CAPITOLO QUATTRO
Dopo un
po’ però la
mollai. E me ne tornai a casa. Mi distesi sul letto e respirai a fondo,
molte
volte. Non avevo ancora accettato quello che mi era successo la
mattina. Una
sirena trasformata in ragazza con un enorme cane al seguito, mandata a
un capo
del nostro mondo come dono. Forse le vittime della Sparizione erano
andate nel
mondo delle sirene, a Moore, e lì le sfruttavano per il loro
divertimento.
Massacravano. Mi sorpresi a pensare alla razza umana. Avevano
massacrato tutto
il massacrabile sulla terra. Si erano uccisi pure tra loro. E quando
qua non
c’era più niente da rovinare, andavano a rovinare
altri mondi. Un piccolo e
maligno pensiero si insinuò in me. Avevamo massacrato. Ci
eravamo uccisi tra
noi. Anch’io ero un uomo. Per la prima volta in vita mia me
ne vergognai. Dovevo
sapere se erano gli Spariti quelli nel mondo delle sirene.
Andai in cucina
e
cercai qualcosa da mangiare, anche se non avevo fame. Non trovai
niente, così
uscii di nuovo. Andai in giro per qualche minuto. Potevo tornare da
Zabluda, ma
non ne avevo voglia. Tornai a casa. Misi a posto un po’ la
casa. Feci i letti.
Tentai di studiare. Non avevo voglia di fare niente eppure sentivo di
dover
fare qualcosa. Così passai il tempo facendo e disfando cose
inutili, finché non
arrivò mio fratello, sporco di olio, e gli quasi uscirono
gli occhi dalla testa
a vedere che avevo riordinato casa. Fece qualcuno dei suoi commenti
sulla
“donnina delle pulizie” e andò a
lavarsi. Quando uscii ero sul letto con il
libro di matematica. Lo stavo decisamente spaventando. Così
si sedette vicino a
me e mi chiese se stavo bene.
“Ho
conosciuto una ragazza”
gli risposi in un soffio.
“Conosciuto
in senso
biblico?”
“Eh?”
Ogni tanto se
ne usciva con frasi strane.
“Te
la sei fatta?”
“Ma
no!”
“Ehi,
non essere
scandalizzato donnina delle pulizie! Sarebbe anche ora no?”
“Beh,
invece l’ho
solo conosciuta, fine. Abbiamo parlato”
“E ti
sei messo a
fare le pulizie e a studiare solo perchè hai parlato con una
ragazza? Quando te
ne scoperai una cosa farai? Ti laureerai e costruirai un
castello?”
Gli spiegai la
storia. Non tutta. A dire il vero gli dissi solo che avevo conosciuto
sta tipa
coperta di stracci neri e con il cane in ex zona industriale mentre
bigiavo e
che avevamo parlato del più e del meno. Mi accorsi che se
pensavo di dirgli
della storia di Zabluda mi mettevo a balbettare e non riuscivo ad
andare avanti.
Gli descrissi anche gli occhi, non potei farne a meno.
“Ehi,
moccioso! Tu
alla ragazza le guardavi gli occhi? E il culo?”
“Era
seduta. E poi
dai, era tutta pelle e ossa, figurati se aveva culo!”
“E’
sempre meglio
controllare” disse, e si accese una sigaretta già
rollata.
“Cos’è?
Hai trovato
tabacco?”
“No,
è solo un po’ di
erba secca, ma consola.” Fissò la sigaretta storta
e granulosa come se fosse un
insetto zampettante. Era evidente che non gli piaceva, tanto che me la
diede e
si vestì. Tirai. Faceva proprio schifo.
“Allora
che fai con
questa tipa, come hai detto che si chiama?”
“Zabluda.”
“Ma
che razza di nome
è? Da dove viene?”
“Non
so” Bugia.
“Ma
insomma che hai
intenzione di fare?”
“Niente,
che dovrei
fare?”
“Vuoi
scopartela o no?”
“No!”
Ed era pure
vero. Quella ragazza mi sconvolgeva. Senza contare che non era una
ragazza.
Uscii sbuffando
e
andò da qualche suo grosso amico. Ero una delusione di
fratello. Sapevo che
stava cominciando a preoccuparsi del mio orientamento, ma che ci potevo
fare?
Io ero sicuro di non essere gay, quindi avevo il cuore in pace.
