Premessa: Ciao a tutti!
prima di farvi leggere il capitolo volevo ringraziarvi tutti, in particolare
coloro che hanno commentato e hanno aggiunto questa storia ai preferiti.
^^
Speravo che piacesse a qualcuno, dato che l'ho pensata per molto tempo
XD
Beh, come vedo avete capito bene chi è il tipo che conosce Bella... In
questo capitolo lo "vedrete" di nuovo... Per la vostra felicità XD
Il
capitolo 3 è già pronto, lo posterò tra due o tre giorni.
Per adesso,
beccatevi questo, sperando che vi piaccia e vi incuriosisca come il
primo!
Grazie in anticipo a chi commenterà ^^
Il giorno seguente, mi svegliai
di colpo, molto assonnata.
La sveglia continuava a suonare, ma non sapevo
dove fosse, per poterla spegnere.
-Dannazione! - urlò Angela, che diede una
botta sul comodino. Era semplicemente lì, ma non l'avevo vista. Ero troppo
confusa.
Mi voltai verso di lei, che iniziò a ridere. - Hei... - disse.
-Hei – le risposi, con uno sbadiglio, - cosa c'è da ridere? -
Non la
smetteva. - I tuoi... capelli... Dovresti guardarti allo specchio! -
Oh.
pensavo al peggio, e invece? Avevo semplicemente i capelli fuori posto. E,
inoltre, pensavo davvero di essere in ritardo. Mha.
Sbuffai e mi gettai
indietro sul cuscino. Iniziai a pensare a ciò che sarebbe accaduto dopo...
Avremmo preso il treno e saremmo andate insieme a New Heaven. Eravamo state
prese entrambe nella Università di Yale. Chi ci avrebbe mai creduto. Io non ci
credo nemmeno adesso.
Avevo fatto domanda per caso, e per curiosità, dato
che i miei professori mi avevano spinta a provarci perchè dicevano che poteva
essere un'università per me.
Fui scettica quando inviai la mia domanda, ma
poi, stranamente, quando ricevetti una grossa busta di risposta, fui ancora più
felice.
E in più, quando sentii Angela poco dopo, anche lei mi aveva detto
che era stata ammessa lì, con una borsa di studio, in modo da non pesare ai
genitori.
Angela fissava la sveglia su comodino con aria stanca. - Manca
poco... -
-Già... Meno di due ore alla partenza – Sospirai.
-Sarà meglio
che ci prepariamo, altrimenti perderemo il treno delle dieci – disse, alzandosi
dal suo letto e prendendo i vestiti puliti. - Vai in questo bagno, io andrò in
quello del piano di sotto – mi disse.
Feci come aveva detto, e fui più veloce
del solito nel prepararmi.
Tuttavia, quando avevo domato anche l'ultimo
capello ribelle, non riuscii a staccarmi dalla specchio.
Fissavo il mio
volto pallido riflesso, chiedendomi come mai avessi un colorito così chiaro,
anche se i miei genitori non erano così. So che era una domanda piuttosto
sciocca, dato che in cuor mio sapevo che era a causa del brutto tempo permanente
di Forks, ma pensai lo stesso che era quasi senza colore perchè mi sentivo priva
di affetto da parte di qualcuno. No, non intendo da amici o parenti. Intendo
proprio qualcuno nel senso amoroso.
Non sto più pensando a Jacob da tempo,
ormai, e sento nel cuore la voglia di fidanzarmi di nuovo. Questa volta con una
persona seria. Però, pensandoci bene, sto anche mentendo a me stessa... Come
mai, fino a ieri sera, avevo pensato di non voler conoscere nessuno quando
Emmett si era presentato? Com'era possibile che improvvisamente era tutto
cambiato? Perchè il mio cuore stava cercando di riaprirsi? Non lo sapevo. O
forse non volevo ancora accettarlo.
-Bella! - mi chiamò Angela, ed io uscii
dalla porta del bagno in fretta e furia.
Angela mi aspettava a piano terra,
con tutte le sue valigie radunate ai suoi piedi.
