano ad indicarla, «Non lo dica nemmeno! I miei ragazzi non si abbassano a questo tipo di cose, chiaro?» Ricompose la sua elegante figura, pensando di esser stato forse troppo duro e poco cortese di fronte ad una signora, per quanto pazza potesse sembrare. «A mai più rivederci.» Disse infine, voltando le spalle ai due elementi tanto sgraditi.
Gemma incrociò le braccia osservandolo, «attore dei miei stivali», sussurrò poi, spostando con un gesto nervoso la sedia di vimini per potersi accomodare.
«Però sul serio non lo abbiamo pagato.» ricordò Sarah, prendendo la sua ordinazione e bevendo il Bubble tea1. Fissò una Gemma ancora adirata, « vuoi una tisana per calmarti?»
«Non servirebbe.»
«Si può sapere cosa vuol dire che ha improvvisato. Cioè in che senso? Cos’ha fatto?» Volle indagare il “detective Kim”. «Ah! Lascia stare. Se non vuoi, non dirmelo. Ma se continui così farai innervosire anche me. »
Lo sguardo ancora corrucciato fissava il bicchiere di cartone alla base, dove le palline gelatinose stavano nuotando in quella bevanda dolciastra, mosse dal mescolare di una cannuccia. Gemma non voleva appagare la curiosità dell’amica, « ti basta sapere che non voglio più incontrarlo.»
«Una donna normale avrebbe il desiderio contrario, dopo aver visto quel tipo. Io per lo meno. » Posò il suo Bubble tea in malo modo, e si riposizionò come qualche minuto prima, togliendo addirittura le scarpe da ginnastica. Nella capitale sud coreana non era strano, sporco o indecente vedere scene simili. «Devo fare in modo di ricontrarlo… assolutamente!» Pensò di escogitare qualcosa in modo da ottenere un nuovo appuntamento, ma in verità l’unico asso nella manica a sua disposizione … era Gemma. La fissò con finto astio, « per colpa tua invece temo non potrò più vederlo!»
Quella frase e quella sua espressione spinsero l’occidentale a lasciare andare la rabbia. Sospirò, prima di dare un leggero buffetto alla spalla di Sarah, « eh, dai! Non portarmi rancore. Ti assicuro che quel tipo non è niente di speciale.»
«Io non sono d’accordo.» Sbuffò delusa, giocherellando con la bibita, « è così che mi ripaghi dopo aver trovato la camera perfetta per te! Fai soffrire il mio cuoricino, facendo scappare l’uomo della mia vita.» La voce infantile per suscitare una compassione inesistente.
L’amica infatti le rubò il bicchiere, facendo un sorso davanti ai suoi occhi, « ma quale uomo della tua vita! Ne cambi uno ogni mese.»
«Devo maritarmi!» Tirò fuori la solita scusa.
Il problema è che …  si trattava di una risposta seria.
 
 
 1 Bubble tea è una bevanda nata negli anni 80 a Taiwan e va per la maggiore in Corea del sud, come in quasi tutta l'Asia. E' a base di té verde o nero con aggiunta di latte o senza anche, a volte si ha pure combinazioni con il cioccolato. Le bubbles da cui prend il nome sono balline che affondano nella bevanda, di tapioca o frutti gelatinosi.



 
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 9 Capitolo
 
 
 
