Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: JustAHeartBeat    20/10/2014    7 recensioni
Si ritrovò a sfiorare con uno sguardo curioso i lineamenti tondi, lattei, e gli occhi liquidi d’un argento limpido, ma allo stesso tempo inespressivi, si ritrovò a carezzare la linea imbronciata delle labbra sottili, ed al contempo visibilmente morbide, si ritrovò a perdere un battito del cuoricino nell’osservare la fossetta che in quel momento era comparsa al disopra del suo sopracciglio sinistro, inarcato, e si scoprì desiderosa di scoprire se un paio simili sarebbero comparse ai lati della bocca, se le avesse sorriso, si ritrovò ad osservare i capelli tanto biondi da sembrare bianchi, tirati indietro da qualcosa che sarebbe potuto assomigliare al gel babbano, pensando come sarebbero stati scompigliati . Ma come sarebbe tanta bellezza potuta essere nemica? Cos’era Scorpius Malfoy? Il giorno, forse? O la notte? Proprio non lo sapeva, ma Rose non era stupida, e sapeva che il giorno e la notte sono soltanto due facce della stessa medaglia, e Malfoy, era sicuramente entrambe.
Genere: Comico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Rose Weasley, Scorpius Malfoy, Un po' tutti | Coppie: James Sirius/Dominique, Rose/Scorpius
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Incest | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
   >>
- Questa storia fa parte della serie 'Qualche Lentiggine Di Troppo'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Alloora! Salve a tutti!
Eccomi qui di nuovo con un'altra idea malata storia!
Che dire di quest'altra balzana idea, nata in realtà in un sogno..Bah, in realtà non molto, è la mia prima Rose/ Scorpius, e questa volta le vostre recensioni, mi sono indispensabili (Vi pregoo, fatemi saperee, datemi un segnoo! *Pianto tragico*). Comunque, il succo della faccenda è che sono in dubbio sul farla diventare una Long, così com'è stata ideata, o trasformarla in una one-shot.. allora ho pensato (si, so farlo, se mi ci metto ;D) .. facciamo così: ditemelo voi, se preferite che lasci stare così la storia (della serie, già hai combinato abbastanza)
scrivetemelo. Uguale se (per puro miracolo) doveste desiderare che diventi una Long.
Aggiungo soltanto che, nella storia c'è un piccolo accenno alla coppia James/Dominique (amo Jamie, perdonatemelo) tuttavia senza alcun tipo di scena esplicita, che possa disturbarvi, e che se ci dovessero essere errori, fatemelo presente.
Io ho finito, vi lascio alla storia, e.. mi raccomando! Fatemi sapere se continuare o no, o comunque cosa ne pensate!

Bacioni,
JustAHeartBeat

Qualche lentiggine di troppo.
 
Prologue
L'Espresso per Hogwarts
Era una calda mattinata del primo giorno settembrino, alla stazione di King’s Cross. Il sole, nonostante fossero appena suonate le dieci e mezza, già brillava nel cielo, battendo sull’asfalto scuro del parcheggio, facendo evaporare la brina posatasi lì come frutto di una lunga notte umida.
“Non è assolutamente giusto mamma! Perché Rose si ed io no?!” Stava urlando a squarcia gola un bambino, dai grandissimi occhioni nocciola (per l’occasione velati da lacrimoni trasparenti), aggrappato al tailleur beige di una ricciolutissima signora, che accolse l’ennesima lamentela del piccolo con un potente sbuffo.
“Oh, Hugo! Te lo avrò spiegato almeno un milione di volte! Sei troppo piccolo per Hogwarts! Mancano ancora due anni! Io, invece, sono grande e quindi posso andare!” ripose una bimbetta, spuntando da dietro un uomo alto e ben piazzato dai capelli rossi fiamma. Questo ridacchiò sommessamente, non potendo far a meno di assemblare la camminata impettita e la voce altezzosa della sua donnina in miniatura, alla voce ormai matura di quella che un tempo era stata la sua migliore amica, e che ora, forse per un miracolo di Merlino, era diventata sua moglie e compagna di vita.
La figura longilinea di Hermione Jean Granger in Weasley si fermò davanti al marito, gettandogli un’occhiataccia “C’è poco da ridere Ronald Bilius!” gli sussurrò, incrociando le braccia al seno, arrabbiata per qualcosa che purtroppo il povero coniuge non aveva afferrato e raggiungendo la figlia (camminando, appunto, allo stesso identico modo).
