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Autore: Xandalphon    19/10/2014    3 recensioni
ATTENZIONE! Questa è una storia scritta a quattro mani, da Lullaby1992 e Xandalphon.
Al villaggio del vortice avviene un furto, dalla grande biblioteca vengono sottratti importanti rotoli contenenti una potente tecnica di sigillo. Meno di un mese dopo una chunin di Konoha, Rin Nohara viene catturata e un cercoterio sigillato al suo interno, con le inevitabili conclusioni.
Ora il villaggio del vortice accusa, sebbene non direttamente, Konoha del furto, e Hiruzen manda una squadra ad investigare, irritando ulteriormente la Tsunamikage che interpreta il gesto come se gli avessero dato dell'incapace. Tra tensioni crescenti e un irritante squadra di ragazze.. riuscirà la squadra a portare a termine le indagini senza causare un pericoloso incidente diplomatico?
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Genma Shiranui, Kakashi Hatake, Nuovo Personaggio, Raido Namiashi
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate, Violenza
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31)Sintonia

 

 

***Nadeshiko***

Era piacevole aver ritrovato di nuovo il trio di ragazzi, dato che non avevo visto il tipo con gli occhiali.
 

Sì beh, era passato un mese, ma mi venne naturale sorridere a Raido quando lo vidi.
Ero entrata abbastanza in confidenza con lui. Nel senso che mi sentivo più... naturale in sua presenza. Non mi sentivo più in obbligo di mostrare il mio lato perfetto e freddo. Potevo stare tranquilla.
 

Yuki l'avevamo persa nello stesso istante in cui era comparso Genma, fatto assodato quando scomparvero ben presto da in mezzo la stanza per poi ritrovarli in una piccola combriccola di persone annoiate che si erano appartate in un angolo della stanza per giocare a carte. Incorreggibili.
 

Quella che mi preoccupava di più era Inazuma. Io e Yuki eravamo solo le sue 'ancelle', nessuno si sarebbe fatto troppe domande su di noi, o comunque avevamo solo un ruolo secondario, se non terziario.
 

Mentre invece lei era 'sotto esame'. Doveva rappresentare il vortice. Non poche occhiate si erano già fermate dubbiose su di lei, sul suo aspetto così fragile in apparenza, data la sua corporatura minuta e sulla sua giovane età.
Per ora era riuscita a mantenere sempre una maschera di pacata cordialità. Forse un po' legnosa, dato che non era mai stato il suo ambito, ma comunque passabile.
 

Io e Yuki ne avevamo parlato in disparte, cosa che non era mai capitata dato che Yuki di solito non era abbastanza seria per tali argomenti e io non ero tipo da parlare 'alle spalle' della mia amica. Ma ci eravamo dette che eravamo un po' impensierite da lei.
Anche se Inazuma si intestardiva a voler 'fare la dura' e continuava a dire che tra lei e l'albino non c'era nulla e nulla ci sarebbe mai stato, come io stessa avevo appreso di recente, tra le ragioni del cuore e della mente difficilmente le due si mettono d'accordo.
Se razionalmente lei sapeva che era meglio evitare un vero coinvolgimento emotivo... Non avrei saputo dire se il suo cuore ne fosse stato altrettanto d'accordo. Era evidente che quel tale le piaceva, o quanto meno la incuriosiva. E come gli aveva sorriso naturalmente rivedendolo era stata la prova del nove nel capire che non gli era indifferente.
 

“Ci sono problemi? Mi sembri pensierosa” mi chiese Raido che da perfetto cavaliere mi aveva portato un bicchiere di un qualcosa di analcolico.
 

“Non problemi imminenti, ma si, sono preoccupata” risposi incerta.
Mi spiazzava, non sapevo mai come rivolgermi a lui. Sentivo di potermi fidare, e al contempo non sapevo quanto dirgli dei miei pensieri, che di solito dividevo solo con le mie amiche. Ed era una cosa che mi mandava un po' nel pallone. Non era da me sentirmi così... esitante.
 

“Posso esserti in qualche modo d'aiuto?” mi chiese subito con un sorriso gentile.
Come fare a contrastare tanta disarmante gentilezza?
Esitai, incerta su cosa dirgli. O quanto dirgli di quanto sapevo.
 

“Se non sono fatti miei lo posso capire eh, nessun problema” mi disse lui.
 