 
Per molte persone alloggiare ad Hongdae equivale vivere a Disneyland. O più precisamente in una discoteca a cielo aperto. Non tutti però aspirano a quel tipo di locazione. Ben che meno Gemma Brizzi, l’ultima a dover gioire di quel caotico intrattenimento. Sperava solo che la zona non fosse proprio nel centro del quartiere tanto amato dalla gioventù multiculturale.
Si chiese se fosse dovuta alla "vecchiaia" incombente, questa sua insopportazione di certe superficialità, ma nel ricordare che derivava tutto dal suo carattere poco sociale, paziente e permissivo, si rincuorava. Insomma non le era mai piaciuto fare baldoria, ubriacarsi fino a tarda notte, urlare a squarciagola e stringere un certo tipo di rapporti con uno sconosciuto diverso ogni sera. In verità, non era il tipo che concedeva facilmente nemmeno un semplice ballo in pista.
Forse era proprio l’esatto contrario di Sarah Kim, la sua amica dalle origini coreane, che aveva sempre avuto un certo debole per i capi succinti e appariscenti, serate con amici conosciuti da tanto o poco che fosse, alcool e balli sfrenati fino a mezzanotte. Le bastava un secondo per attaccare bottone con il sesso opposto, ma anche con il genere femminile se la cavava benone. Era una calamita umana che attirava gente, buona o cattiva che fosse.
Fin da subito immaginò il motivo di quella scelta: non era solo dovuta alla vicinanza tra quel luogo e il quartiere dove Sarah risiedeva, e forse nemmeno tanto il prezzo abbordabile, ma il fatto che si trattasse proprio della zona più apprezzata dagli amanti della movida notturna. Insomma, ora Sarah Kim aveva un buon pretesto per recarsi in un club quando e come voleva, tanto la scusa sarebbe stata quella di dover andare a “trovare” l’amica in visita nella capitale.
Fortunatamente l’edificio era situato in una zona meno trafficata di Hongdae, poco distante dal godurioso fulcro di divertimento. Il silenzio regnava quasi indisturbato, grazie all’assenza di traffico cittadino, inteso non solo di automobili ma anche umano. Si tranquillizzò notando la via in cui avrebbe alloggiato, esattamente un come quelle che piacevano tanto a lei: i classici pacati vicoli di Seoul.
Sì, sembra strano, ma nella città che non dorme mai, piena di gente, luci e musica, vi sono anche spazi insolitamente intimi e quieti, dove poter passeggiare soli, in compagnia dei propri pensieri.
Era una struttura piuttosto bassa, nessun palazzone in vista, i mattoni rossi erano molto caratteristici e gli donava un aspetto quasi invitante e famigliare. Per entrare in quella specie di dormitorio, bisognava scendere le scale, non salirle come si sarebbe aspettato chiunque. Una cosa carinissima era proprio quell’abitacolo in discesa, incurvato, davvero delizioso. Leggera oscurità a parte, sperava solo che di notte il buio non incombesse sovrano, voleva evitare di farsi del male scendendo le scale. Per lo meno si trattava solo di due piccole rampe.
Ecco, una nota negativa era l’ampiezza di quell’entrata, bella perché quasi intima, ma forse anche troppo intima: ci passavano benissimo due persone di stazza normale, ma una terza sicuramente no. Una ragazza asiatica infatti, forse cinese, stava  uscendo dal dormitorio, quando si bloccò sulla prima rampa, attendendo di poter passare. Notandolo, Gemma e Sarah logicamente si spostarono in fila indiana e il problema si risolse, anche se con il trolley a presso la cosa si rivelò assai scomoda.
L’atrio era straordinariamente caldo, con colori che richiamavano il rosso mattone, ma più leggeri, quasi arancio o un giallino tendente al beige.
«Non è male, giusto?» Chiese conferma colei che aveva scelto il posto.
Gemma lo stava ancora osservando con occhi curiosi, « ti dico la verità, un claustrofobico morirebbe qui sotto. E’ talmente incavato da sembrare quasi una cantina. Forse un sommelier si sentirebbe più a casa. Il punto è che, nonostante tutto, sì! Trovo questo posto … oserei dire delizioso!» Proferì decisa, « grazie a Dio, ripeto, non soffro di claustrofobia! Però mi piace.»
Vi era un solo piano in tutta la struttura, che appariva stranamente tonda, se pur senza esserlo. A dare quel senso era il gioco delle mattonelle a mosaico: giravano verso il centro della stanza, dove vi era un grande tavolo privo di angoli, addossato ad una colonna rettangolare. Le camere poste ai lati erano composte da semplici porte marroni senza fronzoli, con il numero scritto in alto. All’interno non si aspettava di certo chissà quale spazio, sperava solo …
«C’è il bagno in camera, vero?»
«Sì sì, me ne sono assicurata. » La rincuorò immediatamente Sarah.
Quattro stanze da un lato e altrettante quattro dall’altro. Non dovevano esserci molti ospiti e forse quella cinesina era uno dei pochi. Quando un giovane asiatico dalla pelle più scura, uscì dalla stanza numero tre, le ragazze compresero di non trovarsi in un dormitorio esclusivamente femminile, bensì condiviso da entrambi i sessi. Non che avessero avuto specifiche esigenze in merito. Se ognuno aveva il suo bagno, il problema non si poneva.
Il ragazzo osservò incuriosito la straniera nell’atrio, sorridendo quasi incantato. A Gemma la cosa non sfuggì, ma non si sentì affatto infastidita, si trattava comunque di un’espressione gentile e non molesta. Il ragazzo andò verso il frigorifero, dalla parte opposta della stanza, vicino alla porta numero otto. Lo aprì, dando sempre qualche occhiata alle ospiti appena giunte. Prese una bibita e tornò verso la sua camera.
Non era particolarmente attraente, ma abbastanza alto, ben vestito e soprattutto aveva l’aspetto da brava persona.
«Hello!» Salutò impacciato, trattenendosi dal ridere e fissando negli occhi Gemma. Le ragazze ricambiarono e così, contento, se ne tornò da dove era venuto.