Ron, guardandole filare via, sibilando inviperite neanche fossero due gocce d’acqua, non riuscì più a trattenersi e scoppiò in una grossa e fragorosa risata, portando a sbuffare ancora una volta il piccolo bambino, il quale, non trovando altro modo per passare il tempo prima di riportare l’attenzione dei genitori su di se, aveva infilato con molta poca grazia un grassottello dito latteo nel nasino, un’espressione annoiata in volto. Il padre deglutì rumorosamente, cercando mentalmente di ricordare dove aveva sbagliato, sul suo volto un’espressione a dir poco disgustata.
“Ron, sbrigati! E’ tardi!” lo rimproverò Hermione, tornata indietro con la figlia al seguito. Rose, per quel giorno (ma soltanto quel giorno), si era fatta acconciare i capelli, ed, a discapito degli usuali jeans vecchio stile del cugino tredicenne, indossava un’adorabile vestitino a pois con la gonnellina a balze. Sorrideva apertamente, impugnando fieramente il carrello del baule sul quale stava appoggiata mollemente la gabbia dell’ormai vecchissimo Leotordo.
Ron annuì con veemenza, raggiungendo la donna e la bimba, spaventato sempre di più dalla nostalgia dei ricordi che lo attanagliavano, e dall’ansia di rimettere piede in quelli che erano stati ,e lo sarebbero per sempre, gli anni più belli della sua vita.
Si rivide come un undicenne in preda al panico, col naso sporco di qualcosa di non ben definibile, con un’enorme camicia a scacchi troppo grande anche per il suo corpo alto e slanciato, che camminava gomito a gomito con uno strano bambino (che sembrava si stesse chiedendo anche da quale parte fare il prossimo passo) della sua età, mentre sua figlia, sangue del suo sangue, varcava la barriera del binario 9.
Dentro la barriera, i bambini si strinsero ai genitori, nascondendosi nei loro giacconi. Poi, Rose, mani gelate e tremanti avvinghiate al carrello in una forza che neppure sapeva di possedere, con una consapevolezza che le faceva fremere il cuore per la paura, si allontanò dalla madre, che scambiò col marito una tenera occhiata orgogliosa, pienamente ricambiata.
Si avvicinò ad un muro, Rose, e lì rimase a rimuginare sul suo futuro. Non era coraggiosa, sapeva di non esserlo, se fosse stata coraggiosa ora non sarebbe stata sul punto di morire congelata dai brividi e dall’ ansia e non avrebbe avuto la voglia di scappare il più lontano possibile dagli sguardi orgogliosi dei genitori. Perché non dovevano essere orgogliosi di lei. Lei era cattiva, faceva i dispetti al fratello, e delle volte, quando sua madre si rifiutava di prenderla in braccio, e teneva stretto a se il fagottino rosso, aveva desiderato che quell’esserino appena comparso, che l’aveva allontanata dalla sua mamma, scomparisse dalla sua vita, per sempre. Amava Hugo, lo amava davvero e non poteva concepire un giorno senza di lui a tirarle i capelli, ma in quel momento le venivano in mente soltanto aggettivi negativi per definirsi. Era scaltra, certo, era molto intelligente, ma non sarebbe mai stata brava quanto sua madre, ne era consapevole. ‘Sarò smistata tra le serpi’ pensò, quando una lacrimuccia le solcò il visino ancora tondo ed immaturo, puntinato da miliardi di efelidi. Tirò su col naso. ‘Nessuno mi vorrà più bene, Albus, mi guarderà con disprezzo e non giocherà più assieme a me, mamma e papà mi faranno dormire nel sottoscala, come facevano gli zii di zio Harry con lui, e vorranno bene solo a Hugo. E sarà tutta colpa mia.’ Si odiava, Rose, in quel momento, ed avrebbe preferito di gran lunga una settimana di allontanamento forzato dai libri (che generalmente sarebbe stato per lei un trauma infantile bello e buono) piuttosto che il sapere di non poter rendere i genitori fieri di lei. Si vantava, Rose, certo, sprizzava sicurezza da tutti i pori, a detta della gente, ma la verità era che era tremendamente insicura di se stessa. Non al livello estetico, sia chiaro (non era come Dominique, non amava essere vistosa, o al centro dell’attenzione di tutti, anzi lo trovava molto imbarazzante) ma dal punto di vista intellettuale, trovando impossibile il non paragonarsi, anche per una volta sola ad Hermione.
