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Autore: ales_sja    19/10/2014    3 recensioni
Quando il ghiaccio incotra il caldo.
Quando l'azzurro incontra il nocciola.
Quando la scrittura incontra la fotografia.
Quando i sentimenti incontrano un muro di vetro. Basta un pugno, e crolla in mille pezzi.
Quando il passato incombe su delle vite che invece voglio andare avanti.
Storie diverse, trascorsi confusi e lontani, presenti che un giorno - per volere superiore - si sfioreranno, si accarezzeranno ma non avranno il tempo di stringersi.
Ma vorranno?
Vorranno davvero salutarsi?
Lasciarsi? Sfiorarsi ma non tenersi?
Per chi crede che il destino faccia incontrare, ma che l'uomo sia costretto a lottare.
E' una storia scritta un po' così, forse per caso, o forse con uno scopo. Il mio, per adesso, è provare a farvi emozionare.
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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I tuoi occhi sulla pelle
 

di ales_sja







2. Fotografie della tua assenza





21 marzo 2014, Firenze.





"Tesoro puoi andare a prendere il vino in cantina?"
Sua madre le si rivolse con un sorriso dolce, mentre finiva di apparecchiare la tavola, un puntino bianco nel verde di quel giardino immenso. Poco distante da loro, ettari di vigneto si distendevano infiniti davanti ai loro occhi.
La famiglia Lombardi aveva organizzato un importante pranzo per festeggiare il così tanto atteso contratto firmato da Emma. O forse è meglio dire che i coniugi Lombardi avevano organizzato il pranzo al quale Emma era stata portata di peso da Luca -nel senso reale della frase, in quanto se l'era caricata sulle spalle, l'aveva portata in macchina e, senza darle il tempo neanche di lamentarsi di quel rapimento improvviso, era partito per la villa di famiglia nascosta nella campagna toscana.
Infondo ad Emma piaceva la tranquillità che le dava quel rudere, ritrovava sé stessa, immersa in quel silenzio surreale.
Silenzio che, appunto, praticamente non esisteva quando la casa era invasa da nonni, zii, cugini, parenti lontani e figli di parenti lontani. Le voci si sovrapponevano le une sulle altre in un caotico vortice di chiacchiere, mentre urla, schiamazzi e pianti fanciulleschi raggiungevano livelli inimmaginabili.
Mentre si dirigeva alla cantina un angioletto di sei anni dagli occhi azzurri, i capelli biondi e i lacrimoni sulle guance le avvolse i piccoli pugni attorno all'orlo della gonna, tirandola verso il basso.
Emma si abbassò fino a terra, piegando le ginocchia e spostando tutto il peso sui talloni.
"Cos'è successo, Christian?"
Con un movimento lento gli spettinò dolcemente i capelli, mentre il bambino le indicò con un ditino paffuto il ginocchio sbucciato e sanguinante.
"Vieni, andiamo in bagno a disinfettarlo" disse prendendolo in braccio, poi continuò "Ma tua madre dov'è quando serve?"
Christian era il figlio di una delle tante cugine di Emma. Era rimasta incinta, nell'estate dei suoi diciotto anni, da un turista inglese in vacanza a Firenze, la quale - dopo quell'estate - non aveva più abbandonato. I due giovani innamorati si erano sposati due anni dopo, dimostrando a tutti che la follia - e  l'incoscienza - di una notte avevano portato a due cose belle: una storia d'amore propensa a durare all'infinito, e un pargoletto dall'aspetto di un principe.
Gli disinfettò il ginocchio pulendolo anche dal sangue, coprì la ferita con un cerotto e poi lo rimise a terra prendendolo per mano.
"Ed ora andiamo a cercare i tuoi genitori."
Fuori Hanry ed Elisabetta erano abbracciati accanto ad un pesco in fiore.
"Ecco vostro figlio, razza di disgraziati." Scherzò consegnando il bambino nelle braccia accoglienti del padre.
La risata dei due rimbombò attorno a loro, fondendosi poi con il vociare che ancora non aveva abbandonato il grande giardino.
"Cos'ha combinato adesso?"
"E' sicuramente caduto, gli ho già medicato la ferita alla gamba. Non è niente di grave, comunque."
"Grazie mille, Emma." Intervenne Hanry con il suo marcato accento inglese e l'insicurezza ancora presente nel parlare, sebbene ormai si destreggiasse con maestria nella lingua italiana.
La ragazza non ebbe neanche il tempo di rispondere al ragazzo che Elisabetta la guardò divertita.
"E tu Emma, cuginetta cara, che aspetti a mettere su famiglia?"
Era un classico per Emma sentirsi porre quella domanda. Non c'era parente che non le rinfacciasse il fatto che fosse l'unica tra le sue cugine a non essersi ancora sposata.
"Eli ti prego di non cominciare, non oggi."
Quasi la supplicò - congiungendo le mani davanti al viso e rendendo lo sguardo più dolce possibile - portata allo sfinimento da quei commenti che erano aumentati proprio da quando lei si era creata la sua famiglia. Da quel momento zie e nonne le facevano costantemente notare che anche la più piccola di casa si era sistemata, e che quindi mancava solo lei, che ancora non si era decisa a sposarsi.
Come se dipendesse da me poi, pensava Emma.
Spesso arrivava suo padre, a difenderla. Diceva che andava bene così, che era la sua piccola e che lo sarebbe rimasta ancora per un po'. Era forse un male, questo? E allora tutti tacevano, dopo che il capo famiglia aveva parlato.
"Tesoro.. lo so che è difficile accettarlo, ma.. insomma, lui non.."
Non ebbe il tempo di finire la frase, la dolce Elisabetta - spinta dalle intenzioni più pure - che Emma era diventata di ghiaccio.
"Non sai niente, Elisabetta. E non ho intenzione di ascoltare un'altra singola parola. Vado a prendere quel dannato vino che mia madre mi ha chiesto venti minuti fa e poi vado a cercare Luca. Divertitevi."
Un sibilo sottile come il soffio del vento si fece spazio tra tutte quelle voci.
Lacrime che pungono gli occhi, sentimenti che lottano per la dominanza su quel corpo che invece minaccia di spezzarsi, già troppo ammaccato.
Voltò le spalle a quelle tre figure, e l'ultima cosa che sentì fu la voce calda di Hanry sussurrare "Don't worry, darling.. Don't worry, my love", mentre stringeva tra le braccia forti la moglie.







