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Autore: Nidham    22/10/2014    1 recensioni
Breve elucubrazione della mia ladra nel momento piu' triste del videogioco, quando una scelta porta a tragiche conseguenze. Fatemi conoscere il vostro parere, visto che è anche il mio primo tentativo^^
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Così è questa la Città proibita” pensò tra sé, osservando la possente cinta di mura, lucida e liscia come ebano, apparentemente inespugnabile. “Una lussuosa tomba senza fiori o cordoglio.”

In fondo, era proprio il monumento funebre che si meritava, una buca priva di luce e di pianto.

Era pronto ad affrontare la sfida, anche se ancora riusciva a stento a percepire il proprio corpo come reale, le proprie azioni come movimenti concreti e i propri pensieri come idee e non illusioni. Aveva poco tempo e una sola possibilità.

Il silenzio era un vuoto abisso carico di odio e sconosciuti pericoli, l'oscurità un tripudio di incubi pronti a ghermirlo, eppure, al di là di quella barriera, in una delle torri leggiadre come dita scheletriche di morte, nere più dell'orizzonte che osavano infrangere, si trovavano le ultime vestigia di colei che non meritava di svanire in quel deserto maligno, di colei che voleva rivedere un'ultima volta, sfiorare un'ultima volta, baciare almeno una volta.

Era arrivato fin lì carico di buone intenzioni, il guaio è che nessuna di quelle l'avrebbe aiutato a superare quel dannato portale più adatto al passaggio di un drago che di un misero essere umano.

“Rifletti Zevran” come era solito fare durante le missioni da assassino, provò ad auto-incoraggiarsi, avvicinandosi al massiccio ammasso di quello che poteva sembrare solo legno fossilizzato e annerito, nella speranza di scoprirne un punto debole. “Come puoi scassinare una porta con la serratura grande quanto la tua testa?”

Sugli spalti non si vedeva nessuno, nessuna luce tremolava a infrangere il silenzio.

Tutta la città sembrava un simulacro disabitato, ma l'elfo temeva che le ombre stesse fossero più pericolose di qualsiasi nemico avesse mai affrontato; le sentiva premere sulla sua pelle martoriata, osservarlo, soppesare i suoi gesti come maestri severi pronti a punirlo. Non poteva permettersi di rimanere troppo fermo in un punto.

Ricorda che l'Oblio è un regno vero e proprio, ma è anche una terra ignota e onirica. Tu penetrerai il sogno con il tuo stesso spirito, come fanno i maghi, e i maghi imparano a muoversi in quel paradosso, inventandosi regole proprie o intuendone quelle originali. Dovrai fare lo stesso o non avrai speranza di riuscita.”

Le parole di Morrigan lo colpirono all'improvviso, riaffiorando tra i suoi ricordi confusi.

Non poteva rivolgersi a leggi fisiche, né alle vecchie esperienze da scassinatore o combattente, doveva fare ciò che gli era sempre riuscito meglio: improvvisare.

Un topolino saettò tra le sue gambe, provocandogli un impercettibile sussulto; era stranamente luminescente e quasi trasparente tra i fili contorti di erba secca, eppure era anche la cosa più vivace e meno inquietante che Zevran avesse visto fino ad allora, così si trovò a osservarlo istintivamente e lo vide svanire in un minuscolo foro delle mura, a pochi passi da lui.

“Quindi non sono così perfette come sembrano” riflettè, senza sapere se gioirne o disperarsene. “Avrebbe dovuto venire Oghren quassù, almeno per altezza ci sarebbe passato, anche se la pancia l'avrebbe bloccato a metà strada.”

Si chinò a osservare la crepa, provando a infilarvi una mano e scoprendo, con estrema sorpresa, di riuscire a infilarcela fino al gomito. La cosa più incredibile, poi, fu che anche la testa riuscì a farsi largo agevolmente in quella minuscola fessura, portandosi dietro tutto il corpo, non più in forma umana, ma di roditore.

Era stato poco più di un attimo; appena la coda, o quello che essa rappresentava, uscì dal buco, l'elfo riprese le sue sembianze, con un enorme sospiro di sollievo e un incontrollabile tremito: aveva sopportato ogni genere di tortura, ma sentire il suo corpo costretto e confuso nella pelliccia di un topo le batteva tutte.

Ad ogni modo, era dentro e più facilmente di quanto avesse temuto.