«Sembri avere buoni vicini pure.» Constatò Sarah. «Ne hai già conquistato uno.» Avvertì una breve spinta subito dopo aver pronunciato quella battutina maliziosa.
«Allora … con chi dobbiamo parlare? Qui non c’è nessuno.» Fece presente la più vecchia delle due, seguendo l’amica, che nel frattempo si era accomodata in una delle sedie, attorno logicamente a quell’unico tavolo presente.
Anche se era pieno mattino, la luce che entrava dalle grandi finestre, addossate molto in alto nella parete frontale, sembrava donare allo spazio una luminosità estiva un po’ malinconica, ma piuttosto viva. Forse le tende arancio giocavano a favore, regalando un’atmosfera quasi da inizio tramonto.
La fina colonna non escludeva la vista, si poteva notare in fondo alla sala, una sorta di postazione reception o almeno così dava l’idea: era un bancone di legno chiaro, che si abbinava bene al contesto. Molto stretto e curvo, creava un minuscolo antro in stile segreteria, sicuramente per colui che si occupava del luogo in questione; allo stesso tempo però, non ingombrava in quello spazio povero offerto dall’entrata, che chiaramente era anche la zona relax.
Una bacheca di sughero, appesa al muro dietro la postazione del proprietario, colma di pubblicità e post it attaccati ed infine, affianco a questa, compariva una nona porta, forse un salottino?
Improvvisamente le ragazze sentirono lo scrosciare di un wc e una porta aprirsi. Un uomo mediamente basso e scapigliato uscì da una sorta di anti bagno, affiancandosi al frigorifero, contenente tra l’altro un sacco di cibarie. Compresero dunque che doveva esserci un’altra apertura in quel punto, con un bagno in comune o forse privato.
L’ometto appena giunto, si preoccupò immediatamente, avvicinandosi alle due giovani in attesa. «Scusate, avete bisogno di qualcosa? Siete ospiti dell’ Ilmol-house? Oppure …»
Sarah si alzò, salutando cordialmente l’anziano con un inchino. «Siamo qui per vedere e prenotare una camera. Avevo parlato forse con lei al telefono …»
«No, impossibile. Scusate, ma io non sono il proprietario. Sicuramente avete parlato con lui. In questo momento si è assentato, ma potrebbe tornare a momenti, se è possibile, dovreste attenderlo un attimo.» Dispiaciuto fece loro il gesto di tornare ad accomodarsi.
Sarah guardò preoccupata Gemma, « non ho molto tempo », le ricordò del suo appuntamento.
Quest’ultima allora si rivolse al vecchietto: «Senta, lei è un impiegato di questo posto, giusto? Non può mostrarci personalmente la camera? Se ci piace la prenotiamo di sicuro. La mia amica ha un colloquio di lavoro, quindi non possiamo attendere molto.»
«Di lavoro facevo il custode e non qui », spiegò con un sorriso costernato. Stava per voltarsi e lasciare le ragazze sole nella sala d’attesa, quando ci ripensò: «Però se avete molta fretta, penso non ci siano problemi a mostrarvi una stanza, giusto?» Come se non desiderasse altro che un pretesto per mettersi al lavoro, l’anziano scattò dietro al bancone. «Inoltre mi è stato detto di fare le veci del proprietario finché è assente. E da giovane ho fatto anche il receptionist in un grosso albergo.» Bloccò la smania di raccontarsi solo quando trovò il libro delle prenotazioni.  «Al momento vedo che ci sono solo due camere disponibili.»
«Beh, noi avevamo chiesto quella più grande con il bagno. Avevo dato anche un nominativo: Kim.» Riferì colei che portava quel cognome.
«Oh!» Il vecchino picchettò il dito sul quaderno delle prenotazioni, « qui infatti c’è scritto leggermente in matita il suo nome, signorina.» Cercò poi la chiave della camera e divertito passò avanti alle donzelle, « niente di più facile!» Aprì la porta numero otto, mostrando loro cosa si celasse al suo interno.
La stanza risultava un po’ cupa rispetto alla sala relax lasciata alle spalle. Un letto matrimoniale era posizionato subito alla loro destra, a sinistra invece vi era un box doccia abbastanza ampio, contenente anche i sanitari. Un’unica finestra ad illuminare il tutto, una piccola tv sotto a questa e un armadio addossato al muro. I colori che prevalevano: bianco della parete e marrone scuro del resto dei mobili.
«Devo dire che preferivo l’atrio, ma non posso lamentarmi.» Fu sincera Gemma.
Sarah sorrise ed annuì. «Ajeossi2 la prendiamo!» Confermò rivolgendosi all’anziano. Ma questo alzò subito le mani:
«Perdonatemi, ma per il pagamento dovrete aspettare il proprietario.» Le due ragazze si guardarono negli occhi sconsolate, per poi supplicare nuovamente il vecchietto. « Potevo solo mostrarvi la stanza ed è quel che ho fatto », negò l’aiuto facendo oscillare la testa, « ma … forse se avete dei contanti … Potrei sempre controllare la lista prezzi alla reception.» Aggiunse uscendo dalla stanza e cercando di venire incontro a delle clienti in difficoltà. Sembrava divertirsi molto in realtà, come se fosse tornato indietro nella sua lontana gioventù, anche receptionist di un dato ed importante Hotel.
«Ho solo la carta di credito ajeossi e se si fida, sappiamo noi quanto costa. Ce lo aveva riferito il proprietario al telefono.» Rispose Gemma seguendolo.
Il vecchietto di nuovo si mostrò contrariato. «Anche se fosse … non so usare quei cosi moderni.» Gesticolò con le dita quasi spazientito. «No, purtroppo non posso far altro per voi, mi dispiace.» Cambiò improvvisamente atteggiamento e nel suo volto segnato dall’età, comparve una ruga di delusione. Chiuse la stanza a chiave e, stanco, si accomodò al tondo tavolino. Non aveva un’andatura stabile, forse soffriva di reumatismi vista l’età.
Gemma prese Sarah per un braccio e le disse: «Tu vai! Sto io ad aspettare. Devi assolutamente fare quel colloquio, quindi inizia ad avviarti. Poi quando ho finito ti faccio uno squillo.»