I Weasley assecondarono lo scorrere delle lancette d’oro con un silenzio religioso, veramente raro da sentire da loro, perfino di notte (grazie a Ron ed al suo russare simile ad un grugnire di un suino ferito, a detta di Hermione) cercando con gli occhi altre cinque figure, che non tardarono ad arrivare. Tre teste nerissime e due rosse, si fecero avanti tra la folla, sgomitando fino a raggiungere i quattro, con un gran sorriso.
“Scusate il ritardo, Lily faceva qualche capriccio” pronunciò un Harry Potter trentenne, abbastanza scocciato, gettando un’occhiataccia ad una bambina dai capelli fulvi, che mise il broncio, voltando impettita la testa dall’altro lato, con uno sbuffò che fece ridacchiare la madre. “Per la barba di Merlino Harry, abbiamo creato un mostro!” esclamò, ridendo, poggiandosi al braccio del compagno occhialuto, il quale si lasciò trasportare dalla risata di sua moglie, che ben presto contagiò tutti gli adulti.
“Per la precisione non ha fatto altro che lagnarsi tutto il tempo come una poppante!” La schernì, il maggiore dei fratelli, fissandola malizioso. “Non sono una poppante, James!” Protestò la bambina, trucidandolo con lo sguardo,” Si che lo sei Lilian, lo sei eccome” Ribatté l’altro, poggiandosi sul carrello con aria divertita, pregustando una di quelle litigate in stile Potter. “No, che non lo sono! E non chiamarmi Lilian, James Sirius!” urlò la sorella, ormai persi anche gli ultimi barlumi di calma. ‘Proprio come la madre’ pensò Harry, il quale se pur adulto e vaccinato, adorava vedere la sua figlioletta più piccola trucidare con una frase l’ego smisurato del fratello di tre anni più grande. James stava proprio aprendo la bocca per ribattere qualcosa quando la madre, stanca del suo comportamento infantile gli tirò una piccola sberla severa sulla spalla “Piantala, Jamie, hai o non hai dodici anni?”.
Rose era veramente stufa del cugino, insomma, poteva prendere in giro una bambina tanto piccola? Si. Lo aveva fatto anche lei. Si morse le labbra colpevole, andò dal fratello, a passo sicuro ed a testa alta, portando l’attenzione di tutti su di se. Ahi, questo non ci voleva! “Hugie, perdonami se ti ho preso in giro, qualche volta, scusami se prima ho detto che sei piccolo, cioè lo sei, ma non dovevo dirt...ma non poi così piccolo. Mi puoi perdonare?” gli chiese dolcemente, piegandosi alla sua altezza. Hugo, d’altro canto era a dir poco esterrefatto. Boccheggiò confuso, cercando di carpire almeno un po’ la motivazione della palese tristezza di Rosie, senza alcun risultato. “Certo” buttò li, soffocato da un abbraccio letteralmente mozza-fiato.
Dall’altro lato della banchina, un biondissimo ragazzo, con l’aria strafottente si apprestava a salutare due adulti, che a differenza della feccia che osservava da tutta una mattinata, non avrebbe mai e poi mai chiamato genitori. Nulla nelle loro figure ritte ed apparentemente impeccabili gli donava qualsivoglia sensazione od emozione a parte il disprezzo più totale. Scorpius Malfoy, non sapeva molte cose di se stesso, era anzi, in perenne stato di confusione, ma se c’era una cosa che sapeva perfettamente era di essere marcio. Scorpius, era nero, dentro, nel cuore, nell’anima, nelle vene. Non provava nulla, Scorpius, se non odio; non amava nulla, Scorpius, se non la sofferenza degli altri. Ma la cosa peggiore era che lui, ne era assolutamente consapevole. E gli piaceva. Vedeva nella sofferenza degli altri pateticità, perché anche se un bambino si fosse sbucciato un ginocchio, cadendo, avrebbe comunque avuto una madre pronta a dagli un bacio, con amore. Scorpius aggrottò il sopracciglio destro al pensiero che aveva appena formulato, pur ignorando il significato di alcuni vocaboli: amore, ad esempio. Amore? Cos’è l’amore? Scorpius sbuffò scettico. Non esiste l’amore. L’amore, quello che vedi nei film, l’amore, racchiuso nei sorrisi ad inizio giornata, l’amore, quello che si prova ringraziando il cielo di avere accanto una persona … tutte bugie. False speranze, allo scopo d’illudere le persone. Non esiste l’amore. Esiste l’odio. L’odio non è astratto, come l’amore, è concreto, si sente, si percepisce al tatto si percepisce dall’aria, da uno sguardo, l’odio lo si sente dentro, l’odio opprime. Le opprime, tutte quelle menzogne. Una ad una. Esiste il bisogno. Quello è palpabile, percepibile, anche quello si avviluppa all’anima. Ma non lascia spazio al dubbio, se una persona la odi, la odi e basta, non ci sono tipi diversi di odio, c’è soltanto l’odio, al suo stato grezzo, immutabile, statico.
