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Autore: Glitch_    24/10/2014    9 recensioni
[Sterek, post 3b] Derek decide di restare a Beacon Hills e di riformare la piccola biblioteca di famiglia.
Lydia decide di abbracciare del tutto la propria natura di banshee, ma cerca aiuto presso un Hale diverso, stavolta.
Uno spirito misterioso, invece, decide di mettere radici a Beacon Hills e spingere con mezzi poco etici le persone sole a tornare ad amare, pena l'autodistruzione.
O anche...
Storia in quattro parti in cui Derek scopre che fra lui e Stiles c'è del potenziale e una kitsune del suono si esibisce in delle serenate provvidenziali per invogliarli.
Genere: Commedia, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Derek Hale, Kira Yukimura, Lydia Martin, Scott McCall, Stiles Stilinski
Note: Lime | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Note: [la storia è già completa e comprende 4 capitoli + un’appendice del tutto slegata alla trama: posterò un capitolo ogni venerdì]
Questa storia è stata scritta fra la pausa della stagione 3b e la quarta, per tanto non tiene conto di nessun evento successo nella quarta stagione, ma tiene conto invece degli eventi successi fino alla 3b, a esclusione degli ultimi minuti dell’ultima puntata della 3b. Per una scelta narrativa non sono presenti Kate, Malia e neanche Peter.
Sostanzialmente, questa è una storia in canon post 3b, scritta dal punto di vista di Derek e con dello Sterek slow-slow build (l’ho già detto slow? Lo ripeto, slow). Sono presenti degli accenni Scott/Kira, Sceriffo/Melissa e Lydia/PersonaggioOriginale (un ragazzo kitsune del suono). E della bromance Derek-Lydia, perché una volta tanto mi piaceva non scrivere di una bromance Stydia :P
Secondo il mito originale delle kitsune ne esistono tredici tipi diversi, uno per ogni elemento, e quando ho letto che esistevano anche kitsune del suono non ce l’ho fatta a non creare un certo tipo di personaggio tutto musica e ironia: è stato più forte di me :D
Inoltre, questa storia è stata scritta per il Teen Wolf Big Bang Italia, e per tanto si può avvalere degli splendidi lavori di grafica di Lori/Eloriee (sono i banner a ogni inizio di capitolo, cliccateci sopra per vedere la versione più grande) + un’altra cosuccia che troverete nelle note alla fine di questo capitolo perché è spoiler, e di un puccissimo disegno a opera di Stitch-84, anche questo linkato all’interno del capitolo di cui fa parte! Non le ringrazierò mai entrambe abbastanza per aver scelto di lavorare con la mia storia, grazie!
Detto questo, buona lettura! (su tumblr, se volete, potete trovarmi come lastbluehowl)








1. ALOE

[Aloe – Dolore, Afflizione]



Derek comprendeva benissimo perché il giovane corriere a cui aveva aperto la porta del loft avesse un’espressione così perplessa e smarrita: quel tizio svolgeva incarichi per una delle librerie più antiche ma sconosciute della California, c’era da scommetterci che fosse abituato ad accontentare clienti eccentrici alla ricerca di chicche particolari, ma di certo non si era mai ritrovato a bussare alla porta di un loft che, nonostante sembrasse devastato e infestato dagli spiriti, fosse abitato – "E da uno che ha l’aspetto di un serial killer", avrebbe aggiunto Cora. Lo capiva davvero, ma non aveva tempo per lui, quindi da quando aveva aperto la porta non gli aveva rivolto la parola, si era limitato a inarcare un sopracciglio rivolgendogli una muta espressione di ascolto sia a mo’ di saluto che a invito a dirgli che volesse, mentre lui continuava ad ascoltare Cora parlare al cellulare che teneva premuto contro l’orecchio.

Il corriere, dopo il primo tentativo di saluto vocale, si arrese ad adattarsi al suo linguaggio procedendo la discussione a gesti, nel frattempo che Cora, dall’Argentina, raccontava al fratello le sue ultime avventure al ranch del branco che l’ospitava; indicò a Derek prima il pacchetto rettangolare che aveva fra le proprie mani, poi l’etichetta che c’era appiccicata sopra e infine fece l’atto di consegnarglielo.

Derek annuì convinto e puntò un dito verso se stesso per lasciargli intendere di essere a conoscenza dell’arrivo di un pacco e di essere lui il destinatario.

Il corriere prese dalla propria borsa la ricevuta da firmare e la lisciò per bene sopra la scatola per dargli un sostegno su cui firmare; gli porse anche una penna.

Derek lo ringraziò assentendo con entrambe le sopracciglia inarcate e firmò; notò di sottecchi come il corriere ne stesse approfittando per osservare con più attenzione l’interno del loft dall’uscio.

Derek gli rivolse un’occhiata seria e fissa, lui scrollò le spalle mettendo una mano avanti; Derek gli riconsegnò la penna, lo salutò con un cenno secco della testa accompagnato da un’espressione impassibile e gli chiuse la porta in faccia.

«Ho sentito dei rumori» gli disse Cora, «chi era alla porta?»

«Un corriere» rispose, cercando con lo sguardo qualcosa nelle vicinanze che lo aiutasse ad aprire il pacco, ma infine si arrese a usare gli artigli restando in piedi di fronte al tavolo. «Sto cercando di rintracciare le ristampe di tutti i libri che mamma teneva nello studio, o almeno quelli di cui ricordo il titolo». Con un sospiro carico di nostalgia, estrasse dalla scatola ricevuta un tomo rilegato in pelle. «Non è un’impresa facile, anche se per fortuna alcuni librai mi stanno mettendo in contatto con dei collezionisti per avere almeno delle copie degli originali».

«E questi collezionisti sono consapevoli di che razza di libri hanno fra le mani?»

«No» esalò secco, «ed è meglio che non lo sappiano. Lasciamo pure che credano che siano raccolte di miti e leggende».

Cora respirò a fondo. «Stai provando a raccogliere più materiale possibile da passare a Scott» dedusse rassegnata. «O meglio, vorresti dargli le tue stesse basi passandogli i libri di mamma».

«Non proprio» la corresse scorrendo l’indice di un volume, «vorrei dargli le basi che avrei potuto avere, se avessi letto tutti quei libri: ho detto che ricordo quasi tutti i titoli, ma non vuol dire che li abbia anche letti. Quella era la fissazione di Peter».

«Uhm, e a proposito: dov’è adesso Peter?»

«L’ultima volta che l’ho visto mi è sembrato che stesse andando alla ricerca di qualcuno fuori città: ci interessa sul serio sapere di chi?» le domandò con un velo di sarcasmo.

«No, non ci interessa» gli replicò monocorde. «Godiamoci fino in fondo questi pochi giorni in cui non sta creando problemi. A noi». Derek emise un borbottio d’assenso. «A parte ciò, una volta terminata questa impresa bibliotecaria, resterai a Beacon Hills?»

Derek posò sul tavolo il libro che stava sfogliando, chiuse gli occhi e si massaggiò la fronte, stanco. «Cora, ne abbiamo già parlato…»

Lei sbuffò esasperata. «Non nego che sia importante che qualcuno di noi Hale trasmetta a Scott tutto ciò che sappiamo e le nostre tradizioni, e so che mamma lo crederebbe giusto e che vorrebbe che tu lo facessi, ma… non so quanto sia altrettanto giusto che tu ti martirizzi a stare a Beacon Hills solo per fare ciò: quel posto ha ucciso la nostra famiglia, mamma non c’è più e per quanto suoni brutto dirlo non hai davvero alcun obbligo nei suoi confronti».

«Cora…» provò ad argomentare, paziente.

«Derek, tutti i figli a un certo punto della loro vita lasciano stare i desideri e le speranze dei propri genitori e percorrono la propria strada, perché avere un legame di sangue non significa essere persone uguali e avere gli stessi sogni. Anche tu hai il diritto di fare una cosa simile, farlo non è un’atrocità solo perché mamma non c’è più».

«A me piace farlo» obiettò sicuro.