A questo punto non rimaneva altro che esplorare un paio di decine di vecchie torri sinistre e perfettamente somiglianti l'una all'altra, per trovare quella che faceva da prigione a Eilin. Una passeggiata.

Sperava che l'avrebbe chiamato, sperava di seguire la sua voce, ma quella cocciuta donna rimaneva ostinatamente in silenzio, rifiutandosi di soccorrerlo proprio ora che aveva più bisogno di lei.

In compenso, per la prima volta, un rumore sottile lo mise in allarme, spingendolo a correre velocemente oltre l'angolo di un vicolo. Sembrava il suono strascicato di passi pesanti, ma, al tempo stesso, era un bisbiglio soffuso, sfumato, avvertibile più con l'istinto che con i sensi.

Non vide nessuno nella strada davanti a lui, ampia e piastrellata con lastre scivolose di marmo scuro, non sentì i passi avvicinarsi o allontanarsi, ma qualcosa nel suo animo lo spingeva a rimanere nascosto e silenzioso, mentre quell'eco spettrale risuonava nel suo cuore, raggelandolo.

Durò qualche istante, poi, repentino com'era nato, si dissolse, lasciandolo libero di respirare.

Se fosse stato in una normale città, avrebbe pensato al giro di ronda delle guardie e forse il vuoto che aveva sentito animarsi all'improvviso era stata la versione orrorifica di quel banale evento.

Iniziò a correre, sperando di portarsi al centro del cerchio quasi perfetto che gli era sembrata la città, dove svettava la torre più alta, ma le vie non avevano un senso compiuto, né gli permettevano di raggiungere i luoghi che si era prefissato, confondendolo con un labirinto di svolte tortuose e vicoli ciechi, in un ammasso ordinato di case completamente anonime e impossibilmente indistinte in una geometria al tempo stesso perfetta e incoerente.

Sembrava quasi che quel luogo fosse nato da un'amalgama scomposta di miraggi pazzeschi, esplosi su di una precedente architettura razionale e perfetta.

“In fondo questo doveva essere il paradiso” gli sovvenne quando si trovò davanti l'ennesimo muro privo di finestre. “Dovrebbe esserne rimasto qualche segno, in tutta questa corrotta devastazione.”

Fu allora che vide qualcosa oltre la parete di mattoni muffiti, o meglio sotto di essa: un tracciato dorato appena percettibile, proseguimento della stretta viuzza su cui si era avventurato, affiorante come un'illusione dentro quella che sembrava essere una casa.

Senza troppa fiducia, provò a posarvi un primo, incerto passo e, come era successo al portone, si trovò al di là dell'ostacolo, ma non nel corpo di un topo, bensì in forma di spirito.

“Ti vedo” una voce o un tuono ruppe l'incanto, riportandolo alla forma materiale, col cuore a mille e un terrore viscerale nelle membra.

Non c'era niente di umano o vivo in quel ringhio roboante, non c'era odio, né pietà, né qualsiasi forma di emozione riconoscibile: era tenebra allo stato puro e l'elfo sapeva bene a chi appartenesse, anche se non l'aveva mai sentita e pregava di non sentirla mai.

Morrigan gli aveva spiegato che, secondo le leggende, neanche i demoni osavano introdursi nella Città nera, perché la presenza di un male più profondo e infido li terrorizzava, a dimostrazione di quanto gli uomini fossero, in realtà, le creature più diaboliche su ogni piano di esistenza.

Zevran era stato confortato da quella notizia, ma solo adesso si rendeva conto di quanto fosse stato sciocco a pensarlo.

Rimase fermo per un istante, poi, forte del silenzio ritrovato, esplorò la piazza in cui aveva poggiato i piedi dopo l'ultima strana esperienza extracorporea.

Era poco più di un cortile rotondo tra tre torri di pianta quadrata, con un portone a arco sormontato da un elaborato architrave raffigurante rispettivamente: una culla, una spada e un pozzo.

Erano tutti simboli assurdi, ma forse la spada poteva rappresentare un guerriero o una battaglia e Eilin si era sacrificata per porre fine alla più mostruosa e terribile delle guerre, quindi, confidando nella buona sorte che trasformasse anche stavolta le speranze in realtà, Zevran levò una preghiera al Creatore e aprì per prima quella polverosa porta.

 

  
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