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Autore: Michelle Morrison    23/10/2014    0 recensioni
Allora che fai, eh? Lo chiedo a tutti quei virtuosi moralisti che hanno sempre la risposta a tutto e che hanno sempre un consiglio pronto quando si tratta della tua vita. Che fai, alla fine, quando non hai alcun potere e non puoi mettere il naso nella famiglia altrui? Te ne sbatti. È questo che fai.
Fa tutto schifo, ma la vita è così.

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Ethan, Les, Bennie, Trix, Lockie, Chryst e Tye, amici da sempre, sono ragazzi di una cittadina del Lincolnshire, in Inghilterra. La loro vita procede tra scuola, serate all'insegna di alcool e droghe, ci sono innamoramenti, sesso, sogni, intrecci, litigi e risse.
Non c'è romanticismo.
Non c'è morale.
Non c'è senso.
Non ci sono insegnamenti.
Non c'è giustizia.
Non c'è buonismo.
Ci sono solo i protagonisti che, alternandosi, si raccontano senza giri di parole.
_____
Disclaimer: Questa storia tratta di argomenti come la droga, l’alcool, il sesso.
Il linguaggio usato è volgare, sporco e magari può essere offensivo.
Genere: Angst, Erotico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Triangolo, Violenza
Capitoli:
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“Non è facile essere sempre ubriachi,

lo sarebbero tutti se fosse facile...”

 

UNTIL IT KILLS

 

 

I ETHAN CROOK

 

Tutto uno schifo.

 

 

Era tutto uno schifo. Ve lo dico io. Uno schifo totale.

Bennie stava seduto su un cassonetto della spazzatura, dondolando le sneakers un tempo bianche a ritmo della musica che usciva dal pub. I capelli biondo sporco gli ricadevano davanti alla faccia abbassata a fissare la macchia di piscio di cane sull’asfalto. Ne annusava la puzza come se fosse il più pregiato profumo, Chanel n.5 per stronzi. Aveva quel sorriso di chi non capisce più un cazzo, forse per colpa di quella pinta in più dentro al Lighthouse pub. O forse perché aveva guardato un po’ troppo quella fighetta rossa di Dodie Grant, là dentro. Quella non era certo una per gente come Bennie. Dico, quelle come lei non ti filano di striscio nemmeno se ti pianti davanti a loro con un biglietto con scritto “cagami”. Avevo l’impressione che lui avesse il cervello altrove, forse a spararsi un porno mentale in cui lui era il protagonista ultra-dotato e lei la porcona a gambe larghe sulla lavatrice. In una situazione reale, Bennie sarebbe stato il povero straccio intento a girare nel cesto insieme agli altri panni sporchi. Benedict-Lo Straccio-Murray, l’avrebbero chiamato. 

A me di Dodie Grant non me ne fregava una sega, zero assoluto proprio. Ci rinunci direttamente, quando vedi che se la tengono stretta stretta come se fosse l’unica in città. Bisogna essere un minimo realisti nella vita, questo dovrebbe impararlo anche Murray. Glielo diciamo da anni, ormai, che non c’è storia con quella. Però lui è uno che non ascolta i consigli degli altri, ‘ste cose non gli entrano proprio nella zucca. Ha un blocco di marmo al posto del cervello, quello. Morirà vecchio, solo e sbronzo nella sua camera in casa dei suoi, in mezzo a un immondezzaio di kleenex usati.

Anche Les pensava a qualche pollastrella, ci scommetto. Ma lui non era come Bennie, lui no. Lui non aveva bisogno di nessun cartello per cercare l’attenzione di una ragazza, l’otteneva senza sforzi.

In quel momento era appoggiato al muro in mattoncini rossi, intento a spegnere e riaccendere la fiamma dell’accendino. Il suo muso ben rasato e dai lineamenti perfetti veniva illuminato a scatti, apparendo nel buio del vicolo senza lampioni. Lo vedevi che aveva quegli occhi di chi sa che a fine serata avrà svuotato le palle. Non so… è qualcosa come un luccichio che ti sale su dall’inguine fino alle pupille. Brillano come un fottuto swarovski. Comunque so che a quel tempo se la faceva con Ros Bryce, la sorella di quello schizzato di Victor. Se questo fosse uscito dalla gattabuia per un qualche sconto della pena, scommetto che gli avrebbe fatto il culo, a Les. Quella sera, però, Ros io non l’avevo vista e Les aveva girato attorno a Sherri “Ciliegina” Lloyd, quella che si è trasferita un paio di mesi fa dal Galles. Lei se n’è accorta, infatti gli ha lanciato di quei sorrisoni da pubblicità, sprizzando gioia da tutti i pori della sua pelle chiara. Potevi sentire l’odore della sua felicità anche a due metri di distanza. Les, come un cane da tartufo, doveva averlo fiutato e non vedeva l’ora di portarsela fuori da quella topaia e scoparsela. Un altro nome sulla lista dei buchi di Lester Shands.