Il pranzo tutto sommato era andato bene.
Luca aveva ritrovato Emma a piangere in cantina, dopo la piccola discussione avvenuta con Elisabetta. Era andato a cercarla perché non la vedeva da troppo tempo e iniziava a preoccuparsi di una sua ipotetica fuga. Poi l'aveva vista seduta contro una damigiana di vino, una bottiglia aperta accanto a sé, il calice pieno in mano e le guance bagnate. Aveva visto quel corpo privo di ogni barriera che l'aveva protetto per quattro lunghi annni. Aveva visto quelle labbra rosse tremare contro il vetro del bicchiere, e il petto scosso dai singhiozzi. Non faceva rumore, la piccola Emma, ma era più forte di mille voci, quel silenzio.
E aveva capito.
Luca capiva sempre.
Senza parlare l'aveva avvolta, sostituendo le barriere e proteggendola con il suo corpo. L'aveva accarezzata e stretta finché i sussulti del pianto non l'avevano abbandonata. Era un dolore celato e silenzioso, quello che Emma si portava dentro. L'urlo disperato di qualcosa che non c'è e non ci sarà mai più. Mancanza che sarà difficile da colmare.
L'aveva lasciata sfogare stringendola al suo petto sempre di più, poi le aveva avvolto il viso tra le sue grandi mani e le aveva detto "Non mi sembra questo il momento giusto per ubriacarci, ma portiamo la bottiglia a casa, la finiremo stasera." Avevano riso, liberando le loro anime, e prima di portare il vino in tavola, erano andati a nascondere la loro bottiglia in macchina.
Tornati in giardino Emma, certamente, si era dovuta subire l'interrogatorio di sua madre, che l'aveva accolta con un piccato "Ti ho chiesto di andarlo a prendere circa un'ora fa!" senza neanche accorgersi dei suoi occhi arrossati. Meglio così, si era detta Emma, meno cose da spiegare. Poi avevano mangiato, bevuto, brindato - numerose volte, a dir la verità - al futuro libro. Elisabetta, a pranzo ormai finito, l'aveva abbracciata scusandosi e dicendosi mortificata per averlo menzionato. Emma non aveva detto niente, solo l'aveva stretta più forte.
Lei e Luca erano poi tornati a casa nel tardo pomeriggio, e senza neanche salire nell'appartamento Emma si era incamminata sul marcipiede. Aveva lasciato l'uomo con un "Chiama Mattia e digli di raggiungerti a casa" gli aveva sorriso e "Finite anche la bottiglia di vino, se volete. Credo di non averne più bisogno." gli aveva detto. Poi si era voltata e dopo aver mosso qualche passo era tornata indietro. Aveva ammiccato e "Bacialo per bene anche da parte mia" aveva detto strizzandogli l'occhio per poi incamminarsi ridendo.
Non gli aveva detto dove andava, segno che sarebbe voluta rimanere da sola e a lungo. Aveva riso, però. Poche ore prima l'aveva trovata abbandonata ad un pianto senza eguali, e in quel momento rideva. Rideva, capite la magia di quella ragazza?
Che strane meraviglie le donne - aveva pensato Luca - meno male che lui aveva altri gusti.
Sorridendo divertito già aveva estratto il cellulare dalla tasca dei pantaloni.
"Ho casa libera per almeno, mh.. le prossime quattro ore, e una bottiglia di vino rubata ai miei genitori che aspetta di essere consumata."
Quasi non aveva fatto in tempo a finire la frase che il suo ragazzo aveva risposto.
"Sto arrivando."
In sottofondo il rumore dalla porta del suo appartamento che si chiudeva con un tonfo sordo.