La ragazza concordò con un cenno della testa. «Meglio se ti chiamo io quando ho terminato. Immagino vi siano altri candidati, potrei dovermi mettere in fila. Tu mandami un messaggio appena hai ottenuto la camera.» La salutò con la mano, poi si rivolse al vecchietto chinando leggermente il capo e sussurrando elegantemente un “annyeonghi kyeseyo” sentendosi rispondere “annyeonghi kaseyo3.
Gemma afferrò il suo trolley, spostandosi verso una delle sedie li vicine, al fianco del signore coreano, intento a leggere una qualunque rivista. Proprio questa, poco dopo, venne gettata dall’ajeossi innervosito.
«Aaaaah! Sti ragazzacci, come diavolo si vestono al giorno d’oggi!?» Brontolò.
Gemma allora allungò il collo, osservando la pagina semi aperta quel tanto che bastava a farle riconoscere un artista kpop: G Dragon4. Trattenne una risata, emanando però un suono piuttosto buffo. “Ragazzacci”, poteva capire la sua indignazione dato che stava osservando una rivista sulla moda maschile e femminile tra gli artisti del pop coreano. G dragon poi era uno dei più eccentrici del suo genere.
«Scusi.» si affrettò a riferire, preoccupata che l’altra persona potesse offendersi. Ma l’ajeossi non se la prese per quella risatina mascherata, anzi a sua volta tentò di capire la mente di tali generazioni:
«Uomini talmente belli da sembrare donne e in più truccati. Per lo meno si vestissero decentemente. Ma a voi donne piacciono sul serio?» Tornò al suo brontolio, « questo giornaletto da poco conto lo avrà lasciato qualcuno degli ospiti!» Ancora una volta allontanò da sé la rivista quasi malamente, in fine tornò a guardare la straniera. «E lei? Cosa la porta a Seoul?»
La ragazza seria in volto rifletté bene sulla risposta da dare. «Il mio fidanzato abitava qui.»
«Per lavoro? … O è coreano?»
«Coreano», abbassò lo sguardo, non aggiungendo altro.
«E ora si è trasferito dove?» L’occidentale gli mostrò un’espressione persa, non avendo capito la domanda in sé. «Ha parlato al passato», sospirò l’anziano, « non so se si sente dall’accento5, perché ormai sono qui da parecchio tempo, ma anche io per lavoro mi sono dovuto trasferire. Molti di noi lo fanno. Nel mio caso ho lasciato la campagna per la metropoli. Qui c’erano molte più possibilità allora, ma costava tutto troppo. Così la mia famiglia è rimasta nella nostra reale ubicazione.»
Gemma ascoltava volentieri il racconto del “nonnino”, che sembrava pure triste mentre confessava il suo passato, una malinconia però lontana, tanto che sembrava colmarsi di sollievo. «Ora Seoul è un caos di razze e persone. Per esserci il lavoro c’è, ma la concorrenza è spietata ed inoltre sono troppo vecchio per continuare a stare in mezzo a tutti questi giovanotti … Se poi si vestono come quel cantante!» Diede un’ultima occhiata stizzita al giornale, « i miei figli sono tutti accasati, lavorano e io ho messo abbastanza denaro da parte per tornare nella mia bella campagna, finalmente.» La fissò in silenzio per qualche secondo, avendo concluso la sua personale storia. «Riguardo al quella persona … Sembra che non abbia voglia di parlarne.»
La ragazza sorrise gentilmente, ma senza mostrare il vero sentimento. «In verità non stiamo più insieme.»
L’ajeossi allargò i piccoli occhi a mandorla, imbarazzato per aver sollevato un argomento forse sconveniente. Intanto Gemma se ne stava a capo chino, intenta a fissare le sue stesse scarpe.
«E’ giovane! Si rifarà!» Tentò di consolarla, accogliendo nuovamente quel triste sorriso. «Senta, dato che vuole prendere la camera, mentre attende che ne pensa di entrare e sistemare le sue cose?»
Finalmente poté vedere un sincero sorriso su quel bel volto di ragazzina. «Mi farebbe un grande piacere ajeossi!»
Accolto il favore, il vecchino andò a riprendere le chiavi e le consegnò direttamente alla nuova ospite. Questa lo ringraziò e si infilò nella sua stanza, mentre l’attempato coreano rispondeva ad una chiamata sul cellulare. «Yeoboseyo?6» Fece una pausa, per permettere all’altra parte di rispondere, « sei di ritorno? Bene. Guarda che è arrivato l’ospite che aveva prenotato a nome di Kim. Sì, la stanza otto. Le ho già dato le chiavi, le piace e la vuole prenotare, però non ho preso il compenso non sapendo …», si bloccò di nuovo, ascoltando la voce della controparte. «Ah, okay. Sicuro che possa andare?» Mentre parlava girovagava per la stanza, come se non riuscisse a stare fermo. Troppo eccitato per l’imminente partenza o forse una problematica dovuta sempre all’età. «Bene allora, visto che posso, vado a fare i bagagli! Eh? Certamente! La metropoli non mi mancherà e non vedo l’ora di riabbracciare la famiglia.» Continuò la conversazione spostandosi verso l’uscita.
Gemma aveva udito qualcosa della telefonata e comprendendo che il “nonnino” se ne stava per andare, volle ringraziarlo ancora: aprì debolmente la porta, chiamandolo con un sussurro, sperando di non disturbare la conversazione. «Ajeossi! … Scusi. Se ne va? Allora la saluto.»
Lui rise contento, distogliendo l’orecchio dal telefonino, « è stato un piacere conoscerla.» Lei annuì.
Si stavano per lasciare definitivamente, quando il coreano richiamò la sua attenzione: «Agassi, non so bene i fatti, ma se uno dei due ha preso una triste decisione può solo significare che non eravate fatti l’uno per l’altra. A volte ciò che chiamiamo amore si rivela solo un’imitazione o ancora qualcosa di intensamente temporaneo. A quel punto … meglio perdere quel dato sentimento per lasciar spazio ad uno più autentico e duraturo. Pertanto non si preoccupi troppo, troverà la persona che vorrà lottare per lei, con lei e che saprà sostenerla, facendosi a sua volta sostenere. E’ bello collaborare e comprendere di non essere sempre soli, per lo meno quando si è una coppia. No?»
Concluso il suo pensiero, entrambi si sorrisero, annuendo in segno di saluto.
 