A interrompere quella gara di sguardi persi nel vicolo, fu la porta sul retro del pub che si aprì, sbattendo contro un bidone di latta. Il coperchio cadde sull’asfalto e rotolò fino a me, che me ne stavo seduto su un sudicio cuscino di divano che qualcuno aveva gettato anni e anni prima. Da che mi ricordi quello è sempre stato fuori dal Lighthouse.

A far quel bordello, comunque, era stato Lockie Cochrane. Tutto esaltato, come se avesse un razzo su per il culo. Gli occhi azzurri gli si sparavano fuori dalle orbite, quasi potevi vederli cadere e rimbalzare dentro la pisciata di cane.

«Ho trovato l’E!» Ci ha detto, con un tono di voce da far schizzare per aria tutto il vicinato. «Ce l’ha Baccus

«Baccus, sì!!» Alle sue spalle spuntò Trix, stretta in quel vestito nero senza spalline. «Ci sta aspettando al cesso. Che gli diciamo, ce la prendiamo l’E

Les le lanciò un’occhiata, alzando il sopracciglio destro. S’infilò l’accendino in tasca e tirò fuori il portafoglio. Si avvicinò a quei due, sbattendo un centone in faccia a Lockie, che lo prese fra i denti emettendo un ruggito eccitato, come fosse un animale domestico con in bocca un pollo di gomma. Scomparve di nuovo dentro al Lighthouse, facendosi spazio fra la folla, lasciando Trix con noi tre. Lei si chiuse la porta alle spalle e arrivò in mezzo al vicolo, abbassando poi lo sguardo sui sacchi della spazzatura, aperti dallo stesso cagnaccio che aveva riempito d’urina il cassonetto. I suoi stivaletti col tacco scavalcarono la buccia di banana, i barattoli di yogurt ammuffiti e gli spaghetti al ragù sparsi sul cemento, attenti a non sporcarsi. Me la ritrovai davanti che le potevo vedere le mutandine azzurre, con disegnate delle stelline nere.

«Ohi Eeth, c’hai da fumare?» Mi fece, sbattendo le palpebre truccate di verde scuro. «Poi te ne offro una io, quando riprendo la borsetta.»

«Non dovresti fumare alla tua età…»

Scherzai io, tirando fuori il pacchetto e porgendoglielo. Lei sorrise e alzò le spalle, prendendone una e accendendosela. Buttò fuori il fumo e poi lo guardò salire verso il cielo nuvoloso. Se la guardavi bene, evitando di fissarle le mutande, potevi accorgerti che aveva quattordici anni. Aveva ancora i lineamenti di una bambina, col nasino all’insù e le labbra a cuore. Però aveva tutto quel trucco che la invecchiava di quattro o cinque anni, così gliene davi diciotto e pensavi che fosse maggiorenne. Ci erano cascati in tanti, ma noi la conoscevamo fin da quando eravamo bambini e quindi non poteva ingannarci. Trix -Patricia Madelaine Moody all’anagrafe- era la sorella di Pace Moody, un nostro compagno di classe alle elementari. L’abbiamo conosciuta che lei aveva ancora tre anni e mangiava il fango dentro a pentole rosa di plastica. Certo, per lei sarebbe stato meglio cambiare alla svelta compagnia e frequentare posti migliori come aveva fatto suo fratello. Però non c’era verso di levarsela dalle palle, un po’ perchè non avevamo il coraggio di dirle di sparire per paura di perderla e un po’ perché non c’era molto altro da fare da quelle parti e i locali da bazzicare non erano molti. In più aveva una cotta per quel pezzo di merda di Shands. Anche se lei gli sbavava dietro, comunque, Les aveva smesso di giocare ad acchiapparella con lei almeno da sei anni e avrebbe dovuto farsene una ragione. Se continuava a seguirlo a quel modo, lui l’avrebbe ferita e non mi sarebbe piaciuto affatto vederla piangere seduta sul mio letto, a chiedermi consigli.