La vide di nuovo, impossibile non notarla. Illuminava tutto, luce che splende e si libera nell'aria. Era vita, amore e sofferenza celata. Era mondi nascosti, storie da raccontare, vicende da vivere. Regalità, eleganza, forza e femminilità. Era bellezza divina. La guardava, Andrea, desiderando di non vedere altro per tutta la vita. Le bastava lei, e tutto quello che il suo corpo incosciamente gli raccontava.
Immaginò di passare le mani su quella pelle diafana, tra quei capelli scuri, su quelle labbra morbide. Si sedette davanti a lei, non troppo vicino da farsi vedere, ma neanche troppo lontano da non poterla vedere. La macchina fotografica era appoggiata contro il suo petto, la accarezzava Andrea, come se fosse il corpo di una donna. La sua donna. Compagna fin da quando ne aveva memoria, la portava sempre con sé.
Spense il cellulare. Non che qualcuno lo chiamasse - in fondo era stato più che chiaro quando aveva esplicitamente detto di non voler essere disturbato - ma solo perchè voleva staccare la spina e uscire da quel mondo che lo imprigionava, per entrare nel suo.
Era passata quasi una settimana, dalla prima volta che l'aveva vista. Poi ce ne erano state altre, di volte. Niente di che. Incontri fortuiti nei quali Andrea si era limitato ad osservarla da lontano. Ad immaginare di avvicinarsi con disinvoltura e iniziare a parlarle, magari scoprendo anche nuovi interessi comuni, come quello per il vino. Argomento di cui era stato sorpreso, a dir la verità. In vita sua aveva incontrato solo donne che facevano finta d'intendersi di vini, solo per fare colpo. Ma quella donna aveva commentato con tale leggerezza e semplicità da lasciarlo senza parole per qualche secondo - non era un commento al fine di suscitare interessere da parte sua, ma una semplice costatazione fatta così, più a sé stessa che a lui. Incontri nei quali aveva accarezzato tante volte la macchina fotografica che portava al collo, desiderando di fotografare la meraviglia che i suoi occhi osservavano, di immortalare quei gesti semplici che la rendevano ancora più bella. Una volta, in quei giorni, l'aveva vista di sfuggita davanti ad una libreria, mentre parlava al cellulare. Si era portata una ciocca di capelli dietro l'orecchio, poi aveva riso divertita. Andrea aveva scorto una celata tristezza, in quella risata. Una nota stonata in un'esecuzione perfetta. Avrebbe voluto fotografare quel sorriso e registrare quel suono, da ascoltare nelle notti solitarie e in tempesta che da molti anni lo accompagnavano. Un appiglio per scappare dagli incubi. Un'ancora che sorregge ma che ti fa anche affondare. Quella risata, per pochissimi secondi, gli aveva fatto visitare la parte più profonda della sua psiche. Poi l'aveva osservata entrare dentro al negozio e sistemarsi dietro al bancone. Era rimasto piacevolmente sorpreso. Si aspettava che facesse un altro lavoro, l'aveva immaginata in un tribunale, accanto a vittime ingiuste a battersi per la giustizia. L'aveva immaginata dietro una cattedra di un liceo, ad insegnare con amore e diligenza. Ma mai si sarebbe immaginato che lavorasse in un'umile libreria.
A guardarla, in quel momento, si chiese cosa stesse scrivendo, dove si immergesse con così tanta passione.
Scriveva, viveva, viaggiava.
Ma cosa scriveva? Come viveva? Dove viaggiava? Avrebbe voluto sedersi accanto a lei, guardarla battere le dita affusolate sopra i tasti del pc e accarezzarla. E lentamente parlarle. Raccontarsi a lei, sicuro che avrebbe costudito le sue parole. Aveva quella faccia là, di una che ascolta tanto e parla poco. Di una che prende tra le mani i tuoi segreti e li costudisce in un luogo sicuro.
Alzò il viso verso l'alto. Occhi limpidi che si perdono all'orizzonte. Occhi chiari che si confondono con i colori del tramonto.
Se c'era una cosa che Andrea aveva capito, era che a quella ragazza piaceva scrivere quando il cielo sfoggiava i suoi abiti più belli.
Allora prese la fotocamera e, come la settimana prima aveva imprigionato l'alba, scattò una foto al tramonto fiorentino.