****
 
Qualche minuto più tardi qualcuno bussò alla sua porta. Proprio in quel momento lei si stava vestendo e dunque, ancora in reggiseno e mutande, non poté andare ad aprire, prima chiese chi fosse.
«Sono il proprietario del Ilmol-house, le sarei molto grato se potesse uscire per il pagamento della stanza.» Annunciò una voce cordiale e rassicurante.
Gemma prese un paio di pantaloni qualsiasi, «sì, mi scusi, mi sto cambiando. Arriverò tra pochissimo.», Successivamente rimise la maglietta che aveva indossato quella mattina. Con un fiocco arancio legò i capelli in una coda scomposta, sbuffò osservando il casino che aveva lasciato sul letto, ma poi alzò gli occhi al cielo, uscendo da quel caos che lei stessa aveva causato.
Chiuse l’uscio alle sue spalle distrattamente, ma bloccò i suoi passi fissando la longilinea figura che si presentava di fronte a lei, in quel momento ancora di spalle.
«S-salve.» La voce le uscì incerta e confusa.
«Salve, sono il proprieta-», anche quell’uomo, voltandosi verso l’ospite, si bloccò, «-rio.», concludendo successivamente il saluto.
Gemma non ce la fece a trattenere la sua espressione e la bocca le si spalancò.  «Tuuu?»
«Lei?» Di sgranato il coreano aveva invece gli occhi a mandorla.
La ragazza cercò di ricomporsi, facendo oscillare la testa, ma poi le scattò  una risata nervosa. «Non è possibile.» Lo fissò ancora una volta, incerta se pensare che si trattava di un incubo o meno. Ma sicuro! Doveva essersi addormentata mentre sistemava le sue cose. In quel momento niente poteva essere reale, nemmeno lei! Era una versione metafisica del suo corpo, che in verità giaceva in mezzo al caos di vestiti nella stanza numero otto.  «Il proprieta …» Cercò di proferire qualcosa, ma le riusciva difficile. Era troppo assurdo pensare che potesse avvenire una coincidenza del genere, troppo strano anche per un sogno.
Quella persona intanto aveva assunto un’espressione infastidita, trattenuta però da molta pazienza. «Sono il proprietario, esatto.»
Lo indicò titubante, « okay … », ritirando subito dopo il dito. Si sforzava di richiamare a sua volta quella cosa chiamata calma e ragione, senso del controllo, pazienza, ma … «Io cambio posto!» Cercò di dirlo con voce il più possibile tranquilla, ma dentro di sé iniziava a comporsi un uragano. No, che non era un incubo, sì che era una strana e improbabile, ma reale coincidenza. Scappò fuori prima che potesse fare qualcosa di stupido, mentre il direttore del teatro Art, nonché dell’Ilmol-house, proferiva:
«Come il cliente desidera», voltandosi poi verso la reception, tornando così alle sue faccende, mentre la giovane se la dava a gambe levate.
Gemma rovistò nelle tasche, in cerca del suo cellulare. Cercò velocemente il numero desiderato. Sarah ormai aveva preso il bus da quindici minuti,  ma doveva avere ancora molta strada per arrivare nel luogo dell’appuntamento, per cui non avrebbe mancato ad una sua chiamata.
«Gemma!» Infatti, voce squillante come al suo solito, nonostante si trovasse in pubblico. Nei mezzi di trasporto, in Corea del sud, non era molto educato parlare ad alta voce e nemmeno tenere la suoneria a volume elevato.
«Non va bene!» Esclamò quasi isterica, « non.va.bene! Non mi piace questo posto!»
Sarah fece passare per un attimo di silenzio. «Ma prima sembravi convinta …», si concesse una riflessione ancora per qualche secondo, poi si trattenne nell’urlare, quando un’ipotesi terrificante le passò per la mente: «L’ajeossi ti ha fatto delle avance? Sapevo che non dovevo lasciarti sola!»
«No. No. Povero, lui non c’entra nulla!» Sospirò, posando una mano sulla fronte, riprendendo il controllo. «Francamente è il proprietario il problema.»
«E’ un vecchio pervertito?» La preoccupazione non cedeva.
«Non è vecchio. E’ …», ai raschiò la gola, « stranamente è … quell’attore dei miei stivali!»
Nell’apprendere ciò, come pietrificata dallo sguardo di medusa, come congelata da un’ondata di freddo polare, Sarah Kim si immobilizzò. «L’attore di teatro … cioè il direttore dell’Art Keukjang?» Chiese tanto per avere una conferma, spalancò però già la bocca dallo stupore. «Dimmi che non stai scherzando!»
Dall’altra parte della cornetta, in un'altra zona di Seoul, qualcuno chiuse gli occhi, cercando di prendere grosse boccate d’aria per mantenere il sangue freddo da prima apparentemente ritrovato. «Non sto scherzando ... purtroppo. Me lo sono trovata davanti ed è stato un completo shock, credimi. Per questo voglio andarmene. La prima cosa da fare è tornare a casa tua e poi-»
«Piano, piano, piano, piano.» La interruppe un tono di voce cantilenante e sgradevole. Sarah si alzò dal sedile proprio in quel momento, e scese dal mezzo velocemente. «Perché dovresti andartene?» Si spostò verso la jihado, il passaggio pedonale sotterraneo che permette di attraversare la strada quando non ci sono le strisce. Così fece le scale della metropolitana, senza avere l’intenzione di prendere tale mezzo.
«Non me ne starò qui sapendo a chi appartiene lo stabile. Come ti ho già detto l’altra volta, non voglio più vedere il suo volto.» Si zittì per un attimo, ascoltando il frastuono provenire dall’altra parte della cornetta. «Non sei in bus? Con quello diretto dovresti avere un bel po’ di strada da fare.»
«Sto aspettando il prossimo.» Mentì l’amica, fissando le tabelle d’orario dei mezzi che tornavano verso Hongdae. «Ho perso il diretto, così senza aspettare quello dopo ho deciso di fare a tratte.» La bugia si faceva sempre più spudoratamente concreta. Il bus stava per giungere. «Comunque, sai che non puoi più tornare a casa mia, che non ti venga in mente di fare i bagagli e lasciare quella stanza maledetta», minacciò, salendo e passando la t-money card7 nel dispositivo per il pagamento della corsa. L’italiana corrucciò la fonte preoccupata, non avendo niente da riferire se non lamenti. «Avresti potuto chiedermi il nominativo dell’altra guesthouse, invece ti approfitti subito della mia ospitalità.» Le venne sottolineato senza mezzi termini.
A quel punto si morse le labbra, la coscienza cominciò ad appesantirsi di rimorso. «Okay, scusami. Hai ragione. Puoi passarmi il nominativo -»
«No!» Immediatamente Sarah la interruppe decisa, « la seconda scelta era più costosa e persino più distante rispetto all’lmol-House, perciò rimani lì! E vedi di obbedire.» Logicamente il reale motivo per cui la spingeva a restare, non era dovuto a costi o distanze.
«Sarah!»
«Gemma!» Urlò a sua volta,  per fortuna nel bus non vi erano molte persone e nessuna ebbe il coraggio di obbiettare. «Non fare l’infantile! Quel luogo è carino e conveniente. Puoi sopportare quella data presenza.» Le lasciò un attimo, per assimilare l’idea di dover per forza convivere con i suoi “demoni”, poi si sbrigò ad indagare più a fondo, in modo tale da potersi organizzare per il meglio: «Ora dimmi. Che farai oggi? Esci per caso?»
«No. Ho idea che mi chiuderò in camera finché quel tipo non se ne andrà fuori dai piedi. Sono pure stanca, voglio dormire.» Si voltò verso le scale, ma non si sentiva realmente pronta a tornare indietro.
L’italo-coreana intanto sorrise contenta, ancora seduta nel mezzo di ritorno. Stava per rivedere l’uomo dei suoi desideri, chi più di lei poteva gongolare? Inoltre non aveva potuto sperare in un incontro fortuito così presto, anzi si era già mentalmente preparata al doverlo cercare per tutta Gangnam o perseguitandolo direttamente nel suo stesso teatro. Venire a conoscenza che possedeva anche un goshiwon, fu per lei una notizia al dir poco strepitosa. «Fai la brava e riposa un po’. Io appena finisco il … colloquio, ti chiamo.» Alla fine doveva solo impostare una scusa per la sua mancata presenza all’appuntamento di lavoro.
 