«No, tu vuoi solo un nuovo obiettivo nella vita» incalzò cruda ma non piccata.

«Lo ammetto» concesse Derek senza alcuna remora.

«Non dirlo in questo modo!»

«Che modo?»

«Come se stessi scegliendo la tua prossima sentenza di morte! Derek, quando le persone normali pensano ai propri obiettivi nella vita in genere sono prevalentemente speranzose e fiduciose, non rassegnate e malinconiche come anime dannate!» Sbottò sarcastica. «Beacon Hills ti fa male!»

Derek rivolse gli occhi al soffitto e le parlò atono. «Hai delle proposte alternative?»

«Beh, se il ricordo dei libri di mamma ti affascina così tanto, potresti anche cominciare a fare delle ricerche e produrre di tuo pugno del materiale di prima mano che in genere serve ai nuovi branchi» gli propose. «Così facendo viaggeresti per il mondo, avresti un progetto e un lavoro per occuparti la mente e in un certo senso accontenteresti la volontà di mamma».

Lui restò in silenzio per qualche attimo, passandosi la mano sulla faccia e accarezzando un po’ l’idea. «Non sarebbe male come alternativa…» biascicò poco convinto.

«Però?»

«Però credo che resterò qui almeno fino a quando il branco di Scott non sarà più stabile». Sentì sua sorella sbuffare forte. «Cora, non posso lasciarli proprio adesso: Scott è diventato un alpha quando era ancora inesperto perfino come beta – ha bisogno dei miei consigli – e ha da poco perso per la prima volta un membro del suo branco…» Stava per proseguire, ma lei lo interruppe.

«Perché è davvero così salutare per te stare accanto a uno che come te ha visto morire la sua prima ragazza fra le proprie braccia» insinuò acida. Lui finse di non averla sentita.

«Stiles è stato posseduto da una volpe psicotica» proseguì Derek, «e non credo tu possa obiettare su come si senta adesso; Lydia ha da poco scoperto di essere una banshee, non sa ancora gestire bene i suoi poteri e sappiamo bene che Peter potrebbe approfittarsi di lei. Sempre se non l’ha già fatto».

«Isaac?» gli chiese con voce debole e un po’ nostalgica – del resto lui era l’unico membro del loro branco ancora in vita.

«Chris Argent l’ha accompagnato a seppellire la nogitsune in un posto segreto e sicuro, poi con il sostegno e il consiglio dei suoi legali lo aiuterà a emanciparsi…» Sospirò stanco e rassegnato. «Nessuno di loro due tornerà a Beacon Hills: Isaac vuole ricominciare da capo e stare per un po’ da solo per capire se desidera sul serio avere un alpha o se preferisce avere una vita più umana e normale, piuttosto che una comunitaria e da branco».

Cora borbottò pensosa. «Isaac in fondo non ha mai avuto occasione di vivere in modo umano e normale». E non soltanto per via della licantropia: la vita che aveva fatto prima con suo padre non era stata molto umana e normale.

«Già» esalò Derek. «Argent è in cerca di giovani apprendisti per continuare quello che aveva iniziato con sua figlia, e non sa ancora dove si fermerà, ma anche se non l’ha ammesso ad alta voce è chiaro sia a me che a lui che non tornerà qui mai più».

«È sconvolgente che io dica questo» gli replicò Cora, monocorde, «ma credo che dovresti seguire il suo esempio».

Derek roteò gli occhi ed espirò a fondo. «Farò finta di non averti sentito».

«Dico sul serio».

«Appunto. Ascolta» cercò di farla ragionare e anche di non darle false speranze, «lascia che io aiuti i ragazzi a stabilizzarsi meglio e che consegni a Scott una buona parte dei libri che mamma riteneva più importanti per la conoscenza del sovrannaturale di un branco, e poi tornerò a riflettere sulle mie alternative a Beacon Hills».

Lei, incerta, emise un lungo brontolio indistinto. «Me lo prometti?»

«Te lo prometto». La sentì sbuffare un sorriso dall’altro capo della linea.

Dopo un ultimo scambio di battute ironiche e delle amorevoli prese in giro tra fratello e sorella, chiusero la chiamata e Derek tornò a mettere in ordine i tomi più o meno vecchi e più o meno polverosi che aveva accumulato sopra il tavolo e sotto il tavolo.

Era già in silenzioso lavoro e accovacciato a terra da più di venti minuti circa, quando sentì qualcuno avvicinarsi all’ingresso del loft con un incedere femminile – ticchettio di tacchi, fruscio di gonna. Si rimise in piedi e andò ad aprire giusto dopo il primo tentativo di bussare da parte dell’ospite.

In tutta onestà, non si sarebbe mai aspettato che un giorno Lydia l’avrebbe cercato di propria iniziativa in un momento in cui il branco non era sotto pressione, tant’è che per un attimo temette che fosse successo qualcosa di grave, ma quando respirò a fondo, tutto ciò che sentì arrivare da lei fu ansia e stress, ma non paura.

«Ehi» lo salutò lei, in modo secco e diretto, fissandolo tenendosi ben ritta e con le spalle alte; non era rigida, ma neanche del tutto rilassata, e aveva le labbra strette e gli occhi ben aperti, vigili.

La ricambiò con un cenno del capo e le fece cenno di accomodarsi dentro. «C’è qualche problema?» le domandò diretto e provando a essere meno rude possibile.

Lei gli riservò la stessa schiettezza. «Ho bisogno di pareri e consigli sui miei poteri».

Derek incrociò le braccia sul petto e inarcò un sopracciglio fissandola perplesso e sorpreso.

Lydia assottigliò di più labbra, scosse la testa e agitò le mani. «So che all’inizio hai fallito clamorosamente nel capire cosa sono, ma a quanto pare Peter l’ha sempre saputo e mi ha Morsa di proposito, però penso che possiamo concordare entrambi sul fatto che è meglio che io non chieda consigli a lui». Derek assentì lento ma sicuro. «Quindi mi resti tu» gesticolò lei, «la linea più diretta a lui».

Derek trasse un lungo respiro, poi si diresse verso il tavolo. «Questi libri che vedi» glieli indicò, «sono tutti copie o ristampe dei libri che mia madre riteneva più importanti per una buona cultura sul mondo sovrannaturale e che sono andati persi nell’incendio: sto cercando di ritrovarli tutti sia per leggerli o rileggerli io, sia per consegnarli a Scott. Il punto però è che Peter in famiglia è quello che più di tutti leggeva e studiava gli antichi miti» sottolineò.

Lydia sembrò rilassarsi appena. «E quindi pensi che fra questi libri ci possa essere anche qualcosa sulle banshee» realizzò.

«Se non fra questi, fra gli altri che devo ancora rintracciare, però sì, ci sono buone probabilità che sia così».

Lei annuì soddisfatta. «È un buon inizio».

Le rivolse un’occhiata di sottecchi analizzando di più il suo aspetto, per trovare la possibile fonte del suo stress. «Come mai quest’urgenza? Hai avuto qualche problema di controllo negli ultimi giorni?» indagò cauto.

Lydia esitò qualche attimo, prima di rispondergli. «La nogitsune mi ha… sovraesposta» storse la bocca in una smorfia, «ho sentito troppe eco passate a Oak Creek, e ora i miei poteri si sono sviluppati in modo troppo veloce, o forse non dovrei nemmeno sentire cose simili e mi sta succedendo solo perché sono stata travolta da una miriade di eco: non ho nemmeno idea se ciò sia normale o meno per una banshee» concluse nervosa e storcendo un po’ la bocca.

Derek ponderò le opzioni che poteva avere Lydia. «Gli Argent non ti hanno mai detto nulla se nei loro bestiari c’era qualcosa sulle banshee?»

Lei scosse la testa. «No, non sapevano nulla a riguardo, anche perché visti i miei poteri dubito che abbiano mai dovuto abbatterne una: non siamo pericolose».

«Deaton?» incalzò.

Lydia scosse la testa e abbozzò un sorrisetto troppo zuccheroso. «Credo proprio che Peter fosse guardacaso l’unico che potesse aiutarmi».