Io non so che fare quando una ragazza piange davanti a me… Se è per colpa di un mio amico, poi, è ancora peggio. Che cazzo le posso dire io, che non sono molto diverso da quel branco di bastardi? Quando mi scambiano per un bravo ragazzo, non ci azzeccano affatto. Solo perché non sbavo quando le vedo e non ronzo attorno ai loro slip come una zanzara vicino a una lampada, ciò non vuol dire che io non sia come Les o Bennie. Forse sono anche peggio, visto che tengo il mio vero-io nascosto dietro a un’espressione da fesso.

Espressione con cui stavo fissando Trix, effettivamente. Guardavo i capelli neri arruffati che le ricadevano sul petto, a nascondere il seno poco pronunciato, fasciato dal vestito. Niente da dire, era una gran passera, la piccola Trix. Tutto il contrario di suo fratello e di sua sorella maggiore, quella che avremo visto sì e no tre volte in vita nostra. Se ne sta sempre a casa e penso che non abbia mai visto un cazzo in vita sua. L’opposto di Trix, sì.

«Poi dove si va, ragazzi?» Se ne saltò fuori lei, all’improvviso. «Qui non c’è un cazzo! Cioè… C’è Fisher con la sua gente, ma non è che abbia molta voglia di averci a che fare. Stanno sempre a far casino, quelli.»

«Dove vorresti andare tu?»

Chiedendolo Les tornò a incollarsi al muro, per poi cacciarsi le mani in tasca in quella sua posizione figa da far arrapare tutte le ragazze in zona. O almeno, lui pensava che facesse quest’effetto. Trix s’illuminò subito, dimenticandosi di me e avvicinandosi a lui, tutta su di giri come se già fosse fatta di ecstasy fino al midollo. L’orlo del vestito si era alzato fino a scoprirle le chiappe rotonde, mostrando quel che mi mancava di sapere sulle sue cazzo di mutandine colorate. Anche Bennie ci fece caso e si lasciò sfuggire una risatina da sbronzo che riecheggiò nel vicolo, prima che tornasse a perdersi nei suoi pensieri. Era ubriaco marcio di già, quel coglione… Ed erano solo le nove e mezza.

«Allo Spider’s

La voce di lei era insopportabile quasi quanto il suo atteggiamento. La vedevi che sculettava come una cagna che vuole un biscotto dal padrone, sbattendo la coda in modo convulso. Les però se ne sbatteva le palle di tutto quel leccaggio di culo e si limitava a guardarla con i suoi occhi spenti. Probabilmente quello di Trix era l’unico buco in cui non avrebbe mai ficcato l’uccello, ma lei non lo sospettava.

Fortuna volle che Lockie tornò indietro con delle pillole dai colori vivaci e ce le porse, con un sorriso sornione a deturpargli il volto emaciato. La pollastrella si dimenticò del cazzo di Shands e si gettò a braccia aperte verso il povero Lock, lasciandogli una strisciata di rossetto sulla guancia, manco fosse un fottuto indiano d’America. Scelse quella di colore rosa, facendo sapere a tutti che sopra c’era scritto “kiss”, come se a qualcuno gliene fregasse qualcosa. Sulla mia, che era azzurra, c’era un insulso punto di domanda, se proprio è così interessante. Prima di allora avevo sempre ingoiato senza soffermarmi tanto sui particolari. Alla fine l’unica cosa di cui te ne sbatte di una pasticca di ecstasy è calartela.

Così alla fine ognuno prese la sua e se la buttò giù con un goccio di vodka offerta da Murray. Les si asciugò le labbra con la manica del giubbotto in pelle e poi alzò le braccia in alto, con le mani strette a pugno. Il solito coglionazzo scassaminchia

«Tutti in Watkin Street!!» Urlò, seguito da un applauso di Cochrane. «L’Eclipse ci aspetta!!»

«Cazzo c’è all’Eclipse stasera?»

Gli domandai, alzandomi dal cuscino e stiracchiandomi. Una chiappa mi faceva un male del cazzo, perforata da una molla che aveva bucato la spugna ormai marcita. Mi aveva pure stracciato la tasca dei jeans, la troia.