"Ehm, signor Bonfini, io ho finito per oggi. Se lei non ha bisogno d'altro io me ne andrei a casa. Sa, mio figlio torna questa sera dall'università e vorrei preparargli qualcosa di buono per cena. Per la sua, di cena, invece ho già avvisato in cucina per farle preparare i piatti di cui mi aveva parlato questa mattina. Ah e ho lasciato la chiave della camera oscura sopra la credenza, come sempre."
La domestica gli parlò con tono confidenziale nonostante l'uso della forma del lei. Quella donna era la persona di cui Andrea più si fidava al mondo.
"Certo Matilde, vai pure. E saluta tuo figlio da parte mia. Però, prima di andare, potresti farmi un favore?"
"Certo, mi dica pure."
"Dì in cucina che questa sera non cenerò, per favore. Non ho fame."
Le sorrise gentile e le posò una mano sulla spalla.
"Sarà fatto. Arrivederci."
La donna annuì felice. Sapeva quanto per Andrea fosse difficile ringraziare qualcuno, per questo come segno di riconoscenza si accontentò di quel sorriso che affiorò sulle sue labbra.   
La camera oscura era, all'interno di quell'immensa villa, il suo posto preferito. Si nascondeva là dentro anche per sfuggire a sé stesso. Rimaneva ore ed ore chiuso tra le sue fotografie, istanti di vita racchiusi in uno scatto. Le sviluppava e poi le guardava. Molte le riponeva in uno scatolone sul fondo dell'armadio, dove gli sarebbe bastato prederle per sfogliare da capo la sua vita. Altre, quelle che gli piacevano di più, le appendeva in camera sua, sul soffitto sopra al suo letto. Così la sera, prima di provare a dormire, pensava a quell'attimi vissuti di vita felice.
Prese in mano la foto dell'alba scattata pochi giorni prima. Prese un pennarello indelebile e sul retro scrisse. Poi prese la foto del tramonto, con lo stesso pennarello - sul retro di essa - scrisse parole diverse. Poi rimase a guardarle, ancora ancora, finché l'alba non si fuse con il tramondo, e insieme diedero vita alla notte. Una notte passata con quelle fotografie poggiate sul petto. Una notte in cui gli incubi si fecero da parte lasciando il posto ad un sonno però irrequieto.