Derek batté piano la mano su un libro. «Ma con questi potremmo già essere a un passo dal trovare una strada alternativa a lui, no?» l’incoraggiò.

Lei assentì pensosa. «Forse sì».

«Ne devo ancora consultare parecchi e me ne devono arrivare via posta o corriere moltissimi altri, ma sei assolutamente libera di usarli per provare a trovare quello che sapeva Peter. Ti darò una mano» si propose sicuro.

Stavolta il sorriso che lei gli rivolse fu grato anche se appena abbozzato e molto stanco. «Grazie».

«Purtroppo non sappiamo se magari quello che ti serve sapere si trovi proprio in uno dei tomi che devo ancora rintracciare: non so quanto tempo impiegheremo» considerò dispiaciuto.

Lydia scosse la testa, risoluta. «Va bene lo stesso, l’importante è avere un punto d’inizio e cominciare a provarci» sentenziò con della leggera ma amara ironia; scorse veloce i titoli dei volumi più vicini a lei e poi scelse il primo da sfogliare.

Derek l’osservò accomodarsi sul divano e dopo lanciare delle bizzarre occhiate furtive al proprio fianco, che però la lasciarono stranamente malinconica e triste; era sembrata quasi colta da un’amara sorpresa. Derek capì, perché a lui era successo infinite volte: è sempre dura abituarsi al fatto che non c’è più al tuo fianco quella determinata persona con cui potresti condividere il momento che stai vivendo o trovare un sostegno immediato.

Non c’era una sensazione più vuota di quella di una battuta che cadeva nel silenzio perché non c’era più l’altra persona che da sempre ti rispondeva per le rime. Le abitudini di scambiarsi degli sguardi complici e di sedersi fianco a fianco sempre allo stesso modo erano dure a morire, Derek ne sapeva più che qualcosa e vedere questo sugli altri era un pugno allo stomaco.

Cercò di rompere il silenzio che si era creato; si appoggiò di schiena al tavolo e le parlò con tono distratto sfogliando un libro. «Nella fattispecie che problemi ti stanno dando i tuoi poteri?»

Lydia rifletté qualche secondo sulla risposta da dare. «Direi di controllo».

Derek chiuse il libro e cercò di porsi a lei nel modo più neutrale e accomodante possibile. «Cosa ti succede?»

Lei si mordicchiò un labbro, nervosa. «Ho dedotto che derivi dalla sovraesposizione a Oak Creek perché lì ho ascoltato moltissime eco di morti passate, mentre di solito riesco a sentire quelle recenti o prossime, e in linea di massima mi può succedere di sentire una voce sfiorando una corda…» fece l’atto di pizzicarne una immaginaria con un gesto secco e nervoso, «o comunque le mie sensazioni in genere hanno a che fare con gli oggetti o provengono dagli oggetti».

Derek assentì. «E invece ora che ti succede?»

Lei aprì bocca per rispondere, ma si fermò: per un istante sembrò terrorizzata, come se stesse rivivendo dei ricordi; infine rispose. «Riesco a sentire e ad avere delle visioni di una morte passata toccando le mani del diretto assassino».

L’idea di uno shock improvviso simile e lo sconforto e lo stress di Lydia colpirono Derek insieme, lasciando per qualche attimo attonito; dopo però non impiegò più di qualche minuto a mettere insieme tutti i pezzi: non c’erano molti assassini con cui Lydia poteva essere così a stretto contatto da poter toccare le loro mani.

«Stiles» mormorò sicuro.

Lydia annuì nervosa fissando il pavimento. «Tecnicamente non è stato lui a commettere questi omicidi, però la nogitsune li ha fatti quando era dentro al suo corpo, e ora lui li ricorda nei dettagli, quindi non appena gli tocco le mani ho… dei flash» concluse a mezza bocca, «come se fossi nella sua testa. Mentre lo faceva».

«E succede sempre?»

Lei scosse il capo, appena sollevata. «Per fortuna no, soltanto quando sono concentrata, oppure quando ho la mente sgombra e sto prestando più attenzione a qualcuno». Abbassò lo sguardo sulle proprie mani, gesticolò a piccoli scatti nervosi. «È un mio gesto tipico prendere per mano qualcuno se sono preoccupata o in apprensione…» spiegò; Derek annuì, gliel’aveva visto fare parecchie volte con tutti i ragazzi del branco.

«Stiles è ancora parecchio inquieto» continuò a parlare Lydia, «quando posso cerco di rassicurarlo dicendogli che non sento al momento nessuna voce, che è tutto a posto, e tendo a…» aprì e chiuse le mani più volte, veloce, come a indicare il gesto sottointenso, «ma quando lo faccio, vedo e sento questi ricordi ormai in parte anche suoi, e non posso nasconderglielo considerando l’effetto che mi fanno, e… non è bello né per me né per lui». Trasse un grosso respiro e rilassò le spalle. «Voglio solo poter confortare un amico senza provocare ulteriori traumi a entrambi. In teoria dovrei essere libera di toccare le mani di chi voglio, no?»

Derek le assentì di nuovo, si sedette al suo fianco. «Quindi sembra proprio che sia un problema di controllo» constatò, ponderando una possibile soluzione. «Non sappiamo quando troveremo nei libri qualcosa che potrà aiutarti, ma nel frattempo potremmo arginare il problema, e inoltre non pensi che in futuro potrebbe esserti utile sfruttare un potere simile a comando?»

Lydia sorrise amara e scettica. «Finora non ho avuto buoni risultati le volte in cui ho provato a utilizzare di proposito le mie cosiddette abilità».

«Ciò non vuol dire che tu non debba provarci di nuovo». Cercò di convincerla parlandole in modo quieto. «Ascolta, devo intuire che i tuoi primi tentativi siano stati in qualche maniera legati a Peter: mettili da parte o prendi da loro solo ciò che ti è davvero utile. Io non sono Peter» la rassicurò.

«Lo so» mormorò lei, convinta ma un po’ afflitta – forse da dei ricordi spiacevoli.

«Non ti chiederò nulla in cambio».

«Perché non è tua abitudine farlo, so anche questo» sottolineò lei, sorprendendolo un po’.

«Quindi potrei anche aiutarti a ricominciare a provare ad avere un controllo sui tuoi poteri andando per tentativi ed errori» incalzò.

«Per esempio come?» Non sembrava molto sicura della proposta, ma quantomeno era tornata ad alzare lo sguardo dalle proprie mani e a fissare lui in faccia.

«Iniziamo da quello che già sappiamo: la sovraesposizione probabilmente ti ha portata a sbloccare una nuova porta per ascoltare anche le morti passate, sta ora a te decidere quando aprire questa porta e quando tenerla chiusa, ma potrebbe essere più facile per te imparare a fare ciò se sai in anticipo quello che ti aspetta».

«Dovrei esercitarmi con qualcuno?» Intuì lei. «Non credo però che sia giusto stressare così Stiles utilizzando i suoi ricordi» obiettò.

Lui fece cenno di no e avvicinò una mano a lei col palmo rivolto verso l’alto. «Ho ucciso Boyd» le disse sicuro fissandola negli occhi. «L’ho fatto proprio con le mie mani e tu sai già che l’ho fatto, hai assistito in parte alla scena: la mia è una situazione simile a quella di Stiles, e tu sai già cosa aspettarti. Puoi imparare a gestire questa porta iniziando da qui» terminò puntando il mento verso la propria mano per indicargliela.

Lydia inarcò un sopracciglio e agitò un dito come a picchiettargli la mano. «Sembra un piano abbastanza decente, ma… sei certo di volerne fare parte?»

Le rispose senza esitare. «Sì».

«Vedrò e sentirò un tuo ricordo» precisò lei, «non sarà invasivo dal punto di vista fisico, ma da quello emotivo sì: potresti sentirti violato».

«Non credo che aggiungerà niente a quello che sai già su di me» affermò certo scrollando le spalle.