Logicamente Gemma non tornò indietro con un volto allegro. Non ci teneva a rivedere quella persona, anzi se fosse stato per lei, sarebbe rimasta benissimo fuori per tutta la notte, pur di non esser costretta a riparlargli.
Si avvicinò invece al piccolo bancone della reception. Lui, comodamente seduto dietro alla sua postazione, sollevò lo sguardo verso la cliente, i gomiti appoggiati alla mensola del bancone, una sorta di scrivania- tavolino, aveva congiunto le mani e assunto un sorriso di attesa.
«Le devo un mese giusto?»
«Quindi ha deciso di rimanere?» Domandò il proprietario.
Lei sorrise fintamente. Quella frase le era parsa tanto un modo come un altro per punzecchiare, ma era meglio mostrarsi superiore. «Rimango … a quanto pare!»
Il direttore la scrutò con un ghigno divertito, «Cambia idea molto facilmente … a quanto pare!»
«Sì. Se mi dice quant’è, la pago pure.»  No, assolutamente non gliela voleva dar vinta.
L’uomo trattenne la risata compiaciuta a stento, allargando le sue labbra smisuratamente, ma nascondendo velocemente l’espressione stessa, abbassando il capo e cercando chissà cosa tra le pila di carte e quaderni vari. «Sono 670.0008 won.»
Stava prendendo la carta di credito dal suo portafoglio, quando sollevò il volto di scatto, esclamando: «Quanto? Avevamo parlato di 545.0008 won al mese.»
«Sì, infatti. Il resto è la mia parcella per quell’indimenticabile serata. Si è dimenticata del mio compenso?»
Sfilò la card continuando a fissare quegli occhi impertinenti. Si allungò sopra al banco, gli afferrò una mano e gliela girò, schiaffandogli poi sul palmo la carta di credito. «Dissanguami pure!» Dopo di che si voltò e scappò in camera brontolando. «L’avevo caricata di soli 700.000 won, rimarranno solo una ventina di miseri euro e adesso …»
Il direttore sbatté le palpebre più volte, l’unico movimento che si concesse, impietrito da ciò a cui aveva assistito. Tagliando il silenzio della sala poco dopo, domandando a vuoto: «E il codice me lo invento?»
 
