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Autore: SakiJune    23/10/2014    0 recensioni
"Gallifrey si era risvegliata con un ruggito di dolore, non con uno sfarfallio di ciglia. La pace futura doveva fondarsi su un ultimo, necessario atto di violenza. Ma il Dottore non ne fu testimone né causa. Non sentì le voci stridule risuonare nelle strade, le voci gravi sillabare con prudenza all’interno di stanze sigillate, né le voci amiche chiamare il suo nome, i suoi tanti nomi, in un tono che non attende risposta ma ne ha bisogno, ne ha sete. Non sentì giungere chi, fuggito o intrappolato all’inizio della Guerra del Tempo, si era rifugiato in differenti linee temporali e ora aveva sentito il richiamo, sempre più forte, giungere da casa. Erano tornati - gli spauriti e i vili, i saggi e gli idealisti..."
Sequel di "A Taste of Honey".
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altri, Doctor - 12, Jenny, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'From Lungbarrow to Trafalgar Square'
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Notine:
- Se potete/volete, leggete questo capitolo ascoltando questa canzone.
- La strofa dell'inno fa schifino ed è voluta così :P
- Patience è stata la moglie di Omega e, si dice, successivamente dell'Altro *cough* Quindi, seguendo le teorie delle New Adventures, dovrebbe essere la nonna di Susan.
- Spandrell è un anziano Signore del Tempo che compare nella serie classica e nei libri; ha ricoperto il ruolo di Castellano a più riprese. In pratica, è uno di quelle persone che sono talmente degne di fiducia da non riuscire ad andare in pensione in modo definitivo :) Perciò, se Androgar dovesse andare fuori dalle balle ricevere una nuova promozione, potreste rivederlo... mi è parecchio simpatico *fischietta*
- Come un po' in tutta la storia, ci sono riferimenti a The Armageddon Factor, l'avventura della serie classica con protagonisti il Quarto Dottore, Drax e Romana I. Viene accennato anche il viaggio a Parigi di City of Death (con Romana II e K-9), e il serial The Myth Makers (Primo Dottore, Steven e Vicki), e vi sono altre piccole citazioni come la simpatica fauna del pianeta Peladon.
- Elissa è un altro nome per Didone, regina di Cartagine. Odio il nome Didone, davvero, lo trovo ridicolo.
- Non ricordo se ho già spiegato cosa sia l'Ottavo Uomo (traduzione approssimativa del nome originale Eighth Man Bound); se ne parlerà sicuramente più avanti, comunque è un gioco mentale proibitissimo e pericolosissimo un tempo in voga tra gli studenti dell'Accademia.



Quattro mani si muovevano sulla tastiera, completando la stesura dell’inno con gli ultimi abbellimenti. Il pianoforte, regalo del Dottore per il loro decimo anniversario, impreziosiva il salotto ed era diventato parte integrante della loro vita insieme. La sua TARDIS sapeva essere previdente all’inverosimile, anticipando le future necessità del Comitato per le Supreme Celebrazioni.

Mentre suonava, Romana canticchiava a mezza voce il testo, pensosa. Forse ci sarebbe stato bisogno di rivederlo, ma doveva farlo avere al coro al più presto.

La fiamma risplende discreta
illumina la nostra vita
e già un echeggiare
di pensieri d’amore
e di pace si sente quaggiù…

Borusa s’interruppe e la guardò intensamente: - Porti con te così tante contraddizioni, mia cara.

- Che cosa intendi? - Era il momento di fare una pausa, comunque. Romana si alzò dallo sgabello, massaggiandosi il collo un poco teso.

- Un tempo la Ricorrenza dell’Altro era uno sberleffo rivolto verso l’orbita di Karn. Grazie a te, è diventata un giorno di devozione. Un mese intero di devozione, a dirla tutta.

- E te ne dispiace?

- No. Sei riuscita dove decine hanno fallito o causato immensi danni. E poi non sono più nell’età in cui possa o debba preoccuparmi delle tradizioni.

