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Autore: Aishillin    26/10/2014    1 recensioni
Ultimo missing moment della series "Circles", a cui seguirà la fanfic vera e propria.
"Si guardarono negli occhi per alcuni secondi. Draco sembrò chiederle il permesso, le labbra a sfiorare quelle della ragazza. Poteva sentire l’odore del fiato di lei, sapeva di dentifricio. Rimase così, su di lei, immobile, in attesa di una sua decisione.
La ragazza lo guardava fisso, due pozze castane perse in quelle iridi troppo simili al ghiaccio. Poi, di slancio, come se avesse avuto paura di ripensarci, alzò il volto, facendo combaciare le sue labbra con quelle del biondo. "
Un bacio, il primo. Ma Hermione è davvero disposta a soprassedere su qualsiasi cosa per stare con Draco? Il passato, un Marchio e un tradimento saranno ardui da affrontare.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Roger Davies | Coppie: Draco/Hermione
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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- Questa storia fa parte della serie 'Missing Moments'
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Rieccomi, alla fine!
Vorrei chiedere scusa a tutti coloro che stanno seguendo questa fic, e che quindi (giustamente) stanno attendendo da decisamente troppo tempo l'ultimo capitolo.
So di non avere scuse, ma proverò comunque a giustificarmi: l'università (e soprattutto la sessione d'esami) mi hanno tenuto decisamente troppo impegnata. Uscivo di casa ogni mattina alle 7 e tornavo dopo le 8 di sera, la voglia di scrivere latitava decisamente. Comunque alla fine sono riuscita a completarlo!
Spero vi piaccia, anche perché a questo punto non sono in grado di dire quando riuscirò a pubblicare la prossima storia della serie.
Grazie a tutti per la pazienza (non ho trovato mail minatorie, direi che vi meritate tutti i ringraziamenti :D)





 

Hermione Granger era stranamente felice. E a quanto pare lo dimostrava chiaramente, visto che persino Ron le aveva chiesto perché avesse un’aria così allegra.

Perché mai Ronald dovesse essere così perspicace proprio in quei giorni lo sapeva solo Godric.

“Sono felice perché sono avanti con tutte le materie, Ronald, a differenza tua.”

Ron si torse le mani, sembrava che avesse intenzione di dirle qualcosa, ma fortunatamente l’arrivo di Lavanda in Sala Comune (che annunciò la sua presenza con un “Ron-Roooon!” urlato a squarciagola) lo salvò da quello che si prospettava come un arduo compito.

L’arrivo di Lav-Lav però non salvò Hermione da due penetranti occhi verdi, che la fissavano con aria incuriosita dalla vecchia poltrona logora che era la sua preferita fin dal primo anno.

Quando voleva, Harry Potter sapeva essere molto perspicace.

“Sai, mi stavo ancora chiedendo una cosa…” Esordì, una volta che il rosso fu svanito con la sua giuliva fidanzata.

“Mmh?” Hermione cercò di ignorare il tono volutamente vago del suo migliore amico, fingendo di essere totalmente immersa nella lettura del manuale di Erbologia avanzata.

“Sì, riguardo il mazzo di fiori che ha ricevuto Ginny.”

Al sentire le parole del moro, Hermione si rilassò. Voleva parlarle di Ginny? Ottimo.

“A che proposito?” Domandò quindi, con tono volutamente casuale.

“Il biglietto. Perché l’ha mostrato solo a te?”

Il tomo di Erbologia cadde pesantemente a terra.

“Beh…” Hermione si tuffò sotto la poltrona, cercando di evitare lo sguardo del suo migliore amico. “Forse perché siamo amiche?” Azzardò. Maledizione. Non risultava convincente nemmeno a sé stessa. Raccolse il tomo, notando solo in quel momento un piccolo frammento di pergamena uscito dalle sue pagine. Lo raccolse in fretta, dopodiché tornò a concentrarsi sul suo migliore amico.

Harry la stava fissando, l’aria concentrata e pensosa.

“Sai, a vedervi così… pareva più fosse una cosa che riguardava TE, che lei.”

Hermione soppesò l’amico, stupita. Prima Ron a colazione, e ora quello che si dimostrava arguto era Harry. Cosa prendeva ai suoi amici?

Fu Nelville a salvarla dall’impiccio: era appena tornato in Sala Comune da una delle sue ennesime punizioni con Piton, e invece di correre come sempre verso la sua stanza si era diretto, con aria rassegnata, verso di lei.