La bambina dall’altra parte della barriera, nel frattempo (mentre Scorpius, da bravo preadolescente, se la prendeva col mondo per la ‘sua maledetta infelicità’), aveva preso a ridere, alla battuta del cugino grande. Non lo sopportava. Non sopportava James Potter, era semplicemente l’essere più stupido che il mondo avesse mai potuto concepire. Era arrogante, presuntuoso, bugiardo, ficcanaso, gradasso.. avrebbe potuto continuare all’infinito con tutti gli aggettivi possibili, e tutti a sfavore del povero Potter.
Quanto alla Weasley..beh, era la prima volta che la vedeva e l’unico pensiero che gli veniva in mente era: rosso. Rosso, come la prima cosa che saltava all’occhio guardandola: il cespuglio informe di capelli forzatamente infilato in un salsicciotto disordinato, che si rifiutava categoricamente di chiamare treccia, di un colore rosso talmente vivo da sembrare fuoco; rosso, tutto di lei riportava a quel colore: dall’elastico che legava quei capelli, alle labbra rosse come le ciliegie, al vestiario, alle ballerine sulle quali inciampava continuamente, tutto. Che poi, si disse Scorpius, lui detestava con tutta l’anima le ciliegie.
La Weasley era semplicemente uno stupido errore, una doppia in più, un verbo coniugato male, era solo una stupida macchia sulla pergamena. Macchia, santo cielo, non aveva mai visto tante lentiggini in vita sua, quella bambina era un bersaglio del tiro con l’arco non una femmina! Ne era piena, dal naso fino alle orecchie, ovunque! E poi, cavolo come era goffa, non aveva mai visto qualcuno in grado di essere goffo anche camminando impettito, era un dono, il suo!
Il fischio del treno in partenza si liberò per la stazione e Scorpius si apprestò a lasciarsi alle spalle quella costante ipocrisia di perbenismo di Draco ed Astoria per quasi un anno. Quasi, quasi, avrebbe anche potuto sentirsi... felice. Provò a trattenere un sospiro emozionato, celandolo dietro un ghigno made-in-Malfoy, e si girò a salutare gli adulti.“Arrivederci padre, a presto madre” pronunciò, freddo e distaccato, con un cenno. Astoria sbuffò alla sua melodrammaticità Malfoy. “Ci vediamo fra un intero anno, Scorp, potresti assomigliare per un attimo a me e non a tuo padre! Ed abbandona quella faccia infelice da adolescente pazzo!” lo rimbeccò, chinandosi per poggiare un unico delicato bacio sulla fronte di un undicenne a dir poco inorridito. Draco sbuffò, rivolgendo alla moglie uno sguardo sarcastico molto ‘A preso il meglio che avrebbe potuto prendere’. “Arrivederci, Scorpius, buon anno scolastico” gli disse, poi, con lo stesso tono apparentemente disinteressato. Scorpius annuì. Tipico del padre, neppure si preoccupava di fingersi contento, fosse anche solo di levarselo da mezzo. Quel modo l’odiava e lo avrebbe sempre odiato. Pensò Scorpius, mentre si allontanava dai due, quasi vergognoso d’aver con loro un rapporto di parentela.
Non li tollerava più, due falsi, stupidi ed ipocriti. Falsi ed ipocriti, sinonimi accostati per enfatizzare il suo stesso pensiero intriso d’odio, li raffigurava nel loro effettivo essere, in ogni singolo istante delle loro vuote vite. Falsi, nella postura apparentemente perfetta e messa su soltanto come maschera al loro aver dato onore e sfogo ai veri loro in passato: una macchia di inchiostro su un errore di ortografia tanto umiliante da non poter essere coperto da una discreta lineetta, ecco cos’era quella postura, una dannata correzione fatta una volta aver preso il voto. Perché ecco come ci si sentiva ad essere un Malfoy di quei tempi, per tutte le persone: giudicato, giudicato non dal proprio compito in classe, ma da quello dei propri parenti. Un po’ come quando inizi a frequentare la stessa scuola di un tuo parente e vieni accostato subito per direttissima a lui, quasi non avessi una tua identità. Ma ormai ci si era abituato. Lui non era Scorpius, lui era il figlio di Draco, di Draco Malfoy, lui era il figlio di un Mangiamorte.