“No, non fraintendere. È che non sono cose che mi riguardano direttamente e...” sbuffai, lasciando perdere. Era inutile. Non potevo fare a meno di vuotare il sacco con lui.
 

“Sono un po' preoccupata per Inazuma. Deve tenere un ruolo politico alla quale non è abituata e il concilio di Uzushi le sta posando parecchi fardelli sulle spalle tutti insieme, cosa che lei non vorrebbe, oltre a non esserci abituata. Sta passando da essere 'la sfaccendata del vortice' alla 'quasi Tsunamikage' tutto di colpo”
 

“Ah, ecco cosa ti crucciava. Credi che lei non sia pronta per un tale ruolo?” mi chiese.
 

“La risposta è né un si né un no... come posso spiegarti... uhm... credo che Inazuma non si senta ancora pronta ad un tale ruolo, ma oltre al fatto che sa di non poterlo rifiutare, sa anche che se guardasse sé stessa non si sentirebbe mai pronta.
Guardasse la sua voglia probabilmente passerebbe la vita distesa sotto un salice a guardare le nuvole con una pila di libri al fianco. In totale pace e tranquillità...”
 

Raido ridacchiò piano.
“Ma, scherzi a parte... nonostante sin ora abbia sempre tenuto un po' questo atteggiamento da sfaccendata, io sono certa che quando sarà il suo momento farà quanto va fatto solo che ora le cose si sono... un po' complicate ecco”
Non volevo tirare in mezzo questioni sentimentali che non mi riguardavano.
 

“Ti riferisci a Kakashi vero?”
Di nuovo la sua perspicacia mi colse impreparata.
Ridacchiò di nuovo della mia espressione stupita.
 

“Come l'hai capito?”
 

“Te l'ho detto che sono un buon osservatore... e poi la cosa direi che è reciproca. Il vostro trio ha un po' sconvolto le nostre esistenze, sai?
Kakashi in particolar modo... Anche se non ha tutti questi casini politici alle spalle è sempre stato uno lupo solitario, convinto di dover vivere in solitudine per morire in altrettanta solitudine, come un buon shinobi che segue quanto prescritto nel codice.
Quella di morire dietro gli ordini impartitogli dai suoi superiori, o comunque per la causa del villaggio per lui non è mai stata una possibilità, ma una certezza. Secondo il suo modo di ragionare è questo il suo destino e non ha mai fatto nulla per cambiarlo.
Vive come arma, e come tale non si aspetta altro che venire buttato via una volta che la sua lama sarà troppo incrinata per poter venire riparata”
 

Avevo avuto modo di capire che l'albino fosse un tipo un po' strano, ma non mi aspettavo una cosa simile.
 

“Che esistenza triste però” riuscii solo a dire.
 

Raido annuì. “Ha perso tutti quelli che gli erano cari a parte il suo maestro” disse accennando con il mento al nuovo Hokage.
 

“Quanto è successo a Uzushi... il fatto di aver quasi ehm... 'accidentalmente' ucciso Inazuma penso che lo abbia scosso, non è da lui perdere le staffe in quel modo e i sensi di colpa hanno fatto sì che si aprisse come dire... un varco nella sua corazza di solitudine.”
 

Scossi le spalle “Sta di fatto, che comunque non intendo mettere becco in ciò” non sarebbe stato giusto nei confronti della mia amica, e neppure di quelli del ragazzo.
 

“Ben lungi da me. Anche se, non farebbe male a Kakashi il capire che non si vive solo per essere un arma” sentenziò Raido.
 

Annuii in accordo con lui. Io, sebbene forse ci fossi andata vicino ad una simile esistenza, cercando di mascherare ogni mia 'imperfezione', non mi sarei mai immaginata la mia vita senza le mie amiche, e ora, senza Raido.
No, aspetta cosa andavo a pensare?
 

Ormai l'aveva pensato, ed era tardi per non ammetterlo almeno a sé stessa. Raido era diventato una componente importante della sua vita.
 

“Ora... mi concederesti un altro ballo?” chiese l'altro con un mezzo sorriso.
Allungai la mano per afferrare la sua.

***Inazuma***

Se non altro il resto della serata proseguì senza intoppi.
Trovavo strano al limite dello sconvolgente che, nonostante fossimo stati un mese separati... ora mi risultasse comunque così naturale stare in sua compagnia.
 