"Anna, andiamo! Dai! Dai! Ti prego, vieni con me!"
La voce di un piccolo Andrea supplicante si diffuse nell'aria calda di quella stanza. L'estate era nel pieno del suo percorso.
"Non ho voglia, Andrè. Tu vuoi andare a giocare fuori a calcio con i tuoi amici e vuoi portare anche me solo perché vi manca un giocatore. Quando sarò là con voi però non mi farete giocare e mi ignorerete. Voglio rimanere qui a giocare con le nuove bambole che mi ha regalato papà."
Anna, nonostante fosse più piccola di lui di due anni, già all'età di sei anni si dimostrava più matura e pacata di Andrea.
Il bambino pensò di giocare la sua ultima carta: portarla all'esaurimento pregandola fino a quando non avrebbe detto di si.
"Dai! Dai! Dai! Dai! Dai! Dai! Annaaa! Ti prego, sorellina! Fallo per me! Andiamo a giocare fuori! Dai! Annaa, ti prego!"
Ma la bambina sembrò non dare segni di cedimento.
"Uffa, però. Sono io il più grande, dovrei decidere io!" Sbuffò indignato.
"Cercatevi qualcun altro per giocare, allora. Io non vengo." Sorrise scuotendo la testa di riccioli castani e continuando a pettinare la bambola che suo padre le aveva regalato una volta tornato a casa da uno dei suoi viaggi.
Andrea pensò che non fosse possibile. Insomma sua sorella dimostrava già più anni di quanti ne avesse, mentre lui si sentiva quasi più piccolo.
"Andiamo, per favore. Ti prometto che non ti ignorerò, e ti difenderò se Marco ti prenderà in giro! Lo giuro! Sarò il tuo eroe, però vieni!"
La figura elegante di Alessandra entrò nella stanza ridendo.
"Di chi sarai l'eroe, tu?" domandò accarezzando la testa del figlio.
"Di Anna, mamma" disse indicandola "sarò anche il suo principe e la proteggerò da Marco perché è cattivo, però lei deve venire a giocare fuori con noi." avvolse le dita ai pantaloni della madre supplicandola con gli occhi di convincere sua sorella ad andare fuori. Erano sempre stati la sua arma, i suoi occhi. Già da piccolo aveva imparato come usarli.
"Vedi, Principe Andrea, Anna vuole giocare con i suoi nuovi giocattoli, oggi." Spiegò prendedo il braccio la bambina e facendola sedere sulle sue gambe. Il bambino corse al fianco della madre, sedendosi sul letto morbido della piccola Anna.
"Ma può giocarci stasera, no? Non vuole venire solo perché Marco la prende in giro!"
"E tu, signorino, lasci che il tuo amichetto la prenda il giro?"
Anna non interveniva nella chiacchierata tra madre e figlio, se ne stava semplicemente nel suo mondo, in silenzio e senza disturbare.
"Ma no, mamma! E' che non posso andare contro Marco! Lui è il capo del gruppo. Non gli può dire niente nessuno." Scosse la testa enfatizzando il concetto.
"Sai, Andrea, spesso bisogna prendere coraggio e difendere i più deboli andando contro ai più forti. Sei vuoi essere il suo eroe e il suo principe devi difenderla a costo di litigare con Marco. E' questo che fanno i principi, no?"
"E poi baciano la principessa!" intervenne la bambina sorridendo.
Andrea scosse la testa.
"Io non ti bacio, Anna! Che schifo! Se vuoi ti abbraccio, ma no, non ti bacio!"
"Ehi, ma se tu sei il mio principe io sarò la tua principessa, e principe e principessa si baciano alla fine di ogni storia!" Protestò stringendo i pugni.
"Ok ok, allora ti bacerò, ma solo alla fine della storia!"
Alessandra scoppiò a ridere, poi strinse i suoi bambini al petto. Li strinse forte e risero tutti insieme. Risero felici, i tre guerrieri.







