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Autore: Jo Lupo    24/10/2014    3 recensioni
"- Tutti gli svitati capitano a me. O sono svitati o troie che vogliono farfalline.
JD entrò nell’appartamento sfogandosi a gran voce. Buttò la giacca di pelle sul divano e si slacciò le scarpe da tennis. Una birra fresca era proprio quello che ci voleva. Quasi gli venne un infarto quando dal bancone della cucina emersero contemporaneamente una testa bionda e un’imprecazione."
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Storia di un tatuaggio
A Veronica, per il suo compleanno.
Tantissimi auguri e grazie ancora per avermi chiamata a giocare con voi!


Storia di un tatuaggio






Preambolo: fissare l’appuntamento.

Quel giorno JD aveva dato la mattina libera a Darla, ufficialmente per permetterle di riprendersi dalla serata precedente.
In realtà, Darla non aveva alcun bisogno di riposo: era abituata a lavorare con il dopo-sbronza. Il problema era che per tenersi sveglia parlava in continuazione, oppure metteva il volume della radio a livelli improponibili. Entrambe le attività erano decisamente incompatibili con il bisogno di silenzio di JD. Quindi, la verità era che JD aveva bisogno di una mattina libera per smaltire il dopo-sbronza.
Non che ci fosse stato bisogno di essere in due: alle 11 ancora non si era visto nessuno e il primo appuntamento era previsto nel pomeriggio.
JD era nel retro a mettere in ordine la contabilità (il che consisteva nel dividere le cartacce accumulate in due mucchi: “robaccia da buttare” e “robaccia da portare al contabile dei Coyote”) quando si accorse che qualcuno era entrato. Si affacciò al bancone proprio mentre una ragazza stava per uscire. Aveva lasciato la macchina davanti al negozio, con il motore acceso.
- Ehi, non ti conviene lasciare la macchina accesa e incustodita da queste parti.
La ragazza si fermò sulla porta e si girò per fissarlo dritto negli occhi. Aveva un che di strano nello sguardo. JD pensò che fosse fatta, ma c’era sicuramente dell’altro. Stanco. Aveva lo sguardo stanco.
- Sei tu JD?
- Suppongo che me ne pentirò, ma sì, sono io.
- Sei così bravo come dicono?
Era rimasta sulla porta, come se stare a metà tra il negozio e il marciapiede le avrebbe permesso di impedire che il primo teppistello di passaggio saltasse a bordo della sua auto per farsi un giro.
- Dipende da cosa dicono. E da cosa ti serve.
- Avrei un lavoro piuttosto impegnativo: ti servirà del tempo.
- Beh, vedi, non saprei. Non hai notato la fila che c’è davanti alla porta? Al momento sono pieno di gente che mi chiede cose impegnative e costose… scherzi a parte, non chiedermi una di quelle stronzate in stile biomeccanico e siamo a posto. Puoi passare domani pomeriggio per spiegarmi cosa vorresti, così mentre sei qui butto giù qualcosa.
- OK, allora, ma ti avviso: lui è molto esigente e credo che deciderà se farsi tatuare da te solo dopo averti fatto sgobbare un bel po’ con le bozze, non so se mi spiego. Se non ti va bene, puoi anche dirmelo subito.


