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Autore: melhopes    25/10/2014    9 recensioni
“E se non dovessi incontrarla di nuovo?”
“Senza volerlo, vi siete incontrati tre volte. Accadrà di nuovo e, quella volta, le parlerai”
“Me lo assicuri?”
“Dovessimo andare in capo al mondo, Harry”
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Starry eyes. 

Mi sveglio. Il sole filtra debolmente dalle tende accarezzandomi il viso. C’è qualcosa di strano nell’aria. Mi è chiaro non appena prendo il mio primo respiro consapevole.
 
 
Qualcosa non va. Ma cosa?
 
Mi sgranchisco le braccia e stropiccio gli occhi mentre, lentamente, mi metto a sedere. Do un’occhiata alla camera. C’è uno strano silenzio. E uno strano ordine. Sembra più vuota.
 
I miei occhi cadono sui bagagli distesi sul pavimento. Realizzo ci sia solo il mio. E quello di Zayn? Dove l’avrà messo?
 
Passo al suo letto. Disfatto ma lui non c’è. Dove si è cacciato? E che ore sono?
 
Tasto il comodino in cerca dell’Iphone mentre ancora fisso il luogo in cui ha dormito. Una volta preso, lo porto davanti al mio viso e lo sblocco.
 
11:35. Sgrano gli occhi, sobbalzando. Manca pochissimo alla partenza e non mi ha avvisato. Assurdo.
 
Spero abbia una buona scusa. Non accetterei altro.
 
Mi alzo, intenzionato a correre in bagno per lavarmi. Mentre svolto l’angolo, noto un post-it appeso alla porta che collega i due ambienti. Torno indietro e leggo. Magari è il modo di Zayn di darmi indicazioni sulla sua posizione.
 
 
“Sorry, man.
See you soon”
 
 
Che? Cosa? Lo stacco e lo porto più vicino ai miei occhi per essere sicuro di aver letto bene.
 
In un secondo è tutto chiaro. Ecco perché la sua valigia era sparita. E di lui non c’era nemmeno un capello sul cuscino. Se n’è andato. Senza di me. Stento a crederci. Perché avrebbe dovuto? Che razza di amico è?
 
Scendo al piano terra per chiedere informazioni alla reception e, come volevasi dimostrare, ha effettuato il check out alla prime luci dell’alba.
 
Ieri mi ha mentito sull’orario della partenza. Non ha mai davvero voluto lo seguissi. Non voleva andassi via.
 
Prendo il telefono e compongo il suo numero per dirgliene quattro. Ho bisogno di più di un semplice “Sorry, man”. Me lo deve.
 
Parte direttamente la segreteria telefonica. Avrei dovuto immaginarlo. Non solo sparisce ma si comporta anche da codardo.
 
Cosa faccio adesso? Chi chiamo? Come me ne vado?
 
Magari potrei andare a farmi un giro, schiarirmi le idee, andare a comprare un biglietto per il primo volo. In fondo la Germania non è così lontana da casa. E l’aeroporto è facilmente raggiungibile in taxi.
 
Torno in camera per prendere i miei effetti personali ed uscire ma, contrariamente a ciò che mi sono prefissato, rimango disteso sul letto a fissare il soffitto lasciando che il cervello si riempia e si svuoti ad una velocità indicibile.
 
 
 
Quando sbatto le ciglia e prendo consapevolezza di ciò che mi è accaduto, mi rendo conto siano passate ore. Il sole è ormai tramontato lasciando posto al buio della notte. Sono da poco passate le nove di sera.
 
Mi serve un po’ d’aria. Andrò a comprare il biglietto domani.
 
Scendo. Evito qualsiasi essere umano e inizio a vagabondare. I miei piedi e probabilmente il mio subconscio, mi portano nella piazzetta: dove tutto è iniziato l’altro ieri e finito ieri.
 
Meno di ventiquattr’ore. Non è incredibile? Forse un po’ folle. Avrei potuto evitarlo e capirlo da me in anticipo.
 
Mi stringo nelle spalle. Non ha importanza adesso, no? Mi siedo su “la panchina”. Rigido.
 
Osservo l’orizzonte. E’ diverso. Adesso che non l’ho accanto me ne rendo conto. Il buio è più fitto quando sei solo e il tuo cuore è spento. Ho decisamente perso la fiammella.
 
Posso sempre darmi al giardinaggio, no? Sono pur sempre inglese. Oltre ad amare il buon tea delle cinque, siamo conosciuti anche per la cura della vegetazione.
 