«Ci va Sherri…» Ci fece sapere, con grande disappunto di Trix. «Che serata è se non riempio la ciliegina di panna?»

«Fai schifo, Les

La voce irritata di Trix strappò un risolino generale e questo la offese, tanto che minacciò di non venire con noi e restarsene lì al Lighthouse a stracciarsi le ovaie con la compagnia di Fisher. Come dire che l’avrebbe fatto davvero. Non è gente con cui averci a che fare, quella. Basta una parola sbagliata, o anche un solo sguardo, che ti ritrovi con una lama al collo. Portarsi appresso coltelli è da fottuti rottinculo. Questo lei lo sapeva e non aveva la minima intenzione di abbandonarci, infatti ce la ritrovammo alle calcagna anche quando arrivammo all’Eclipse, dall’altra parte del canale.

Un tempo quello era un grosso magazzino dove ci tenevano il pesce da portare al mercato, me l’ha detto mio padre, che andava a comprarci il merluzzo insieme al suo vecchio. Effettivamente la puzza di pesce riuscivi ancora a sniffarla, mixata a quella del tubo di scappamento dei camion che sfrecciavano sull’autostrada lì di fronte. A quell’ora non c’era molto traffico, ma di giorno quel tratto di strada era intasato come non mai. Camion, auto, camper…. Dannazione, non c’era un attimo di pace. Fortuna che in questa città del cazzo non c’è una spiaggia, altrimenti i turisti la sfanculerebbero. Chi diavolo vuole andare in vacanza vicino a un’autostrada di merda?

Tornando all’Eclipse, ce ne stavamo in fila nel parcheggio, dietro a questa folla di tiratardi pronti a entrarci. Dai volantini che ci aveva consegnato un coglione al cancello, avevamo appreso che si esibiva uno stupido dj con i capelli in stile afro con una svastica tatuata in fronte, il che ci aveva fatto riflettere sul numero di stronzi che popolavano il mondo. Nel bel mezzo del parcheggio, non lontano da noi, c’era una tipa con queste calze a rete blu elettrico che strillava al telefono, incazzata a morte con chi stava dall’altra parte. La sentivamo anche noi, con quel suo schifosissimo slang da fighetta che stentavamo a capire. Solo Trix sembrava comprendere quel linguaggio primordiale, infatti tendeva l’orecchio per origliare e poi se la ridacchiava.

«Eccheccazzo…. Perchè c’è tutta ‘sta gente?» Les si lamentò, come al solito, alzandosi sulla punta dei piedi per capire quanta fila ci fosse. «Tra poco ci sale l’E e noi non siamo ancora dentro.»

«Dev’essere un dj famoso, ‘sto stronzo.» Commentò Bennie, sogghignando sbronzo e indicando il volantino. «Guarda qui. Viene dritto da Berlino.»

«Fanculo pure lui, non me ne frega nulla da dove viene! Io voglio entrare…»

Quando Shands inizia a fare i capricci non c’è verso di fermarlo. Zero. Puoi  insistere quanto vuoi nel cercare di calmarlo, ma non ti dà retta. S’impunta finché non ottiene quello che vuole. E Lester Shands sa sempre ottenere ciò che vuole.

Si scostò dalla fila, salendo sulla sbarra di una transenna, così che la sua scodella bionda spuntasse fra la folla. Sembrava Leonardo DiCaprio in Titanic, quando urla “sono il re del mondo”. Queste ciocche che penzolavano davanti al volto da testa di cazzo di Les, mosse dalla brezza marina. Tutti lo guardarono, prendendolo per un deficiente, mentre alzava le mani verso il cielo e ci urlava contro frasi a caso sull’ingiustizia di dover rimaner lì fuori al freddo. Ridevamo come matti, Trix compresa. L’E iniziava a fare effetto…

«Scendi da lì, Shands.» Gli dissi poi io, tirandogli l’orlo del giubbotto. «Il buttafuori poi ti massacra.»

«Il vecchio Fred mi vuole bene!»

Trascinò anche me sulla transenna e poi agitò le braccia per salutare Fred, quell’armadio a due ante del colore dell’ebano che se ne stava davanti alla porta, a smistare la folla. Questo alzò gli occhi verso di noi, giusto per un istante, prima di tornare a decidere chi far entrare e chi no. Da lì potevo vedere tutte le testoline che riempivano il parcheggio: cappellini da baseball, parrucche colorate, capelli tinti, cappucci, creste, capocce da skin-head e spuntoni. C’era un milk-shake di gente da tutta la cittadina, di ogni rango e da ogni quartiere, religione, squadra, scuola, genere musicale e quel cazzo che hai voglia. Era un pienone da urlo. Solo per questo dj afro-nazi che noi manco sapevamo chi fosse.