Lydia lo fissò come a chiedergli se stesse scherzando. «Un giorno, dopo che avrò affrontato con cura come toccarti le mani senza vederti uccidere un tuo beta scoprendo sulla mia pelle quanto e come eri legato a lui e come ciò ti ha affetto, se vuoi potremmo anche parlare di una cosa chiamata "emozioni" o anche del "diritto alla privacy"» puntualizzò sarcastica flettendo una paio di dita in aria a mo’ di virgolette.

Derek roteò gli occhi. «Allora ci stai?»

Lydia fissò la mano di lui storcendo la bocca. «Sì, ma per oggi no» gesticolò come a scacciare via la mano di Derek da sotto il proprio sguardo.

Derek scrollò le spalle e si alzò dal divano. «Quando vuoi sarò a tua disposizione». Afferrò un altro libro da sfogliare e catalogare e vide di sottecchi lei riprendere quello che aveva scelto prima.

«Derek?» lo richiamò piano lei. Si voltò a guardarla. «Grazie» scandì bene quasi mormorando, con un sorriso appena abbozzato.

Lui scrollò di nuovo le spalle per dirle "Non c’è di che" e tornò ai volumi polverosi. Era rimasto a Beacon Hills anche per questo, del resto, per aiutare i ragazzi: quello era il minimo che potesse fare.



Prima che Lydia venisse di sua spontanea volontà a cercarlo, i suoi contatti con i ragazzi del branco a dire il vero erano stati sporadici. Perlopiù incontrava spesso Scott, a cui stava insegnando qualche vecchio trucco per seguire le tracce altrui e riconoscere la natura di un nemico o di un invasore del territorio con pochi mezzi, e anche su come approcciarsi ad altri branchi, e certe volte il ragazzo gli raccontava come procedesse la vita degli altri: Kira aveva ancora parecchie riserve sui propri genitori, soprattutto su sua madre, ma era anche vero che Noshiko fosse la sua unica fonte sul mondo delle kitsune e su tutto quello che in futuro l’aspettava, quindi stava cercando di ricucire i loro rapporti, e nel frattempo si allenava anche con Scott in segreto; Stiles a tratti stava sempre più mostrando quanto si fosse indurito il suo carattere.

«È sempre stato sarcastico» gli aveva raccontato Scott, un giorno in cui erano insieme nella riserva a seguire le tracce di un puma per allenare i sensi del ragazzo, «però adesso non è neanche acido, è solo cinico e diretto, fa battute senza mostrare alcuna espressione, è realistico in modo crudo… Certe volte resta fermo a riflettere fissando un punto indeterminato per lunghi attimi, e non è da lui stare fermo, né riflettere a lungo. Mi chiedo se piuttosto non si perda dietro a dei ricordi non suoi che lo perseguitano».

Derek in tutta onestà non sapeva come avvicinarsi a Stiles e se fosse il caso di farlo: era logico che il ragazzo avesse bisogno di aiuto, ma Derek non aveva nemmeno saputo aiutare se stesso quando si era sentito addosso il peso della morte della propria famiglia, quindi non gli sembrava il caso di aprire bocca né sulla situazione né su come si sentisse Stiles al momento.

Lydia invece aveva preso l’abitudine di venire al loft almeno un paio di volte alla settimana: più che leggere i libri che Derek stava raccogliendo, li studiava e spesso prendeva appunti, e ciò non lo sorprendeva. Avevano cominciato anche a testare il controllo dei suoi poteri seguendo la via suggerita da Derek, e nonostante le prime volte lei si fosse sentita schiacciata dalle emozioni che aveva provato all’epoca Derek, a piccoli passi stavano avendo dei miglioramenti.

Lydia era molto discreta, non aveva chiesto neanche una volta verso a chi o cosa fossero indirizzati certi vecchi sensi di colpa che circondavano la morte di Boyd ma che non ne facevano del tutto parte, e nel loft si dimostrava una presenza leggera anche se distinta, sicura di ciò che volesse ma sempre un’ospite di poche pretese. Derek aveva l’impressione che la ragazza stesse parlando poco agli altri di come stesse vivendo quel periodo della propria vita, ma cercava di non fare mai crollare del tutto le difese e le pretese di controllo di lei quando certe volte la ragazza concludeva con un "Potrei parlarne con Allis- Potrei parlarne con qualcuno" – si correggeva a labbra strette o schioccando la lingua, riprendendo subito possesso delle proprie emozioni.

In fondo, sia lui che Lydia erano due persone che stavano cercando fra i libri la forza per fare qualcosa di nuovo e di buono anche in nome di qualcuno di caro che non c’era più: lui provando a realizzare la volontà di sua madre, lei tentando forse di dimostrare ad Allison che non era morta invano e che ora anche lei nel proprio piccolo con i suoi poteri avrebbe protetto gli altri. Trovavano parecchia consolazione nel silenzio e nel tacito assenso l’uno dell’altra.

«Sei un ragazzo piuttosto buono per essere uno che una volta ha cercato di uccidermi» aveva commentato uno di quei giorni Lydia, con voce zuccherina ed espressione sarcastica e convinta; lui aveva sorriso scrollando la testa. Andava bene, stavano cominciando a guarire.

Quando Lydia riuscì per più di due volte di seguito a bloccare l’istinto che la portava a seguire il ricordo dell’assassinio perpetuato da Derek, lui la convinse a provare a gestire il suo potere anche in senso inverso.

«Invece di ritrarti, potresti cercare di vedere cosa c’è prima dell’ultima morte» le propose, «vedere un omicidio precedente nel tempo».

Lei giocherellò nervosa con la punta della propria treccia. «È una buona idea» ammise a sguardo basso. «Non penso di voler venire a contatto con un serial killer in futuro» ironizzò acida, «anche se non si sa mai». Derek roteò gli occhi e schioccò la lingua. «E tu sei sempre certo di volermi lasciare vedere ciò che hai fatto?»

«In questo caso particolare più che a me sta a te: la persona che ho ucciso prima di Boyd è Peter» l’informò serio: non poteva certo pretendere che lei accettasse di avere un flash della persona che l’aveva assalita e quasi ammazzata.

Lydia sembrò riflettere sul da farsi traendo un respiro profondo. «Quindi in teoria dovrei sentire la tua rabbia e la tua voglia di vendetta mentre uccidi la persona verso cui anch’io provo rabbia e voglia di vendetta. E lo rivedrò più volte, quindi sarà come ucciderlo di persona ripetutamente». Si umettò le labbra. «Ti ho mai detto che spesso tendo al sadismo?»

Derek rivolse gli occhi al soffitto, esasperato, e poi le porse una mano.

La rabbia aiutò Lydia a ottenere in maniera più veloce il controllo sulla linea temporale di ricordi di uccisioni che l’investivano, tant’è che alla fine rivolse a Derek un sorriso soddisfatto e perfino un po’ inquietante.

«C’è una terza e ultima morte, se vuoi provare…» le disse qualche giorno dopo.

«Derek, non costringerti a rivedere tutta la tua storia solo per aiutarmi» le replicò ferma. «Quando vedo quello che hai fatto, tu non rivivi ciò che hai provato, ma puoi immaginare benissimo quello che sto sentendo – perché sono emozioni tue e reali – e vedi come reagisco: è come sbatterti di nuovo in faccia quello che hai fatto, non è giusto» obiettò determinata.

«Ma è utile».

«Non tutto ciò che è utile è umano» gli replicò sarcastica.

«Noi siamo umani, siamo entrambi coscienti di ciò che vogliamo e dei sacrifici che siamo disposti a fare» precisò: non è che per Lydia stessa non fosse un sacrificio vivere come propri degli assassini per padroneggiare il controllo sui suoi poteri e vivere una vita più normale.

Lydia emise un lungo sbuffo e infine si convinse. «Ok» esalò stanca.

«Bene» assentì Derek. Decise però di darle prima qualche avviso. «Aiden ti ha mai detto perché alcuni di noi hanno gli occhi blu?» le domandò cambiando per un attimo il colore delle iridi per sottolineare meglio cosa le stesse dicendo.