E se la parte logica, razionale della mia mente mi diceva che era tutto sbagliato quanto stavo facendo, tutto il resto di me mi diceva di infischiarmene ampiamente.
Tanto sarei rimasta qui solo per poco tempo. Un paio di settimane massimo, il tempo di svolgere tutte le formalità di rito, dato che io, in qualità di rappresentante di Uzushi dovevo riconoscere Minato come nuovo Hokage e rinnovare il trattato di alleanza che univa il vortice con la foglia.
Poi dovevo fare il mio annuncio. Alla fine la zietta si era decisa a fare l'annuncio ufficiale, di cui io sarei stata portavoce presso la foglia.
 

Esattamente ad un anno da oggi, 365 brevi giorni, sarei salita al potere. In quanto mi aveva nominata formalmente come sua erede e lei avrebbe abdicato.
L'aveva già detto al consiglio interno di Uzushi e dati i miei recenti 'successi' i capi clan non avevano avuto nulla da ridire a riguardo. Dannati vecchi bastardi. Dov'era finita tutta la loro avversità al mio modo d'essere 'scansafatiche' proprio quando serviva?
 

Peggio ancora, dato che la sua famiglia aveva fatto pressioni, Akiko aveva dovuto accettare ad anticipare le nozze con Rikuro. Non solo di poco, come avevo previsto.
 

Ma al giorno stesso in cui sarei diventata Tsunamikage.
 

Mi sarei sposata il mattino e al pomeriggio avrei ricevuto il titolo, così che anche lui sarebbe stato eletto in giornata come 'consorte della Tsunamikage'.
 

Dire che stavo dando di testa per quello era un eufemismo. Non volevo. Non volevo sposarmi, non volevo il potere, non volevo le responsabilità, non volevo diventare madre così presto, come invece sarebbe stato mio obbligo essere. Dovevo dare un erede al trono. Che palle!
 

Ma se lo volevano così tanto che se lo facessero loro! Quelle vecchie babbione del consiglio femminile che avevano puntualizzato la cosa.
Mia madre aveva tentato di tranquillizzarmi, dicendo che era solo il primo periodo quello 'brutto' ma che poi le cose sarebbero andate in meglio, ed era certa che sarei stata un ottima guida per tutto il popolo.
 

Io? ma dico... IO? Cioè quella che si passava le giornate sonnecchiando all'ombra delle foglie dell'antico salice?
No, qualcosa era cambiato anche in me dopo tutta quest'avventura con i ragazzi di Konoha.
 

Non che il vecchio salice fosse meno comodo o attraente, ma avevo capito che avevo delle vere e grandi responsabilità e che la gente si aspettava da me solo il meglio e per qualche motivo a me ignoto non volevo deluderli. Sopratutto la mamma e la zia, che sembravano riporre in me enormi speranze. Anche se ciò non alleggeriva il bagaglio che sentivo mi avevano posato sulle spalle.
 

Nonostante le proteste Kakashi effettivamente mi fece da cavaliere per il resto della serata, evitandomi parecchie grane.
Finita la festa ognuno si ritirò nei propri appartamenti, anche se i tre ragazzi -dietro anche insistenza di un galante Raido- ci accompagnarono sino ai nostri, per poi rientrare nei loro.
Prima di addormentarmi mandai anche un messaggio tramite un cigno di Nacchan a mia madre, come le avevo promesso di fare.
Dovevo dirle che andava tutto bene.
 

Non avevo mai visto mia madre dare di matto come quando aveva saputo che Akiko mi aveva mandata come 'ambasciatrice' a Konoha.
Comprensibile, dopo quanto le era accaduto.
Ci erano volute ore di persuasione da parte mia e parecchie altre di strilli con la zia.
Le avevo promesso che sarei stata attenta e che non mi sarei separata mai dalle mie due amiche, che fungevano anche da guardie del corpo.

***Kakashi***

Dire che il ritorno di Inazuma mi aveva scombussolato era un eufemismo grande quanto la montagna con i volti di pietra degli Hokage.
La pace, la tranquillità che provavo quando ero in sua compagnia...
Le parole che mi aveva poi rivolto... “Trovare qualcosa di bello e totalizzante per cui vivere”.
Ma come si poteva essere ninja ed essere armi... e al contempo 'vivere per qualcos'altro'?
 

Lo scopo di un ninja è vivere per il proprio villaggio. Essere l'arma che attacca i suoi nemici, o lo scudo che lo difende. Questo richiedeva il codice e questo doveva bastare... no?
 