- Tutti gli svitati capitano a me. O sono svitati o troie che vogliono farfalline.
JD entrò nell’appartamento sfogandosi a gran voce. Buttò la giacca di pelle sul divano e si slacciò le scarpe da tennis. Una birra fresca era proprio quello che ci voleva. Quasi gli venne un infarto quando dal bancone della cucina emersero contemporaneamente una testa bionda e un’imprecazione.
- E che cazzo, JD! Perché non si trovano mai dei piatti puliti a casa tua? Dove tieni i piatti da portata? E perché stai sempre a lamentarti dei clienti? Quello che per te è svitato, in realtà potrebbe essere curioso e stravagante… in senso buono!
Honey stava svuotando i mobili della cucina. In un angolo del bancone una busta di plastica dall’aspetto parecchio familiare correva il serio rischio di cadere, riversando a terra la cena in un tripudio di soia e maiale in agrodolce.
- Se hai preso il cinese, a cosa ci serve un piatto da portata? E perché poi dovrei avercelo, un piatto da portata, scusa?
Honey sbuffò, incrociò le braccia sul petto e mise il broncio. JD conosceva bene quell’espressione: le cose non erano andate come voleva lei e ora si sentiva frustrata.
- Sono proprio una scema!
- Hey! Ẻ la mia morosa quella che stai offendendo, vacci piano! Sciocchina, al massimo, ma non scema.
JD si avvicinò per abbracciarla, sperando di evitare la crisi con una battuta e qualche bacio sul collo. Preso la cena, i clienti e i vestiti sarebbero stati un pensiero lontano, accantonato nell’angolo più remoto del suo cervello e della sua camera… Honey scrociò le braccia da petto, si lasciò abbracciare, ma continuò con il tono lamentoso:
- Per una volta volevo accoglierti in casa con la cena pronta in tavola. Sarebbe stato carino farmi trovare in cucina con la tavola apparecchiata e il cibo messo in dei piatti veri. Tipo come fa la gente, capito?
JD cercò in tutti i modi di soffocare una risatina: non voleva che Honey si sentisse presa in giro, ma era troppo buffa quando si metteva in testa quelle stronzate in stile mogliettina anni ’50.
- Io credo che la gente raramente abbia in casa dei piatti da portata. Credo che li vendano con il maggiordomo.
- Ma smettila! Noi li abbiamo, a casa dei miei!
- E non c’è stato forse un periodo in cui tua madre ha avuto un domestico?
- Ma che c’entra! Era solo per aiutarla in casa quando io ero appena nata!
- Sarà, intanto la mia tesi viene confermata…
- Scemo!
Honey stava per mettersi a ridere. Finalmente. Se JD fosse stato abbastanza attento a non ferire i suoi sentimenti in qualche modo nei prossimi minuti, sarebbe potuto considerarsi fuori dalla zona di pericolo.
- Allora, raccontami chi è lo svitato di turno, che io intanto metto la cena su un piatto e ti porto una birra.
- Brava, così si fa! Donna! Come mai non ho ancora avuto la mia dannatissima birra?
- Continua così e ti arriva in testa, la tua birra.
Qualche ora dopo aver cenato, erano stesi sul letto, abbracciati. Honey stava facendo girovagare l’indice sul petto di JD, giocando con i suoi tatuaggi. A JD iniziava a far parecchio solletico, ma non voleva che lei smettesse.
- E se fosse un pappone?
- Che?
- Il cliente misterioso. Se fosse un pappone? Del resto, ha mandato una ragazza mezza fatta, che probabilmente era a fine turno. Magari è ancora in carcere!  Forse vuole un ricordo del primo arresto!
- A volte la tua fantasia non ha limiti. O magari è solo il solito sfigato che manda la ragazza a fissargli gli appuntamenti perché è troppo occupato a far pesi in palestra. Comunque, lo scopriremo domani. Mi piacerebbe che fosse un tizio con una storia, qualcosa da raccontare. Un folle in senso buono, come credi tu. Ma quelle persone non esistono nella vita vera. Spero solo che non chiacchieri troppo mentre lavoro e che il tatuaggio che dovrò fargli non mi faccia troppo schifo. E che non faccia storie a pagare, ovviamente. Ora però devi scusarmi, ma non ho più l’età per esagerare come ho fatto ieri sera.
Detto questo spense la luce, si girò su un fianco per poterla abbracciare e tempo trenta secondi stava già russando. Honey sbuffò, si raggomitolò con la schiena contro di lui, ma il sonno non voleva saperne di arrivare. Si addormentò una ventina di minuti dopo, fantasticando sulle possibili identità del misterioso cliente. Sarebbe stato divertente se per una volta JD si fosse sbagliato.


Il primo incontro: l’indecisione.