«Sì» gli rispose con tono pratico, «è uccidere un innocente che cambia il colore dei vostri occhi». Lo fissò con più attenzione. «L’ultima morte che vuoi farmi vedere è proprio quella che ti ha portato questo cambiamento?»

Derek deglutì con forza e annuì. «Avevo quindici anni. È stato un atto di pietà, perché… non c’era più nulla fare e questa persona stava soffrendo troppo» riassunse in breve, giusto per prepararla a ciò che avrebbe visto.

Lydia sospirò e il suo sguardo si ammorbidì diventando più triste. «Derek, ne abbiamo già parlato: non sei obbligato a condividere con me i momenti della tua vita in cui sei stato più vulnerabile».

Lui le porse la propria mano per invitarla a procedere pure. «Mi ha reso ciò che sono, ammetto che non ha tirato fuori le parti più belle di me, ma ora potrebbe aiutarmi a fare qualcosa di buono».

Lydia esitò ancora un po’, ma alla fine respirò a fondo, si mise più comoda rivolgendosi verso di lui – erano seduti sul divano – e con attenzione gli strinse la mano destra fra le sue, concentrandosi.

Dopo un paio di lunghi e densi minuti, Lydia riaprì gli occhi e scattò all’indietro tenendo le proprie mani stese in avanti e tremanti; era inespressiva, non batteva ciglio, ma delle lacrime cominciarono a rigarle il viso.

«Lydia?» la richiamò piano. «Va tutto bene, sei fuori dal ricordo» cercò di rassicurarla.

«No» mormorò lei monocorde, «non va tutto bene. Non va niente bene». Tremò più forte. «Eri perfino più giovane di Scott, eri un ragazzino… Che cos’ha questa città contro noi ragazzi?» chiese alzando di più la voce, un filo isterica e piangendo di più. «Perché questa città ci prende, ci trasforma in mostri e ci cambia per sempre? Perché ci fa questo? Perché ci uccide da giovani?» concluse con uno strillo.

Derek senza esitare la strattonò a sé per stringerla e permetterle di sfogarsi contro la sua spalla. Forse aveva avuto ragione quando aveva pensato che Lydia non stesse parlando con nessuno di quanto si sentisse persa, addolorata e sola, senza più un’amica che l’aiutasse e una confidente per le proprie incertezze, perché Lydia pianse a lungo singhiozzando forte in modo lacerante e dando pugni sullo schienale del divano.

Derek sapeva cosa voleva dire essere giovani e perdere di colpo chi ti indicasse la strada o che più semplicemente ti aiutasse ad illuminarla meglio. Sapeva com’era quando Beacon Hills ti toglieva tutto ma non potevi né volevi lasciarla per sempre.

«Un giorno» le promise quando la sentì cominciare a calmarsi, «prenderai tutto ciò che stai sentendo adesso e riuscirai a trarne qualcosa di buono. Niente è mai davvero perduto». Lei gli assentì debole e lui le accennò un sorriso dandole un’affettuosa carezza sulla spalla, poi si guardò intorno. «Posso… darti un… fazzoletto?» Quanto era desolante accorgersi di non avere nulla da offrirle per asciugarsi gli occhi?

Lydia lo guardò incredula e scosse la testa, si rivolse verso la propria borsa abbandonata ai piedi del divano e ne prese un pacchetto di fazzolettini di carta. «Sei peggio di Stiles» sentenziò soffiandosi rumorosamente il naso, «lui almeno mi dà della carta igienica in questi casi».

Derek scrollò le spalle. «Vediamola allora come un mio tentativo fallito di avere un po’ di classe» ironizzò.

Lydia rise isterica e lui l’imitò.

«Mi fido» sospirò lei appoggiando la testa sulla spalla di Derek, «un giorno riusciremo tutti a fare qualcosa di buono stando meglio».

Derek assentì e rivolse lo sguardo al soffitto. Non poteva davvero pensare che esistesse qualcosa che potesse essere persa per sempre.



La settimana successiva, Lydia venne al loft con alle calcagna una timida Kira.

Quando lui fissò Kira inarcando un sopracciglio per spronarla a parlare, lei si strinse al petto lo schedario che aveva con sé e si fece piccola nelle spalle.

«Tu sei stato il primo a identificarmi come una giovane kitsune, quindi in teoria conosci bene il mondo sovrannaturale… no?» gli chiese speranzosa. «Non sempre mi sento a mio agio a parlare con mamma di esseri diversi da lei e me, perché lei ha vissuto per oltre un millennio e certe volte quando mi racconta alcune storie sento troppo il peso dei suoi anni e di ciò che mi ha nascosto» si mordicchiò un labbro, «e altre volte lei si perde troppo nei dettagli e divaga… Ho scoperto che non sono umana e sto facendo amicizia con degli esseri diversi da me, voglio sapere cos’altro c’è» concluse, scaricando il proprio peso da un piede all’altro.

Lydia rivolse a Derek uno sguardo di sfida sottile, da "È un gattino bisognoso, se la cacci sei un uomo senza cuore e mi disgusti", quindi lui non poté fare altro che incrociare le braccia al petto emettendo un lungo sospiro rassegnato e dire a Kira «Certo, puoi leggere pure tutti i miei libri che vuoi».

La ragazzina gli risolve un sorriso raggiante e si fiondò subito al tavolo su cui erano impilati i volumi che in quei due mesi Derek aveva accumulato.

Lydia gli diede una pacca sul braccio, sarcastica. «Ti sei lasciato conquistare da lei e facendolo hai mostrato un’emozione» constatò, «sono fiera di te».

Lui roteò gli occhi. «Hai detto anche a qualcun altro dei libri che stiamo leggendo?»

Lei scrollò le spalle e andò ad accomodarsi sul divano cercando subito nella propria borsa il suo blocco per prendere appunti. «Tu l’hai detto a Scott e credo che lui l’abbia riferito a Stiles». Alzò lo sguardo su di lui e fissandolo impassibile fece cliccare un paio di volte una penna a molla. «Se ti può interessare penso che il coach Finstok ancora non lo sappia, ma non scommetterei su Greenberg».

Derek grugnì esasperato e decise che era il caso di tornare ai libri e non rifletterci sopra.

Kira era più piena di domande di Lydia, ma aveva pochissime richieste su argomenti specifici ed era una che imparava presto; era una ragazza quieta ed entusiasta, cosciente dei pericoli a cui potevano andare incontro, ma per sua fortuna ancora poco danneggiata – a differenza di lui e Lydia. Derek non poteva non capire perché mai sembrava quasi che Lydia stesse cercando di prenderla sotto la sua ala protettrice.

I giorni passavano quieti ma non troppo monotoni, anche se Beacon Hills sembrava dormiente in modo spaventoso – c’era troppa quiete, ma come quella che si può vivere sulla propria pelle quando si è all’interno della tana di un mostro in letargo – e Scott si divideva fra scuola, allenamenti con Derek e Kira e il lavoro da Deaton. Stiles, invece, si vedeva poco in giro: Derek l’aveva incrociato giusto un paio di volte mentre si erano ritrovati a fare la spesa nello stesso posto e quando Stiles aveva dato a Scott un passaggio con la jeep per andare alla riserva a un appuntamento con lui. Stiles sembrava essersi riappropriato dei propri anni nel viso e nel corpo – su di lui non c’era più alcuna traccia di uno spirito che aveva un millennio di esperienza in un gioco di cui solo lui conosceva le regole e poteva dettarle – ma ne aveva guadagnati almeno dieci in più nello sguardo.

Scott aveva ragione, Stiles era diventato meno frenetico e più che perdersi nei discorsi che faceva saltando come un grillo da un argomento all’altro, adesso sembrava perdersi spesso fra i propri pensieri restando fermo con la solenne e inquietante impassibilità di un rapace notturno. Derek, mentre lo guardava, certe volte pensava che avrebbe preferito vederlo col petto coperto di cicatrici che saperlo col proprio spirito così lacerato.