Ora non ne ero più poi così certo.
 

Obito... tu... tu avevi capito come dovevano funzionare davvero le cose, nonostante ti considerassi assai inferiore a me. Peccato che io però non ci fossi arrivato ad una tale comprensione.
 

Confuso, andai nel luogo a me più famigliare. Davanti alla lapide di Obito, rimanendo a meditare davanti alla lista dei nomi delle persone che erano andate perse durante l'ultima guerra. Quante vite spente!
Però erano vite perse per uno scopo. Proteggere il villaggio e i suoi abitanti.
Ma più ci pensavo e mi sembrava una cosa razionale, più mi impelagavo nei confusi sentimenti che provavo e nelle parole di Inazuma.
 

La vita ha troppe distrazioni per poterle evitare tutte.
 

Ma allora era mio dovere impegnarmi a evitarle oppure era il codice ad essere sbagliato? Ma questa seconda possibilità avrebbe nullificato tutto ciò per cui ero vissuto sin ora... anche se...
'Chi non rispetta le leggi viene considerato feccia. Ma chi non tiene conto dei propri compagni, è feccia della peggior specie'.
Mi tornò in mente il momento in cui avevo attaccato Inazuma, il senso di liberazione che avevo provato in quei pochi secondi, pensando di essermi liberato del codice, anche se nel modo sbagliato.
 

Forse... forse non aveva tutti i torti nel pensare che vivendo solo come armi alla fine si dava di matto. Una persona non può vivere come oggetto. O si?
 

“Ehilà” la sua voce mi giunse così inaspettata che ancora un po' facevo una capriola all'indietro.
 

“I-Inazuma?”
 

“Già, proprio io” disse.
Aveva ripreso i suoi pantaloni color corteccia, con un giubbotto verde con la spirale rossa degli Uzumaki.
 

“Come... come mi hai trovato?” le chiesi, alzandomi. Ero un po' troppo confuso dai pensieri su cui stavo rimuginando per chiederle qualcosa di più complesso.
 

“Ho fatto due più due” mi rispose lei con un mezzo sorriso.
 

“Uh?” le chiesi sempre più confuso.
 

“Oh, andiamo. Dove potrebbe mai essere una persona come te? Sei solitario, per tanto difficilmente ti avrei trovato al mercato no? E poi hai perso delle persone a te vicine, e da quanto ne so, una per cui addirittura ti senti in colpa e di recente... dato che non eri al cimitero e ho sentito parlare di questa lapide per i caduti della terza guerra...” scrollò le spalle con semplicità.
Come poteva una persona che mi conosceva da così poco ad avermi... capito così tanto?
Mentre io riflettevo imbambolato su questo pensiero, lei staccò una margherita dal prato e la poggiò sulla fredda pietra della lapide con rispetto.
 

“Co-come mai qui?” le chiesi. Cercando disperatamente di cambiare argomento. Mi sentivo troppo... scoperto, troppo vulnerabile. Quella dannata ragazzina era riuscita a penetrare sin troppo in profondità nel mio animo confuso, sentivo... sapevo che se ora mi avesse chiesto qualcosa non avrei potuto più fare a meno di aprirmi con lei.
 

“Ti stavo cercando” disse.
 

“Perché?”
 

Scrollò le spalle. “Deve per forza esserci un motivo per cui devo venirti a cercare? Mi...” esitò, incerta. “Mi.. mi fa piacere stare in tua compagnia. Tutto qua” disse arrossendo un poco sulle gote e sollevando il mento come sfidandomi a contrariarla.
Il silenzio che ne seguì fu un po' teso e un po' imbarazzato.
Mentre il mio cervello s'affannava disperatamente ad uscire da quel labirinto che erano diventati i miei pensieri. Ormai neppure io riuscivo più a darmi una risposta logica e coerente a tutto. Il mio mondo si stava letteralmente ribaltando.
Non sapevo più cosa fare o cosa pensare.
 

“Però se sono di troppo... vado. Capisco che vuoi restare con i tuoi pensieri” disse con semplicità, rimettendo sul viso una maschera di pacata indifferenza, anche se compresi che il mio atteggiamento la stava ferendo.
Lei era venuta a cercarmi di sua iniziativa. Voleva solo farmi un po' di compagnia. Io invece continuavo ad essere un muro contro cui tutti quelli che continuavano a cercare di avvicinarsi a me ci sbattevano dentro, non trovando nulla se non solide e fredde pietre.
 