JD era nel suo studio a disegnare. Era così concentrato che non si era reso conto del tempo che era trascorso. Un colpo attutito e un’imprecazione lo fecero trasalire. Un uomo in carrozzina a rotelle aveva appena sbattuto contro lo stipite della porta.
- Dannazione! Fottuta sedia del cazzo. Ehi amico, spero di non averti scheggiato il legno. Facciamo così: quando me ne sarò andato fa una lista dei danni e passerà Carol con un assegno.
- E tu saresti?
- Il tuo appuntamento delle 11. Non dirmi che Carol non è passata, perché a me ha detto di averlo fatto.
- Ah! Sì, sì… è passata ieri. Scusami, non ho sentito la mia assistente avvisarmi
- Non l’hai sentita perché era fuori a fumare. Mi ha detto che sarei potuto entrare anche da solo, che le gambe me le avevano fatte. - Un ghigno divertito si allargò sul suo volto. - Poi si è girata ed è sbiancata. Faccio questo effetto, alle donne. E agli uomini. Per non parlare dei bambini.
JD dovette ammettere tra sé e sé che forse si era sbagliato, almeno in parte. Questo tizio aveva senso dell’umorismo. Certo, un po’ truce, ma sempre meglio della media dei decerebrati che vedeva solitamente. Pensava che l’ironia presupponesse una certa intelligenza.
- Ti ci vorrebbe un cane, allora. I cani non si sconvolgono di niente. A parte i tuoni. Darla non riesce a tenere la bocca chiusa… - in tutti i sensi, direbbe Honey. Il pensiero che aveva terminato la frase lo fece sorridere. - Magari questa volta ha imparato la lezione.
- Oh, speriamo di no! Una ragazza così ha tutti i diritti di stare a bocca aperta come e quando vuole, non so se mi spiego. Comunque, io sono Ian.
- Piacere, Ian. Accomodati
JD si alzò dal tavolino e spostò lo sgabello solitamente riservato ai clienti.
- Avevi già pensato a qualcosa?
- Come vedi sono costretto a portarmi dietro questi due pezzi di carne inutili. Ho pensato varie volte che potrei farmele tagliare di netto. Mi sentirei più leggero, credo. Ma non trovo un medico disposto a farlo. Non uno che mi opererebbe in una sala sterile, se non altro.
Un altro ghigno gli attraversò il viso. JD ebbe l’impressione sorridesse a quella maniera da psicopatico come se fosse una sorta di difesa contro il mondo. Come se sorridere lo riparasse da domande indiscrete e sguardi pietosi.
- Comunque, ci ho pensato parecchio e la scorsa settimana ho avuto un’illuminazione, se vogliamo. Quello che io vedo come pezzi di carne morta, potrebbe essere visto come qualcos’altro. Tempo fa avevo letto un’intervista, in cui un tatuatore sosteneva che per lui la pelle era come una tela. Là dove gli altri vedevano epidermide e peli, lui vedeva uno spazio bianco pronto per essere arricchito.
- Beh, in un certo senso anche io la vedo così
- Lo spero, perché l’intervistato era tuo nonno.
JD rimase a bocca aperta per un paio di secondi
- Non esiste. Scusami ma non esiste proprio che Wile abbia rilasciato un intervista. Tu non lo conosci. Devi averlo confuso con qualcun altro.
- Non credo, comunque, per farla breve: ti interessano le mie gambe? Perché vorrei che tu le trasformassi nella tua tela. Dalla punta degli alluci allo stacco della coscia. Ogni millimetro che sarà possibile coprire. Sono stufo di guardare due pezzi di carne morta: voglio due opere d’arte.