****
 
Aveva atteso il ritorno dell’ospite invano, Gemma sembrava averlo realmente e definitivamente abbandonato, lasciando la sua carta di credito ad un perfetto sconosciuto. Logicamente la tenne in ostaggio, nascondendola tra alcuni importanti documenti nella sua scrivania.
Avvertendo dei passi scendere le scale, sollevò lo sguardo distrattamente: una ragazza medio alta, dai capelli lisci e neri sulle spalle, occhi troppo grandi per essere orientali e troppo allungati per essere occidentali; un sorriso esterrefatto sulle labbra e una busta nera di plastica tra le mani.
«Omo!» esclamò Sarah Kim fingendo stupore nel trovarlo proprio lì, in quell’edificio. «Mi scusi, ma lei è …»
Il coreano annuì lentamente, « ci rivediamo ancora … purtroppo. Che caso, eh?» Ironizzò pure, sospettando che l’incontro non fosse stato voluto esattamente dal caso.
La moretta velocemente si avvicinò alla reception, vi girò intorno per prendere il braccio del direttore e obbligarlo a seguirla nell’accogliente tavolo della sala. «Deve essere molto stanco. Tra scuola di teatro e questo goshiwon, deve avere il suo bel da fare.» Posò la busta e frugando dentro ne tirò fuori una lattina di caffè fresco. Lo porse all’uomo vicino. «Per lei.» Sussurrò dolcemente.
Lui dopo un momento di esitazione, anche se un po’ infastidito, accettò il suo dono. «Grazie» e si sedette.
Anche la ragazza si accomodò, iniziando ad osservarlo mentre beveva la sua bibita ghiacciata, puntando con lo sguardo quelle labbra fine mentre si posavano sulla lattina, notando come sollevasse appena il capo per berne il contenuto e non facendosi sfuggire nemmeno il movimento del classico pomo d’Adamo. Deglutì come un beduino perso nel deserto del Sahara, che ha la sua prima allucinazione. Naturalmente l’isola colma di acqua che vedeva lei, non era certo a forma di lattina di caffè…
Drizzò la schiena elegantemente, lisciandosi con la mano i capelli dal lungo caschetto. «Allora è vero che la famiglia è ricca?» Fece una domanda forse troppo indiscreta.
«Cosa glielo fa pensare?» La bacchettò immediatamente, «ma visto che si tratta di un quesito, è meglio chiederle il perché lo stia ponendo?»
Lei per un attimo avvertì l’imbarazzo. «Aaaah … No, ero solo curiosa. Insomma … per avere due impieghi di questo tipo-»
«Avendo due impieghi, già dovrebbe dedurre da sola che non io sia di ricca famiglia.» Le parlò sopra, colmando il suo strano e antipatico interesse.
La spasimante di nuovo gli mostrò un sorriso statico, cercando di pensare a qualcosa di intelligente da dire. «Ehmm … non ci avevo pensato», tossì, come per cancellare ciò che aveva detto fino a quel momento, «non mi prenda per un’ochetta qualunque. Le assicuro che non lo sono. Solo che con lei a volte mi sento un pò impacciata, e le assicuro che non è da me. Insomma è lei a farmi uno strano effetto.»
Il direttore bevve ancora un sorso, prima di continuare a conversare, per quel poco che le concedva. «Non si preoccupi. Io non penso proprio a nulla.»
Sarah continuando a fissare il proprietario del posto con ammirazione, riflettendo però su come comportarsi e come fare per convincerlo ad accettare un appuntamento. Sapeva che in quel momento sarebbe stato impossibile e forse anche il giorno dopo e quello successivo. Non era un uomo semplice, non era uno qualunque, doveva studiare un piano intelligente per potersi avvicinare a lui pian piano, in modo da acchiapparlo del tutto.
«Pensavo …», era giunto il momento di tirare fuori il piano B, « non può riprovare ad aiutarla?»
Lui bloccò il suo intento di sorseggiare ancora il caffè e di scatto alzò lo sguardo, guardandola quasi con ostilità. Quel contatto visivo durò pochissimo, perché egli abbassò di nuovo l’attenzione, cingendosi a finire la sua bibita.
«No. Ho compreso quel che intende ed è un no.» Si alzò, gettando nel cestino la lattina, tornando poi nella sua postazione.
La ragazza imitò il suo gesto, sollevandosi dalla sedia, ma non lo seguì fino al bancone. Tanto erano comunque vicini. «So che quella sera doveva essere l’unica volta, ma …», pian, piano lasciò scemare la frase, comprendendo di dover lottare contro dei mulini a vento. Alla fine si arrese, forse non c’erano più possibilità di giocarsi la carta jolly, ovvero Gemma. «D’accordo … Lei è sempre da queste parti?» Perciò doveva pensare a qualche altro stratagemma, se voleva continuare a vederlo e provare a sedurlo meglio.
«No.» fu nuovamente frettoloso, continuando a controllare i suoi affari cartacei, « e logicamente non le dirò quando e come trovarmi.» Sollevò solo in quel momento il mento, mostrandole un’espressione ovvia, « immagino sappia perché.»
Ma lei fece finta di non capire. Rise invece furbamente, strappando al giovane umo un sorriso sinceramente divertito, pensando così che per  lo meno poteva dire di averlo fatto divertire un po’.
La porta della camera otto si spalancò improvvisamente. «La mia carta!» Esclamò Gemma, con il palmo della mano ben teso verso il proprietario dell’Ilmol-house.
Egli fu pronto ad imitarla, prendendo la stessa identica posa: «I miei soldi!» Battuta di dovere.
Distrattamente la straniera si accorse di un altro individuo presente e ci rimase un tantino male nel constatare che si trattava proprio della sua amica Sarah.
«E tu che ci fai qui?»
Costei le mostrò un espressione gioiosa, ma celando una certa colpevolezza.
«Non avevi un colloquio?»
«E’ saltato!» Spiegò, strabuzzando gli occhi intimandola di tacere. Non si poteva scoprire tutte le debolezze fin da subito. Ammettere all’uomo che ti piace che hai saltato un importante colloquio solo per apparirgli davanti, era una mossa estremamente lesionista.
«Era importante.» Sussurrò allora Gemma, accontentandola.
La risposta che giunse fu alquanto montata: una risata falsa quanto il gel per le unghie, « ma che dici … importante», schioccò la lingua, «non era comunque il lavoro dei miei sogni. Avrò altre occasioni.»
Mentre la osservava ormai severa in volto, ipotizzando le motivazione che l’avevano spinta fin lì, perdendo così l’occasione di avere un impiego decente. Ad un tratto notò i viveri sopra al tavolo e si avvicinò per afferrare un Banana Uyu9.
Sarah l’afferrò per il polso. «Non sono per te!»
A quel punto Gemma si arrese. Ignorò il suo strano, ma comprensibile, comportamento, avvicinandosi invece al … nemico. Quest’ultimo, senza interrompere ciò che stava facendo, passò prima la carta di credito nel pos, poi automaticamente la restituì alla ragazza, insieme allo strumento per fare la firma elettronica.
Così si concluse la transizione e il tutto nel pieno silenzio. Si ignorarono a vicenda, ma la cosa era più che gradita a Gemma, tanto che tornò a parlare con Sarah, facendo finta che l’altra persona non esistesse.
«Visto che non sei venuta per me …»
«Bingo!» sussurrò l’altra, parlandole sopra.
«… me ne torno in camera.» E li lasciò nuovamente soli.
 