Sospirò. Sentiva la fine avvicinarsi. Non la temeva: temeva invece la reazione di lei. Ne avevano parlato a lungo, e Romana non aveva mai mostrato un’attitudine ragionevole a riguardo. Prometteva con le parole, ma il suo sguardo inquieto la tradiva.

- Chi interpreterà Patience, quest’anno? - Non vi avrebbe assistito, ma poteva immaginarlo. L’altezzosa Saecula di Brightshore, il giovane Kedred di Deeptree, l’ambizioso Xill di Jadedreamers… e i bambini che seguivano la rappresentazione a bocca aperta, con i Cartocci che sbrodolavano sulle ginocchia. Gli sembrò di sentire l’aria profumata dai fuochi d’artificio e dagli alberi fioriti del parco.

- Nessuno. Ho tagliato le sue battute, con il nuovo epilogo lo spettacolo sarebbe stato troppo lungo. Ho mandato al Dottore il copione nuovo. Qualcuno storcerà il naso, naturalmente, ma in generale… Vedrai, sarà un successo!

Senza avvedersene, la moglie gli aveva fornito l’occasione per confessarle la verità ch’ella non voleva accettare.

- Non lo vedrò, Romana. Mi dispiace.

Fu come se il Tempo stesso si fosse fermato, l’intero pianeta congelato in un istante, com’era stato dalla fine della guerra al ritorno del Dottore. Ma ora soltanto lei provava quella sensazione. Il resto dell’Universo ruotava, bruciava, esplodeva, vagava… soltanto lei era immobile, al centro del salotto, mentre il libro degli inni le scivolava dalle dita e atterrava sul pavimento.

- E quando avevi intenzione di dirmelo? No, aspetta. Non avevi affatto intenzione di dirmelo? L’avrei semplicemente… scoperto da me. - Rabbrividì, sconvolta dalla rabbia e dal dolore.

- Mia cara...

- No. Non andrà così. Ho bisogno di te. Avrò sempre bisogno di te.

- Sono stato agli Archivi. È ufficiale.

- Me ne infischio. Il Tempo può essere riscritto. La Matrice può venire ingannata, non è un punto fisso, io posso…

- Speravo che non dicessi nulla del genere, Romana. Speravo che fossi preparata. Puoi ancora far sì che non sia una tragedia, solo una svolta naturale degli eventi… puoi far sì che sia dolce.

Ma non voleva ascoltarlo. Conosceva i codici d’ingresso di ogni stanza della Cittadella, cosa le avrebbe impedito di procurargli un nuovo set di rigenerazioni? Il Consiglio di Guerra non l’aveva forse concesso al Dottore?

- Questa non è la donna che amo. Forse Pandora si è impossessata di te ancora una volta? Sì, so tutto. So che ti ha usata e che ha ucciso un innocente con queste mani che ora vorrebbero fermare il giusto scorrere del tempo. Lasciami andare, Romana. Lasciami la mia dignità, e conserva la tua.

- Ma potremmo...

- Non te lo permetterò. Non accetterò un solo istante in più. Se cadrai nel mio stesso errore, sporcherai la bellezza di ciò che abbiamo vissuto. Come saremo ricordati? Quale esempio avremmo dato?

- Non resterò a guardarti morire.

Ma sarebbe andata proprio così e lei già lo sapeva, per quanto farneticasse e puntasse i piedi sarebbe rimasta eccome, fino all’ultimo respiro, fino all’ultimo sguardo d’amore, fino all’ultima incerta carezza. Avrebbe urlato dentro di sé mentre continuava a sorridergli e a parlargli di piccole sciocchezze, finché avrebbe potuto sentirla. E forse anche dopo… forse anche dopo.




È stato bello. Il nuovo inno è piaciuto a tutti. Saecula sembrava un manico di scopa come al solito, ma le nuove scene sono state accolte meglio di quanto mi aspettassi. E quando sono salita sul palco ad annunciare le mie dimissioni, nessuno voleva crederci. Il potere… cosa mi hai detto una volta? “Le intenzioni più pure si insudiciano in fretta, e i motivi diventano pretesti.” Non sarebbe stato giusto trasformarti in un pretesto… tu eri la mia ragione.