Lydia parlava poco della propria famiglia, Derek sapeva solo che i suoi erano discretamente ricchi e che sua madre aveva deciso di riprendere a insegnare più che altro per passione, e che suo padre era un uomo con parecchi "contatti" per il mondo. Sapendo anche quanto Lydia fosse appassionata di latino arcaico e greco antico, Derek non si sorprese più di tanto quando un giorno la ragazza si presentò al loft con sotto al braccio un paio di copie di antichi libri scritti in latino arcaico, dei titoli che l’autore di alcuni volumi che avevano letto aveva consigliato di consultare nelle note a piè di pagina.

«Ho chiesto a mio padre se poteva chiedere a un suo contatto se riusciva a procurarmene delle copie» gli spiegò mentre gli mostrava le copertine; lui la fissò inarcando un sopracciglio, sorpreso quanto scettico e perplesso. «Lui sa quanto mi annoi il latino normale e che prediligo letture particolari, e gli piace accontentarmi» si giustificò con aria regale. Derek preferì non indagare oltre.

La vecchia biblioteca degli Hale contava più di cento libri, che Derek ricordasse, e Talia li aveva tenuti tutti nel proprio studio personale fino alla fine; lui era riuscito a ricordare solo quasi cinquanta titoli, e perlopiù non tutti per intero, e di questi quando era un ragazzino ne aveva già letti soltanto una decina. Lydia però, in base agli argomenti di cui avevano già letto e alle bibliografie spesso citate nelle ricerche degli autori, aveva fatto una discreta lista di che altri titoli negli anni avevano potuto interessare agli Hale, e sommando a ciò i libri che suo padre le stava procurando stavano accumulando davvero una discreta nuova biblioteca per il branco.

Un giorno Lydia bussò alla sua porta eccitata e con gli occhi brillanti. «Penso di aver trovato una cosa che ti farà parecchio piacere!» gli disse entrando dentro al loft senza troppe cerimonie.

La guardò perplesso. «Devo supporre che si tratti del modo per assicurarsi che la prossima volta che Peter morirà sarà per sempre

Lei agitò le mani. «No! Niente Peter! Un contatto di mio padre ha chiesto a un suo amico se poteva farmi parlare con un collezionista che conosceva, perché avrei voluto consultare un libro che mi interessava – e che sapevo che lui possedeva – o quantomeno farmene avere una copia trascritta» gli spiegò entusiasta. «Quando il tizio ha saputo che ero di Beacon Hills, mi ha chiamata personalmente per domandarmi se per caso le radici della mia famiglia si incrociassero con quelle degli Hale, dato che ero proprio interessata a quel libro».

«E tu che gli hai risposto?» incalzò sospettoso.

«La verità, che non siamo parenti» scrollò le spalle, «ma che ero però interessata a trovare tutti i libri che Talia Hale una volta possedeva, per un mio semplice piacere personale e di ricerca, e che questo libro era citato spesso dagli autori che avevo già letto».

«Ti ha creduta?»

Lydia gli rispose con gli occhi lucidi. «Ha detto che gli è arrivata notizia che a Beacon Hills si sta riformando un branco, e che se per caso dietro al mio lavoro c’era uno dei figli di Talia Hale gli avrebbe fatto piacere restituirgli un libro che lei gli aveva prestato prima dell’incendio».

Derek sentì il respiro bloccarsi in gola e si appoggiò di schiena al tavolo indietreggiando alla cieca. Era senza parole.

«Dice che l’ha custodito gelosamente perché sapeva che poteva essere uno dei pochi possedimenti di Talia a non essere stato bruciato, e che ci sono all’interno delle note scritte a mano da lei, quindi gli sembra giusto ridarlo a te e Cora».

Derek si passò le mani sul volto, ancora attonito. «Io… non so che dire».

Lydia sorrise con gli occhi lucidi. «Non fa niente! Ehi, rivedrai la grafia di tua madre, è una bella cosa, no?»

«Sì» esalò con un filo di voce.

Lydia continuò a sorridere e l’abbracciò quasi tuffandosi contro il suo petto. «È una bella cosa» ripeté con la voce velata di pianto. «Succedono ancora cose belle a Beacon Hills. Avevi ragione, niente è mai davvero perduto per sempre. Può succederci ancora qualcosa di buono».

Derek ricambiò la sua stretta – Lydia era così piccola fra le sue braccia – e provando a ricacciare indietro le lacrime di commozione le diede un bacio sulla testa.

Quando qualche giorno dopo il pacco con il libro venne consegnato a casa Martin, Lydia corse subito da lui al loft per aprirlo. Derek sfiorò con le dita la vecchia copertina di pelle marrone con stampe in oro mentre Lydia gli teneva una mano sul braccio.

Seduti sul divano, andarono subito alla ricerca delle note che Talia aveva messo fra le pagine: Derek provò una fitta di tenerezza e malinconia dolceamara al cuore, perché erano tutte scritte su foglietti strappati male da block notes a quadri fatti di carta riciclata, e su tutti c’era la data in cui erano state scritte – era così tipico di sua madre una cosa simile.

Derek sbuffò un sorriso quando vide che in mezzo al libro erano finiti anche gli appunti per una ricetta di un arrosto speciale, ma il cuore gli saltò un battito quando notò un biglietto piegato in due con la dicitura "Per Derek".

Esitò dall’aprirlo, ma Lydia gli strinse affettuosamente un braccio e gli annuì invitandolo a proseguire pure, ritraendosi un po’ da lui per farlo leggere da solo. Derek aprì il biglietto e per prima cosa lesse la data.

«L’ha scritto qualche settimana dopo la morte di Paige» mormorò sorpreso; continuò a leggere e rise con gli occhi lucidi scuotendo la testa. «Si è appuntata cosa scrivermi nel biglietto di auguri per i miei diciotto anni con tre anni di anticipo!»

«Beh» sospirò Lydia sorridendo, «anche se con un po’ di ritardo è arrivata lo stesso a farti gli auguri».

Derek annuì. «Perché in fondo le cose belle possono succedere ancora».

«Già» esalò Lydia.

Talia si era appuntata quelle che forse erano più che altro frasi di un discorso più ampio che avrebbe voluto scrivergli per i suoi diciotto anni. Derek lesse il biglietto accarezzando con i pollici gli angoli.

«Puoi scrivere queste parole a Cora» propose Lydia, «lei non ha ancora compiuto diciotto anni, vero?»

«Sì, è una buona idea» sospirò Derek, prendendo dal tavolo uno dei block notes di Lydia e una penna, «anche se ho in mente pure qualcos’altro». Iniziò a ricopiare il biglietto sul blocco, poi staccò il foglio, lo piegò in due e lo porse a Lydia. «La settimana prossima compi diciotto anni, no?»

«Derek…» provò a protestare, sorpresa.

«Le scriverò anche a Cora, ma non è detto che non ne abbia bisogno anche tu» insisté, avvicinando di più la mano a lei.

Lydia sospirò scuotendo la testa e accettò l’offerta, dispiegò il biglietto e lesse.

L’amore non è fedeltà, ma lealtà.
L’amore non è possessione, ma appartenenza.
Quando sentirai di appartenere a qualcuno come puoi appartenere solo a una terra, sarai innamorato di nuovo, e amerai e odierai questa persona proprio come puoi solo amare e odiare una terra, per tutto ciò che ti dà, per tutto ciò che ti nega, per tutto ciò che ti toglie, per tutto ciò che ti ha reso quello che sei adesso e per tutto ciò che ora puoi essere grazie a lei.
L’odierai perché starai amando di nuovo.


Lydia alzò lo sguardo dal foglio tenendo le labbra strette e con le lacrime che le bagnavano il volto. «Grazie» gli sussurrò. Le annuì appena non sapendo cos’altro dirle, lei appoggiò la fronte contro la sua spalla. «Ci accadranno altre cose buone prima o poi, Derek» continuò a mormorare, «vedrai che prima o poi ci succederà».



Dal numero di volte che Lydia veniva al loft, Derek aveva cominciato a sospettare che la ragazza stesse uscendo con i propri coetanei sempre meno, e chiacchierando con Scott ne aveva avuto conferma.