Passarono i giorni e le settimane. Cominciai a pensare sempre meno a quello strano incontro, anche se ero convinto che non sarei mai riuscito a dimenticarlo. Ma fui riassorbito dalla mia squallida esistenza, che sembrava ancora più squallida dopo aver saputo di altri mondi fantastici. Mondi tragici, pieni di dolore, ma almeno il dolore non era apatia. Era qualcosa. Faceva sentire vivi per lo meno. Cominciai a mordermi la lingua ogni tanto. Così, per sentirmi vivo. La scuola andava sempre peggio. Finiva l’anno. Sarei stato bocciato, era quasi sicuro. Non avevo il coraggio di dirlo a mia madre. Tornava a casa sempre più tardi e qualche volta anche senza scatolette per noi. Diceva di dimenticarsele nella casa. Scoprii che avevano licenziato la domestica a tempo pieno, per questo mia madre lavorava molto di più e tornava a casa sempre distrutta. Ma non le aumentavano la paga. La famiglia per la quale lavorava aveva problemi. Mio fratello perse il lavoro per un litigio e cominciò a cercarsene un altro. Non a trovarlo, a cercarlo. Intanto le vaschette diminuivano sempre più. Era una fortuna se arrivavano. Io proposi di mollare la scuola e mettermi a lavorare, ma mia madre non volle sentire ragioni. Io dovevo studiare. Continuai a non avere il coraggio di dirle che non avrei passato l’anno. Mi sentivo tremendamente in colpa. Una delusione di figlio e di fratello. Tanti sacrifici. Loro lavoravano perché io studiassi. Perché mi facessi una vita. Mi odiavo. E mi morsicavo la lingua. Quando proprio non ce la facevo più uscivo di casa e correvo. Correvo lontano, fino a quando non avevo più fiato nei polmoni e oltre, finché l’acido lattico non mi bloccava le gambe e gli occhi non mi schizzavano fuori dalla testa. Allora mi buttavo per terra e piangevo come uno scemo.
Tornai una
volta dove avevo visto Zabluda, ma non la
trovai. Quindi archiviai la cosa definitivamente e mi concentrai nello
sprofondare sempre più in basso. Volevo fare qualcosa,
qualcosa per salvare la
mia famiglia, ma non riuscivo a trovare cosa. Non potevo lavorare di
nascosto,
mi serviva il permesso di mia madre. E lei non me lo voleva fare.
Potevo
lavorare in nero, ma non ci pensai. Oltretutto non avevo idea di cosa
avrei
potuto fare o come. Mi venne l’idea di andare a cercare mio
padre, magari si
era rimesso in sesto e ora poteva aiutarci. O magari era morto. Non
potevo
saperlo e non avevo il coraggio di tentare, quindi restavo sul mio
letto a
deprimermi. E intanto i nostri pochi risparmi finirono. Mia madre
continuava a
dirci che era solo un periodo, che si sarebbe sistemato tutto, ma non
ne era
neanche lei molto convinta. Cominciammo a digiunare ogni tanto.
Tentammo di
vendere qualche mobile o oggetto, ma non raggranellammo molti soldi.
Nessuno voleva
la nostra roba. Si credeva che le cose di una famiglia che stava
cadendo in
disgrazia portassero disgrazia a chi le comprava. O era solo un modo di
dire
per non far capire che non si avevano soldi neanche a volerlo per
comprare la
nostra roba. E se li avevano non li sprecavano così. Non
penso fosse una
questione di superstizione o buon costume, perché quando
qualche vecchio moriva
nessuno si faceva troppi problemi a svuotargli la casa. E a mio parere
quello
portava molta più sfortuna.
Così
un giorno mia
madre mi guardò e disse:
“Liron,
vai a
prendere qualcosa da mangiare per te e tuo fratello. Oggi non avete
messo
niente in pancia.”
Tesi la mano,
per
avere dei soldi. Mia madre non si mosse, ma scosse la testa lentamente.
Capii.
Uscii di casa senza sapere come fare ma con l’intenzione di
fare. Camminai a
lungo, ma almeno ebbi fortuna. Arrivai in una zona che non conoscevo
bene. E
dove non mi conoscevano. Era sera e un commerciante stava scaricando le
merci
per il giorno dopo. Non ci pensai molto. Mentre entrava nel negozio con
delle
cassette di verdura tra le braccia presi un sacco di patate, me lo misi
in
spalla e me la diedi a gambe. Per fortuna ero allenato a correre a
pancia
vuota. Sentii le urla alle mie spalle, ma non mi fermai. Non mi
presero. Tornai
a casa e mio fratello stava urlando. Contro mia madre.
“Perché
lo hai fatto?
Troverò un lavoro! Non dovevi mandarlo a rubare! A cosa ci
siamo ridotti? E se
lo prendono? Non ci hai pensato?”
Mia madre gli
urlava
di rimando contro. Diceva che era lei a comandare, e che non si doveva
permettere di parlarle così. Quando entrai col mio sacco
ammutolirono. Lo posai
lentamente sul tavolo e con gli occhi lucidi dissi a mia madre:
“Mi
bocciano. Mamma,
fammi il permesso, domani vado a cercare lavoro.”
Mangiammo le
patate
in silenzio quella sera.
Grazie ad
anil13 che
mi recensisce! =D
Non
preoccuparti, non
diventa melensa. Quello è uno dei momenti più
mielosi. I personaggi non
abbonderanno, perché comunque la storia è in gran
parte già scritta, e poi non è lunghissima. Mi
manca
solo la parte finale. Anzi, ora mi metto sotto e vado avanti!
Oh che bello
che è
avere recensioni! =)