C’era troppa luce nella stanza. Si alzò a oscurare i vetri.

Continuavo a voltarmi. Volevo dirti guarda, Xill ha il trucco sbavato, possibile che si cali così tanto nella parte? Ma nel posto accanto al mio c’era solo il vecchio Spandrell che si soffiava il naso in un fazzoletto rattoppato.

Aveva premuto il bottone sbagliato. La finestra si aprì, scorrendo lenta a mostrare più chiaramente il cielo e gli edifici intorno. La campagna elettorale era già iniziata, in una fitta rete di slogan e comizi diffusi con ogni mezzo disponibile sul pianeta.

Non era mai stata indispensabile.

Non era mai stata importante.

Qualcuno bussò alla porta, ma lei non sentiva nulla.

Non ho la forza di portar via le nostre cose da qui. Non ho la forza di mettere via niente, che ci pensino gli altri. Oh no, no, no, no, non devono toccare i tuoi vestiti… ma nemmeno io ci riesco. Capisci ora… sapevo che non ci sarebbe stato più nulla per me. Per questo ho detto quello che ho detto. Per questo sono andata agli Archivi, e avrei fatto ciò che era in mio potere per riportarti indietro. Lo so, è stato un errore, ma tu sapevi che non avrei resistito. Hai lasciato il vuoto anche nella Matrice, e non potevo aspettarmelo… Per questo, ora, ho rinunciato a quel potere, e non resta nulla. Non c’è… niente.

Il battere alla porta si era fatto insistente. Era un fastidioso rumore di fondo, a cui si erano unite voci sempre più concitate. Forse volevano solo che se ne andasse, che sgombrasse il campo per far posto al nuovo... da capo supremo del pianeta si era trasformata in un avanzo, una buccia, un rifiuto. E tale si sentiva.

Guardò giù. C’erano delle variabili, ma non era in grado di calcolarle. Non vi era nulla di premeditato. C’erano solo il vuoto sotto di lei e quello che sentiva dentro, e sperò che la profondità fosse la stessa.



Il Dottore aveva tentato con le buone, davvero. Aveva spiegato alle guardie perché dovessero entrare a controllare, ma loro naturalmente avevano ricevuto degli ordini. Ricevere un ordine, su Gallifrey come su qualsiasi pianeta, comporta in automatico lo spegnersi delle capacità mentali.

- Non ho detto che vogliamo entrare per forza. Ma qualcuno deve controllare che stia bene. Non può restare sola, non adesso.

- Il successore non verrà eletto prima di due mesi. Il Lord Cancelliere assumerà temporaneamente la carica, ma non c’è nessuna legge che imponga a Lady Romana di lasciare gli appartamenti presidenziali nell’immediato. E se gli ordini sono di non disturbarla, io li eseguo.

- Brutto ignorante, non siamo dei fottuti terroristi! - Drax aveva perso la pazienza. - Vogliamo solo essere sicuri che vada tutto bene.

- Non ci risulta siate stati mandati a chiamare, comunque.

Il Dottore si era fatto un esame di coscienza: forse il suo, più che un triste presentimento, era un rigurgito della propria avversione all’autorità costituita? Se l’era chiesto senza alcun pregiudizio, valutandone gli indizi a favore e contro. Una volta ricavatane la risposta che cercava, aveva tentato di nuovo e con più forza di oltrepassare i due ostinati individui che sembravano totalmente privi di un cervello funzionante sotto quegli elmetti rossi, ma uno dei due aveva tirato fuori il suo staser d’ordinanza e l’altro aveva chiamato rinforzi sul suo trasmettitore. Drax aveva iniziato a bestemmiare nella lingua di Atrios.

Nel tafferuglio che ne era seguito il Dottore si era ritrovato lo staser puntato contro le costole e si era fatto un’altra domanda, ancora più amara: era valsa la pena salvarli tutti, se la ricompensa era questa? Se non avevano la minima fiducia nella sua buona fede?

Il Castellano Androgar in persona era giunto a calmare gli animi, dando la possibilità ad entrambi di spiegarsi. Infine aveva acconsentito ad aprire personalmente.