«Guarda là, Eeth.» Mi fece poi il mio compagno, indicando con il dito una passera dai capelli corti sparati verso l’alto. «Quella me la sono fatta l’altra sera. È quella Jane di cui ti parlavo, quella che se ne va in giro con Lally Britton, la cugina di Josh

Les è peggio di una comare di paese, quando ci si mette sa dirti tutte le parentele di una persona e le compagnie che frequenta. Tiene un qualche albero genealogico tutto suo, nascosto nell’armadio, ci scommetto. Comunque questa Jane era davvero un gran bel pezzo, soprattutto se vogliamo parlare del suo davanzale. Da là potevamo vedere la scollatura e il merletto del reggiseno verde che indossava.

«Una gran porca, Jane.» Continuò lui, ripetendomi il racconto fatto qualche sera prima. «Le piace farlo in luoghi pubblici, ma a me non vanno ‘ste cose. Io non lo faccio sui divanetti al Lighthouse. Le ho detto “se vuoi nei bagni ci sto” e così me la sono chiavata lì. Che poi c’era una puzza di merda che non ti dico.»

«Dev’essere stata una gran bella serata.»

Jane ci vide e alzò il dito medio, poi continuò a parlare con la sua socia. Era chiaro che di Les non gliene fregava nulla, così come a lui non importava niente di lei. Alla fine lui stava con Ros, quindi il resto erano solo scopate occasionali.

Comunque tornammo a terra quando la fila si mosse e nel giro di un quarto d’ora ci ritrovammo nel locale, con la musica già sparata a palla dagli amplificatori. Sentivo lo stomaco pulsare forte quanto il mio cuore, che era pompato dall’E che ormai aveva fatto effetto. Sorridevo a tutti quelli che mi passavano accanto, mentre seguivo gli altri verso un punto imprecisato della pista. Il pezzo che stava suonando era qualcosa di preistorico, roba che veniva dritta dagli anni 80, quando il mio vecchio bazzicava le discoteche. Mi ha raccontato che ai tempi se la spassava agitando i riccioloni a ritmo di Wild Boys dei Duran Duran, giù a una discoteca di Cleethorpse che ora è usata come centro sociale. Io di musica anni Ottanta non me ne intendo. A dir la verità non capisco proprio niente e ascolto quel che capita, quando capita. Non ballo neanche perché non ho senso del ritmo e sembro un pezzo di legno gettato in un fiume… Cazzo, non ne ho mica nessuna colpa.

Anche in quel momento, sotto l’effetto della pasticca, non mi stavo lasciando andare alla musica, come stavano facendo Lockie, Trix e Bennie. Li vedevi che oscillavano, i ragazzi come due robot e lei come un’anguilla, tutta fluida. Si strascicava contro Les, che era immobile e aveva questo sguardo perso fra la folla a cercare Sherri “Ciliegina”. Quando la beccò, poi, spinse via la povera Trix e lo perdemmo di vista. Niente più notizie di Les fino alla mattina dopo.

La piccola Trix, strafatta, si avvicinò a un tizio con una cresta blu e si allontanò con lui, che subito approfittò di quel culetto sodo che spuntava da sotto il vestitino. Io Bennie e Lockie restammo lì, a sentire i pezzi del dj afro-nazi che alimentavano l’euforia da ecstasy dei presenti.  Se vogliamo essere sinceri, faceva anche schifo, ma la mia opinione non interessa a nessuno.

L’unica cosa decente che la sua musica riuscì a fare, fu mandarmi accanto questa passera ubriaca, che mi appoggiò le braccia alle spalle, ballandomi addosso. Si strusciava tutta e io avevo l’uccello in tiro, ma preso dall’E ero solo in vena d’amore. Così le dicevo che era bella, che avrei voluto passare la mia vita con lei. E lei rideva. Non so nemmeno chi fosse, a dirla tutta. Me la sono limonata un po’, lì in mezzo alla pista, poi, d’un tratto l’ho mollata e me ne sono andato. È per questo che sono ancora vergine, cazzo. Non capisco nulla. Alla fine, a quanto pare, lei ha deciso di usare Lockie come palo e strusciarsi contro di lui. Lui, poi, se l’è portata fuori e ha infornato la pagnotta.