JD aveva passato più di un’ora in compagnia di Ian, abbozzando vari disegni. Era parecchio esigente, ma anche molto indeciso. Una combinazione letale che aveva come conseguenza un cestino pieno di fogli appallottolati e un gran mal di testa. Praticamente, il ragazzo era venuto da lui senza sapere cosa voleva e quella era la situazione peggiore, perché c’era la certezza matematica che uscisse dal suo studio con qualcosa che non gli piaceva, o che lo avrebbe stufato molto presto. JD lo aveva mandato a casa con un compito: pensare a una cosa che gli piacesse. Non doveva trovare ciò che aveva dato significato alla sua vita fino a quel momento, semplicemente trovare una cosa che gli era sempre piaciuta. Da ragazzino andava matto per le vacanze al mare? Bene. Magari si sarebbe reso conto che il mare aveva sempre avuto una forza attrattiva nei suoi confronti e JD avrebbe trovato un tema da cui partire per le bozze. JD sperava che il giorno seguente sarebbe tornato con le idee più chiare. Anzi, ne sarebbe bastata una, di idea.
In realtà, c’era qualcosa che turbava JD molto più dell’indecisione di Ian. Probabilmente la vera causa del suo mal di testa: l’intervista di Wile. Era una cazzata, lo sapeva. Eppure, un sottile sospetto si era insinuato nella sua testa: se fosse stato veramente lui a rilasciare l’intervista? Quando l’avrebbe fatto? Perché? Fondamentalmente, il fatto di rispondere a due domande per un giornale non era una gran cosa, solo che il Wile che lui aveva conosciuto non avrebbe mai fatto una cosa del genere. A fargli scoppiare la testa era proprio il pensiero di non averlo conosciuto fino in fondo.
Non si rese conto della direzione che aveva preso, fino a quando non si ritrovò a varcare la soglia del Coyote Club.
Trovò Halona al bancone, intenta a spillare birre mentre l’ennesima barista in lacrime stava uscendo per l’ultima volta dal locale.
- Hai tempo per fare due chiacchere? Dovrei chiederti una cosa
- No, non ce l’avrei, il tempo. Ma sai che faccio? SHIRIIIIIIIIKIIIIII! MUOVI IL CULO E VIENI QUI!
Si era girata di scatto e aveva urlato così forte che un omaccione grande e grosso al bancone, che stava aspettando la sua birra, aveva cercato di farsi piccolo piccolo, rintanando la testa in mezzo alle spalle.
Halona non aspettò neanche che Shiriki la sostituisse. Si girò verso JD appoggiandosi al bancone e disse:
- Grazie per questa pausa, ne avevo bisogno. Che ti serve? Che è quella faccia?
- Avrei una domanda su Wile. Sai mica se abbia mai… rilasciato interviste?
Gli occhi di Halona brillarono per un istante, prima che la donna più incazzosa che JD conoscesse scoppiasse a ridere tanto da farsi venire le lacrime.
- Me n’ero quasi dimenticata! Quello è stato lo scherzo più riuscito di tua nonna.
E così Halona allungò la pausa, passando dall’altra parte del bancone per raccontare a JD una storia che risaliva a metà degli anni ’60, i cui protagonisti erano i suoi nonni, un sedicente giornalista e un francobollo di acido…


L’ispirazione.