- Sbrigati, faccia da criceto - gli aveva intimato Drax mentre attendevano che sbloccasse l’ingresso, ricevendo una gomitata dal Dottore che gli mozzò il respiro.

- Adesso, se i signori vogliono cortesemente attendere… - aveva sillabato il Castellano con sufficienza, ma il Dottore l’aveva preceduto, attraversando l’atrio in una frazione di secondo. Androgar, stizzito, aveva tentato di fermare almeno Drax, ma quando questi aveva sentito il suo amico gridare si era liberato con uno strattone ed era corso dentro a sua volta.

 

- Aiutami! Chiudi la finestra, subito!

Drax si era lasciato sfuggire un lamento alla vista di quella scena. Romana era tra le braccia del Dottore e tentava di sfuggirgli. Lui obbedì, ma sentiva le gambe più molli della sbobba che davano nella prigione di Brixton.

- Adesso tienila ferma. Così, non lasciarla andare. - La sua voce si fece più calma, fino a diventare un sussurro, incurante delle minacce del Castellano che si era già pentito di averli assecondati. - Così. Sssssh. Guardami, Romana. Rilassati. Andrà tutto bene, puoi sopportarlo. Puoi andare avanti. So che ci riuscirai… - Con una mano, affondata nei capelli lucenti, le accarezzava la nuca. Drax farfugliava qualcos’altro, incomprensibile eppure intuibile. Quando il Dottore la sentì rilassarsi, seppe che l’ipnosi era riuscita.

- Che cosa le state facendo? - grugnì Androgar, l’indice già sul pulsante dello staser.

- Impedirle di suicidarsi, emerito imbecille!

L’altro strabuzzò gli occhi, ma abbassò l’arma. Qualcosa gli sfuggiva. Qualcosa gli sarebbe sempre sfuggito, probabilmente, per tutte le sue restanti rigenerazioni. - Non tollero di essere insultato a questo modo - rispose a Drax. - Avrete anche le migliori intenzioni, ma una pubblica ammenda non te la leva nessuno.

Il Dottore annuì. - Vai. Avrò cura di lei.

Drax scosse la testa, incapace di mollare la presa.

- So cosa provi. Ma non è di questo che ha bisogno ora. Sarebbe... fuori luogo. Abbi fiducia, almeno tu.
L’amico diede un profondo respiro e si portò le dita alle labbra, sfiorando poi la spalla di Romana. - Oh, Dottore, come posso non fidarmi? Abbiamo sconfitto l’Ombra. Noi tre. Ricordi? Zeos? La principessa Astra? Sono rimasto su quel pianeta di cui in realtà non m’importava nulla, ma avrei voluto partire con voi. Sarebbe stato… oh. - Si staccò e fece qualche passo indietro. - Sono tutto suo, signor Castellano.

Questi aveva sbuffato seccamente, ignorandolo e rivolgendosi invece al Dottore: - Sarebbe opportuno portarla in ospedale.

- No, grazie. D’ora in poi mi prendo ogni responsabilità. Volete avvisare la mia famiglia che potrei tardare un poco? - Tornò a guardare l’amica con affetto e dolcezza. - Andiamo.

Romana, gli occhi socchiusi, si appoggiò a lui e non chiese “dove”. Il Dottore si frugò addosso e finalmente trovò il suo Stattenheim. Non era così ingenuo da credere che la TARDIS sarebbe riuscita a materializzarsi nella stanza: ci aveva già provato senza risultati, ma quando uscirono nel corridoio la trovarono ad aspettarli.

Esitò. Le perturbazioni temporali avrebbero potuto davvero farlo tardare. Se fosse scivolato, tornando, di una decina d’anni, o di più? Quanto si sarebbe perso? Come avrebbe reagito Ada?