Io e Bennie, dopo qualche ora, finimmo per ritrovarci nel parcheggio, seduti vicino a dei cassonetti, con in mano una bottiglia di birra ciascuno. I suoi occhi fissavano i fari sull’autostrada, come se fossero un qualche film di Coppola da cui non puoi staccare lo sguardo.

«….è come in quel film, quello dove Robert Downey Jr. alla fine muore.» Esclamò lui, probabilmente parlando da solo. «Io sono Robert Downey Jr e Les è quell’altro stronzo che gli fotte la ragazza.»

«Non andava esattamente così…» Gli ricordai, sapendo benissimo di cosa parlasse. «Era Robert Downey Jr che si faceva la ragazza dell’altro. Anche se poi, alla fine, Robert Downey Jr muore e lei torna con l’altro. E non era questa la parte importante del film, poi… Robert Downey Jr si prostituiva per pagare un debito di droga. Questo era importante.»

Bennie fece spallucce, come se non gliene sbattesse un cazzo. Beh, se voleva reinventarsi le trame dei film, buon per lui. Io me lo ricordo benissimo, com’era l’andazzo. Ho letto pure il libro, una volta. E, comunque, se vogliamo essere pignoli Murray non aveva nulla di uguale a Robert Downey Jr, nemmeno nel pisciare.

«…è che quelli come me e Robert Downey Jr le ragazze non li guardano.»

«Bella stronzata… Forse vale per te. Lui sì, che lo guardano.»

«Siamo qui, di nicchia, e nessuna se ne accorge.»

Io sbuffai, prendendomi un sorso di Beck’s e lasciando perdere. Non c’era un cazzo da fare, gli era presa male e non mi avrebbe ascoltato. Inoltre non me ne fregava nulla di Bennie e della sua vana esistenza di merda. Uno con quella faccia non poteva essere circondato da flotte di ragazze pronte ad aprire le gambe al suo schiocco di dita. Non era nemmeno colpa sua se oltre a essere brutto era pure un idiota senza un minimo di fascino. Guarda Lockie…. Lui con la sua faccia da trip perenne, piena di brufoli come una pizza, aveva questo sex appeal che gli permetteva di scopare quando gli andava.

«La vita dovrebbe essere più come Iron Man. Lì sì che Robert Downey Jr tromba.»

«Comprati un’armatura, magari funziona veramente.»

«Forse…»

Fu l’ultima cosa che gli sentii dire, prima di alzarmi ed andarmene. Da lì a casa mia, in Westmarsh, erano venti minuti a piedi, se tagliavo per il parco e scavalcavo la recinzione. Tuttavia erano solo le due e mezza e la notte era ancora lunga, così la presi comoda e feci tutt’altra strada, giusto per passeggiare un po’ per la cittadina. Alla fine arrivai davanti alla mia porta per le quattro e tre quarti, mentre nella palazzina di fronte potevo vedere la luce della camera di Les accesa. Lui era seduto al davanzale a fumare e alzò la mano per salutarmi, così gli sorrisi e me ne andai a dormire. Se mi fossi fermato, lui sarebbe sceso in strada e avrebbe cominciato a farmi il riassunto della nottata e non avevo alcuna voglia di ascoltarlo. L’avrei fatto al mattino, giusto qualche ora dopo. Tre ore dopo, effettivamente. Alle sette e mezza avrei dovuto alzarmi e l’avrei trovato fuori casa ad aspettarmi con lo zaino in spalla…

Uno schifo. Uno schifo davvero.

 

 

 

 

 

 

Ciao a tutti!

 

Ecco una storia che avevo pubblicato sul mio altro profilo, ma ho deciso di spostare qui!

 

Finora non parla esattamente di qualcosa, ma poi dovrebbe esserci una trama.

Sulla mia pagina facebook (https://www.facebook.com/pages/Michelle-Morrison/390257021129034 )però potete trovare delle foto dei personaggi che ho modificato semplicemente prendendole da internet! Presto spero di fare dei disegni ;)

 

Grazie di esservi soffermati!

Ogni commento (o critica) è sempre il benvenuto!

 

 

M.M.

   
 
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