- E così, a quanto pare, avevo ragione io…
Honey era passata a trovarlo per pranzare insieme a lui. Era seduta sul divano e stava sfogliando una rivista con aria apparentemente incurante. JD sapeva che in realtà stava gongolando.
- Beh, tecnicamente, no. Non è lo sfigato che pensavo io, ma niente di più. Ẻ solo un tizio, ecco.
- Un tizio con una storia da raccontare!
- Un tizio senza alcuna idea circa il tatuaggio che vorrebbe tanto farsi. Inizio a pensare che forse dovrei convincerlo a desistere, almeno per il momento.
- Perché? Scusami, lo ha detto lui che vuole un’opera d’arte, no? Magari questa volta non è lui a dover scegliere, ma tu. Con i quadri funziona così: qualcuno li dipinge, tu li vedi e pensi: “Oh! Potrei stare a guardarlo per tutta la vita”, così lo compri e te lo piazzi in soggiorno, in modo che tu e tutti quelli che passano da casa tua possano ammirarlo.
JD sbuffò mentre la raggiungeva sul divano.
- Con i tatuaggi non funziona così, lo sai benissimo anche tu. Non mi sembra… naturale che uno porti addosso per tutta la vita un disegno che non parli di lui.
- Magari invece saprai trovare proprio quel qualcosa che parla di lui, come con le canzoni!
- Non è che puoi cercare di convincermi elencando tutte le forme di espressione artistica.
- Invece pensa che è proprio quello che sto facendo. L’altra sera Dave ha detto che il successo delle canzoni è dovuto a questo: uno vive cercando di capire qual è la propria identità e nel frattempo ascolta una canzone, con la quale sente che c’è una  connessione. Così la canzone diventa parte di lui. Io penso che possa funzionare anche con i tatuaggi.
- Prima di tutto il tuo amico Dave dovrebbe farsi un po’ meno canne. Chi sarebbe, un tuo compagno di corso? Come mai non ne ho mai sentito parlare?
La risata di Honey echeggiò nella stanza vuota.
- Il mio ragazzo è geloso di Dave Grohl!
Honey lasciò cadere la rivista e lo abbracciò.
- Tranquillo amore,  Dave è quasi sempre in tournée, non ha molto tempo da dedicarmi.
JD stava facendo l’offeso, fingendo di rifiutare l’abbraccio, quando Darla rientrò dalla pausa pranzo.
- Problemi in paradiso, piccioncini?
- Oh, tu te ne intendi di uccelli, non è vero? - Questa sì che si chiama “battuta giusta, al momento giusto”.  Era la seconda volta in quella mattina che Honey gongolava tra sé e sé.
- Molto più di te, tesoro. Quando vuoi, posso sempre insegnarti qualcosa. Sai come si dice, non si finisce mai di imparare.
- Ẻ per questo che tu non finisci mai di fare pratica?
- Adesso basta!
JD era intervenuto prima che Darla potesse rispondere. Aveva notato la sua espressione: aveva stretto leggermente gli occhi, segno che stava per attaccare con le battute pesanti. Non che Honey non si sapesse difendere, ma se si fosse offesa, poi lui avrebbe impiegato tutta la sera per fargliela passare. Inoltre, pur fidandosi di Darla, dentro la sua testa un campanello di allarme suonava ogni volta che quelle due discutevano: e se presa dallo slancio del “botta e risposta” si fosse fatta scappare qualcosa di troppo? In quel caso, altro che serata, JD avrebbe dovuto penare per settimane.
- Darla, non avevi da fare una telefonata al fattorino per quella partita di inchiostro che non è ancora arrivata?
Darla sorrise, continuando a fissare Honey per qualche istante, prima di girarsi verso il telefono.  Appena prima di sollevare la cornetta, non si fece scappare l’occasione di avere l’ultima:
- Ding, ding, ding! Fine primo round! Alla prossima, dolcezza.
Così dicendo, si appoggiò con il busto al bancone, si portò la cornetta all’orecchio e compose il numero di chiamata rapida.
JD si trovò a fissarle le gambe, o meglio, i fiocchi che vi erano tatuati sopra. Tanti fiocchi, ognuno per un ragazzo. Un fiocco, una delusione amorosa. Perché ricordare potrà essere anche  doloroso, ma serve sempre. Aiuta sempre. Di colpo gli sembrò come se una lampadina si fosse accesa nella sua testa, illuminando un disegno che era lì nascosto in attesa di essere svelato. Honey lo vide correre nello studio e fiondarsi alla scrivania. Sapeva che sarebbe stato occupato per un bel po’ e che non si sarebbe nemmeno reso conto  se lei fosse stata lì o meno, così passò a dargli un fugace bacio su una tempia e lo lasciò all’opera. Mentre usciva, le venne da sorridere: forse forse, stava per avere ragione un’altra volta.


La decisione.

- Ecco, avrei pensato a questo.
JD era quasi emozionato mentre mostrava a Ian il foglio sul quale aveva passato gran parte del pomeriggio e della nottata.
Sulla destra del foglio si stagliava una figura incappucciata che teneva una falce enorme di traverso, verso sinistra. Alla falce era avviluppata la testa di un dragone simil-cinese, come se la stesse spezzando in due. Il corpo del dragone proseguiva verso il basso con lunghe spire, sulla sinistra.
- Ovviamente, se ti fa schifo lo butto. E per ogni suggerimento, correzione o aggiunta tu voglia fare, sappi che non ci sono problemi.
Ian era rimasto a bocca aperta e JD non riusciva a interpretare la sua espressione. Temeva che non capisse il significato del disegno.
Finalmente iniziò a parlare.
- Ẻ stupendo. Meraviglioso. Io non sarei riuscito a trovare immagine più azzeccata.
- Stavo pensando alla tua storia. Mi hai accennato a un incidente come il motivo che ti costringe su quella sedia. Credo che con questo, le tue gambe mostreranno la tua vittoria, non una sconfitta.
- Cavoli, mi hai lasciato davvero senza parole ed è una cosa rara, credimi. Dopo quello che mi è capitato, ho fatto parecchia fatica ad accettare di essere ancora vivo. Non sai quante volte ho pensato che sarebbe stato meglio per me e per un sacco di altra gente se non me la fossi cavata. Sicuramente non ritenevo la mia condizione una vittoria. Cazzo, sarei dovuto venire da te prima, invece che regalare tutti quei soldi allo psicologo!
- No, credimi, non sono bravo con i consigli, solo con i disegni. Questo fa solo parte di come io  vedo i tatuaggi: non sono solo opere d’arte. Parlano di noi. Io, ecco, se fossi in te, urlerei al mondo la mia incazzatura. Per quello che ti è capitato, ma anche per quello che sei riuscito a fare.
Ian si era di nuovo ammutolito. JD pensò che probabilmente aveva esagerato con le stronzate sentimentali. Se Big D fosse stato al suo posto, gli avrebbe proposto una pin-up con un paio di tette sproporzionate e un bel culo a mandolino.
- Avrei un paio di modifiche, sempre che siano fattibili.
- Vediamo cosa possiamo fare.
- E mi piacerebbe se la tua assistente ci portasse due birre.
- Questo sarà un po’ più difficile, meglio se vado io.
JD si alzò dandogli una pacca sulla spalla e si diresse al frigo bar.
- Non mi hai ancora detto se lo vuoi a colori o in bianco e nero.