Non poteva saperlo, non voleva immaginarlo. Ma in qualche modo sentiva di non sbagliare. Ada era al sicuro e felice e in pace con se stessa. Romana era completamente sola e spezzata, e non sentiva di poterla affidare a nessun altro. Innocet gli avrebbe suggerito di portarla a Lungbarrow, ma lui sapeva che non sarebbe stata la scelta giusta. Perché sbatterle in faccia quella felicità? Oh, no, capiva che né la compassione altrui, né la solitudine, né il clamore avrebbero potuto guarirla. Non era presunzione, la sua; era intuito, era pura empatia.

 

Non ci furono lunghi discorsi tra loro, in quei mesi folli, non ne ebbero il fiato. Frasi smozzicate sfuggirono nel buio, mentre si lasciavano cullare dalla stanchezza. Altre volte lui la sentì piangere.

La incitò ad urlare, nelle caverne di Peladon, ma non fu una buona idea, perché una cucciolata di Aggedor li inseguì fino ad uno strapiombo e non fu semplice convincere la mamma delle, ehm, simpatiche bestiole di non avere cattive intenzioni. E ancora nel deserto, correndo per raggiungere Cartagine o il suo miraggio: e se il Dottore avrebbe ritrovato Vicki,

(Cressida, si chiamava Cressida ora)

l’orfanella che in un tempo remoto aveva raccolto dal futuro, ormai donna e moglie felice, Romana avrebbe trovato la comprensione di Elissa. Tornarono alla TARDIS, però, prima che gli eventi precipitassero. Non l’avrebbe aiutata sapere che la partenza dei troiani avrebbe trasformato la fiera regina in un fragile relitto, fino a…

Ma no.

Lei no.

L’aveva salvata.

L’avrebbe tenuta al sicuro.

 

Finirono rinchiusi nella Torre di Londra - per la quarta volta, in effetti - al tempo del buon re Giacomo, a causa di uno di quegli spiacevoli equivoci in cui la carta psichica viene distrutta da un colpo di fucile ben mirato e il cacciavite sonico è, giustappunto, nell’altra giacca. Parlarono un po’, quella notte. Lui raccontò delle storielle e la sentì ridere. Non riusciva a vederla, nell’oscurità della cella, e non gli sembrava una risata sincera; lo stava assecondando. Ma era qualcosa.

Il giorno dopo avrebbero dovuto venire decapitati, ma improvvisamente si ritrovò sulla TARDIS senza un graffio e con la destinazione già impostata. Romana gli spiegò che il suo Dottore li aveva liberati. Sembrava abbastanza sensato. Non ricordava nulla di tutto questo, ma incontrare le sue incarnazioni precedenti o future faceva sempre di questi scherzi… e il dubbio rimase.

- Guarda cosa mi ha regalato! In onore dei vecchi tempi, ha detto!

Era una fedora, e da quel momento non volle più togliersela.

- Allora forse era lui davvero. Cioè, ero io. Insomma, quello.

- Non mi ha chiesto come ho fatto a tornare dall’Esospazio! - Era bello vederla fare una smorfia, dopo tanto tempo.

- Romana, sono stato io a farti tornare dall’Esospazio. Numero sette. C’était moi.

- Ma lui non lo sa ancora! - Questa volta lo spiazzò.

Era un bel rompicapo. Ricordava vagamente di aver sentito una frase, un giorno, da qualcuno che non riusciva a mettere a fuoco... e suonava un po’ come “potrei rivisitare qualche vecchia faccia”.

- Mi ha detto… che sono la persona più forte che abbia mai conosciuto. Sembrava quasi sapesse...

- Questo suona molto come qualcosa che potrei dire. Non ho alcun dubbio.

- Io sì, Dottore. - Abbassò il cappello sul viso fino a nasconderlo per metà. - Ma grazie lo stesso.

 

Si materializzarono su una nave di soccorso Sontaran, e Romana dovette spiegare che sì, quelle che aveva sul petto erano effettivamente mammelle, ma non era in grado di allattare e no, non si sarebbe lasciata modificare geneticamente a tale scopo. Messo ciò in chiaro, lavorarono insieme all’equipaggio, sbarcando su pianeti disastrati dalla guerra e occupandosi dei feriti e dei bambini rimasti soli.