Mi ci vedo, in effetti. Sveglia alle cinque del mattino nei giorni liberi, abbigliamento rubato ad un nonnino a caso e utensili alla mano. Sarei capace. Sì, di far morire anche piccole piantine innocenti come ho fatto perire qualsiasi possibilità di diventare più intimo con Charlotte.
 
Tutte stronzate. Non è solo colpa mia. Andando via ha fatto la sua parte. Esattamente il cinquanta percento di “niente”.
 
Avvisto una macchia di colore occupare l’altro estremo. Deduco di non essere più solo ormai. Normalmente sbircerei per avere più o meno un’idea della persona con cui dividere un luogo, un’esperienza o qualsiasi cosa. Stavolta, però, non ne trovo il senso.
 
Spero sia una persona discreta. Non ho voglia di perdermi in chiacchiere.
 
Alzo la testa al cielo, sospirando. Il cielo terso. Le stelle brillanti e festose. Assurdo che io stia guardando questa porzione di cielo. Ora lo so. Più di qualche ora fa.
 
<< Astronomo? >>
 
Conosco questa voce. La amo.
 
Rivolgo un’occhiata alla mia sinistra. Charlotte mi fissa ad occhi spalancati, quasi in trepida attesa. Sto sognando. Lei non mi ha mai guardato in questo modo. E’ così bella. Che diamine!
 
<< Sei il frutto del mio subconscio >> affermo con sufficienza e giro lo sguardo, aspettando sparisca.
 
Di sottecchi constato, con mia grande sorpresa, non ci siano cambiamenti. Aggrotto la fronte e presto di nuovo attenzione a quel miraggio. Prendo ad esaminarla senza accorciare la distanza.
 
Quegli occhi. Quelle labbra. Le sue guance. I suoi capelli. Il suo collo. Quelle mani. Tutto perfettamente identico.
 
Mi sorprendo di quello che il mio subconscio è riuscito a creare. Sembra proprio che, nei momenti passati ad osservarla, io abbia davvero archiviato ogni minimo particolare.
 
Mi rivolge uno sguardo stranito e, allo stesso tempo, sembra quasi volermi incitare.
 
<< So di essere stata poco carina nei tuoi confronti ieri ma da qui a fingere che io sia frutto del tuo subconscio, ce ne vuole >> protesta e, in questo gesto, esplode tutta la sua personalità decisa.
 
Allungo tremolante un dito intenzionato a sfiorarle il braccio. Mi piacerebbe essere “normale” per una buona volta e, invece, ho a che fare con allucinazioni.
 
Tiene su un’espressione seccata. Afferra bruscamente la mia mano e se la porta al viso. Probabilmente decisa a tagliare corto sulla mia necessità di una prova del nove.
 
La sua presa e il suo calore, la morbidezza della sua guancia, la tenerezza di questa posizione. Mi sento completo. Nemmeno la mente più geniale potrebbe inscenare artificialmente qualcosa di simile.
 
E’ lei. Per davvero. Qui. E’ tornata. E sta mantenendo un contatto fisico non indifferente.
 
<< Allora? >> esordisce, spezzando il silenzio.
 
I miei occhi nei suoi. Nonostante la scarsa visibilità, mi sembra di poter ammirare il mio stesso riflesso in quei gioielli. E, benché sia così, fatico a concepirlo. Cosa sta accadendo?
 
<< Allora sei qui >> rispondo in un sussurro appena udibile, esternando la mia incredulità.
 
Annuisce e, compiendo questa semplice azione, finisce con l’accoccolarsi maggiormente nella mia mano. E’ il desiderio di una vita che prende forma.
 
Ricordo, però, non voglia dire niente. Ha detto e fatto molto di più che, alla fine, è risultato essere niente. Niente più illusioni. E, in questo, lei è brava.
 
Mi libero della sua presa e poggio entrambe le mani in grembo. Distolgo lo sguardo nello stesso momento. Credo di averla spiazzata. Ha ancora il braccio sollevato come a sorreggermi. Posso vederlo di sottecchi.
 
Devo dimenticarla. Anche se adesso è proprio a mezzo metro da me.
 
<< Okay, sei qui >> ripeto col tono più neutro io riesca a trovare dentro di me.
 
<< Ti va di parlare? >> mi chiede soave.
 
Non so se si riferisce a quanto accaduto durante il pranzo o, molto semplicemente, a qualcosa di generale. Fatto sta che una sola parola pronunciata dalla sua persona potrebbe stravolgere completamente i miei nuovi propositi. Non posso permetterlo.
 