“Hermione, fuori c’è Daphne Greengrass, vuole parlarti.”

Harry, ancora una volta, alzò un sopracciglio, guardandola perplesso. “Frequenti la Greengrass?”

Hermione scosse il capo. “L’unica volta che ricordo di averle parlato è stato per prestarle una piuma. Chissà cosa vorrà da me.”

Anche se aveva ostentato sicurezza e indifferenza, dentro di sé tremava. Sapeva bene che Daphne era una buona amica di Draco. Che poteva volere da lei? Forse sapeva di ciò che era successo tra loro? Cosa mai poteva volere da lei? Voleva punirla? Non la riteneva degna?

L’ansia l’avvolse completamente, togliendole il respiro.

Il suo rapporto con Draco era troppo acerbo perché avesse da difenderlo di già. Aveva sperato in un maggior periodo di tempo, prima che qualcuno decidesse di biasimare la sua scelta.

Che scelta, poi? Ancora non sapeva nemmeno lei cosa pensasse veramente. Amava ancora Ron? Aveva mai amato Ron? Sì, quello era ovvio. Ma allora perché era così felice quando era con Draco? Con lui stava così bene, nonostante il cervello le dicesse che tutto quello era sbagliato…

Sospirò, svuotando la mente come se si stesse preparando ad una lezione di Occlumanzia, dopodiché uscì dal ritratto.

Lo spettacolo che si ritrovò davanti era a dir poco surreale: la Signora Grassa, che occupava imponentemente la sua tela, era intenta a fissare con macelata invidia il fisico longilineo (e ben in risalto) della Serpeverde, che non sembrava trovar modo migliore di ingannar l’attesa se non limarsi le unghie.

“Mi cercavi?”

La bionda alzò lo sguardo dalle sue mani, per fissare con decisione gli occhi nocciola della Grifondoro.

“Sì.” Non c’era ostilità nel suo sguardo, né disgusto. Hermione in effetti non ricordava una sola volta in cui la biondina l’avesse fissata con disgusto, o avesse insultato il suo sangue. Era sempre stata sulle sue, indifferente, superiore a tutto. Doveva anche aver letto da qualche parte che i suoi genitori, seppur Purosangue, non erano mai stati collegati in alcun modo a Voldemort.

“Dimmi.”

Le due ragazze si soppesarono a vicenda per qualche secondo.

Ognuna si chiedeva cosa pensasse l’altra, quale sarebbe stata la sua mossa o il suo piano. “Sta cercando di ingannarmi?” Era il pensiero nella mente di entrambe.

“Volevo sapere… cosa c’è tra te e Draco.”

Hermione avvertì il colpo fisicamente. Le pareva di aver appena ricevuto uno schiantesimo in pieno petto, faticava persino a respirare.

“Cosa?” Aveva quasi gridato. Controllati, Hermione. Prendi tempo, scopri cosa sa.

“Cosa dovrebbe mai esserci tra me e Malfoy, di grazia?”

La bionda inclinò il capo. Sembrava vagamente divertita dal suo contrattacco, e il suo viso esprimeva liberamente il suo pensiero: carte scoperte.

“Cosa so?” La Serpeverde fece sparire la lima in una tasca della divisa, incrociando le braccia. Il sorriso furbo dipinto sul suo volto non prometteva alla Grifondoro nulla di buono. Possibile che sapesse tutto? Draco amava forse raccontare tutta la sua vita agli amici?

In quel momento, Hermione si rese conto di una cosa. Una sola cosa. la più ovvia, la più semplice.

Non conosceva minimamente Draco Malfoy.

Cosa sapeva di lui, in realtà? Non sapeva cosa pensava dei suoi amici, non sapeva nulla delle sue abitudini. Quali erano le sue passioni? La sua materia preferita? Preferiva il mare o la montagna?

Diamine, non sapeva nemmeno il suo colore preferito!

“Quello che so” la voce di Daphne la riportò bruscamente alla realtà “è che ieri non era in camera sua. Me l’ha confermato Nott. So anche che stamattina faceva di tutto per ignorarti. E’ stato l’unico in tutta la Sala Grande a non voltarsi quando Ginny Weasley ha ricevuto i fiori. Fiori che adora usare per ringraziare amiche, o semplicemente ragazze, che gli hanno fatto un favore. La Weasley è tua grande amica, ma ha legato molto con altre ragazze del suo anno, come Luna Lovegood. Eppure ha fatto leggere il biglietto a te. Solo a te, e subito dopo averlo letto. Come se centrassi più tu che lei. E vi siete voltate, dopo averlo letto, verso Draco. Che ancora faceva di tutto per non guardare verso di voi.”