“Inazuma...” lei si fermò, io esitai. Sentivo nel mio petto una viva lotta tra ragione e sentimento, tra il voler restare in solitudine come sempre avevo fatto e un.. disperato bisogno di trovare risposte, risposte a domande quali non ero in grado di rispondermi da solo. Dentro di me infuriava la lotta tra l'anima di una persona e la mente di un ninja.
Mi guardò interrogativa, vedendo il mio silenzio.
Fece di nuovo per voltarsi ad andarsene.
 

“...resta”
Per un momento temetti quasi che ormai si fosse offesa, o che avesse ormai deciso di andarsene. In fondo non meritavo che lei rimanesse.
Invece, con un mezzo sorriso tornò indietro. Da me.
Rimanemmo in silenzio per un momento.
 

“Allora... chi era?” mi chiese cautamente, come so volesse misurare le parole per non essere troppo invadente.
Normalmente mi sarei asserragliato in un solido mutismo. Ma ormai era troppo tardi per tornare sui miei passi e continuare a fare il lupo solitario.
 

“O-Obito Uchiha”
Rimasi di nuovo in silenzio per un lungo momento ma lei non parlò, lasciando che fossi io a trovare le parole per colmare il silenzio, e preferii così.
 

“Camminiamo?” le chiesi. Muoversi mi avrebbe aiutato a ordinare i pensieri e magari a sciogliere un po' il blocco che avevo dentro.
Lei si limitò ad affiancarmi in silenzio.
 

“Era il mio compagno di team assieme a Rin. Ci siamo conosciuti all'accademia, anche se all'epoca non mi sembrava nulla di così importante. Già allora ero piuttosto ehm... convinto del fatto che un ninja deve seguire alla lettera il codice” le spiegai.
Diressi i miei passi verso il parco, dove speravo che la pace tra i fitti alberi mi aiutasse in questo compito che mi sembrava assai più difficile di una missione.
Dover parlare di me a qualcuno. Se qualche mese prima avessi pensato di fare una cosa del genere mi sarei riso dietro da solo.
 

“Io e Obito eravamo diversi come il giorno e la notte. Lui era quello impulsivo, facile all'ira quanto alla risata. Era considerato una pecora nera un po' da tutti. Arrivava in ritardo, era sbadato, smemorato. Un Uchiha fallato, dato che era goffo anziché talentuoso come invece tutti si aspettavano dagli appartenenti a quel nobile clan”
Lei accennò ad un mezzo sorriso, appena agli angoli della bocca, come immaginandosi il bambino irruento e scapestrato che era stato Obito.
Tremai internamente al pensiero di quello che stavo per dirgli.
Chissà cosa avrebbe pensato di me sapendo... ma ormai era troppo, davvero troppo tardi per tornare sulle mie.
 

“Per me non era altro che una palla al piede. Era quello che mi rovinava le missioni e che mi faceva restare indietro. Durante gli esami per diventare chunin ho dovuto non so quante volte tornare indietro a recuperarlo o a salvarlo dalla sua stessa goffaggine.
E non è che lo facessi tanto per pietà nei suoi confronti, quanto che per poter andare avanti era obbligatorio avere la squadra al completo” parole crude, ma terribilmente vere.
Com'è che a ripensarci ora, solo ora mi rendevo conto di quanto male mi fossi comportato?
Lei comunque non commentò, e rimase ad ascoltare.
 

“Tempo dopo, mi promossero a Jonin, e mi assegnarono la squadra, con l'ordine di sabotare il ponte che serviva ai rifornimenti delle linee nemiche”
 

“La battaglia del ponte Kannabi?” mi chiese.
Annuii.
 