- Quindi pensi che ci metterai più di un mese.
- Eh già.
- Si direbbe che stai per farti un nuovo amico.
- Cliente.
- Si vedrà. Un mese è lungo e non riesco a immaginarmi due persone che passano tanto tempo insieme in silenzio.
- Questo è perché tu non riesci mai a stare zitta. Non sottovalutare il fatto che siamo uomini. E poi non staremo il silenzio. Ci penserà il ronzio dell’ago a farci compagnia.
- Ah beh, allora! Comunque… non vuoi dirmi come ti è venuta l’ispirazione?
- Segreto del mestiere. E poi certe cose mica si riescono a spiegare così.
- No, certo. Ẻ solo che mi sembrava che poco prima stessi fissando le gambe di Darla.
- Ma cosa ti salta in mente?
- Beh, le sue gambe sono così lunghe e nude. Tatuate…
- Stavo pensando, probabilmente avevo lo sguardo perso nel vuoto, tutto qui. Ti assicuro che è stata una coincidenza. E poi scusa, ma Darla ce l’ho davanti tutto il giorno, dovrei proprio essere un cretino per guadarle le gambe mentre sono con te!
- Bene! Credo che dovrò passare a trovarvi più spesso, allora! Magari ti farò delle belle improvvisate, a ogni ora del giorno. Quando meno te lo aspetti.
- La smettiamo di parlare di lei? Se proprio dobbiamo parlare di gambe, ce ne sarebbero un paio proprio qui vicino a me…
JD allungò una mano verso la coscia di Honey, che si era rannicchiata dall’altro lato del divano mentre dividevano una birra prima di cena.
- Eh no… prima devi dirmi un’altra cosa.
- Cosa? Devo giurarti che non mi accorgerei delle gambe di Darla neanche se fossero fosforescenti?
- No, lo sai benissimo cosa. Dillo.
Il tono di Honey si era fatto più roco, al limite del sensuale.
- Se parli così, ti dico tutto quello che vuoi.
JD avvicinò il viso al suo, per baciarla, ma lei si alzò e fece un passo indietro, allontanandosi dal divano.
- Dimmelo, che avevo ragione.
Il sorriso di Honey era a metà tra l’esultante e il seducente.
- E va bene! Il disegno che ho proposto gli è piaciuto. Ẻ andata a finire come avevi detto tu. Ẻ successo proprio come quella cosa di Dave Grohl e le canzoni… adesso però torna qui o dovrò comportarmi da bruto.
- Provaci, se credi che questo ti porterà a qualcosa.
Honey stava giocherellando con il bordo della maglietta e teneva puntati i suoi occhi da gatta su di lui.
A JD faceva impazzire quando cercava di fare la seducente. Non  capiva che non aveva bisogno di questi trucchetti: lei era seducente sempre, nella vita di tutti i giorni. JD avrebbe voluto spogliarla anche mentre si accigliava toccandosi il tatuaggio al polso.
Si alzò di scatto e le corse incontro, cingendola per la vita con un braccio e rovesciandole sulla testa la birra che era rimasta sul fondo della bottiglia.
Seguì un urletto a metà tra il divertito e il sorpreso.
- Cretino! Adesso dovrò farmi la doccia!
- Guarda un po’, era proprio quello il mio obiettivo. Adesso te la dovrai togliere, la maglietta.