I suoi genitori, Sara e
John, erano ai suoi lati e le sorridevano allegramente. C'era anche Mikey, che
Angela teneva in braccio e baciava ogni tanto sulle guance.
-Finalmente –
disse Angela, sorridendomi.
-Scusatemi, ma ho avuto dei problemi con i
capelli – cercai di giustificarmi.
-Lo so bene – disse ridendo, ed i suoi
genitori risero assieme a lei, capendo il mio problema.
-Adesso andiamo,
però. Non voglio di certo arrivare tardi alla consegna delle chiavi! - dissi, ed
aprii la porta per dirigermi all'esterno.
Il viaggio verso la
stazione fu davvero breve. I genitori di Angela la salutarono fin sotto al
treno, e vidi da lontano che aspettarono finchè il treno non prese la curva e
sparì nel nulla, tra le colline del Connecticut.
Arrivammo in poco più di
un'ora, e la stazione era piana di studenti come noi.
“Tu sai dove andare?”
chiesi ad Angela.
“Sì, dovrebbe esserci un autobus proprio per gli studenti,
qui accanto. Seguimi”
Andammo prima a destra, poi a sinistra, e ci ritrovammo
in un grosso spiazzo. Oltre alle decine di macchine parcheggiate, cerano anche
dei pullman blu e altri rossi. Su alcuni c'era anche lo stemma della nostra
università.
“Andiamo, penso che il nostro sia quello,” disse Angela,
indicando un autobus blu.
Entrammo, e ci sedemmo in uno dei posti più
lontani dal conducente, dove sei sicuro di non essere molto disturbato. O
meglio, pensi di esserne sicuro.
Cercai di farmi strada tra lo stretto dei
sediolini, finchè non riuscii a riporre il mio bagaglio nell'apposito
contenitore sopra la mia testa.
Stava andando tutto bene, finchè l'autista
non mise in moto e il bus partì.
Io ero ancora intenta a mettere a posto il
bagaglio, ma persi la presa, e... Oh mamma. Stava quasi per cadermi in testa.
Stava. Qualcuno l'aveva bloccato in tempo.
Mi girai per poter ringraziare la
persona che era stata così gentile da salvarmi da un bernoccolo in testa.
Trasalii.
“Oh, ma sei tu,” disse Emmett.
Emmett, proprio lui, no. Forse
suo fratello, ma lui... Non volevo nemmeno chiedergli perchè era su quel
pullman.
“Ciao,” dissi, con voce roca, e presi posto accanto ad Angela.
Emmett iniziò a ridere. “Ti avevo detto che ci saremmo rivisti.”
“Già,
non hai tutti i torti,” gli risposi, fredda.
Angela mi diede una gomitata,
ed io mi voltai verso di lei.
“Beh, non mi presenti alla tua amica? Vedo che
lei al tuo contrario vorrebbe conoscermi”
“Angela, questo è Emmett. Emmett,
lei è Angela”
Emmett fece ciao ciao con la mano, ed Angela gli sorrise. Cosa
ci trovava di carino, in lui?
Per essere carino, lo era. Ma il resto? Per me
era troppo petulante.
“E tu? Tu non mi dici il tuo nome?” chiese, rivolto a
me.
Sbuffai, chiedendomi perchè mai avrei dovuto dirglielo. Forse gli avrei
potuto ripetere le stesse parole che mi aveva detto suo fratello, la scorsa
sera.
“Prova ad indovinarlo” lo provocai. Semmai era un modo per passare il
tempo.
“Uhm... Vediamo... Ti chiami Anne? Jessica? Michelle?
Mary?”
Scossi il capo. “Sei molto lontano dalla verità”
“Ashley? Katy?
Scarlett?” fece, con sguardo interrogativo.
Feci sempre di no con la testa.
Vediamo fino a dove arrivava.
“Bella... Si chiama Bella” fece Angela
sottovoce, ma io la sentii. Era a due centimetri da me.
Mi voltai verso di
lei, arrabbiata. “Angela! Non si suggerisce!”
“Troppo tardi”, fece Emmett,
“ora lo so” disse, con il sorriso sulle labbra.