Hermione ormai fissava l’altra con aria basita. Voleva fare l’investigatrice, da grande? Decisa a non lasciarle intendere nulla, però mantenne un’espressione ed un tono di voce neutri.

“Tutto quello che hai elencato non è null’altro che un sacco di dettagli. Coincidenze. Non hai fatto altro che unire elementi tra loro, ma senza alcuna certezza. Anzi, praticamente a caso. Mi dispiace, ma ti sbagli. Tra me e Draco non c’è nulla.”

Hermione sorrise tra sé e sé. Era stata perfetta, un contegno degno di un Serpeverde.

Daphne, per tutta risposta, scoppiò a ridere.

“Hermione, non pretendo tu ti confidi con me. Non siamo amiche, e probabilmente, viste le circostanze, non potremmo mai esserlo. Me ne rendo conto. Quindi mi limito ad avvisarti. Stai attenta. Il mio mondo, il mondo di Draco, è un mondo pericoloso. Non ti accetterà mai, e farà di tutto per ferirti. Lo fa con noi, appartenenti per diritto di nascita, pensa cosa farebbe a te. Stai attenta. Non hai idea della quantità di modi in cui potrebbe ferirti.”

Hermione la guardò, sinceramente confusa. La stava mettendo in guardia da Draco?

“Io… non capisco che intendi. E comunque ti ho già detto che ti sbagli.”

La Serpeverde sorrise, questa volta dolcemente, poi le voltò le spalle. Era già ad una decina di passi di distanza, quando la sua voce musicale raggiunse la riccia: “E allora perché l’hai chiamato per nome?”

Hermione fissò la sagoma minuta allontanarsi fino a scomparire nella penombra, un pensiero ad affollarle la mente.

Merda.








 

***

Pansy Parkinson aveva le idee chiare: lei avrebbe sposato Draco Malfoy. Non che lo amasse, o che provasse chissà quale affetto per lui.

Pansy era una persona pragmatica. Sapeva di aver bisogno di un buon partito, e Malfoy lo era. Non era un brutto ragazzo, in fondo aveva un bel fisico, e la cosa non le dispiaceva.

Ma avrebbe sposato col cuore ugualmente leggero anche uno storpio, o persino qualcuno in coma vegetativo.

Purché fosse ricco.

Era solo questo che contava. Nonostante i suoi risultati scolastici non propriamente brillanti, Pansy non era una stupida: semplicemente non riteneva lo studio materia degna d’interesse. Ma se non aveva ben chiaro il movimento del polso necessario per riuscire in Incantesimi, o la data dell’ennessima rivolta dei Goblin, Pansy sapeva comunque molto più di quanto i genitori pensassero.

Pansy sapeva che la sua famiglia era sul lastrico. E sapeva, quindi, che le serviva un marito facoltoso per poter mantenere lo stile di vita a cui era abituata.

Di lavorare non se ne parlava nemmeno. Era una donna, era di una nobile casata, ed era Purosangue. Una nobile e fine purosangue come lei non poteva certo abbassarsi a lavorare, per l’amor del cielo.

La soluzione era solo una: trovarsi un marito ricco. E l’unico purosangue che potesse irretire (e che non fosse già antipaticamente promesso a qualcuna con un patrimonio superiore al suo) era Draco Malfoy.

In realtà c’era anche Blaise Zabini, ma sapeva che, una volta incastrato il biondo con un matrimonio riparatore, quello si sarebbe limitato ad ignorarla il più possibile; il suo amico italiano invece probabilmente avrebbe dedicato ogni secondo della sua esistenza a rovinarle la vita.

E quindi, il piano era fatto. Pansy Parkinson avrebbe sposato Draco Malfoy.

Ora doveva solo incastrare Malfoy. Il tempo era ormai giunto: era il sesto anno, e lei non aveva alcuna intenzione di tornare un altro anno in quella scuola. Entro l’estate sarebbe dovuta essere la Signora Malfoy.

Anche perché, se entro giugno non fosse stata promessa a qualcuno, i suoi genitori l’avrebbero promessa ad un suo cugino di terzo grado.

Un cugino povero.

Un cugino che amava vivere in campagna, in mezzo alle galline e agli gnomi. Letteralmente, visto che li allevava per passione.

Se da un lato Pansy aveva le idee chiare, dall’altro non aveva idea di come attuare il suo piano.