“Così questo è il piccolo Scorpius. Assicurati di batterlo in ogni test, Rosie. Grazie a Dio hai ereditato il cervello di tua madre!” stava borbottando Ronald Weasley, nel frattempo, rivolto alla ragazzina, al passaggio del biondo che neppure li notò, troppo concentrato sulla sua ferrosa libertà scarlatta. Questa si acquattò, contro la madre, in un abbraccio protettivo. “Oh, Ron, non vorrai metterli contro già da adesso!” sbottò la moglie, per poi riportare l’attenzione sulla figlia. “La giacca, La felpa” iniziò, contando gli indumenti con una carezza sugli strati visibili sotto la bretella della borsa “Fai buon viaggio, ci mancherai!”
Ma Rose al momento era altrove: l’unica cosa che era nella sua mente era il viso pallido del bimbo platinato. Non riusciva a capacitarsi di come potesse esserle sembrato tanto triste, insomma, stava andando ad Hogwarts, la scuola di Magia e Stregoneria più prestigiosa dell’intero mondo Magico, avente una preside ch’era stata un cardine della Seconda Guerra Magica, non al patibolo!
Però per quanto si sforzò di pensarlo come il temibile avversario da battere, non ce la face. Insomma, come poteva un cattivo avere un volto tanto angelico?
Si ritrovò a sfiorare con uno sguardo curioso i lineamenti tondi, lattei e gli occhi liquidi ma visibilmente morbide; si ritrovò a perdere un battito nell’osservare la fossetta che in quel momento era comparsa al disopra del suo sopracciglio sinistro, inarcato e si scoprì desiderosa di scoprire se un paio simili sarebbero comparse ai lati della bocca se le avesse sorriso; si ritrovò ad osservare i capelli tanto biondi da sembrare bianchi, tirati indietro da qualcosa che sarebbe potuto assomigliare al gel babbano, pensando come sarebbero stati da scompigliati. Ma come sarebbe tanta bellezza potuta essere nemica? Cos’era Scorpius Malfoy? Il giorno, forse? O la notte? Proprio non lo sapeva. Ma Rose non era stupida, sapeva che il giorno e la notte sono soltanto due facce della stessa medaglia, e Malfoy, era sicuramente entrambe, per quanto quegli occhi vuoti urlassero il contrario, c’era qualcosa in lui, forse la bocca curvata istintivamente verso il basso, forse il pollice che andava a cercare l’indice graffiandolo con l’unghia, forse la posizione eccessivamente ritta da essere dolorosa a farle intuire che quel piccolo cuore, stava battendo forte come il suo, ed implorava aiuto, in silenzio.
Caricò assieme al padre il baule e, stringendo la gabbia di Leotordo sotto il braccio, iniziò a farsi largo tra gli altri studenti lungo il sottile corridoio principale, in cerca di uno scompartimento libero.
“Rose! Rosie!” si sentì chiamare dalla voce di suo cugino, affannata tanto quanto il proprietario, che stava tentando di raggiungerla combattendo con la folla.
Non dovette aspettare molto per ritrovarselo davanti, ansante, con in mano la gabbia di una civetta bianca, l’occhio contornato da piume nere. ‘Edwige La Vendetta’, l’aveva chiamata Albus, quando Hagrid, il Guardia Caccia, gliel’aveva consegnata come regalo, il piovoso primo Settembre dell’anno passato, in occasione del suo decimo compleanno.
“Finalmente! Pensavo che avrei dovuto mandarti un messaggio via gufo per farti girare!” esclamò, il suddetto cugino, assumendo la posa seria tipica di zia Ginny quando combinavano qualche marachella.
Rose scoppiò a ridere. “Si, certo. Merlino come sei esagerato! Comunque complimenti per l’acconciatura mattutina: il cuscino ha fatto proprio un bel lavoro!” rispose, tenendosi la pancia con le mani alla vista dell’espressione irata di Albus.