Misi il muso. Maledetta
Angela.
“Bella... Isabella... Davvero un bel nome. Ti si addice”
Non mi
voltai, e restai in silenzio. Non mi stava molto simpatico. E non mi aiutava a
farmisi piacere se continuava ad essere così impertinente e petulante.
Emmett cominciò a parlare con Angela, dato che io non rispondevo più, ormai,
che chiusi gli occhi e misi le cuffie nelle orecchie per ascoltare un po' di
musica.
Angela mi tirò il braccio per farmi aprire gli occhi. Eravamo
arrivate.
“La Bella Addormentata sul pullman,” disse Emmett, sorridendo per
la milionesima volta quel giorno.
Gli risposi con una smorfia, e presi il
mio bagaglio, per avviarmi.
Angela mi seguii in fretta, ma Emmett era veloce
quanto lei. Stavano ancora parlando, e lei rideva come una matta.
Entrammo
nel grande portone, sotto all'arco di pietra, nel grande giardino
dell'università.
“Ma è bellissimo,” disse Angela.
“Sì, aspetta di vedere
dentro,” le rispose Emmett. Ormai io ero davanti a loro di due o tre passi. Mi
stancai di camminare veloce, così mi adattai al loro passo.
“Dove dobbiamo
andare noi matricole?”
“Guarda, c'è l'ufficio accettazione lì in fondo” le
indicò Emmett “però temo che dovrò salutarvi qui”
“Come mai? Se non sono
troppo indiscreta” gli chiese Angela, e si bloccarono entrambi.
“Beh, devo
aspettare qualcuno”
“La tua ragazza?” insisté Angela.
Emmett arrossì un
po'. “Sì, la mia ragazza.”
“Va bene, vorrà dire che ci rivedremo in giro,
allora”
Emmett sorrise. “Certo, ci si rivede” disse, sorridendo verso di me
“Bella, ops Isabella... Spero che la prossima volta sarai più amichevole”
Gli
feci una linguaccia. “Ciao, Emmett” lo salutò Angela.
Lui si fermò sotto ad
un albero, e si sedette su una panchina, mentre io e Angela ci avviammo in sala
accettazione, dove ci avrebbero consegnato le chiavi della nostra camera. Chi sa
con chi l'avremmo condivisa. Chi sa se Emmett intendeva tra quel 'qualcuno'
anche suo fratello... Il suo fratello senza nome... Ma come mai ci pensavo
ancora? 'Basta Bella, silenzio.'
quando fummo distanti a sufficienza dal
ragazzo, Angela attirò la mia attenzione.
“Come mai ti da tanto
fastidio?”
“Lo vedo infantile. E petulante”
Angela sospirò. “Per me è
simpatico”
“Pensala come vuoi, ma non so se le cose cambieranno”
“Sembra
tu sia prevenuta”
Non le risposi. Perchè dovevo farlo?
Quando arrivammo in
sala accettazione c'era una folla pazzesca.
Sopra ad ogni sportello, una
lista di lettere diverse che indicavano a quale sportello dovevi dirigerti per
prendere la tua chiava.
“Mi sa che noi faremo la stessa fila, Angie” le
dissi.
“Già, spero solo non ci vorrà molto” Le ultime parole famose. Eravamo
quasi le ultime della fila e il dolore allo stomaco si faceva sentire forte,
finchè non arrivo anche il nostro turno.
“Lei è?” chiese il segretario.
“Isabella Swan e Angela Weber”
Guardò su un registro, e ci diede delle
carte da firmare. Ci chiese anche i documenti, e poi ci consegnò un mazzo di
chiavi.
“Il vostro è l'appartamento 113, dell'edificio C”
“Grazie,” gli
dissi, e con Angela mi diressi verso la mia nuova 'casa'.
Il palazzo C
sembrava molto bello dall'esterno, in uno stile davvero molto raffinato. Che
fortuna essere proprio in quella università.
Il nostro appartamento, il
numero 113, era a piano terra. Lo trovammo subito.
“Eccolo...” disse Angela.
Io la guardai e sorrisi, e girai la chiave nella toppa. Era già aperto.