Farsi mettere incinta da Draco Malfoy sarebbe stato estremamente facile: l’incantesimo che annullava la contraccezione era conosciutissimo tra le donne purosangue (e molto meno tra gli uomini, o i matrimoni riparatori sarebbe senza alcun dubbio stati molti meno), e Pansy lo sapeva usare perfettamente. Se ingannare e circuire gli uomini fosse stata una materia alla scuola di magia e stregoneria di Hogwarts, Pansy Parkinson sarebbe stata la migliore della classe.

Purtroppo, però, tutt’altra cosa era mettersi nelle condizioni per usare l’incantesimo. Da parecchio tempo Draco disertava il suo letto.

La cosa inizialmente non aveva infastidito particolarmente Pansy: aveva iniziato ad irretire il ragazzo fin da secondo anno di scuola; che verso il quinto anno avesse deciso di fare altre esperienze non la stupiva minimanente (anzi, le dava la possibilità di dedicarsi ad altro). Il fatto che, però, al ritorno dalle vacanze non avesse ricominciato ad intrufolarsi nel suo letto ora iniziava ad infastidirla.

Come poteva partorire l’erede dei Malfoy, se il futuro padre la degnava a stento di uno sguardo?

Aveva già provato a riavvicinarlo con moine e piccole attenzioni, ma la cose non era servita a niente: Draco si era rifugiato tra le braccia di quell’algida della Greengrass, rendendosi inavvicinabile.

Sospettava persino che avesse ordinato a Tiger e Goyle di tenerla lontana da lui.

Le cose dovevano cambiare. E in fretta.

La soluzione era solo una: assalirlo. Essendo uomo, non avrebbe saputo resisterle, e lei avrebbe avuto ciò che voleva. Doveva solo trovarlo da solo: in pubblico non avrebbe avuto chance.









 

*****

 

“Idiota, sbrigati. Ho fame!” Blaise Zabini si dimenava, impaziente, sulla poltrona di velluto verde.

“La cena inizia fra mezz’ora, a che pro sbrigarmi?”

“Magari potresti incontrare casualmente una certa ricciola. Qualcosa mi dice che ti rallegrerebbe l’umore.”

Draco rimase impassibile, continuando a sfogliare svogliatamente il tomo di Pozioni che aveva tra le mani.

“Quel che mi farebbe felice sarebbe trovare un tema per Pozioni già pronto.”

L’amico scoppiò in una fragorosa risata, ma il suo commento fu interrotto da una terza presenza appena giunta in sala comune.

Pansy Parkinson doveva essersi obliviata tutte le regole del castello, per presentarsi in pubblico conciata a quel modo: minigonna più larga che lunga, top scollato e aderente, stivali in pelle al ginocchio.
“Non sfigurerebbe in tangenziale in piena notte” si ritrovò a pensare Draco, mordendosi la lingua come autopunizione per aver pensato ad un metro di raffronto babbano. Possibile che la mezzosangue gli fosse entrata dentro così pervicacemente da pensare come lei?

No, si convinse il biondo. La spiegazione era molto più facile: “in un ambiente fine come quello Purosangue in cui sono cresciuto, è impossibile trovare esempi di simile cattivo gusto.”

Diversamente dal solito, la moretta non si diresse subito verso Draco; anzi, sembrò decisa ad ignorarlo totalmente. Scelta che, ovviamente, fu constatata con gioia sia dal biondo che dal suo amico.

“Ehi” Zabini si sporse d’improvviso verso il compagno, finendo però maldestramente addosso a lui.

“Idiota!”

Zabini scoppiò a ridere, rimettendosi in piedi e sistemando la camicia.

“Oh no, caro. Sei tu l’idiota qui!” Poi si chinò nuovamente verso l’amico, avendo ben cura di mantenersi in equilibrio.

“O ti ha lasciato perdere, o sta attuando una tecnica alquanto raffinata”

Draco scosse la testa. “Quella non ha nulla di raffinato. Guarda solo il vestiario.”

“Già. Non posso credere che tu ci sia davvero andato a letto.”

Il biondo riuscì a stento a trattenere un brivido al ricordo. “Ero un idiota. Pensavo solo… beh, sai a cosa. E per di più non dirlo troppo in giro. Ho detto a Daphne che non l’ho mai toccata. Se scopre la verità mi farà pagare sia la menzogna, sia l’errore. E per quello basta il ricordo.”