Quella notte Andrea sentì di nuovo stretto attorno al corpo l'abbraccio della madre, e quelle risate gli rimbombarono nelle orecchie, facendolo svegliare di colpo. Il cuore batteva nel petto ad un ritmo sostenuto, e il respiro era affannato. Gli sembrò di aver corso per ore senza mai fermarsi.
Non era un incubo, quello che l'aveva tormentato quella notte, ma solo un ricordo felice che non tornerà mai più. E forse gli fece più male dei soliti sogni cattivi.







Il pomeriggio seguente, sotto la porta della libreria dove Emma lavorava sgusciò una busta bianca con su scritto il suo nome, al suo interno le due fotografie giacevano abbracciate.
Quando Emma le prese le strinse forte al petto, poi volse gli occhi al cielo senza nuvole, quasi senza accorgersene. C'era qualcuno, in quell'infinito celeste, che vegliava su di lei. E c'era qualcuno, in quell'infinito terrestre, che la osservava da lontano.
Si sentì protetta ed insieme esposta, sensazioni contrastanti che presero ad abitargli la mente.






Angolo ales_sja:
ciao bella gente! Come promesso anche se un po' di ritardo, scusatemi, ma la connessione ad internet mi ha abbandonata per due giorni, ecco a voi il capitolo. Che dire? Ho voluto far conoscere aspetti importanti di entrambi i protagonisti. Fate molta attenzione alla reazione di Emma alle parole di sua cugina durante il pranzo di famiglia (pranzo che ho cercato di rendere il più 'italiano' possibile, spero di aver reso l'idea di quei pasti che portano via giornate intere e a cui sono presenti parenti sconosciuti, vecchiette che arrivano e ti dicono "ooh quanto sei cresciuta! Non ti vedo da così tanto tempo.." cosa che odio, oltretutto hahah). Ah ed è importante anche il sogno di Andrea.
Poi.. TADADADAN! Luca è gay!
Siete sorpresi?
Pensavate avesse qualche specie di relazione con Emma, eh?
Invece è suo fratello, e oltretutto non gli piacciono le donne!
Triste la vita, io già mi ero innamorata di lui..
Un'ultima cosa, avete idee per come si potrebbe chiamare la coppia? Cioè l'unione dei loro nomi? Fatemelo sapere in una recensione!
In ogni caso, spero il capitolo vi sia piaciuto, e sarei immensamente felice se mi faceste sapere cosa ne pensate attraverso una recensione! Anche se non vi piace, se avete delle critiche, tutto! Per me sarebbe molto utile.
Potete contattarmi su twitter: @vivodjzayn (non riesco a mettere il link, se qualcuno di voi sa come si fa, me lo faccia sapere hahah)
Tumblr: cielidicartapesta
poi ho una mezza idea di fare un gruppo su facebook dove faccio spoiler e vi dico come procedono un po' i capitoli.. ma questo solo quando e se la storia crescerà di lettori. Se vi piace l'idea, fatemelo sapere!
Ringrazio le 309 visite, le persone che hanno recensito il capitolo precedente e chi ha messo la storia tra le preferite, ricordate e seguite!
Al prossimo venerdi.

baci,
ales
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