Feci un'espressione stranita, ed anche Angela fece lo stesso. Evidentemente
dividevamo quell'appartamento con altre ragazze.
Sentivo delle voci
provenire dall'interno.
“Senti, o mi porti quel letto che ti ho detto,
oppure non resto a dormire qui. Me ne torno a casa!” La ragazza aveva una voce
davvero stridula ma armoniosa.
Insieme ad una ragazza bassina, coi capelli
corvini, girava avanti e indietro con un cellulare in mano.
“Ehm...” feci,
per attirare l'attenzione. La ragazza bassina si voltò, mentre l'altra era
ancora persa nella sua conversazione telefonica.
“Voi dovete essere le
nostre coinquiline,” iniziò, “io sono Alice. Alice Cullen”
“Ciao, noi siamo
Bella e Angela” dissi, cordiale. “E lei?” chiesi, indicando la ragazza dietro di
lei.
Una biondona alta e snella, con dei tacchi da far paura.
“Beh, lei è
Rosalie. Non fateci caso. E' sempre così dappertutto. Non le va bene il letto
della sua stanza...”
La gente è davvero strana. Coma fa a dire che non le va
bene se non ci ha nemmeno dormito una volta? Mah.
Io ed Angela ridemmo,
mentre la bionda – Rosalie – chiuse la telefonata con un'espressione arrabbiata
sul volto.
Si girò verso di noi, e ci analizzò dalla testa ai piedi.
“Salve,” disse Angela.
Rosalie continuò a fissarci, poi prese la sua
valigia ed entrò in una stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
Io
scrollai le spalle ed alzai un sopracciglio. “Ma cos'ha?”
“Niente, è solo
arrabbiata. Vedrete che le passerà e si presenterà da sé” disse Alice.
“Contenta lei. Qual'è la nostra stanza?” chiese Angela.
Alice si guardò
intorno. “Dovrebbe essere quella” disse, indicando una porta dietro di sé
“Rosalie ha scelto quella che le piaceva di più, quindi vi tocca l'altra...
scusatemi”
“Non fa nulla, credimi. Una vale l'altra” le risposi, sempre
sorridente.
Prendemmo le nostre valigie e le portammo nella nostra nuova
stanza.
Mi gettai all'indietro sul letto, gustandomi il relax.
Angela
andò alla finestra, e mi disse che la vista da quella stanza era davvero
grandiosa. Meglio così.
Io mi tolsi le scarpe e mi misi sotto alle coperte,
sapendo che per quella giornata, non avremmo dovuto fare proprio nulla. Per
quella giornata, però.
Sprofondai nel sonno in pochi minuti, facendomi
cullare dalla pace beata. Era davvero un posto tranquillo. Per quel poco che
dormii, feci un sogno.
Ero per strada. La stessa strada di ieri sera, quella
che portava da Angela. Ma questa volta non ero sola. Questa volta, c'era
qualcuno che mi teneva la mano.
Mi voltai, e vidi il ragazzo che mi aveva
salvata. Mi sorrideva.
“Vuoi davvero saperlo?” mi chiese, “vuoi davvero
sapere come mi chiamo?”
Io annuii, e non so perchè ero incapace di parlare.
Mi sentivo tutta un fremito.
“Beh, allora dovrai scoprirlo. Posso dirti solo
l'iniziale... Ma già ti dico che sarà difficile...”
Annuii di nuovo, sempre
muta.
“Okey. Il mio nome inizia con...” Di nuovo la luce.
Saltai a
sedermi in pochi secondi, e mi girò subito la testa.
“Oh, cazzo. Cazzo,
cazzo!” dissi, dandomi dei pugni in testa. Forse, se non mi fossi svegliata, me
l'avrebbe anche detto. Bella, ma a cosa pensi? Pensi davvero che in un sogno tu
possa scoprire qualcosa che puoi sapere solo se ci parli, con quel tipo?
Sciocchezze.
Angela, seduta davanti alla scrivania, si voltò verso di me.
“Hei, Bella, tutto bene?”