“Era la mia prima missione come leader, e la prima in cui non ci sarebbe stato Minato-sensei con noi, dato che sarebbe stato impegnato a combattere contro i ninja della roccia al fronte.
All'epoca il mio raikiri era una tecnica ancora incompleta. Cioè era già a posto, a piena potenza, ma mi mancava un componente. Senza sharingan la tecnica richiede uno scatto di eccessiva velocità che non permette di vedere se il nemico ti sta attaccando e di parare il colpo.
Comunque, ci inoltrammo nelle linee nemiche, ma ad un certo punto dei ninja nemici ci attaccarono e riuscirono a rapire Rin.
Ovviamente Obito, che era innamorato di lei, propose di andarla a salvare, ma io non ne volevo sentire. È la vita di un ninja, i ninja sanno che possono essere catturati ma la priorità è la missione.
Dunque ordinai di proseguire la missione.
Fu... fu Obito a opporsi. Mi piantò in asso dicendomi che secondo lui... secondo lui mio padre era stato un eroe a prendere quella scelta e che... che 'chi non rispetta le regole è feccia, ma chi non tiene conto dei propri compagni è feccia della peggior specie'”
Avevo detto anche più di quello che volevo accennando a mio padre. Mi stavo allargando troppo. Ma... dopo tutto quel tempo a tenermi tutto nella mia mente, poter finalmente parlare con qualcuno era come aver rotto una diga.
L'acqua si riversava fuori con furia, senza che ci fossero possibilità di fermarla.
Anche se poi dopo lei avrebbe avuto tutte le ragioni di piantarmi in asso, una volta capito che persona spregevole ero. Tsk. Avevo fatto ammazzare un compagno e ucciso di mia mano l'altro.
 

“Alla fine andai a cercarli, però era ormai tardi. Un ninja che aveva l'abilità di camuffarsi come un camaleonte nell'ambiente ci attaccò, e fu lì che persi il mio occhio” dissi accennando all'occhio sinistro.
 

“A salvarmi fu proprio Obito, che risvegliò in quel momento il suo sharingan. Andammo a salvare Rin, che era rinchiusa in una grotta, però da fuori il ninja della roccia usò un ninjutsu della terra per far crollare il posto. Una roccia mi colpì stordendomi, dato che avevo un punto ceco che prima non avevo, e fu di nuovo Obito a salvarmi. Si buttò sotto le rocce al posto mio.
Le sue ultime parole furono che secondo lui sarei diventato un buon ninja e... mi regalò il suo sharingan per la mia promozione a jonin, facendomi giurare che avrei protetto Rin”
Rimasi in silenzio un momento, fermandomi. Eravamo ancora nel parco, circondati solo dal verde e dai rumori classici di un bosco. Il leggero zampettare degli scoiattoli, lo spensierato cinguettare degli uccelli tra le fronte, il piacevole suono delle foglie percorse da un lieve alito di vento.
Feci una risata, un suono lugubre, quasi sinistro, privo d'allegria.
 

“La stessa Rin che è morta per mano mia neanche cinque mesi fa. La gente intorno a me ha una certa tendenza a finire male non trovi?” le chiesi, quasi aggressivo, quasi intenzionato a spaventarla davvero.
 

Forse se... se ne fosse andata, se mi sarebbe stata lontana avrebbe evitato quella maledizione che mi aveva colpito.
Di coloro che mi erano cari rimaneva solo Minato. Gli altri se n'erano andati tutti. Mio padre, mia madre, i miei compagni di team.
Cosa rimaneva se non vuoto e dolore? Si, forse era davvero meglio vivere solo come armi. Tanto era, tanto doveva bastare.
Allora perché speravo tanto, sino ad agognare una sua risposta? Sebbene fissassi ostinatamente l'albero di fronte a me attendevo con i muscoli tesi come pronto ad un balzo una sua risposta. Una qualsiasi.
Sentivo la tensione salire, chiudendomi lo stomaco, fino quasi a farmi pensare che sarebbe stato meglio persino che si mettesse a gridare piuttosto che quel silenzio.
Lei mi spuntò di fronte all'improvviso, salendo su una radice dell'albero per potermi pareggiare in altezza e guardarmi dritto negli occhi.
 

“Sei proprio un baka lo sai?”
Sbattei le palpebre confuso.
 

“Kakashi... errare è umano. Nessuno in questo mondo è perfetto”
 

“Non è questione di perfezione. Sono morti per le mie scelte sbagliate. Sono io ad essermi macchiato le mani del loro sangue, Inazuma”
 

“Hai fatto del tuo meglio” rispose inaspettatamente.
 

“L'ho mandato a morire, e ho abbandonato un compagno imprigionato” le ricordai.
 

“Stavi seguendo il codice” mi ricordò lei.
 

“Non avrei dovuto lasciarlo andare da solo”
 

“La priorità è la missione. Se necessario bisogna proseguire, anche da soli” mi rammentò di nuovo.
 

“Allora avrei dovuto proseguire la missione” dissi confuso e sempre più frustrato dalle sue risposte.
 

“Quindi dovevi abbandonare non uno ma due dei tuoi compagni? Mi sembra ragionevole. Il codice dice...”
 