Epilogo: l’esibizione.

- Non ci crederai, ma ho finito. Amico, è stato un piacere lavorare su di te.
- E quando ti ricapita uno che non sente niente? Avresti potuto continuare per giorni e giorni di fila, per quanto mi riguarda. Se ci abbiamo messo tanto è solo perché a te si stancava il polso, segaiolo che non sei altro.
- E per non irritare troppo la tua pelle da femminuccia. La prossima volta ti tatuo le braccia, così vediamo quanto fai lo spavaldo.
Ian sorrise. Di nuovo quel mezzo ghigno. Nel corso dell’ultimo mese e mezzo, JD l’aveva visto parecchie volte. Alla fine era andata proprio come aveva previsto Honey: a forza di stare nella stessa stanza per tanto tempo, avevano iniziato a parlare. Di musica, sport (Ian era stato un alteta), cibo (condividevano la stessa passione per i cibi unti e bisunti e avevano scoperto di aver frequentato per anni lo stesso fast-food). Solo una volta Ian aveva accennato all’incidente, mentre parlava di Carol. JD aveva scoperto che la ragazza un po’ fatta che aveva fissato il primo appuntamento, stava con Ian da cinque anni e che era stata, purtroppo per lei, una specie di valvola di sfogo, fino a quando lui non si era deciso ad andare in terapia. Era anche venuto fuori che non si faceva, ma le occhiaie e lo sguardo stralunato erano spesso causate dal pazzoide tignoso in carrozzina che si ostinava a tenere come fidanzato. Le ultime erano parole di Ian.
- La verità, JD, è che ho sempre avuto una paura fottuta di farmi un tatuaggio, proprio per il dolore.
- Lo sapevo! Questo vuol dire che non vedrò più il tuo culo secco da queste parti.
- Beh, dietro alla gamba destra c’è ancora del posto libero, magari mi verrà in mente qualcosa.
- Chissà. Questo non cambia il fatto che sei una mammoletta. Vieni a farti un bel tribale sul braccio, come fanno tutti!
Il ghigno di Ian si allargò in un sorriso sincero, che si trasformò a sua volta in una risata.
- Forza, rimettimi per l’ultima volta in sella al mio destriero scintillante.
- Ti avviso: di là si sarà radunata una piccola folla di curiosi. Credo che Darla abbia sparso la voce che questa era l’ultima sessione.
- Bene, spero che ci sia anche quella topa della moglie del tuo amico!
- Attento, che se ti sente poi non avrai problemi a farti tatuare anche le braccia!
Ad attenderli all’ingresso Darla, Honey, Big D con la famiglia al completo, sembrarono a Ian un piccolo pubblico. Mentre usciva dallo studio fece il suo ingresso anche Carol, pronta per portarlo a casa.
Se ne stavano tutti lì, fingendo di essere capitati per caso, quando Patti finalmente ruppe gli indugi, esclamando: - Papà! Voglio vedere le belle gambe colorate del signore sulla sedia!
- Come ti avevo detto di fare? Te lo ricordi?
Patti guardò il padre un paio di secondi, con l’espressione pensosa, poi sorrise, si girò verso Ian e disse:
- Per favore, mi fai vedere le gambe colorate?
- Certo, piccola. Guarda, questa è una signora brutta brutta che…
Patti lo interruppe con un’espressione seria:
- Signore, quella mi fa un po’ paura.
- Lo so, ma se vedi sta per essere sconfitta. Da questo drago qui, vedi?
Ian alzò la testa, cercando con lo sguardo il volto di Carol. Quando i loro occhi si incrociarono, le sorrise.
- Tesoro, potresti stendermi le gambe e appoggiare i piedi sul tavolino? Toglimi anche le scarpe, per favore.
Tutti si avvicinarono per osservare da vicino il drago, che si avvolgeva intorno alla gamba e  sembrava prendere vita. IL corpo del dragone sfumava leggermente e si trasformava, più si avvicinava alla caviglia sinistra di Ian, fino a diventare un sentiero, alla cui base stavano due figure che si tenevano per mano. Una stava in piedi, l’altra era in carrozzina.
- Questi sono i padroni del drago?
Chiese Patti indicando le minuscole sagome sulla caviglia di Ian.
- In un certo senso sì. Io sono entrambi. Io com’ero prima e io come sono adesso.
- E questi numeri sui piedi?
- Sono la mia data di nascita e la data in cui ho avuto l’incidente.
- E perché? L’incidente è brutto!
- Sì, ma da quel giorno sono cambiato e mi devo sempre ricordare che le cose brutte accadono, ma non ci devono fermare. E poi se non ci fosse stato l’incidente, non sarebbe arrivato il drago per sconfiggere la morte.
Patti sorrise di nuovo.
- Il drago mi piace.
- Anche a me.