“Sì, va benissimo. Stavo solo sognando di
baciare Johnny Deep e improvvisamente il sogno è finito...” Mentii.
“Che
spreco. Mi dispiace...”
“Bah, ci riproverò stanotte...” dissi, tradendo le
mie stesse parole. Provare. Provare, sì. Davvero credi che ci riuscirai? Non
penso proprio. Sono rarissime le situazioni in cui un sogno interrotto viene
ripreso dalla sua fine... Anzi, sono quasi nulle. Perdi le tue speranze, fin da
adesso. E' inutile riporle in qualcosa, tanto non succederà.
Mi alzai, ed
uscii dalla stanza.
Alice era seduta sul divano, assieme ad un ragazzo. Lui
le teneva il braccio sulla spalla, ed insieme ridevano vedendo uno show di
comici alla televisione.
Rosalie invece non c'era, e non m'importava dov'era
andata.
Passai davanti ai due ragazzi ed andai accanto alla finestra per
vedere la vista. Non mi andava di vedere le coppiette di innamorati quando io,
al contrario, ero sola come un chiodo. Forse non ero fatta per amare nessuno.
Vedendoli mi tornava in mente Jake. 'Non piangere, lo farai dopo.' Mi dissi,
cercando di contenermi. Era sempre così. Per questo motivo cercavo di vedere
altro. Non volevo pensarci.
“Bella?” mi chiamò Alice, mentre ero girata. Mi
voltai verso di lei, un po' triste. “Bella, volevo presentarti Jasper”
Mi
avvicinai al ragazzo, che mi tese la mano facendomi un sorriso. “Molto piacere”
mi disse.
“Piacere mio. Cosa guardate di bello?”
“Nulla, i soliti show
stupidi che danno la sera”
“Ehm... Scusami, ma che ore sono?”
“Le nove e
mezza”
Forse loro mi presero per una stupida, sta di fatto che sgranai gli
occhi. Già le nove e mezza... E non avevo messo nulla sotto i denti. Non
mangiavo da ieri sera. Il mio stomaco brontolò, ed Alice capì subito
perchè.
“Se vai adesso in mensa, penso che puoi trovare qualcosa. Io e Jazz
siamo arrivati da poco, e c'era ancora molta gente a mangiare”
“Grazie, ci
vado subito” dissi, e senza salutare, uscii dalla stanza. Non sarei potuta di
certo restare lì, in quell'alcova dell'amore, per tanto tempo. Non resistevo.
Trovai subito la mensa, si trovava a pochi passi dall'edificio principale.
Dal mio edificio distava quindici minuti. Uffa. Avevo fame ed ero triste. Che
mix letale. Speravo almeno che fosse rimasto qualcosa da sgranocchiare, in
mensa. Anche un pezzetto di pane, mi dissi.
Aprii la porta trasparente con
un po' di forza. Almeno era aperta.
Entrai nella mensa, e mi guardai
attorno. Era vuota, tranne per degli impiegati che stavano pulendo per terra e
mettendo a posto.
“Fatto tardi?” mi disse una voce di donna da dietro le
spalle, e mi fece sussultare. Mi voltai all'istante, con i brividi. Era la
cuoca, o la cassiera. La riconobbi dalla divisa.
“Ehm, ho preso
sonno”
“Ce n'è sempre qualcuno, ogni anno” disse, “Vieni con me, prendi il
piatto e le posate”
Feci ciò che mi disse, e mi sedetti ad un tavolo vuoto.
La donna mi portò un po' di pasta, e una fetta di carne.
“Penso bastino.
Dopo metti tutto a posto”
Annuii. Per un po' di cibo farei qualsiasi cosa!
Mangiai in fretta, e misi tutto negli appositi contenitori. Vidi l'ora.
Erano quasi le dieci e un quarto. Dovevo sbrigarmi, se non volevo essere sola
per le strade del campus.
Uscii fuori, nel buio. Solo qualche lampione
illuminava il grande giardino pieno di panchine sotto agli alberi.
Mi
guardai attorno, pensando di essere sola. Ed invece... Invece c'era proprio
quello che non volevo vedere. Le coppiette. Non ce n'era una o due, ma tante.