Si poteva insultare Albus in tutti i modi possibili, l’unica reazione che si avrebbe ottenuto sarebbe stata un’occhiata piena di pena da parte dell’interessato ma una parola su i capelli perennemente in disordine, e … beh, sarebbe stata l’ultima. Albus andava in bestia ogni qualvolta venissero menzionati i suoi capelli in una discussione facendola pagare egregiamente al povero sfortunato che aveva avuto la pessima idea di parlare troppo. Faceva parte della politica della sua vita, la vendetta, ed era una delle cose in cui versava tutto se stesso, diciamo che se fosse stata una materia lui avrebbe avuto tutte E, per capirci. Ecco … non che Albus fosse stato cattivo, anzi, era la persona più dolce e timida che Rose avesse mai conosciuto, era il suo cugino preferito, nonché il suo migliore amico, ma delle volte la Ginny Weasley in Potter, che era in lui prendeva il sopravvento, e quelle volte lo avrebbe volentieri schiantato.
Spinse un Albus ancora contrariato, e dalla bocca spalancata nel tentativo di ribattere qualcosa di non esattamente cortese, in uno scompartimento vuoto.
Si sedettero accanto ai finestrini, l’uno di fronte all’altro (il ragazzino, non avendo trovato minacce di morte adeguatamente cattive, aveva messo su il muso, incrociato le braccia al petto) e Rose prese a salutare con la mano i genitori.
“Dove credi che ti smisteranno?” chiese, poi, mettendosi a sedere ritta e tirando fuori dalla borsa ‘Storia Di Hogwarts’ di Bathilda Bath. “A Serpeverde sicuramente, vero Potterino?” disse una voce vagamente trascinata, alle loro spalle.
Il proprietario, era quello che Rose riconobbe come il ragazzino biondo del binario. Per essere angelico, è piuttosto antipatico. Rose, si girò per catturare il suo sguardo. Cielo. Cielo nuvoloso. Cielo in tempesta. Ecco cos’erano i suoi occhi: erano il cielo che romba, tuona, con impeto e fervore, pochi attimi prima del temporale. Erano quanto di più caotico potesse esserci, erano l’unica parte di quella figura impostata che testimoniasse quanto nella mente del ragazzo ci fosse tutto tranne che la perfezione. Erano l’odio, la tristezza, la solitudine, il dolore, erano l’oblio.
Scorpius si voltò di scatto, come bruciato da quel semplice contatto visivo, voltandosi verso la prole di quel tanto odiato dal padre Harry Potter.
“Io credo che tu finirai a Serpeverde, Malfoy, certo ti prospetti simpatico come un calzino bucato, ma sicuramente se smettessi di pensare col cervello dei tuoi ed accendessi il tuo, ammesso che ne abbia uno, ci penseresti due volte prima di parlarci con tanta strafottenza!” esclamò la rossa, dal suo sedile, riportando gli occhi sul libro con noncuranza. “Emh, è stata divertente questa interpretazione di tuo padre..Scorpius? Io mi chiamo Albus” lo salutò, invece, cordialmente il moro, porgendogli la mano con un sorrisone a trentadue denti.
Il nuovo arrivato lo guardò tra diffidente e lo stupefatto, senza tuttavia afferrarla. “Se prometti di non tirare fuori una di quelle cagate sul sangue, io ti prometto che noi dimenticheremo la figuraccia che hai fatto” provò ancora Albus, avvicinando ancora di più il palmo teso.
“Oh, Al, smettila! Non ammetterà mai nulla, ne tantomeno diventerà tuo amico!” sbottò Rose, chiudendo il tomo di scatto, con un gran tonfo, stufa degli stupidi tentativi del cugino.
Il biondo girò immediatamente lo sguardo verso la mocciosetta. Ma cosa pretendeva di sapere, quella stupida sangue sporco?! Lo credeva incapace di pensare col suo cervello? Lo credeva incapace di farsi un amico? Lo credeva incapace di andare contro gli ordini di suo padre? Lo stava forse sfidando? Scorpius ghignò. Aveva sfidato la persona sbagliata. Lui amava le vittorie. Ed avrebbe accettato la sfida. Stupida Mezzosangue, chi si credeva di essere?!
Nei suoi occhi scintillò divertimento puro. Afferrò la mano di.. Albus? Che già, dopo lo sguardo sgomento di Lenticchia II, gli stava molto più simpatico.
Chissà, sarebbero anche potuti diventare amici, un giorno.
   
 
Leggi le 7 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: JustAHeartBeat