Mentre guidava verso casa, Carol non aveva spiccicato parola. Ian l’aveva assecondata, senza forzare la mano tentando una conversazione inutile. Le cose tra loro erano migliorate impercettibilmente nelle ultime settimane e Ian aveva ancora una paura fottuta che lei stesse solo aspettando il momento giusto per lasciarlo.
Una volta arrivati nella villetta che lui si era potuto permettere grazie ai meriti sportivi, Ian le chiese di aiutarlo a tendersi sul divano.
- Devo farti vedere un’ultima cosa. In realtà le mie gambe non sono completamente tatuate: come vedrai, dietro alla sinistra sono rimasti parecchi spazi e quella destra è ricoperta solo davanti. Diciamo che JD si è lasciato un po’ di spazio si cui lavorare, nel caso mi venisse voglia di farne un altro. Pensavo che fosse un po’ un peccato, perché, beh, dietro lo so solo io che c’è qualcosa. Sto sempre seduto e nessuno vedrebbe gli altri tatuaggi. Tranne te. Tu mi aiuti, mi alzi, mi lavi, mi vesti.
Si fermò un attimo. Gli stava quasi venendo il fiatone per l’emozione. Aveva paura di averla persa e sperava che quel piccolo gesto servisse almeno per riaprire un dialogo tra loro. Si allungò fino a toccare la propria caviglia e la ruotò verso l’interno, in modo che Carol vedesse cosa c’era alla base del polpaccio: un’altra data.
Finalmente anche lei parlò:
- Ẻ quando ci siamo messi insieme. Ti dimentichi sempre l’anniversario.
- Lo so. Cercherò di mettere fine anche con questo. Intanto, me lo sono tatuato.
Ian cercò di sorridere.
- Spero che ti piaccia
- Moltissimo. Ẻ un pensiero così… non ho parole. Grazie.
- Ecco, io pensavo che sopra potrei farci mettere altre date, come quella del nostro matrimonio,  ad esempio…
- Non hai mai parlato di matrimonio.
- No, lo so. Lo sto facendo ora. Se vuoi.
- Se ne può parlare.
Carol sorrise. Un sorriso sincero per la prima volta dopo molti mesi.
- E non ti ho detto della gamba destra.
- Mi hai appena detto che vuoi sposarmi, cosa c’è di meglio?
- Che la gamba destra è tua. Puoi decidere tu cosa farci tatuare.
- Hai ragione, è decisamente meglio.





Note

Come già scritto in premessa, questa storia è per il compleanno di Dragana, anche se viene pubblicata con qualche giorno di ritardo. Lo scopo del ritardo sarebbe quello di darmi più tempo per finirla cercare di non farti venire troppa nostalgia del Giappone tenendo tutti i regali per il tuo rientro. Spero che la cosa funzioni, almeno in parte.
Devo ringraziare millemila volte la mia complice, beta, supportatrice e sopportatrice Vannagio.
Tutti i personaggi che compaiono in questa storia, ad eccezione di Ian e Carol, sono suoi e compaiono nelle storie della serie: "Una storia di metallo e inchiostro". Leggetele tutte, più gli spin-off scritti dalla festeggiata (che trovate qui e qui), ve lo consiglio caldamente. Se volete approfondire la questione dei fiocchi tatuati sulle gambe di Darla, iniziate con questa.
Per chi non lo sapesse, Dave Grohl è il leader dei Foo Fighters. L'intervista di cui parla Honey è questa.
Grazie a chiunque passi di qui e abbia voglia di leggere fino alla fine.
Ancora tantissimi auguri alla festeggiata, dai che mancano pochi anni ai 20!
JoL
   
 
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