Blaise scoppiò a ridere, seriamente divertito all’idea di sentire un’altra predica in stile Sesso-Solo-Col-Vero-Amore di Daphne. Quelle che aveva fatto a lui erano sempre state incredibilmente divertenti.

“Va bene, andiamo!”

Il biondo si alzò di scatto dalla poltrona che era stata la sua dimora per buona parte del pomeriggio, e si diresse senza nemmeno controllare che l’altro lo seguisse verso l’uscita dai sotterranei.

“Posso sapere per quale motivo ORA va bene andare a cena, e non cinque dannatissimi minuti fa?” Domandò il moro quando riuscì a raggiungerlo. Dato il passo veloce dell’amico, ciò successe quando ormai non rimanevano che  due corridoi a separarli dal desinare.

“Non si può cambiare idea d’improvviso?”

“Non è da te.”

Draco rise, dopodiché iniziò a frugarsi nelle tasche con aria indifferente.

“Maledizione” mormorò quando ormai era praticamente di fronte alle porte della Sala Grande. “Devo averla scordata in camera.”

“Cosa?”

“La mia pozione per il mal di gola. Sai che in questo periodo devo prenderla almeno una volta alla settimana.”

Il moro lo guardò con aria estremamente divertita.

“Oh, e scommetto che la pozione passerà di qui tra poco, vero?”

La risata dell’italiano riempì il corridoio all’apparenza vuoto, seguita poi dal rumore delle sue scarpe che si allontanavano con ritmo cadenzato.

“Ci vediamo a cena, dopo che avrai trovato la tua pozione!”









 

*****

 

Hermione Granger si sentiva colpevole. Colpevole perché sapeva che il suo migliore amico sospettava Draco Malfoy di essere il loro peggiore nemico. E lei non sono non gli aveva raccontato ciò che sapeva, ma ora inventava pure scuse per rimanere sola e poterlo incontrare in una piccola alcova vicino alla Sala Grande.

Era assurdo quanto potere avesse su di lei, in quel momento, un semplice pezzo di pergamena firmato da lui.

Eppure sì, l’aveva. Un semplice angolino di una vecchia pagina era iin grado di legarla moralmente all’appuntamento.

Sapeva che ci sarebbe andata. E lo sapeva anche lui. Lei, d’altronde, sapeva che lui l’avrebbe aspettata, se avesse fatto tardi. Non erano serviti accordi o precisazioni. Era tutto chiaro in quelle poche parole.

Tutto le sembrava assurdo, e nello stesso tempo ovvio e naturale.

Svoltò velocemente nel corridoio evitando un gruppetto di Corvonero del terzo anno. Essendo sotto il mantello dell’invisibilità, non le pareva il caso di gettare scompiglio.

 

Aspettò che il corridoio fosse deserto, prima di scostare l’arazzo. Solo una volta all’interno dell’alcova si sarebbe tolta il mantello: voleva apparargli sotto il naso e fargli una sorpresa.

La sorpresa, invece, l’ebbe lei.









 

*****

Pansy Parkinson non credeva alla sua fortuna. Non sono Draco e Blaise non si erano accorti di essere stati seguiti con discrezione per tutta la strada dai sotterranei alla Sala Grande, ma ora Zabini stava lasciando solo Draco, e per di più in un corridoio poco frequentato, visto che c’erano strade più veloci per arrivare in Sala Grande da qualsiasi sala comune.

Rimase appostata all’ombra di una grande statua, trattenendo a stento l’eccitazione, mentre osservava il moro scomparire oltre le pesanti porte di quercia e il biondo nascondersi dietro un arazzo.

Risistemò al meglio la maglietta scollata (aveva deciso che per il tutto per tutto avrebbe dovuto puntare su ogni suo punto di forza, fisico compreso) e si introdusse nell’alcova, sul viso un sorriso smaliziato.

Quello che ritrovò davanti fu il coronamento di tutti i suoi sogni: Draco era seduto su una panca di marmo, con gli occhi chiusi e un sorriso rilassato sul volto.

“Ti aspettavo.” mormorò.

Pansy sorrise, deliziata. Senza lasciare tempo al biondo di aprire gli occhi, calò sulle sue labbra.

Quel giorno, Pansy Parkinson organizzava un matrimonio.









 

*****

 

La seduta della panchina in marmo, in quell’alcova, era piuttosto scomoda; ma a Draco non importava minimamente. Era felice. Semplicemente felice e soddisfatto.

Si rilassò sulla dura pietra e chiuse gli occhi. Quando sentì il fruscio dell’arazzo che si spostava e una lieve corrente fredda proveniente dal corridoio sorrise: “Ti aspettavo.”