- Dottore? - gli chiese una notte, le palpebre già pesanti di sonno. Non attese una risposta e continuò: - Quel giorno…

- Ne ho vissuti un certo quantitativo. Parecchi li abbiamo anche passati insieme. Puoi essere più precisa?

- Il giorno che siamo partiti.

- Oh. - Lui rabbrividì. Aveva atteso che fosse pronta per parlarne.

- Hai detto che mi amavi, Dottore. Mi hai guardata negli occhi mentre mi tenevi stretta e hai detto che mi amavi.

Lui saltò giù dal letto, dimenticandosi che il pavimento era gelido; si ributtò a sedere con un “ffffrt”, massaggiandosi i piedi per scaldarli. Poi frugò per trovare i calzini in fondo al letto, li annusò e si accinse ad indossarli. Finalmente le rispose.

- Ricordo perfettamente quello che ho detto, ma non ho pronunciato quelle parole. Non sarebbe logico mentire, mentre lo sarebbe dirti la verità se ciò fosse accaduto... ma non è accaduto.

Gli occhi di Romana si riempirono di lacrime, ma lui non poteva vederle. - Non sono folle, non lo sto immaginando. Mi hai sussurrato "Ti amo, sii forte, sono qui con te" ed è stato allora che mi sono lasciata andare... che l'ho lasciato andare, e credimi! Per nessun'altra ragione avrei permesso alla mia volontà di abbandonarmi!

Il Dottore già non l'ascoltava più, illuminato da una nuova comprensione, nonché dal sollievo. Romana non era folle, certamente, e le parole che aveva udito erano state pronunciate quel giorno - solo, non da lui.

Le raccontò com’era andata veramente. Forse non avrebbe dovuto… ma glielo disse perché lei potesse finalmente ricostruire quei terribili momenti alla luce del raziocinio. E la vide cambiare, ricomporsi, sbiancare e arrossire e poi tornare quasi normale - gli occhi lucidi ma fermi, certo un poco indispettita per essersi lasciata trasportare da simili fantasie.

Un principio di risata increspò le sue labbra, ma lì morì e si trasformò in una smorfia di dolore.

Il Dottore le prese la mano e lei ricambiò la stretta, per nulla sicura del vero significato che lui desse a quel gesto, ma accettando semplicemente quel contatto come un'offerta di pace e conforto.

- Non hai bisogno di rimpiazzarlo ora. Non ci sarebbe paragone. Un giorno arriverà qualcuno che ora non attendi, che forse ancora non conosci, non immagini. E se così non fosse, guardati come lui ti guardava, e capirai che ne vale la pena. Non avrebbe mai voluto lasciarti, ma il suo tempo era concluso. Ama il suo ricordo senza spezzarlo, senza spezzarti. E non provare più a riportarlo indietro, perché non lo vorrebbe.

- La coerenza non è mai stata il tuo forte, Dottore - rispose lei, punta sul vivo. - Sul Pianeta Biblioteca c’è ancora l’eco di una delle tue mogli.

Lui non si scompose, né le domandò perché volesse ferirlo parlandogli a quel modo di River. Era partito con lei con l’intenzione di lasciarla sfogare in qualsiasi modo le fosse piaciuto, e ciò contemplava ogni possibile scenario, anche questo.

- Non è ciò che vorrebbe, - ripeté con calma, guardandola con affetto - perché già una volta commise quell'errore! Faceva del suo meglio, con tutte le sue forze, ma qualcosa scattò in lui. Perché non restare per sempre, pensò, e assicurare ai Signori del Tempo il dominio assoluto, ma nell'interesse di tutti, si capisce! Perché no? Posso rubare il segreto di Rassilon, che sia sempre glorificato nei millenni sfolgoranti del nostro trionfo! E tu sai come finì... come rimase prigioniero del suo stesso piano, e come ebbe la possibilità di riscattarsi e pentirsi di quanto aveva fatto, e che quando riebbe la libertà...

- Posò gli occhi su di me, e mi amò, e io lo amai fino alla fine dei suoi giorni - concluse Romana, come se recitasse un copione. Teneva gli occhi chiusi e pareva scivolata in un sogno ma, quando li riaprì, era di nuovo presente a se stessa. - Mi dispiace di aver frainteso. Resterà tra noi, non è vero?