Lydia al massimo trascorreva qualche serata fra ragazze a casa di Kira – le stava pure insegnando a farsi da sola un sacco di tipi di trecce – ma per il resto sembrava solo concentrata sulle loro ricerche e sui propri studi.

Scott gli aveva raccontato che Lydia nel periodo compreso fra Jackson e Aiden aveva avuto parecchie storie di una notte l’una dopo l’altra senza porsi tanti problemi, ma Derek in tutta onestà non se la sentiva di mettere becco nel perché mai adesso Lydia non cercasse subito un’altra storia dopo Aiden – non è che rispetto a lei avesse alle spalle una vita sentimentale più fortuna e con più ex ancora vivi o non trasformati in qualcos’altro. Quello che gli dava da pensare era più che altro il modo in cui Lydia si isolava dal resto della vita sociale che non apparteneva al branco.

«In passato ho avuto già tutte le distrazioni che volevo» gli rispose una sera che lui portò a galla la questione mentre lei sottolineava un libro di fisica, «e i risultati sono stati pessimi. Necessito di affrontare quello che non va: niente distrazioni, ho bisogno di focalizzarmi su ciò che mi è utile o potrebbe aiutarmi». Gli aveva parlato decisa e senza alzare lo sguardo dalla pagina che stava leggendo, ma Derek aveva sentito su ogni sua parola il peso di un sottile senso di colpa – ormai riusciva a capire bene quando lei si riferiva ai propri fallimenti nell’usare i propri poteri per aiutare e proteggere sia Stiles che Allison, ma d’altra parte per lui era facile notarlo dato che aveva dalla sua dell’esperienza personale simile.

Era riuscito solo a racimolare qualche parola utile per darle un consiglio. «Cerca però di non trasformare mai la rabbia in vocazione: di solito quando succede si finisce per dedicarsi a qualcosa di altamente distruttivo». Lei aveva ponderato la sua osservazione per qualche secondo e poi gli aveva assentito in modo secco senza guardarlo.

Per i diciotto anni di Stiles, Lydia regalò al ragazzo una lunga stretta di mano senza alcun effetto collaterale. Scott il giorno dopo raccontò a Derek che, per tutta la durata della serata che loro ragazzi aveva passato insieme, Lydia aveva tenuto sempre un paio di dita intrecciate a quelle di Stiles.

Solo in quel momento Derek notò come Lydia quasi per caso cercasse sempre di posargli una mano sulla sua o sul braccio: probabilmente per lei non era soltanto un bisogno di contatto, era anche stanca di non poter avere il contatto sperato.

A esclusione di qualche piccola intrusione nella riserva da parte di creature un po’ pericolose ma non letali – o quantomeno prive di manie di onnipotenza e distruzione – Beacon Hills "dormiva" ancora e lo sceriffo si professava soddisfatto dell’abbassamento del tasso di mortalità nella cittadina negli ultimi mesi. Era un uomo di poche e semplici pretese, lo sceriffo.

Una sera Lydia si sedette sul divano accanto a Derek, facendosi piccola e incrociando le gambe. Derek intuì subito che volesse chiedergli qualcosa. Aveva ragione.

«Stiles può venire qui con me e Kira per i libri?» gli domandò.

Restò sorpreso. «Perché mi stai chiedendo il permesso di portarlo con voi?»

Lydia inarcò un sopracciglio, sarcastica. «Forse perché è l’unico di noi quattro con cui non parli se non è strettamente necessario?»

«Non lo sto evitando» obiettò sincero.

«Lo so, ma non fai niente neanche per parlare con lui, e sto cercando di capire perché» sbottò.

Derek sapeva che era imbarazzante e patetico ammetterlo, ma non aveva altra scelta. «Non so cosa dirgli». Lydia gli rivolse un’occhiata scettica e sarcastica. «So cos’ha passato e ho una certa esperienza con i sensi di colpa e l’essere manipolati, e non… e non…» Non trovava le parole adatte.

Lydia ostentò finta perplessità. «Hai idea di con chi stai parlando?»

«Lydia…»

«Sono la regina delle donne usate e manipolate, e non farmi cominciare a discutere a proposito dei sensi di colpa, quindi perché con me riesci a parlare e con lui no? Sentiamo questa scusa!»

Derek rifletté qualche secondo, prima di risponderle. «Tu hai fatto il primo passo verso di me».

«Quindi è una questione di palle

Derek roteò gli occhi. «No, di fiducia. Forse…» si passò le mano sul volto, «forse ho bisogno di sapere che lui si fida abbastanza di me da avvicinarsi alla mia persona: la gente intorno a me tende sempre a farsi male o a morire, e in questo momento è facilissimo ferirlo anche senza volerlo, e io non sono bravo con le parole, né tantomeno sono in genere delicato…»

Lydia gli parlò accondiscendente. «Se tu avessi provato a parlargli prima, adesso sapresti già che dopo la nogitsune Stiles non è diventato più fragile, ma più duro: non penso proprio che tu corra il rischio di ferirlo accidentalmente con i tuoi modi simili a quelli di elefante impedito» concluse con delle piccole pacche sul suo braccio. Gli rivolse un’occhiataccia che però non la scalfì affatto. «Fidati» lo rassicurò sarcastica, «e comunque peccate entrambi di modi appropriati di fare».

Il giorno dopo, Stiles venne al loft con Lydia e Kira. L’ultima volta che ci aveva messo piede era stato da posseduto. Lui e Derek non si scambiarono molte parole tranne qualche convenevole, Stiles si limitò a sedersi accanto a Lydia e a provare a cercare su internet i possessori o collezionisti che potessero avere dei libri che interessavano a loro.

La situazione si sciolse un po’ durante l’incontro successivo, quando durante una serie di domande che Kira rivolse a Derek, Stiles s’intromise con una rimarcazione sarcastica per poi inserirsi nella loro conversazione; alle loro spalle, Lydia sorrise scuotendo la testa e riprendendo a sottolineare un libro sulla termodinamica.

Alla fine di quella giornata, Stiles si trattenne al loft lasciando che le ragazze lo precedessero alla jeep; si rivolse a Derek giocherellando a scrocchiare le nocche delle mani in maniera distratta. «Grazie per avermi permesso di venire qui».

Derek aggrottò la fronte. «Stiles, non c’era neanche bisogno che tu me lo chiedessi».

Lui esitò appena dal proseguire a parlare e gesticolò nervoso. «Amico, dopo quello che mi è successo ho bisogno di sapere se posso stare negli spazi altrui, se non sono disturbante. E necessito di segnali chiari, ok?»

Derek realizzò di colpo il perché di tutte le pressioni di Lydia sull’argomento e si maledisse mentalmente. «Non c’è alcun problema, puoi venire qui quando vuoi».

Stiles annuì ciondolando la testa più volte. «Ok. Grazie». Si scambiarono una serie di sguardi densi d’impaccio più che intesa e alla fine Stiles indietreggiò accennandogli un saluto con la mano e uscì dal loft. "Beh" pensò Derek, "avrebbe potuto anche essere più imbarazzante di così".

Non per questo Lydia smise di stuzzicarlo, anzi, cambiò solo argomento, e successe una settimana dopo.

«Ti ho sentito discutere» esordì quando lo vide scendere le scale del loft dopo aver terminato una chiamata con Cora. «C’è qualche problema?»

«Cora insiste a convincermi a cambiare appartamento» borbottò Derek; Lydia assentì con un leggero mormorio di assenso, lui proseguì a parlare. «Dice che non vuole che suo fratello diventi lo scemo del paese che i ragazzi di solito usano per avere un posto per fare festa». I gemelli con quel rave l’avevano rovinato.

Lydia intrecciò le dita delle mani in grembo ostentando un’aria pensosa. «Non credo di poter trovare un punto debole dietro questa motivazione».

«Questa è ormai la mia casa!» le ribatté convinto puntando un dito verso il pavimento.

«Hai ragione» gli assentì fingendosi accondiscendente, «è così confortevole, sa proprio di focolare domestico, oltre che di Gotham City».