Troppe, per i miei gusti.
Cercai di non guardarne nessuna, ma mi passavano a
destra e a sinistra, come fosse un niente... Perchè proprio quell'università era
piena d'amore? Strani casi della vita.
Gli occhi mi bruciavano. 'No, adesso
non piangere. Mi sembri quasi una bambina.' Al diavolo.
Cambiai direzione,
ed invece dell'edificio C, mi addentrai nel giardino enorme del campus.
Trovai proprio una panchina vuota sotto ad un lampione non illuminato.
Ecco, lì potevo piangere quanto volevo. Nessuno mi avrebbe vista.
Mi
fiondai sulla panchina e strinsi le gambe al petto, poggiandogli la testa sopra.
Poi, dagli occhi, iniziarono a scendere delle lacrime. Tante.
Cercai di non
singhiozzare. Già mi vergognavo di quello che stavo facendo.
Non lo dovevo
pensare. Non dovevo pensare a ciò che mi aveva fatto. No, basta. Dovevo curare
questa mia cosa delle coppiette. Era da troppo che andava avanti... Dovevo
voltare pagina. Non era per questo che sono venuta così lontano? 'Sì, Bella.
Proprio per questo.'
E allora perchè...?
“Stai bene?” fece una voce
nell'oscurità, mentre io sobbalzai, senza rispondere.
Sentii dei passi
sull'erba. Si stava avvicinando.
“Ehi?” Disse, di nuovo. Adesso era dietro
di me. Lo sentivo dalla distanza della voce.
“S-sì, sto b-bene,” dissi,
mangiando le lettere perchè non riuscivo a parlare coerentemente.
“A me non
sembra.”
“N-no, va t-tutto b-bene”
“Se andasse tutto bene non piangeresti”
disse, tagliente. Aveva ragione. Chi volevo prendere in giro? Ero una cattiva
attrice, dopotutto. “Ho ragione?”
Tirai su col naso. “S-sì”
“Bene. Vuoi
una mano?” Offrì.
“No.”
Iniziò a ridere. Non so perchè, ma la risata non
mi era nuova. Era ancora dietro di me, pian piano si avvicinò alla panchina e si
sedette a pochi centimetri da me. Non mi voltai per vedere se era qualcuno che
conoscevo. Avevo ancora la testa sulle gambe.
“Va bene. Se non mi vuoi dire
nulla è okey. Ti lascio sola, allora” disse, alzandosi. Sentivo i passi
sull'erba che si allontanavano. Dopo tutto, perchè non dirgli qualcosa? Era uno
sconosciuto ed era buio. Non mi aveva nemmeno vista in faccia. Non penso mi
riconoscerebbe di giorno, quindi. Lo chiamai.
“Non andare...” I passi si
fermarono, e la risata cominciò di nuovo. Stava tornando indietro.
Si
sedette di nuovo accanto a me, ma io non alzai la testa di un centimetro.
“Vedo che hai cambiato idea... E allora?”
“Allora... E' difficile da
spiegare.”
“Mi piacciono le cose difficili”
“Beh... Mi è morto il gatto e
mia madre mi ha chiamata appena adesso per dirmelo. E' stato un duro colpo”
Mentii. Che scusa stupida avevo trovato.
“Mmh... Il gatto, eh... Mica sono
scemo, io?” disse, ridendo a crepapelle “Ho studiato un po' di psicologia al
liceo... Non c'è bisogno che menti. Le tue parole ti tradiscono”
Colpito e
affondato. Perchè era così perspicace? Tutto merito di questa
'psicologia'?
Sospirai. “Okay, okay. Hai ragione. Non ho mai avuto un gatto
in vita mia”
“Lo sapevo”
“Il fatto è che, però, al contrario ho avuto...
Un fidanzato. Anzi, no. Un migliore amico”
Il sostantivo 'fidanzato', per
Jake non andava bene. Dato che io ero innamorata di lui, ma lui forse lo era
solo all'inizio... Era più amore fraterno quello che
provava.
“Allora?”