“Il codice sbaglia!” sbottai all'improvviso, furente e frustrato.
Lei sorrise, come se volesse arrivare proprio a questo.
 

“Allora perché continui a vivere alla sua ombra? Perché hai tanta paura di ascoltare il tuo cuore Kakashi?” mi chiese.
Rimasi così sbigottito dalla sua domanda che d'istinto feci un passo indietro, allontanandomi da lei.
 

“Io... io non ho paura!” farfugliai confusamente. L'unica verità e che ero troppo confuso da quella questione che neppure io sapevo più cosa provavo. Ero troppo lacerato da quei pensieri.
Se era sbagliato vivere come ordinava il codice, perché esso esisteva? E come avevo fatto a vivere sin ora? Ma se lo abbandonavo cosa ne sarebbe stato di me?
 

“No, non hai paura, sei terrorizzato all'idea che il tuo prezioso codice possa sbagliare perché questo vorrebbe dire che ciò che hai creduto giusto sin ora sarebbe in realtà sbagliato, e farebbe di te una persona terribile” la verità, detta dalle sue labbra sembrò come se avesse appena annunciato l'apocalisse.
Ero all'improvviso tentato di fuggire. Lontano. Non importa dove.
Ma restai. Forse era davvero il momento giusto per affrontare la cosa e cercare di fare luce sulle incertezze che mi attanagliavano.
 

“In fondo lo sono no? Ho quasi rischiato di uccidere persino te. Mi viene quasi da chiedermi cosa tu ci faccia ancora qui” le risposi onestamente.
Lei invece fece una risatina.
 

“Ah, Kakashi...” disse scuotendo la testa.
 

“Non sei più quella persona da tempo, se mai lo sei stato. Hai sbagliato, ma hai capito già da tempo dove avevi sbagliato e sei cambiato.
Una persona come tu credi di essere, non si preoccupa dei suoi sottoposti come fai con Genma, Raido e Aoba. Una persona simile, non mi sarebbe venuta ad aiutare quando sono andata a fronteggiare Rito Genkaku. Non mi avrebbe difeso davanti a tutti mollando un pugno a quello scemo di Rikuro. Non avrebbe la stima dei suoi compagni di team. Tu sei già cambiato. Solo che ancora non ti rendi conto di averlo fatto, e continui ad aggrapparti al codice per cercare una risposta che non trovi”
 

Alle sue parole mi resi conto che aveva maledettamente ragione.
Era dalla morte di Obito in poi che avevo iniziato a preoccuparmi dei miei compagni di team. Per loro avrei dato la vita. Non volevo più che nessuno di loro ci rimettesse la pelle sotto il mio comando.
La vita era una cosa troppo preziosa ed effimera. Ogni vita persa era un vuoto incolmabile in quella di qualcun altro. Amici, genitori, sorelle o fratelli, parenti.
 

“Non sei affatto una persona terribile Kakashi. Se lo fossi non ci sarebbero tante persone disposte a credere in te. Sei solo stato sfortunato in trovarti dentro situazioni impossibili. Hai fatto del tuo meglio, non è bastato ma non per questo ciò che hai fatto è stato del tutto sbagliato. Questo, il tuo compagno l'aveva capito. Per quello ti ha donato quell'occhio” mi disse con un tono gentile.
Dunque... non mi riteneva un mostro dal sangue freddo come invece avrei meritato?
 

“Ma...” provai a dire.
Lei mi zittì, abbracciandomi.
Ne fui così sorpreso che rimasi paralizzato.
 

“Stai zitto albino dei miei stivali. Rischi di dire solo cazzate” mi disse.
Ero come imbambolato, stralunato nella sua stretta dolce e calda.
Perché? Perché faceva così? Perché non era fuggita da me? Come mai non mi riteneva solo una fredda macchina di morte? Avevo tradito la fiducia di chi mi era vicino, ma lei non la pensava così... perché?
Alla fine rimasi a corto di idee. E mandai al diavolo le risposte. Quali che fossero lei in questo momento era qui, con me. Mi conosceva davvero, ed era riuscita a capire i miei pensieri, quelli veri, quelli profondi, quelli che celavo persino quasi a me stesso.
Ed era qui.
Mentre ricambiavo la sua stretta gentile, mi vennero in mente le parole di Genma di qualche tempo prima.
“Io una così non la trovo alla foglia”

  
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