Il sorriso del Dottore si allargò. A Romana sembrò, per un istante, di rivedere l'espressione di un tempo, mentre correvano spensierati per le strade di Parigi, quando i suoi capelli erano ricci e castani e portava una sciarpa impossibile,

“Perché Parigi non è un luogo; è un concetto complicatissimo, una formula che può essere scambiata per stregoneria anche da una mente avanzata. Persino un Cyberman la definirebbe "magica"! O forse sto esagerando, K-9? Ma è sicuro che all'Accademia nessuno sarebbe in grado di far comprendere qualcosa del genere! Non c'è più nulla che potrebbero insegnarti, ora che sei qui, a respirare quest'aria!”

ma batté le palpebre e ogni cosa tornò a scorrere nel presente. Percepì di nuovo il ronzio dei motori della nave e il suo odore metallico, il letto scomodo, e tornò a guardare il Dottore con una consapevolezza diversa.

Lo vide, per la prima volta, com'era davvero, sentì lo scorrere dei suoi pensieri, spalancati come mai prima. Vide un Signore del Tempo che aveva creduto di non fermarsi mai, di non avere più una casa, ma che si era ricreduto e da allora cercava di godere di ogni attimo, abbandonando i rancori, i rimpianti, le sciocchezze che nel passato erano sembrate dogmi.

Mi dispiace. La tua famiglia ti sta aspettando, e hai nostalgia di loro, e non potrei mai perdonarmi se ti perdessi qualcosa…

Ci ho pensato. E ho scelto di aiutare un’amica. Io credo che capiranno.

Percepì ch’egli l'aveva disprezzata per lo spreco di quella prima rigenerazione gettata tanto alla leggera, per assomigliare ad una principessa incontrata durante i loro viaggi. Invano aveva cercato di fargli capire che per lei non si trattava di un capriccio, che c'era qualcosa di più profondo e urgente a spingerla: non aveva mai davvero accettato quella decisione. Allora le era sembrata un'esagerazione, e aveva riso di tanta pedanteria da parte di un Rinnegato - che poi, si diceva che in gioventù non avesse mai rifiutato una sfida, e avesse persino battuto il record dell'Ottavo Uomo.

Ora so che Pandora spingeva per uscire già a quel tempo. Non avrei dovuto giudicarti.

Ero una bomba pronta ad esplodere.

Mi sono abituato a viaggiare con gente pericolosa! Non mi sarei scandalizzato, credimi.

Ma se il Dottore era lo stesso e non lo era, certo anche lei doveva sembrargli diversa e forse ridicola. Si vergognò di essersi chiusa nella disperazione, dimenticandosi dell’universo, là fuori, che soffriva e gioiva e cantava e splendeva. Quell’equivoco tra loro avrebbe potuto distruggerla, ma al contrario la sua risoluzione la risvegliò alla vita.

Non poteva continuare a guardarsi indietro, a tirarlo per la giacca e piagnucolare come una bambina, a strillare quanto fosse ingiusto aver perso Borusa tanto presto, non immaginando nemmeno quanta fatica gli fosse costato trascinarsi al suo fianco...

Era così stanco, così stanco! Mi ha amata con le sue ultime forze, con tutta la volontà che gli restava, eppure avrei voluto trattenerlo ancora! Devo combattere questa debolezza - posso andare avanti, posso provarci davvero, anche se non per sempre.

Non per sempre, avevano pensato nel medesimo istante, e i loro occhi s'incontrarono trionfanti nella penombra. Non soffriremo per sempre, non ricorderemo per sempre, un giorno potremo riposare.

Non vi è maledizione peggiore dell'immortalità. Cerchiamo la felicità perché sappiamo di avere un tempo limitato, che siano una, cinque o tredici vite; altrimenti resteremmo a sbadigliare in un angolo, annoiati e schiacciati da un'eternità grigia e pesante.

Ma nell'attesa daremo il meglio. Saremo ricordati, se non con nostalgia, almeno con rispetto.  



   
 
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