In quell’attimo fu tutto perfetto.

Poi, Draco rilevò le stranezze. Come il profumo nell’aria, che non era quello di Hermione. Ebbe solo un attimo per rendersene conto, che non gli fu sufficiente nemmeno per aprire gli occhi. Poi sentì delle labbra a contatto con le sue, in quello che, probabilmente, qualcuno definiva bacio sensuale.

A lui parve più un qualcosa di umido, dal profumo sbagliato. Anche le labbra erano quelle sbagliate.

Stupito, aprì gli occhi, e davanti a lui vide il suo peggior incubo materializzarsi.

Stava baciando Pansy Parkinson, spalmata addosso a lui in tutta la sua volgare persona. Come se non bastasse, prima ancora di poter allontanarla da sé, vide l’arazzo spalancarsi di nuovo.

E in quel momento capì che il suo vero, peggior incubo non era un’assalto a sfondo sessuale della Parkinson, ma due occhi castani pieni di lacrime, ed una bocca semiaperta.

Hermione lo fissò negli occhi solo un attimo, lo sconforto più puro sul volto ancora semicoperto dal mantello. Una lacrima scorreva veloce sulla sua guancia.

Non durò più di un secondo: quello dopo la ragazza era già svanita nel nulla, invisibile. Nell’alcova era rimasto lui, attonito, insieme alla Serpeverde ignara di tutto.

Schiantare ed obliviare la Parkinson fu questione di non più di un paio di secondi, ma furono ugualmente troppi: Hermione era già sparita, avvolta dal caldo e rassicurante mantello dell’invisibilità.

In preda allo sconforto, Draco tirò un pugno al muro più vicino, ottenendo solo una fitta di dolore e delle nocche escoriate.

“Molto maturo. Ora inizio a capire perché Blasie si diverta tanto a chiamarti idiota.”

Daphne Greengrass lo osservava a braccia conserte, l’aria incuriosita.

“Hai avuto qualche problema con la Granger?”

Draco la guardò con aria neutra. Non era certa che raccontarle tutto fosse la cosa più saggia.

“Tranquillo, non ho intenzione di impicciarmi.” Un lieve sorriso le ornò il volto. “Volevo solo portarti una lettera, prima di andare a cena. E’ arrivata col gufo di tuo padre, e, sapendo quanto siano rari i vostri contatti, ho pensato fosse una cosa importante.”

Draco prese la missiva, una brutta sensazione gli attanagliava le viscere.

“Ora vado a cena. Ci vediamo dopo!”

Draco nemmeno sentì l’amica, mentra apriva il pacchetto e leggeva le poche righe scritte frettolosamente dal padre.

Seppe esattamente quando il suo cuore smise di battere: un secondo dopo aver compreso il messaggio.

La verità, che per qualche tempo era riuscito ad ignorare, tornò prepotentemente a gravare sulle sue spalle.

Nulla era cambiato, fuori da quelle mura. Ciò che era costretto a fare, ciò che era, ciò che sapeva non cambiava, anche se cambiava ciò che provava lui. Non poteva cambiare il corso degli eventi, non poteva essere degno di lei.

Forse era meglio che fosse andata così.

Che Hermione lo credesse la viscida serpe che era, che non si aspettasse nulla di buono da lui.

Perché per lui, ormai, speranza non poteva essercene.

Meglio che fosse già pronta a vederlo come un nemico, dall’indomani lo sarebbe stato realmente.

Cosa aveva mai creduto? Che potesse esserci una qualche speranza, per loro due?

Nessuna speranza dimorava a Serpeverde.

Il vero Marchio l’aveva ricevuto con la nascita, con quel sangue che tanti ritenevano un dono divino e che a lui pareva sempre più una maledizione.

Sapeva che sarebbe finita così. Col sangue. Senza speranza.

Sarebbe stata la Serpe che tutti, da sempre, avevano visto in lui.

Quanto importa ciò che si vuole, quando non hai altra scelta che obbedire? In caso contrario, il prezzo da pagare sarebbe stato troppo alto.

Lasciò cadere a terra la pergamena, incendiandola con un semplice colpo di bacchetta.

L’elegante grafia di Lucius Malfoy brillò di luce riflessa per qualche secondo, prima di tramutarsi in cenere.

“Il tempo è giunto. Domani notte succederà. Tieniti pronto, a te spetta l’onore più grande.”
 

   
 
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