Derek inarcò un sopracciglio, sorpreso dalla citazione.

Lydia agitò una mano come a minimizzare. «Stiles mi ha costretta a subire tutta la filmografia di Batman, perché si è rifiutato di vedere insieme a me Le pagine della nostra vita». Si fermò e gli rivolse uno sguardo incerto. «A te andrebbe di guardare con me Le pagine della nostra vita

Derek la fissò impassibile.

Lei agitò di nuovo la mano. «Come non detto. A parte questo, devo dire che indubbiamente anche tu hai ragione nel considerare questo loft una vera casa: è un luogo così pieno di bei ricordi» commentò assentendo vaga. «E non solo tuoi, questo è un posto pieno di bei ricordi appartenenti a tutti noi, me compresa» si portò una mano al petto indicandosi. «Pensa che sono stata assalita ben tre volte qui dentro: da Kali, dal darach e dagli Oni». Gli assentì fingendo di perdersi nei ricordi. «Dei momenti assolutamente fantastici che mi hanno segnata; quello con Kali tra l’altro ha segnato anche il mio stile, perché adesso prima di comprare un paio di scarpe mi chiedo "Kali le indosserebbe? Sarebbe disposta a tagliarsi le unghie dei piedi pur di mettersi delle scarpe simili?"» Derek roteò gli occhi.

«Dico sul serio» continuò Lydia sarcastica, «capisco le tue obiezioni, e sarai anche senza dubbio affezionato al buco che c’è nel muro» indicò il suddetto buco alle proprie spalle, «non capisco proprio come si possa dormire in una casa senza buchi!» Derek inarcò un sopracciglio. «Anche se forse, se sceglierai un nuovo appartamento, potresti avere il piacere di farne uno tu di buco alla parete. Giusto per non provare poi nostalgia». Derek inarcò anche l’altro sopracciglio. «Se pensi che sfondare i muri sia una cosa terapeutica, potrei aiutarti a farlo» considerò schioccando la lingua, Derek incrociò le braccia sul petto.

«Dio» sbottò Lydia alzandosi dal divano, «ho appena sostenuto un’intera conversazione con le tue sopracciglia: ho bisogno di una pausa».

Due settimane dopo, Derek terminò il trasloco nel suo nuovo appartamento, che a detta di Lydia era un posto "decente e modesto, con un numero di stanze a norma umana".

Stiles e Kira per festeggiare gli regalarono una tartarughina dentro una vaschetta a dir poco eccentrica. I due ragazzi, entusiasti, gli annunciarono di aver chiamato la povera bestiola "Stira", un misto dei loro nomi. Derek e Lydia rivolsero loro un’occhiata impassibile all’unisono.

Un caldo pomeriggio di inizio giugno, mentre lui stava sistemando la spesa e Stiles era seduto sul divano con il portatile in grembo, Lydia li informò dei propri progetti.

«Ho intenzione di frequentare un corso di autodifesa» annunciò loro, rimettendo a posto nella libreria dei grossi tomi che aveva finito di consultare.

Derek la fissò un po’ perplesso. «Io e Scott potremmo darti una mano» le suggerì, «non c’è bisogno che tu ti rivolga ad altri».

«Beh» schioccò la lingua, «infatti speravo anche che tu e Scott poteste aiutarmi aggiungendo al corso di autodifesa dei consigli, del tipo su come depistare un licantropo che mi insegue o su come migliorare la mia fuga da una creatura sovrannaturale pazzoide a scelta».

Alle spalle di lei, lui e Stiles si scambiarono degli sguardi sorpresi ma non del tutto scettici.

Derek la guardò serio appoggiandosi di spalle allo stipite della porta della cucina. «Come mai hai avuto questa idea?»

«Credo che ormai sia comprovato che io non possa difendermi fisicamente da una creatura sovrannaturale» gli rispose senza alcuna traccia di amarezza, era solo risoluta, «da sola contro un alpha, per esempio, non ho alcuna possibilità, quindi… necessito di un po’ d’ingegno e conoscenza, e a questo mi sono serviti tutti i libri che finora ho letto: mi sento più preparata, adesso, ma ciò non toglie che comunque tutte le informazioni che ho mi servono soltanto per rallentare la corsa del mio probabile assalitore e per provocare danni non gravi». Sospirò voltandosi a guardare Derek e continuò a parlare.

«Non voglio diventare più forte, mi piaccio così» specificò Lydia, «e non voglio degli allenamenti intensivi perché non sono una cacciatrice: sono una banshee» scandì bene e con cura, fissandolo dritto negli occhi.

Derek assentì accennando un sorriso fiero. «Sei una banshee» ripeté.

«Quindi non voglio diventare più forte, voglio diventare più affidabile, voglio sapere come aiutarvi quando è il caso, voglio sapervi sostenere come banshee, perché questo è ciò che sono e solo io posso avere totale controllo dei miei poteri: non permetterò mai più a nessun altro di manipolarmi o rapirmi per usarmi, sono una banshee e mi comporterò come tale fino in fondo. Questo è ciò che sono, e lo sto decidendo io di esserlo, nessun altro potrà mai più costringermi a esserlo per suo gradimento personale».

Stiles interruppe prontamente il suo momento di gloria. «Non dire a mio padre dei corsi che vuoi fare o costringerà anche a me a intraprenderli per sopperire alla mia mancanza di soprannaturalità nel gruppo».

Lei gli rivolse una smorfia. «Non ti farebbe di certo male».

Stiles arricciò il naso. «Sapevo che l’avresti detto».

Derek sorrise scuotendo la testa e interruppe il loro battibecco. «C’è qualcosa in particolare che vorresti che io e Scott ti insegnassimo a fare, oltre a quello che hai elencato?»

Lydia si voltò a guardarlo e ci rifletté sopra. «Penso saltare da discrete altezze». Derek inarcò un sopracciglio, un po’ stupito dalla richiesta, lei incalzò sicura delle proprio motivazioni. «E se avessi bisogno di saltare da una finestra? Ho bisogno di sapere almeno come fare per atterrare attutendo i danni».

«Per prima cosa» s’intromise Stiles, «io al posto tuo comincerei togliendomi le scarpe» e indicò con una penna le tacco dodici che lei indossava.

Lydia sbuffò stizzita e si tolse le scarpe, le agitò verso Derek come per mettere bene in mostra e con sarcasmo che non fossero più ai suoi piedi.

Derek sospirò stanco. «Posso suggerirti però di prendere in considerazione l’ipotesi di indossare solo scarpe basse quando sei con noi?»

Lei tirò su col naso. «Non posso promettere nulla».

Alle sue spalle Stiles roteò gli occhi e fece una smorfia; Lydia vide Derek trattenere una risata, intuì e si voltò verso Stiles lanciandogli una scarpa addosso.

«Non si picchia l’umano!» si lamentò Stiles.

Derek tornò in cucina per riprendere a sistemare la spesa. Assistere a siparietti simili era ormai diventata routine, del resto.



«Ho finito il mio progetto e ormai ho deciso, Cora, resterò a Beacon Hills» mormorò convinto; dall’altro capo della linea sentì sua sorella sbuffare.

«Sapevo che sarebbe finita così» si lamentò lei.

Derek accennò un sorriso. «Appartengo a questa città e lei appartiene a me. Questa è la mia terra. Forse un giorno mi capirai».

«Spero almeno che tu capisca bene te stesso e che non ti stia negando niente, Derek» sospirò stanca.

«Stai tranquilla» la rassicurò affacciandosi sulla soglia del soggiorno: Lydia e Stiles si erano appisolati l’uno sull’altra sul divano; Scott era sul pavimento ai loro piedi e stava usando come cuscino il sedere di Stiles che sporgeva, dormendo a bocca aperta, mentre Kira dormiva raggomitolata su un fianco e con il capo sulle gambe di Scott. «Qui possono ancora succedere cose belle, sto solo cercando di non farmele scappare».





Nota finale: questo è l’altro fantastico lavoro di Lori, dedicato al nuovo potere di Lydia e come Derek l’aiuta a controllarlo :)
   
 
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