Mi faccio forza e scuoto la testa.
 
<< Non vuoi…non mi parlerai? >> chiede, finendo col riformulare la domanda.
 
Persisto e ripeto la mia comunicazione non verbale.
 
<< Ma puoi ascoltare >> mi fa notare, lieve.
 
Ascoltare? Assolutamente no. Sarebbe negativo per me. Non è una posizione in cui voglio trovarmi. Qualsiasi cosa abbia da dirmi.
 
<< Parto domattina >> la informo di una mezza verità, sperando che serva ad evitarmi qualsiasi discorso che potrebbe piegarmi.
 
Mi alzo di scatto, come se volessi fuggire, ma resto lì. Credo di voler inconsciamente che reagisca. Mi sembra di vederla sussultare. Con la coda dell’occhio, però, non posso esserne sicuro. Magari è solo ciò che desidero.
 
<< Pensavo restassi altri dodici giorni >> la sua voce è leggermente incrinata.
 
Potrebbe piangere? Vuole farlo? E’ assurdo. Devo andare via adesso. Prima che sia troppo tardi.
 
<< Non ho più un motivo >> pronuncio e, immobile, spero che non le abbia fatto male averlo sentito quanto ha fatto male a me esternarlo.
 
Le si mozza il fiato. Devo dedurre di non averla lasciata del tutto indifferente? Sto ancora pensando a lei. E’ sbagliato.
 
Rimango qui solo perché, dentro di me, voglio che mi chieda di restare, vero? Sono così patetico. Sono sceso a livelli irrecuperabili. E’ ora di smetterla. Non proferirà parola. Non le frega niente se parto. Tanto vale che lo faccia stanotte.
 
Cammino a passi lenti ma decisi. Conto i respiri che prendo lontano da lei e mi travolge la consapevolezza che non sarà facile vivere come se non fosse mai esistita. Come se non l’avessi mai trovata.
 
<< Era di mia sorella! >> urla, tutto d’un fiato.
 
Mi paralizzo. Cerco di decodificare la frase, ponendola in un qualsivoglia contesto. Nulla. Non capisco cos’abbia a che fare con me.
 
Eppure so che una persona come Charlotte usa le parole saggiamente. Non pronuncia mai nulla di superfluo o non inerente.
 
Mi volto piano. Trovo i suoi occhi. Brillano e guizzano più del solito. Saranno le stelle ad aver cambiato postazione?
 
Assumo un’espressione interrogativa. So per certo che il mio futuro dipende da questo momento.
 
<< Ti prego, resta >>
 
Non sono certo di aver udito correttamente, né sono certo l’abbia pronunciato. Non ho visto le sue labbra muoversi.
 
Resto lì. Fermo e ammutolito da tutto ciò che la caratterizza.
 
<< La canotta su cui hai versato il succo… >> pausa. Cerca un’ultima spinta.
 
Passo dalla sua bocca ai suoi occhi, di nuovo. Sono lucidi. Sta lottando con le lacrime. Perché?
 
<< Quella canotta –riprende non senza difficoltà- era di mia sorella >>
 
I suoi occhi si conficcano nei miei come artigli nelle carni. Appare così vulnerabile e fragile.










SPAZIO AUTRICE: Buonasera bella gente! Vi sono mancata? Non credo proprio vista la "rapidità" con cui questo capitolo è arrivato tra voi/noi. 
Spero onestamente sia di vostro gradimento. Ad essere sincera questo mi piaciucchia (?) quindi spero possa essere lo stesso per voi.

Ho una cosa da annunciarvi ma, siccome non sono brava, lo farò nel modo più rapido possibile:  questo è l'ultimo capitolo. Fine. Non c'è altro. 

Sono davvero felicissima di aver vissuto quest'esperienza con voi. Siete stati incredibilmente di supporto e, giorno dopo giorno, siete "cresciuti" con me. E' stato veramente bellissimo e non avrei potuto chiedere di meglio. 
Vi ringrazio di cuore. Alla prossima avventura! :) x








Ps. In realtà ci sarebbe una piccola possibilità che la storia continui ma voglio vedere quanto ci tenete. Commentate (in qualsiasi modo preferiate) e fatevi sentire. 
Nel caso in cui nessuno si farà vivo, sarà davvero l'ultimo capitolo :) 
Buon proseguimento di serata! :) x
 
  
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