“Vedi, lui... Lui si è comportato male. Io, lo amavo.
Però... ci siamo lasciati due mesi fa, quando ha saputo che venivo a New Heaven.
Avevo già però intenzione di lasciarlo... Perchè... Avevo scoperto che mi
tradiva” dissi, cercando di non piangere.
“Uhm... Quindi sei in pena per
questo tizio?”
“Sì”
“Beh, allora ti direi che stai sprecando il tuo
tempo. Penso che il motivo per cui tu sia qui sia ovvio. Il destino ti ha dato
la possibilità di cambiare vita, di rinnovarla. Non sprecare questi giorni per
disperarti per qualcuno che... Detto con sincerità, forse adesso non ti sta
nemmeno pensando. Cerca di tenere la mente occupata con altro... O anche con
'qualcun altro'. Ricorda che sei in un campus. Un campus con migliaia di
studenti maschi. Chi sa se tra di loro ci sarà il tuo Romeo... Chi può
dirlo”
Oh. Aveva perfettamente ragione. Aveva detto in poche parole quello
che io ero restia ad accettare. Era vero. Era vero che sprecavo tempo, era vero
che forse adesso lui non mi stava nemmeno pensando minimamente... Era vero che
forse il mio Romeo era qui, tra tutti questi ragazzi del campus. Poteva essere.
“Non hai tutti i torti,” ammisi.
“Bene. E sentiamo, sei d'accordo su
tutto? Anche sulla parte del Romeo?”
“Su quella un po' meno.”
“Perchè?”
chiese, curioso. “Non pensi ci possa essere nessuno meglio di quel ragazzo? Io
penso di sì. Non tutti gli uomini sulla Terra sono spinti al tradimento”
“No,
infatti. Però... Dopo una batosta simile... E' difficile rialzarsi”
“Anche
l'infante si rialza, quando cade. Non è poi così difficile... Non
credi?”
“Già,” risposi, un po' fredda. “Uff” Guardai l'orologio. Era tardi.
“Cosa c'è?” Mi chiese, con tono dolce.
“Nulla, devo tornare in camera.
Sono fuori da troppo tempo”
“Ah. Beh, se vuoi, possiamo continuare il
discorso domani... Sempre allo stesso posto e alla stessa ora, se ti
va...”
“Credo... Credo che vada bene, grazie”
“Non devi ringraziarmi”
Quella risposta mi ricordava ancora il fratello di Emmett... Uffa...
Mi alzai
di colpo e non mi girai verso il ragazzo. Peccato, avrei voluto tanto vedere
com'era, ma non ci pensai. “A domani, allora”
“Già, domani” rispose, e sentii
che si alzò anche lui, ma prese una direzione diversa dalla mia.
Quando
tornai in stanza, Angela era preoccupata. Alice e il suo ragazzo non c'erano.
Forse erano usciti. Meglio così.
“Dove sei stata?” mi chiese.
“Oh, in
mensa. Avevo fame.”
“Potevi avvertire.”
“Scusami, andavo di fretta”
“E
scommetto che hai mangiato tanto piano da impiegarci un'ora...”
“No. Ho
fatto un incontro nel parco...”
“Cosa?”
“Non pensare a male. Mi sono
seduta due minuti su una panchina, e questo ragazzo si è avvicinato. Era solo.
Ci siamo solo messi a parlare per un po'”
“Ah. Beh, com'è? E'
carino?”
“Non lo so. Eravamo seduti sotto un lampione rotto.”
“Che sfiga.
Chi sa se lo incontrerai di nuovo...”
“Domani. Alla stessa ora”
“Vedo che
ti dai da fare!”
“Stupida. Ci incontriamo così, per parlare... Abbiamo corsi
simili...” Mentii.
Angela terminò lì la conversazione. Sperai solo non
avesse capito che non le avevo detto proprio tutta la verità. Alla fine cos'era?
Un incontro con un ragazzo che aveva delle belle idee. Forse quello è stato il
motore che mi ha fatto accettare il suo invito anche per domani.
Andai a
dormire, sperando di prendere sonno.
Quella notte, feci un altro sogno.
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