2 Ajeossi: è un termine coreano che alcuni associano al nostro "zietto", ma la traduzione è errata. Semplicemente questo nominativo viene dato a tutti gli uomini di una certa età, con i quali li si potrà chiamare, una sorta allora di "signore" più che l'altro termine proposto. In verità questo termine viene scritto in diversi modi "ajusshi" o peggio ancora "ajhusshi", ma la romanizzazione dell'alfabeto coreana è complicata e vi sono solo due tipologie ufficili. Io scelgo quella "fedele" all'hangul (alfabeto coreano) in quanto la parola ajeossi scritta in questo modo la trovo più veritiera. Le altre due si rifanno invece alla pronuncia e spesso rispecchia i canoni americani, anche se nel caso di questa specifica parola spesso i coreani la pronunciano come tale "ajusshi", ma non sempre e dipende spesso dalla tipologia di dialetto (아저씨 pronuncia = ajosshi -con la "o" aperta)
Annyeonghi kyeseyo annyeonghi kaseyo: sono entrambi esclamazioni che ricordano il nosro "arrivederci", quindi una frase da utilizzare per quando ci si lascia. Annyeonghi kYEseyo (안녕히 계서요 pronuncia = annyongi kyeseyo -con la "o" aperta) è la frase che dice colui che lascia il luogo, salutando chi rimane, letteralmente significa "stiate in pace". Annyeonghi kAseyo (
안녕히 가세요 pronuncia = annyongi kaseyo -"o" aperta- ) è invece la frase per colui che rimane e saluto la persona che se ne sta andando, letteralmente "andate in pace" ovvero il nostro vero e proprio "vai con Dio" o "arrivederci" per l'appunto.
4 G Dragon: anno 1988, è un artista del pop coreano (tale Kpop), il suo vero nome è Kwon Ji Yong (권지용 pronuncia = gwon ji yong -"o" aperta per gwon e chiusa per yong) ed è il leader di una band, i Bigbang (빅뱅). Non solo rapper del gruppo ma anche cantauore e cantante solista. E' uno di più conosciuti ed amato non solo in Asia, ma insieme alla sua band sono lodati e apprezzati in tutto il mondo. E' la band asiatica più conosciuta del globo. (e io ne sono fans, lo ammetto. Gli unici del loro genere che trovo davvero godibili, originali e artisti a tutto tondo)
Curiosità : la lingua coreana stessa è molto difficoltosa proprio per le sue mille sfaccettature di suoni (vedete l'esempio ajeossi che alcuni coreani lo pronunciano ajosshi altri proprio ajusshi), ma non solo! E' composta anche di svariati dialetti (사투리 "saturi"), il più particolare e conosciuto è quello di Busan e forse quello più complicato da capire, che talvota non comprendono nemmeno i coreani stessi, quello dell'isola di Jeju. Addirittura tra Jeju sud e Jeju nord la differenza di alcune parole è così abissale che perfino gli abitanti dell'isola provenienti dalle due parti diverse faticano a comprendere. Ma ve ne sono anche tantissimi altri in tutta la Corea. Insomma come l'Italia alla fin fine, non per niente viene chiamata "l'Italia d'Asia".
Yeoboseyo: (여보세요 pronuncia = yoboseyo -con la prima "o" aperta e le ultime chiuse) è il nostro classico "pronto?" di quando si risponde al telefono, un saluto. 
T-money card: è una carta (dal nome card) che può essere anche ricaricabile e serve per svariate cose, in primis pagare le corse in metro e autobus, ma si può pagare anche il taxi e viene utilizzata pure in alcuni negozi. Si ricarica nelle metro o nei piccoli supermercati (market).

8 Won: 670.000 corrispondono a circa 490 € e 545.000 a 400 € quindi in definitiva lui si farebbe pagare 125.000 won ovvero 90 € 
Banana Uyu: (바나나 우유) è una dolcissima bevanda coreana, uyu (
우유significa latte, infatti è latte alla banana. 


 

Salve lettori, oggi volevo un attimo lasciarvi questo messaggio a fine capitoli: intanto vi ringrazio per l'attenzione, che sia stata curiosità per un attimo o che sia un interesse che continua ancora, spero solo che possiate essere soddisfatti della storia, dei dialoghi e che possa emozionarvi, trasportarvi in un mondo diverso, nuovo, lontano dal nostro; spero di riuscire a creare per voi una piccola "cappa" di tranquillità, dove lasciare i problemi fuori per quei pochi minuti che servono per leggere questa storia, facendovi sognare un pò. 
Volevo anche mettere in chiaro una questione sui sottotitoli, che so non essere il massimo della comodità qui su EFP, non avete in mano un libro dopotutto e vi tocca sempre scorrere le pagine, quindi scusatemi anche per questo, ma ci tengo a delucidare alcune curiosità o significati importanti per me. Sono puntualizzazioni forse noiose per alcuni di voi, beh ... potete sempre saltarle no? Eppure io le troverei oltremodo interessanti, ecco un altro motivo per metterle. Non solo per coloro che sono appassionate d'Asia, o curiose di Corea del sud, ma anche per coloro che con questo ambiente non hanno nulla a che fare! Anzi forse proprio per loro le note servono per comprendere punti che forse risulterebbero troppo alieni. Certo, sappiate che non posso fare di tutto il racconto un'intera nota, quindi se non vi sono chiari alcuni punti (nomi o luoghi) ma non vedete la specifica traduzione o puntualizzazione, vuol dire che sono concetti già spiegati in qualche passato articolo, ma se seguite la mia storia non avrete problemi a ricordarvene.
^ ^ Ho concluso. 

 
Che recensiate o meno,
grazie ancora a voi lettori! 
vi lascio con una delle foto che più amo di mia sorella, visto che lei ha anche una buonissima macchina fotografica, confronto al mio cellularino da niente:


 
   
 
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